APPALTI – Autorità di Regolazione dei Trasporti – Regolazione del sistema tariffario dei pedaggi autostradali – Potere di revisione del sistema tariffario – Art. 43, comma 1, e commi 2 e 2-bis del d.l. n. 201 del 2011 – Natura del potere conferito all’A.R.T – Art. 37, co. 2, del d.l. n. 201 del 2011. (Massima a cura di Lucrezia Coradetti)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Febbraio 2024
Numero: 1324
Data di udienza: 25 Gennaio 2024
Presidente: Volpe
Estensore: Gallone
Premassima
APPALTI – Autorità di Regolazione dei Trasporti – Regolazione del sistema tariffario dei pedaggi autostradali – Potere di revisione del sistema tariffario – Art. 43, comma 1, e commi 2 e 2-bis del d.l. n. 201 del 2011 – Natura del potere conferito all’A.R.T – Art. 37, co. 2, del d.l. n. 201 del 2011. (Massima a cura di Lucrezia Coradetti)
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 9 febbraio 2024, n. 1324
APPALTI – Autorità di Regolazione dei Trasporti – Regolazione del sistema tariffario dei pedaggi autostradali – Potere di revisione del sistema tariffario – Art. 43, comma 1, e commi 2 e 2-bis del d.l. n. 201 del 2011 – Natura del potere conferito all’A.R.T – Art. 37, co. 2, del d.l. n. 201 del 2011.
Il potere conferito all’Autorità di Regolazione dei Trasporti dall’art. 37, co.2, del d.l. n. 201 del 2011è un potere decisorio, esercitabile suo iure ed ex officio, cioè senza necessità di un atto di impulso del concedente, che consente di stabilire il sistema tariffario anche per le convezioni autostradali che sono in corso. In questa ipotesi non viene leso il legittimo affidamento del concessionario poiché la sua tutela non può tradursi nella pretesa di un’assoluta immodificabilità delle condizioni della concessione in essere dato che nella fase esecutiva del rapporto concessorio è necessario contemperare il carattere negoziale dell’atto e il dogma della stabilità contrattuale con la natura pubblica degli interessi che assumono rilievo. Ne consegue che, se le condizioni della concessione sono modificabili, entro certi limiti, dalla parte pubblica del rapporto, non si può ragionevolmente ritenere che analoga possibilità sia da escludere rispetto all’A.R.T. che ha un compito di conformazione del mercato di riferimento per garantire l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti.
Pres. Volpe, Est. Gallone – A. (avv. Cancrini) c. Autorità di Regolazione dei Trasporti – A.R.T. (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 9 febbraio 2024, n. 1324SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2247 del 2023, proposto da
Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Arturo Cancrini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza San Bernardo n. 101;
contro
Autorità di Regolazione dei Trasporti – A.R.T., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (A.I.S.C.AT.), non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 1027/2022.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il Cons. Giovanni Gallone e udito per la parte appellante l’avv. Francesco Vagnucci in sostituzione dell’avv. Arturo Cancrini;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato il 18 aprile 2019 Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Piemonte, chiedendone l’annullamento, la delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito anche “A.R.T.” o solamente “l’Autorità”) n. 16/2019 del 18 febbraio 2019 (“Sistema tariffario di pedaggio relativo alle concessioni di cui all’articolo 43 del d.l. 201/2011 come richiamato dall’articolo 37 del medesimo decreto. Avvio del procedimento”), il suo Allegato A (“Allegato A alla delibera n. 16/2019 del 18 febbraio 2019”) nonché, ove occorra, il suo Allegato B (“Modalità di consultazione”), la Relazione illustrativa degli Uffici e ogni ulteriore atto ad essi connesso, presupposto e/o consequenziale.
1.1 A sostegno del ricorso introduttivo ha dedotto i motivi così rubricati:
1) difetto di competenza e violazione degli artt. 37, co. 2, lett. g, e art. 43, co. 1 e 2 d.l. 201/11 (conv. dalla l. 214/11) come novellati dal d.l. 109/18 (conv. dalla l. 130/18) relativamente ai rapporti concessori in essere;
2) violazione del principio pacta sunt servanda nonché dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento;
3) violazione dei principi di irretroattività e di legittimo affidamento;
4) disapplicazione e/o illegittimità costituzionale degli artt. 37 co. 2 lett. g e 43 co. 1 e 2 d.l. 201/11 (come novellati dall’art. 16 co. 1 d.l. 109/18); conseguente illegittimità della delibera 16/19.
2. Per resistere al gravame si è costituita l’A.R.T. ed è intervenuta, ad adiuvandum, la Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori – A.I.S.C.A.T..
3. Con motivi aggiunti notificati il 18 settembre 2019 Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. ha impugnato, domandandone l’annullamento, anche la Delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti n. 70/2019 del 19 giugno 2019 (“Delibera n. 70/2019 – Conclusione del procedimento avviato con delibera n. 16/2019 – Approvazione del sistema tariffario di pedaggio relativo alla Convenzione Unica ANAS S.p.A. – Società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova S.p.a.”), il suo Allegato A (“Sistema tariffario di pedaggio relativo alla Convenzione Unica ANAS S.p.A. –Società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza Padova S.p.a.”) nonché la Relazione Istruttoria degli Uffici, provvedimenti tutti pubblicati in data 19 giugno 2019 e ogni ulteriore atto ad essi connesso, presupposto e/o consequenziale e, tra questi, anche la nota “Calcolo del WACC, settore autostradale, procedimento avviato con delibera n. 16/2019”, conosciuta il 30 agosto 2019 a seguito di istanza di accesso agli atti.
3.1 A sostegno del ricorso per motivi aggiunti ha dedotto le censure così rubricate:
1) motivi di illegittimità derivata;
2) motivi di illegittimità di ordine generale;
3) motivi di illegittimità di ordine tecnico: eccesso di potere (irragionevolezza, contraddittorietà’, ingiustizia manifesta, erroneità);
4) motivi di illegittimità circa il calcolo del WACC: eccesso di potere (irragionevolezza, contraddittorietà’, ingiustizia manifesta, erroneità); violazione e contrasto con la delibera CIPE 68/2017.
4. Nel corso del giudizio di primo grado, con ordinanza collegiale n. 952 del 2021 il T.A.R., reputandolo necessario per decidere sul quarto motivo aggiunto, ha richiesto ad A.R.T. “documentati chiarimenti in merito al differente valore del tax rate di Ferrovial indicato dall’ART nella misura del 10,12% e, invece, dalla ricorrente nella misura del 23%”.
5. Ad esito del giudizio il T.A.R. con la sentenza in epigrafe:
– ha respinto il ricorso introduttivo;
– ha accolto il ricorso per motivi aggiunti limitatamente al quarto motivo e nei limiti di cui in motivazione, respingendolo con riferimento ai restanti motivi;
– ha annullato il provvedimento impugnato limitatamente al calcolo del valore del WACC nominale di cui al punto 16.6 dell’Allegato A alla delibera n. 70/2019.
5.1 In particolare, quanto al lamentato errore di calcolo sul WACC nominale (tra i valori di 7,09% e 7,10%) dedotto a mezzo del quarto motivo aggiunto, il giudice di prime cure ha rilevato che “ART non ha dimostrato in giudizio che, applicando i valori riportati nella tabella di cui alla memoria del 27.09.2021, effettivamente il calcolo del WACC arrotondato alla terza cifra decimale sia effettivamente 7,094 piuttosto che 7,095, avendolo semplicemente dedotto”.
6. Con ricorso notificato il 25 febbraio 2023 e depositato il 9 marzo 2023 Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. ha proposto appello avvero la suddetta decisione chiedendone la riforma.
6.1 In particolare, ha affidato il gravame ai seguenti motivi:
1) sull’erroneità della sentenza gravata per aver rigettato il ricorso introduttivo. Difetto di competenza e violazione degli artt. 37, co. 2, lett. g, e art. 43, co. 1 e 2 d.l. 201/11 (conv. dalla l. 214/11) come novellati dal d.l. 109/18 (conv. dalla l. 130/18) relativamente ai rapporti concessori in essere;
2) sull’erroneità della sentenza gravata per aver rigettato il ricorso introduttivo. Violazione del principio pacta sunt servanda nonché dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento (artt. 1372 e 1375 c.c., art. 175 d.lgs 50/16, artt. 49, 56, 63 e 106 tfue, artt. 3 e 41 cost.); disapplicazione e illegittimità costituzionale degli artt. 37, co. 2, lett. g, e 43, co. 1 e 2, d.l. n. 201/2011. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, difetto di proporzionalità e ragionevolezza, erroneità e difetto dei presupposti, sviamento di potere, manifesta ingiustizia;
3) sull’erroneità della sentenza gravata per aver rigettato il ricorso per motivi aggiunti. Eccesso di potere (irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, erroneità);
4) sull’erroneità della sentenza gravata per aver rigettato il ricorso per motivi aggiunti. Eccesso di potere (irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, erroneità).
7. In data 10 marzo 2023 si è costituita in giudizio, a mezzo dell’a difesa erariale, l’A.R.T..
7.1 Questa ha depositato in data 23 dicembre 2023 memorie difensive ex art. 73 c.p.a. chiedendo la reiezione del gravame.
8. Il 12 gennaio 2024 parte appellante ha depositato memorie in replica.
9. All’udienza del 25 gennaio 2024 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto.
2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa, nel respingere il ricorso introduttivo, ha disatteso la censura con cui la ricorrente in primo grado aveva dedotto l’incompetenza dell’A.R.T. a intervenire e revisionare il sistema tariffario che governa la concessione gestita da Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A..
In particolare, secondo parte appellante, detta statuizione sarebbe errata alla luce dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento.
Più segnatamente si osserva che il d.l. del 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214) istitutivo dell’A.R.T. ha previsto:
– la competenza della stessa Autorità “a stabilire per le nuove concessioni sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività x a cadenza quinquennale per ciascuna concessione” (art. 37, comma 2, lett. g);
– per i rapporti di concessione autostradale già vigenti, in caso di modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio, il parere del C.I.P.E. previa consultazione del N.A.R.S. e approvazione con Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti (art. 43, comma 1), e, per le altre ipotesi, l’approvazione con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (art. 43, comma 2).
Si aggiunge che il d.l. 28 settembre 2018 n. 109 (convertito, con modificazioni, dalla l. 16 novembre 2018, n. 130) ha modificato il d.l. n. 201 del 2011 prevedendo, per quanto qui di interesse:
– l’inserimento al citato art. 37, comma 2, lett. g), del d.l. n. 201 del 2011, dopo le parole “nuove concessioni” la locuzione “nonché per quelle di cui all’articolo 43, comma 1 e, per gli aspetti di competenza, comma 2”;
– all’art. 43, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, l’obbligo di consultazione dell’A.R.T., nonché, introducendo ex novo il comma 2-bis concernente l’onere di verifica in capo all’Amministrazione concedente, sempre previa consultazione con l’A.R.T., dell’effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi in tariffa.
Ebbene, secondo parte appellante, a differenza di quanto affermato dal T.A.R., nessuna norma assegnerebbe all’A.R.T. l’incarico di calcolare la tariffa di tutte le concessioni autostradali vigenti per cui il periodo regolatorio quinquennale sia scaduto successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 109 del 2018 ovvero il relativo iter approvativo non si sia ancora perfezionato.
Più segnatamente si deduce che la concessione in esame si porrebbe al di fuori del raggio applicativo del novellato art. 37, comma 2, lett. g), d.l. n. 201 del 2011 conv. in l. n. 214 del 2011. Ciò in quanto l’iter di aggiornamento della convenzione de qua per il terzo periodo regolatorio (2018-2022) era in corso ma non ancora perfezionato al momento dell’entrata in vigore del suddetto decreto n. 109/2018 e ciò precluderebbe il recepimento del nuovo sistema tariffario.
Si osserva, ancora, che la competenza demandata ad A.R.T. dalla legge sarebbe limitata, quanto alle concessioni in vigore:
– alle ipotesi di aggiornamenti o revisioni delle convenzioni autostradali vigenti, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica (art. 43, comma 1, d.l. n. 201 del 2011);
– alle ipotesi di aggiornamenti o revisioni delle convenzioni autostradali vigenti che non comportino le variazioni o le modificazioni (art. 43, comma 2, d.l. n. 201 del 2011) ma limitatamente agli aspetti di competenza, ossia – ai sensi dell’art. 43, comma 2-bis, d.l. n. 201 del 2011 – ai fini della consultazione per la “verifica [del]l’applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe, anche con riferimento all’effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi in tariffa”.
Inoltre, il T.A.R. avrebbe trascurato di considerare che in entrambi i casi (art. 43, comma 1, e commi 2 e 2-bis del d.l. n. 201 del 2011):
– all’A.R.T. sarebbe stato conferito un potere non decisorio, ma consultivo;
– che l’iter procedimentale originerebbe dalla “trasmissione dell’atto convenzionale ad opera dell’amministrazione concedente” e non, ex officio, da una valutazione unilaterale dell’A.R.T. medesima.
In ultimo, l’ambito di operatività dell’A.R.T. sarebbe comunque circoscritto non già al calcolo dell’intera tariffa attraverso vari fattori e criteri, bensì alla sola indicazione del parametro di “produttività X” (“determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione”, art. 37, comma 2, lett. g) del d.l. n. 201 del 2011).
2.1 La censura non coglie nel segno atteso che il giudice di prime cure risulta aver fatto buon governo dei principi elaborati in subiecta materia dalla giurisprudenza di questo Consiglio.
Quanto al primo profilo di doglianza, non vi sono, in particolare, ragioni per discostarsi dalla posizione assunta sul punto con la sentenza n. 5585/2021 (al cui apparato motivo si rinvia per ragioni di sinteticità).
Pronunciandosi su una fattispecie concreta sostanzialmente sovrapponibile a quella qui in esame (e relativa proprio all’applicabilità dello jus superveniens al procedimento di aggiornamento quinquennale in corso alla data dell’entrata in vigore del D.L. n. 109 del 2018) è stato chiarito, sulla scorta di una lettura coordinata del disposto degli art. 37, comma 2, lett. g) e 43, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 e del loro tenore letterale, che tale ultima disposizione si applica, in forza del principio del tempus regit actum, “immediatamente ai rapporti concessori in corso il cui piano economico finanziario era scaduto in epoca antecedente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 109 del 2018, come convertito dalla legge n. 130 del 2018, senza che entro tale ultima data se ne fosse perfezionato l’iter di aggiornamento” (in termini successivamente anche la sentenza n. 8765/2022 di questa Sezione).
2.2 Parimenti privi di pregio sono gli altri profili di doglianza pure agitati con il motivo in scrutinio.
Anzitutto, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione (sentenza n. 3484/2022, punto 11), al rinvio operato, da parte della nuova versione dell’art. 37, comma 2, lett. g), all’art. 43 “non può essere attribuito il significato di relegare l’intervento dell’Autorità al limitato ambito dalla norma richiamato”. Ciò in quanto, come desumibile dal suo tenore letterale (secondo cui “L’Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture ed in particolare provvede”), è l’art. 37, comma 2, a definire l’ambito di esplicazione dei poteri tariffari dell’Autorità (così anche la già citata Cons. Stato, Sez. VI, 27 luglio 2021, n. 5585), nel mentre l’art. 43, richiamato solo per relationem rispetto al suo oggetto, si occupa di aspetto tutt’affatto differente (id est la disciplina dei procedimenti di revisione o aggiornamento delle convenzioni che hanno già recepito il nuovo sistema tariffario).
2.3 Questa considerazione porta a disattendere anche il profilo di doglianza a mezzo del quale parte appellante ha dedotto che all’A.R.T. sarebbe stato conferito un potere non decisorio ma consultivo esercitabile non ex officio ma solo a seguito di “trasmissione dell’atto convenzionale ad opera dell’amministrazione concedente”. E, infatti, come è stato condivisibilmente osservato (Cons Stato, sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8765 già richiamata supra) è sempre l’art. 37, co. 2, lett. g) a prevedere che l’A.R.T.:
– definisca suo jure, cioè senza necessità di un atto d’impulso del concedente, il sistema tariffario anche per le “vecchie” convenzioni (cioè quelle in essere al momento dell’entrata in vigore della novella);
– stabilisca, a tutto tondo, “sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap”, anche (e non solo) “con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione”.
3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa, nel respingere in parte il ricorso introduttivo, ha disatteso le censure con cui è stata denunciata l’illegittimità delle delibere dell’A.R.T. gravate in prime cure in ragione dell’indebito sovvertimento dell’assetto negoziale che la revisione autoritativa del sistema tariffario avrebbe comportato.
Parte appellante osserva, in proposito, che:
– la circostanza che il nuovo sistema tariffario predisposto dall’A.R.T. incida su tutte le concessioni in corso risulterebbe confermato dalla Relazione Istruttoria degli Uffici, ove è precisato che “l’Autorità risulta tenuta a stabilire i sistemi tariffari dei pedaggi anche con riferimento a ciascuna delle convenzioni autostradali in essere oggetto di aggiornamento o revisione (indipendentemente dal fatto che gli stessi comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica)”;
– secondo un principio basilare dell’ordinamento i negozi giuridici, allorquando stipulati e sottoscritti, non potrebbero venire unilateralmente e volontariamente alterati da chi ne sia parte, nemmeno se tale parte è la pubblica amministrazione;
– nelle concessioni autostradali, la tariffa relativa ai pedaggi, come espressamente disciplinata nella Convenzione Unica concordata e sottoscritta con ANAS S.p.a. il 9 luglio 2007 (artt. 15 – 18), costituisce l’unica modalità remunerativa del rapporto concessorio sicché essa rappresenta l’elemento essenziale del sinallagma contrattuale e ciò verrebbe specialmente nel settore de qua ove vige il principio economico del flusso di cassa;
– l’unilaterale revisione disposta dall’A.R.T. avrebbe mutato e alterato i pattuiti assetti originari, assetti sui quali sarebbe fondata l’intera attività economica di Autostrada Brescia Padova.
Si aggiunge che, a fronte di tali deduzioni, il T.A.R. ha ritenuto infondata la doglianza limitandosi a rinviare ad alcuni precedenti che, però, pur riferendosi a fattispecie similari, non avrebbero affrontato funditus tutti i profili di censura formulati in prime cure.
Più segnatamente, il giudice di prime cure sarebbe incorso in errore nello statuire “l’inesistenza del nostro ordinamento di un legittimo affidamento all’immutabilità delle pattuizioni negoziali nei rapporti di (lunga) durata, riconoscendo al Legislatore la possibilità di intervenire modificando, anche in senso peggiorativo, la disciplina dei rapporti giuridici”, atteso che ciò si porrebbe in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza europea secondo cui “i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Pertanto, essi devono essere rispettati dalle istituzioni dell’Unione, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri loro conferiti dalla normativa dell’Unione (v. in tal senso, in particolare, sentenze Netto Supermarkt, C-271/06, EU:C:2008:105, punto 18, e Plantanol, C-201/08, EU:C:2009:539, punto 43)” (Corte giustizia UE, sez. I, 10 dicembre 2015, n.427). Principi, questi, che sarebbero riconosciuti pure a livello di C.E.D.U. (art. 6 C.E.D.U. e art. 1 del Protocollo 1 della CEDU) e UNIDROIT (art. 1.8 dei Principi UNIDROIT).
Inoltre, secondo parte appellante, la revisione tariffaria intrapresa dall’A.R.T. non risulterebbe nemmeno giustificata da sopravvenute ragioni oggettive posto che la stessa Autorità avrebbe espressamente precisato (al punto 1 dell’All. A alla Delibera n. 70/2019) che il nuovo meccanismo risponde a una differente visione del settore, essendo volto non più alla remunerazione di tutti i costi e gli investimenti (principali ed accessori) e al fine dell’autonoma gestione del servizio bensì alla riduzione della misura del pedaggio e al reinvestimento nel servizio.
La sentenza del T.A.R. sarebbe ancor meno condivisibile alla luce della circostanza che le delibere impugnate hanno esteso la nuova tariffazione anche ai piani regolatori quinquennali per i quali non sia stato ancora perfezionato l’aggiornamento del piano economico finanziario alla data di entrata in vigore del d. l. n. 109 del 2018 (segnatamente, nel caso di Autostrada Brescia Padova, la nuova tariffazione finirebbe per riguardare anche il P.E.F. 2013 – 2017 e il P.E.F. 2018 – 2022, presentati dalla società ma, alla data di presentazione del ricorso in primo grado, non formalmente approvati dagli enti preposti) rispetto ai quali sarebbero, tuttavia, configurabili posizioni giuridiche definite, come tali non suscettibili di venir mutate da provvedimenti successivi, a pena di violazione dei principi generali di irretroattività e di legittimo affidamento, principi la cui rilevanza e piena operatività sono da sempre affermate dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare da Corte cost., n. 16 del 2017).
Parte appellante deduce, ancora, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha mancato di disapplicare ovvero di sollevare questione di costituzionalità rispetto agli artt. 37, comma 2, lett. g) e 43, commi 1 e 2, del d.l. n. 201 del 2011 (come novellati dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 109 del 2018) per violazione delle disposizioni fondamentali europee (artt. 49, 56, 63 e 106 T.F.U.E.) nonché del canone di ragionevolezza a esse sotteso, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 T.F.U.E.. In proposito si osserva, da un lato, che la scelta normativa di modificare unilateralmente patti già stipulati e operare su posizioni giuridiche definite al fine di introdurre un meccanismo tariffario omogeneo, si risolverebbe nella violazione dei principi di non discriminazione e certezza e, di conseguenza, minerebbe la libera circolazione, gli investimenti e la concorrenza, alterando la parità tra il soggetto privato e il soggetto pubblico, rendendo eguali situazioni concessorie per natura differenti ed incidendo sui diritti acquisiti dal concessionario. Dall’altro lato si osserva che, nel 2006, la Commissione UE aveva dato avvio ad una procedura di infrazione (procedura C/2006 – 2006/2419) per un intervento in tesi del tutto analogo al presente. Con il d.l. n. 262/2006, convertito in legge n. 286/2006, era stato in particolare modificato il regime tariffario delle concessioni autostradali in corso, con la conseguenza che allo Stato italiano era stata contestata la violazione degli artt. 63 e 49 del T.F.U.E. (tutela della libera circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento), in ragione dell’incertezza giuridica che la novella aveva originato, alterando ex post i rapporti contrattuali in essere. Si aggiunge che, in tale circostanza, lo Stato italiano, al fine di evitare le sanzioni, aveva introdotto un’apposita modifica legislativa alla l. n. 286/2006, tale da eliminare qualsivoglia ambiguità, impedendo l’unilaterale alterabilità dei regimi tariffari e che, su tali basi, sarebbe, poi, stata predisposta proprio la Convenzione Unica regolante i rapporti tra il concedente e i singoli concessionari (da sottoscrivere alle condizioni di volta in volta pattuite tra le singole parti contrattuali, con espressa previsione che la stessa non potesse in alcun modo essere modificata per iniziativa unilaterale ed autoritaria del solo contraente pubblico).
3.1 Le censure in parola non meritano positivo apprezzamento.
Va, in primo luogo, evidenziato che la tutela del legittimo affidamento (nella veste di principio di matrice eurounitaria a rilievo anche costituzionale) non può tradursi nella pretesa di un’assoluta immodificabilità delle condizioni della concessione in essere.
Del resto, in generale, il diritto dei contratti pubblici, anche nel suo formante europeo (tra cui, segnatamente, la Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione), ha, da sempre, approntato con riguardo alla fase della esecuzione, un regime connotato da una forte carica di specialità rispetto al diritto comune, animato dalla necessità di contemperare il carattere negoziale dell’atto ed il dogma della stabilità contrattuale (espresso dal principio per cui pacta sunt servanda) con la natura pubblica degli interessi in esso riversati. Ne è riprova la circostanza che anche il legislatore del nuovo Codice, nonostante la consacrazione, all’art. 8, del principio di autonomia contrattuale e la previsione, all’art. 12, primo comma, lett. b), di un “rinvio esterno” generale al codice civile, ha inteso disegnare, nel solco della tradizione, un assetto dei rapporti tra parte pubblica e parte privata del contratto di appalto improntato a quella che è stata definita come una “diseguaglianza secondaria”. Asimmetria che si traduce anche, nel campo delle concessioni, nella previsione di penetranti poteri di modifica unilaterale del contratto durante il periodo di efficacia in capo al concedente (si veda l’art. 189 del d.lgs. n. 36 del 2023, ampiamente ricognitivo del dettato dell’articolo 43 della direttiva 2014/23/UE).
Se, dunque, le condizioni della concessione appaiono modificabili, seppur entro certi limiti, dalla stessa parte pubblica del rapporto, non si può ragionevolmente ritenere che analoga possibilità sia da escludere rispetto ad un’Autorità indipendente come l’A.R.T. cui tale compito risulta affidato, nell’ottica della conformazione del mercato di riferimento (al fine di assicurare l’efficienza produttiva delle gestioni ed il contenimento dei costi per gli utenti), in forza di una disciplina di legge speciale.
Del resto, la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 24 gennaio 2017, n. 16, pure invocata da parte appellante) ha chiarito, in generale, che “la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)”, fermo restando tuttavia che dette disposizioni, “al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica[recte: giuridica” (così riprendendo la sentenza n. 822 del 1988; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016; n. 64 del 2014; n. 1 del 2011; n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999).
In altri termini, la Corte costituzionale, pur riconoscendo il rilievo dell’affidamento nella “sicurezza giuridica” quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non riconosce la vigenza di un principio di immodificabilità assoluta della disciplina dei rapporti di durata derivanti da pattuizioni negoziali, ancorché, l’ammissibilità di interventi incidenti sulle posizioni che ne derivano, sia subordinata all’esistenza di un interesse meritevole di tutela, ovvero, finalizzata a scopi di utilità sociale, e sempreché l’intervento non si traduca in scelte illogiche irrazionali e non proporzionate all’utilità perseguita.
Su posizioni non distanti ma al fondo convergenti si colloca anche la Corte di Giustizia UE (Sez. I, 11 giugno 2015, n.98) laddove, pur ribadendo che “il principio di certezza del diritto, che ha come corollario quello della tutela del legittimo affidamento, impone, segnatamente, che le norme di diritto siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare quando possono avere sugli individui e sulle imprese conseguenze sfavorevoli (v., in tal senso, sentenze VEMW e a., C-17/03, EU:C:2005:362, punto 80 e giurisprudenza ivi citata; ASM Brescia, C-347/06, EU:C:2008:416, punto 69, e Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation, C-362/12, EU:C:2013:834, punto 44)” (punto 77), è comunque pervenuta all’enunciazione del principio per il quale “un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche (v., in tal senso, sentenza Gemeente Leusden e Holin Groep, C-487/01 e C-7/02, EU:C:2004:263, punto 81)” (punto 78).
3.2 Ebbene, alla luce delle suddette coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che la ratio ed il contenuto della disciplina di legge speciale che qui viene in rilievo inducano ad escludere che questa abbia inciso sui rapporti di durata riconducibili alle concessioni in essere in modo irragionevole, arbitrario ovvero imprevedibile.
Sul punto è sufficiente richiamare in senso adesivo le considerazioni già svolte, proprio con riguardo alla normativa in tema di revisione del sistema tariffario autostradale, dalle sentenze n. 3484/2022 e n. 8765/2022 di questa Sezione.
Queste hanno condivisibilmente riconosciuto l’esistenza di esigenze di interesse pubblico alla ridefinizione del sistema tariffario vigente e, quindi, la ragionevolezza dell’intervento legislativo, mettendo in luce che “la rete autostradale nazionale è affidata a concessionari in virtù di convenzioni di lunga durata, non sempre (anzi quasi mai) affidate all’esito di procedure di evidenza pubblica, e sovente prorogate allegando esigenze legate alla necessità di completare investimenti, quando non motivate dalla necessità di prevenire o definire contenziosi in atto o potenziali”, con la conseguenza che viene a configurarsi un sistema caratterizzato da una pluralità di monopoli di fatto, che non presenta quella flessibilità necessaria per una efficace e tempestiva attuazione delle scelte in materia di politica dei trasporti.
La giurisprudenza testé richiamata ha, inoltre, escluso che la nuova disciplina tariffaria si presenti come “imprevedibile” e che sia dotata di effetti retroattivi sulle tariffazioni (così funditus nella sentenza n. 3484/2022 di questa Sezione, punto 10.6, cui si rinvia). In proposito va, infatti, rilevato che essa dispone unicamente pro futuro e risulta adottata ad esito di un lungo ed articolato procedimento di riforma (intrapreso nel 2014, a seguito di segnalazione dell’A.G.C.M., e culminato dopo un confronto con gli stakeholder solo nel 2018).
Ne discende che non appaiono meritevoli di prospettazione le questioni di compatibilità tanto costituzionale quanto comunitaria sollevate in primo grado e qui riproposte.
3.3 Solo per completezza preme, in ultimo, segnalare che fuori fuoco si rivela anche il richiamo operato da parte appellante alla procedura di infrazione n. 2006/2419. Come già osservato da questa Sezione (cfr. sentenza n. 3484/2022 di questa Sezione, punto 10.1), quest’ultima si è, infatti, inserita in un contesto radicalmente differente da quello in esame, posto che in tale occasione “la Commissione U.E. contestava allo Stato italiano un intervento che, agli occhi degli investitori, poteva apparire opaco non essendo chiare e univoche le condizioni specifiche ed obiettive alle quali le concessioni sarebbero state rinnovate o ritirate”. Per contro, la normativa che viene qui in rilievo “prevede un sistema di regolazione economica unitario e trasparente la cui definizione è demandata all’Autorità regolatrice cui viene affidato il compito di razionalizzare un polimorfo sistema basato sulla convivenza di una pluralità di diversi sistemi tariffari, in vista della tendenziale realizzazione di un sistema tale da garantire una effettiva parità di trattamento fra gli operatori di settore e una più efficace tutela dei destinatari dell’attività oggetto della concessione. In questo senso le modifiche correttive apportate al rapporto concessorio si giustificano anche alla luce della struttura trilaterale della concessione e dell’esigenza, ben avvertita anche nell’ordinamento europeo, di garantire gli utenti destinatari del servizio, in un settore dove le condizioni strutturali impediscono una concorrenza vera e propria” (così sempre la sentenza n. 3484/2022 di questa Sezione, punto 10.1).
4. Col terzo motivo di appello, si aggredisce il capo della sentenza impugnata con cui il T.A.R. ha ritenuto infondato il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti a mezzo del quale sono state formulate plurime censure di ordine tecnico con riguardo a taluni aspetti della regolazione tariffaria introdotta dall’Autorità con la delibera n. 70/2019.
4.1 Nel dettaglio, un primo profilo di doglianza qui riproposto attiene alla contestazione delle misure 5, 6.1 e 6.2 dell’allegato A alla delibera n. 70/2019 in materia di modulazione tariffaria. Queste ultime prescrivono che:
– “La tariffa unitaria media è il prezzo unitario medio, espresso in euro per veicolo*km, dei pedaggi praticati dal concessionario alle diverse classi di veicoli e tipologie di tratta autostradale, ponderato con i volumi di traffico” (Misura 5.1);
– “Sulla base della tariffa unitaria media di cui al punto 5, relativa a ciascuna annualità del periodo concessorio, il concessionario, nel rispetto della normativa vigente e a parità di ricavi complessivi stimati sulla base della tariffa stessa, determina i pedaggi afferenti alle diverse classi di veicoli e tipologie di tratta autostradale. La modulazione della tariffa per classe veicolare, da applicare con riferimento all’impatto 18 ambientale, è determinata nel rispetto delle previsioni normative in materia” (Misura 6.1);
– “il concessionario può essere autorizzato dal concedente ad attuare forme di modulazione tariffaria ulteriori rispetto a quelle di cui al punto 6.1, sempre a parità di ricavi complessivi stimati sulla base della tariffa stessa, basate su altri criteri e parametri” (Misura 6.2).
Secondo parte appellante i punti 5 (che riconosce i soli ricavi utili alla copertura dei costi), 6.1 e 6.2 (“il concessionario a parità di ricavi complessivi stimati sulla base della tariffa stessa […] determina i pedaggi”) dell’All. A alla Delibera 70/2019 introdurrebbero, quanto alla modulazione tariffaria, l’obbligo di parità di ricavi il quale, però, non risulterebbe incentivante per il concessionario. Inoltre, sempre secondo parte appellante, l’A.R.T. avrebbe osservato come il nuovo sistema sia basato sulla sola copertura dei costi, omettendo, però, di spiegare come ciò sia compatibile con la ratio dei rapporti concessori in essere e, più in generale, con i principi di iniziativa economica.
Il T.A.R. avrebbe, quindi, errato nel ritenere che “con riferimento alle censure relative ai punti 5, 6.1 e 6.2 dell’Allegato A alla delibera n. 70/2019 ed al lamentato riconoscimento dei soli ricavi a copertura dei costi (che frustrerebbe i principi di iniziativa economica) si evidenzia che, dal tenore letterale dell’allegato, non risulta inibita, ferma restando l’invarianza dei ricavi complessivi, la possibilità di stimarne l’entità in termini di incremento (ovviamente ex ante e con riferimento ai volumi di traffico previsti) secondo logiche di efficientamento che evitino profitti non giustificati. Nella più volte citata pronuncia del Consiglio di Stato, a conferma della coerenza di tale scelta con il sistema complessivamente previsto dalla norma, si legge che «la finalità del nuovo sistema tariffario viene individuata (come in parte anticipato) in un «recupero di produttività» che faccia comunque salva la «redditività del capitale investito»: finalità garantita dall’utilizzo della metodologia del Capital Asset Princing Model (CAPM) [punto 16 dell’allegato A]. Le valutazioni che presiedono alla determinazione del sistema tariffario si fondano sulla considerazione dell’esistenza, nello specifico settore autostradale, di monopoli naturali che escludono la possibilità di una effettiva concorrenza di fatto con conseguente assenza di stimoli alla razionalizzazione dei costi ed all’efficientamento della gestione che si ripercuotono a cascata sulle tariffe e, quindi, sull’utenza”.
In particolare, ad avviso di parte appellante, detta statuizione non consentirebbe di superare la manifesta irragionevolezza di un sistema tariffario che impone l’applicazione a un soggetto imprenditoriale di un sistema tariffario che, assicurando la sola copertura dei costi, conduca alla parità di ricavi, così obliterando il principio di iniziativa economica e la ratio dei rapporti concessori in essere in cui la remunerazione del concessionario corrisponde proprio all’utile di gestione.
4.2 Il secondo profilo di doglianza dedotto col motivo d’appello in esame riguarda la statuizione del T.A.R. che ha riconosciuto la legittimità delle Misure 10 punti 10.1, 10.2 e 10.3 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019, contestata sempre col terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
In particolare, si deduce che il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare che dette misure sarebbero state “poste a vantaggio della ricorrente” sicché non sarebbe possibile apprezzare “l’interesse sotteso alla censura”.
Parte appellante osserva, in proposito, che, a prescindere dal fatto che la misura possa risolversi a vantaggio della concessionaria, l’obiettiva ed evidente incongruità delle voci contabili allegata in primo grado determinerebbe una grave ambiguità del sistema tariffario che, ex se, incide negativamente sulla stabilità del rapporto concessorio.
4.3 Il terzo profilo di doglianza del motivo di appello in scrutinio riguarda la statuizione del T.A.R. relativa al punto 12 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 in tema di valutazione del cd. C.I.N. (Capitale Investito Netto) che ha disatteso la censura svolta avverso di esso sempre a mezzo del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
In particolare, si deduce che il T.A.R., dopo aver riconosciuto al concedente la facoltà di determinare il C.I.N, avrebbe erroneamente affermato che “ciò risponde a logiche di equilibrio sinallagmatico nel quadro del rapporto concessorio”.
Parte appellante osserva, in proposito, che detta statuizione non sarebbe condivisibile in quanto finirebbe per convalidare la titolarità di un potere autoritativo e unilaterale del concedente nella determinazione di un valore centrale ai fini della remunerazione dell’investimento che, al più, dovrebbe essere accertato in contradittorio con il concessionario.
4.4 Con un quarto profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha rigettato la censura formulata a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado avverso il punto 14.1 dell’All. A alla delibera n. 70/2019.
Secondo parte appellante il T.A.R. avrebbe errato nel ricondurre tanto il rischio contenzioso quanto quello relativo agli espropri nell’ambito del rischio operativo (e, segnatamente, nel rischio di disponibilità) così riconoscendo la legittimità della decisione dell’A.R.T. di trasferirli a carico del concessionario.
Ciò non sarebbe condivisibile in quanto:
– non si terrebbe in considerazione l’assetto dei rapporti regolati dalla concessione che, come allegato in primo grado, non porrebbe affatto queste tipologie di rischi a carico del concessionario;
– non potrebbe essere negata all’origine l’imputabilità al concedente medesimo della responsabilità del contenzioso o della gestione stessa dell’esproprio.
4.5 Con un quinto profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha rigettato le censure riferite al meccanismo di determinazione del coefficiente di incremento della produttività previsto dal punto 20 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019.
Sostiene parte appellante che la sentenza di primo grado si sarebbe limitata a riportare alcuni stralci di un precedente giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato che, però, vista la differente fattispecie affrontata, non si attaglierebbe alla fattispecie in scrutinio in ragione di un’evidente lacunosità del procedimento delineato nella delibera impugnata in prime cure. In particolare, secondo parte appellante:
– non risulterebbero né noti né pubblici i criteri utilizzati per lo stimato obiettivo di efficientamento;
– non sarebbe previsto alcun diverso meccanismo (nemmeno premiale) per i concessionari che si trovano già sulla frontiera dell’efficiente o hanno raggiunto ambiti ottimali di gestione;
– il parametro di efficienza non dovrebbe applicarsi a taluni costi, ossia ai costi di manutenzione (in quanto vengono definiti ex ante sulla base del quadro esigenziale di ciascuna opera in accordo con il concedente e rispettano di fatto i criteri di efficacia e efficienza richiesti, sulla base anche dei requisiti di qualità e sicurezza che la stima econometrica dell’A.R.T. non può rilevare), ai costi di rimborso del capitale investito netto relativo ad asset di tipo non reversibile (non essendo una voce efficientabile in quanto relativi ad ammortamento e remunerazione di asset già realizzati) e ai costi incrementali di gestione legati alla realizzazione di nuovi investimenti e/o all’entrata in vigore di nuove disposizioni (in quanto non possono essere ricompresi nei target di produttività individuati dall’Autorità sulla base dei dati storici delle concessionarie).
4.6 Con un sesto profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha rigettato le censure svolte sempre a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado in ordine al punto 24 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019.
In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare che “le doglianze risultano essere più frutto di una autonoma valutazione e espressione dei desiderata della ricorrente che non articolate censure sulla irragionevolezza del metodo di determinazione delle penalità e delle premialità” e ha ritenuto “condivisibili le argomentazioni fornite dalla ART in ordine alla ratio del sistema, che ha lo scopo di disincentivare comportamenti opportunistici di cherry picking, nell’ipotesi in cui il concessionario sia in grado di superare i livelli di qualità richiesta solo per uno od alcuni indicatori, ma non per tutti contemporaneamente”.
Si osserva che la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione i seguenti aspetti:
– la mancanza di una valutazione delle necessità del settore e delle esigenze degli utenti;
– la circostanza che la definizione delle soglie degli indicatori sarebbe demandata esclusivamente al concedente;
– la circostanza che i processi di misurazione dovrebbero essere coerenti per tutto il settore;
– la circostanza che gli incentivi (ad es. distribuzione premi e penalità) non sarebbero fondati su analisi empiriche e devono essere calibrati su metodologie trasparenti;
– la circostanza che le soglie minima e obiettivo dovrebbero essere definite a livello di settore (coerentemente con le Carte dei Servizi), posto che l’introduzione di target per il singolo gestore potrebbero essere penalizzanti per i concessionari che già oggi garantiscono standard elevati, mentre la soglia best practice dovrebbe essere fissata a livello di singolo concessionario;
– il livello inferiore del meccanismo presenterebbe eccessiva severità (applicando direttamente il limite inferiore alla variazione tariffaria, pari al -2%, o il limite obiettivo, pari allo 0%, anche solo per il mancato raggiungimento del target per un singolo indicatore), ciò in particolare ove si tenga conto dell’elevato numero di aree tematiche e della loro inadeguatezza a catturare fenomeni controllabili e rilevanti;
– il criterio di fissazione da parte del concedente dei pesi delle diverse dimensioni della qualità non apparirebbe trasparente;
– il meccanismo di qualità attualmente previsto non sarebbe coerente con quello da ultimo introdotto (con possibili duplicazioni, ad es. barriere antirumore) e violazione dei principi di coerenza e proporzionalità;
– alcuni indicatori porrebbero benefici marginali a fronte di oneri eccessivi (ad es. fluidità ai caselli, stato della pavimentazione) e altri sarebbero posti al di fuori della sfera di controllo del concessionario (ad es. velocità del flusso di traffico, connettività, impiego ITS);
– la circostanza che alcuni indicatori risulterebbero già adeguatamente affrontabili mediante regolamentazione tecnica di settore (monitoraggio delle opere) o valorizzabili mediante il riconoscimento dei relativi oneri di costruzione (ad es. barriere antirumore) o con il ricorso alle penalità previste nelle Convezioni Uniche (ad es. barriere di sicurezza);
– la circostanza che molti degli indicatori non risulterebbero in grado di esibire una variazione annuale significativa (sistemi di monitoraggio, impiego di barriere antirumore e laterali, sistemi ITS).
4.7 Con un settimo profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto infondate le censure svolte sempre a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado in ordine al punto 25 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (relativo all’adeguamento tariffario correlato all’attuazione degli investimenti).
In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare che “l’introduzione di un fattore che valorizza (in negativo) le inadempienze ed i ritardi si pone come risposta allo stato di attuazione degli investimenti programmati registrato dall’autorità in sede istruttoria (limitato ad appena il 64,87%). Un meccanismo che, a differenza del previgente, prevede il ribaltamento in favore dell’utenza delle componenti tariffarie connesse al ritardo negli investimenti risulta coerente con tali principi di fondo”.
Si osserva che il giudice di prime cure avrebbe completamente omesso di considerare lo stravolgimento dell’assetto negoziale recato dal nuovo meccanismo di aggiornamento annuale della componente di costruzione, basato sulla quantificazione – anno per anno – degli investimenti effettivamente realizzati. Si deduce, sul punto, che:
– il sistema derivante dalla convenzione era calcolato sul valore degli investimenti realizzati e non su valori previsionali che, inevitabilmente, introdurrebbero un ulteriore fattore di incertezza nel rapporto;
– l’incertezza in parola si aggraverebbe ove si consideri che il nuovo sistema introduce degli elementi discrezionali per il calcolo della tariffa di costruzione – legati alla responsabilità del concessionario – che compromettono la possibilità di effettuare stime previsionali dei profili tariffari e, quindi, della bancabilità degli investimenti;
– esisterebbero già sistemi di penalità nella Convezione in grado di disincentivare l’accumulo di ritardo esecutivo, con la conseguenza che l’introduzione di ulteriori penalità in sede di revisione tariffaria esporrebbe il concessionario a un rischio senza dubbio imprevisto al momento dell’affidamento della concessione.
4.8 Con un ottavo profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto infondate le censure svolte sempre a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado in ordine al punto 26 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (relativo alle poste figurative).
In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare che “le doglianze risultano essere più frutto di una autonoma valutazione e espressione dei desiderata della ricorrente che non motivate censure sulla irragionevolezza del metodo di determinazione dello stesso” e ritenuto che “la riconduzione al periodo annuale (e non più quinquennale) risulta quindi coerente con l’impostazione complessiva della delibera impugnata e non è ravvisabile alcun profilo di illogicità o contraddizione interna del provvedimento”.
Si osserva che il giudice di prime cure avrebbe completamente omesso di considerare che il nuovo sistema avrebbe dovuto consentire di tenere conto, nell’aggiornamento tariffario del primo periodo regolatorio, del saldo delle poste figurative a debito o a credito maturato sulla base dei regimi tariffari previgenti (al fine di garantire la neutralità economico – finanziaria) nonché prevedere, per le stesse ragioni, il riconoscimento a saldo delle poste figurative a debito o a credito anche in caso di decadenza o revoca della concessione.
4.9 Con un nono profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto infondate le censure svolte sempre a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado in ordine al punto 27 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (che ha introdotto un meccanismo di contenimento dei maggiori ricavi mediante revenue sharing – id est la registrazione di una parte dei ricavi quali poste figurative a deduzione dei costi ammessi per il periodo regolatorio successivo).
Ad avviso di parte appellante il giudice di prime cure avrebbe errato nell’affermare che “le doglianze risultano essere più frutto di una autonoma valutazione e espressione dei desiderata della ricorrente che non motivate censure sulla irragionevolezza del metodo di determinazione dello stesso. In ogni caso, sulla legittimità e sul rispetto dei limiti alla modifica unilaterale dei rapporti convenzionali si è detto sopra e si rinvia alle considerazioni ivi svolte” e che “Quanto alla necessità del computo dei maggiori costi, connessi all’incremento di utilizzo dell’infrastruttura, ART condivisibilmente evidenzia che il meccanismo definito con la delibera impugnata è in grado di assorbirli, in ragione «dell’assoluta preponderanza dei costi fissi che caratterizza la gestione autostradale, cui consegue la modesta entità dell’incremento dei costi operativi correlato ai maggiori volumi, (ii) della presenza di un’adeguata soglia di tolleranza del 2% e di un meccanismo di progressiva condivisione dell’extra-ricavo eccedente detta soglia, (iii) della ridefinizione della componente tariffaria di gestione sulla base dei costi stimati con rifermento all’Anno base per ciascun periodo regolatorio». Tali considerazioni risultano ragionevoli e rispecchiano le caratteristiche del mercato così regolato. Quanto alle correlate censure al punto 7.3 dell’Allegato A (che prevede che gli eventuali introiti derivanti dalle variazioni in aumento o diminuzione rispetto alla tariffa unitaria media non possono concorrere in alcun modo alla redditività del concessionario) la ART evidenzia che tale divieto è correlato al principio di correlazione ai costi di gestione degli incrementi tariffari (esplicitato al punto 5 dell’allegato)” e concludendo nel senso che “nessuna contraddittorietà o irragionevolezza è rinvenibile nel sistema tariffario delineato”.
Si osserva che il T.A.R. non si sarebbe avveduto che il distorto meccanismo introdotto dalla delibera sarebbe asimmetrico, in quanto altera i rapporti e la distribuzione dei rischi tra concedente e concessionario oltre che essere inconciliabile con gli obiettivi di convenienza e di reddittività degli investitori del concessionario e con la bancabilità e finanziabilità degli investimenti. Si deduce, poi, che molte concessioni nemmeno prevedrebbero un simile meccanismo, con la conseguenza che la relativa introduzione altererebbe fortemente l’originario sinallagma e introdurrebbe costi imprevisti (con maggiori spese anche per quanto riguarda la bancabilità e la finanziabilità degli investimenti); sotto quest’ultimo profilo, andrebbe anche considerato che l’incremento del traffico non genera unicamente maggiori ricavi, ma pure maggiori costi che devono essere computati.
Si denuncia, in ultimo, l’illegittimità del punto. 7.3 dell’All. A alla Delibera 70/2019 nella parte in cui si consente al concedente di attuare variazioni tariffarie in aumento o in diminuzione senza considerare che, da un lato, gli incrementi non concorrerebbero alla redditività del concessionario e che, d’altro lato, l’A.R.T. verifica la conformità di tali variazioni prima della relativa applicazione da parte del concessionario nonché di ogni eventuale modifica delle stesse.
In altri termini, secondo parte appellante, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., tramite le previsioni in parola il concedente non sarebbe più abilitato ad operare sull’elemento principale del sinallagma (ossia il pedaggio/tariffa).
4.10 Con un decimo profilo di doglianza si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto infondate le censure svolte sempre a mezzo del terzo motivo aggiunto di primo grado in ordine al punto 17 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (relativo al “Meccanismo di salvaguardia per le opere realizzate o in corso di realizzazione”).
In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare che le “doglianze si limitano ad evidenziare che la mitigazione operata non è ritenuta soddisfacente dalla ricorrente senza però articolarsi in specifica censura volta ad argomentarne la lesività in termini di irragionevolezza o contraddittorietà interna all’atto”.
Si deduce che in primo grado la ricorrente avrebbe espressamente contestato questa parte della delibera proprio perché il meccanismo di salvaguardia, pur essendo stato introdotto all’espresso fine di mitigare la contestata retroattività della nuova tariffa, si risolverebbe invece in un sistema limitato e assai circoscritto che non incide sulla generale e organica disciplina che i P.E.F. notoriamente recano; peraltro, il meccanismo introdotto dall’A.R.T. valorizzerebbe i soli investimenti operati sulla base dei contratti stipulati, senza considerare i costi antecedenti (fissi, generali, per l’accesso al credito).
5. In disparte da ogni rilievo in ordine alla loro ammissibilità per violazione del canone della specificità ex art. 101, comma 1, c.p.a., nessuno dei profili di doglianza articolati a mezzo del terzo motivo di appello coglie nel segno.
Nel dettaglio, con riguardo al primo che si appunta sulle misure 5, 6.1 e 6.2 dell’allegato A alla delibera n. 70/2019, è sufficiente rilevare, nel solco della giurisprudenza di questa Sezione (sentenze n. 3484/2022 e n. 8765/2022 già più volte richiamate) che, a differenza di quanto genericamente dedotto da parte appellante, il nuovo sistema tariffario, come pure reso esplicito dall’A.R.T. nel corso del procedimento, non mira all’azzeramento dei profitti ritraibili dalla gestione dell’infrastruttura ma ha come scopo unicamente quello di evitare il conseguimento di “profitti non giustificati”.
Del resto, in nessuna delle misure contestate si fa esplicito riferimento al criterio della sola copertura dei costi né risulta, altrimenti, dimostrato che dalla applicazione congiunta delle medesime discenda in concreto la completa erosione del margine di utile ritraibile dall’operatore (tanto più se si considera che i mercati di riferimento si atteggiano a monopoli di fatto).
5.1 Quanto al secondo profilo di doglianza relativo alle Misure 10 punti 10.1, 10.2 e 10.3 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019, appare corretta la statuizione del giudice di primo grado avendo mancato parte appellante, anche ad esito del giudizio di appello, di dedurre e dimostrare un interesse concreto ed attuale a coltivare la censura.
Al di là della considerazione che l’interesse ad impugnare non può legarsi alla semplice ambiguità del loro dettato, vale l’assorbente rilievo che l’applicazione di dette misure può risolversi unicamente in un vantaggio per la concessionaria in quanto, come messo in evidenza dalla difesa erariale, esse attengono alle manutenzioni cicliche, al canone di concessione ed all’I.R.A.P. sul costo del lavoro prevedendone, seppur con limiti e condizioni differenziate, l’imputabilità come costi alla tariffa.
5.2 Mal calibrato appare il terzo profilo di doglianza relativo al punto 12 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 in tema di valutazione del cd. C.I.N. (Capitale Investito Netto) in quanto esso muove, con tutta evidenza, da un fraintendimento in ordine al significato della pronuncia di primo grado.
Come emerge dall’impianto motivazionale complessivo di quest’ultima, infatti, essa ha, in maniera del tutto condivisibile, escluso expressis verbis che il concedente possa unilateralmente determinare tale valore chiarendo, per converso, come questi conservi solo il potere di vagliare l’ammissibilità degli importi definiti dal concessionario anche alla luce dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione delle opere.
5.3 È da disattendere anche il quarto profilo di doglianza rivolto al punto 14.1 dell’All. A alla delibera n. 70/2019.
Sia il “rischio contenzioso” (voce naturaliter generica) che quello “espropri” possono, infatti, rientrare, per le loro caratteristiche di intrinseca aleatorietà, nell’ambito del rischio operativo (ed in particolare del rischio di disponibilità) che, nel quadro dei rapporti concessori pubblici, può essere trasferito in capo al concessionario.
A nulla rileva, peraltro, in questa prospettiva, la circostanza, pure dedotta da parte appellante, che non potrebbe essere negata all’origine l’imputabilità al concedente medesimo della responsabilità del contenzioso o della gestione stessa dell’esproprio. E, infatti, ciò che assume importanza è la consistenza in sé del rischio (e, di riflesso, la sua potenziale incidenza sulla gestione) a prescindere dalla natura, scaturigine e ascrivibilità delle sue componenti.
5.4 Non coglie nel segno neppure il quinto profilo di doglianza che attiene al meccanismo di determinazione del coefficiente di incremento della produttività previsto dal punto 20 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019.
Il T.A.R. ha, ancora una volta, fatto buon governo dei principi giurisprudenziali elaborati da questo Consiglio (e, segnatamente, le più volte citate sentenze n. 3484/2022 e n. 8765/2022 le cui considerazioni attorno alla metodologia seguita da A.R.T. appaiono estensibili a tutti i provvedimenti, come quello gravato in primo grado, assunti dall’Autorità che su di essa si fondano).
Nel dettaglio, quanto all’asserita mancanza di pubblicità dei criteri utilizzati per la stima dell’obiettivo di efficientamento, in disparte dalla genericità con cui tale aspetto di censura risulta riproposto, è sufficiente rammentare che esso viene calcolato secondo un modello di concorrenza (yardstick regulation) che si realizza tramite il raffronto tra le performance delle diverse imprese, simulando così un mercato competitivo artificiale in un settore (come quello autostradale) ove ciascun operatore agisce in una situazione di sostanziale monopolio (così, funditus nella sentenza n. 8765/2022 di questa Sezione).
Anche rispetto alla questione dei costi efficientabili il giudice di prime cure si è allineato alla giurisprudenza di questa Sezione. Con questa è stato, in particolare, chiarito che l’Autorità si è limitata a fissare i criteri per la determinazione della dinamica tariffaria (e non di quella dei costi), lasciando al management dell’impresa la libertà di scegliere su quali componenti di costo applicare l’efficientamento imposto (id est sia le varie componenti di costo operativo, sia le componenti di costo di capitale sia, infine, gli altri oneri diversi di gestione – sentenza n. 8765/2022, punto 6.1).
Per ciò che attiene, infine, la lamentata mancanza di un meccanismo premiale per i concessionari che si trovano già sulla frontiera dell’efficiente, deve osservarsi che il T.A.R., con statuizione qui non oggetto di specifico gravame, ha preso atto della circostanza che A.R.T. ha fornito dimostrazione, nel corso del giudizio di primo grado, del “mancato collocamento dell’impresa ricorrente sulla «frontiera dei costi efficienti», residuando spazi di efficientamento (esplicitati nella assegnazione di un fattore “X” pari al 2,25% a misurazione del relativo gap)” (così testualmente la sentenza impugnata).
5.5 Parimenti infondato è il sesto profilo di doglianza con cui sono state riproposte le censure svolte in prime cure avverso il punto 24 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019.
Come correttamente messo in evidenza dal giudice di prime cure, la finalità ultima del sistema disegnato dall’Autorità anche attraverso il meccanismo di premialità è quella di disincentivare comportamenti opportunistici di cherry picking da parte dell’operatore con conseguente pregiudizio per l’utenza in termini di qualità del servizio reso.
Fermo tale condivisibile rilievo, la scelta regolatoria di A.R.T., espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui la stessa gode, non pare affetta da manifesta irragionevolezza o illogicità anche in considerazione della genericità delle deduzioni svolte da parte appellante (che si appuntano su singoli aspetti di una valutazione complessa e globale parcellizzandola artificiosamente).
Solo per completezza va rilevato, a sostegno della complessiva ragionevolezza della scelta regolatoria, che, come emerso nel corso del giudizio di primo grado:
– l’A.R.T., nella definizione del sistema tariffario, ha tenuto conto del fatto che la messa in opera del meccanismo di penalità/premi in oggetto dovrà prevedere una fase iniziale di misurazione degli indicatori di qualità, attraverso una stretta collaborazione tra concedente e concessionari; con la conseguenza che, nelle more dell’implementazione del meccanismo da parte del concedente, quest’ultimo, nel periodo iniziale di transizione della durata massima di 24 mesi, dovrà provvedere alla misurazione oggettiva dei distinti livelli degli indicatori di qualità (cfr. Misura 24.6 dell’Allegato A alle delibere conclusive);
– qualora si adottasse un meccanismo in cui il calcolo della penalità si basa su valori medi, si potrebbe verificare il caso in cui un concessionario, concentrandosi solo su alcune delle aree tematiche indicate dall’A.R.T., potrebbe vedersi ridotta la penalità o, addirittura, conseguire un premio anche in presenza di gravi lacune per larga parte degli indicatori definiti dal concedente;
– una delle finalità del d.l. n. 109 del 2018 è quella di ricondurre a omogeneità la disciplina tariffaria applicabile a tutti i concessionari, sicché andrebbe contro lo spirito della riforma la previsione ex ante di meccanismi di differenziazione tra i diversi concessionari spettando viceversa al concedente, in fase di attuazione del rapporto, prendere in considerazione le caratteristiche “vocazionali” della singola infrastruttura autostradale.
5.6 Non merita accoglimento neppure il settimo profilo di doglianza che cade sul punto 25 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (relativo all’adeguamento tariffario correlato all’attuazione degli investimenti).
Anche con riguardo a questo aspetto la scelta regolatoria compiuta da A.R.T. pare, nel suo complesso, ragionevole in quanto legata, come correttamente statuito in primo grado, alla primaria esigenza di ovviare alle criticità del precedente sistema specie con riguardo alla mancata o ritardata attuazione da parte dei concessionari dei dovuti investimenti sull’infrastruttura (così anche la sentenza n. 3484/2022 di questa Sezione).
Ed è a fronte di un così preponderante interesse (non slegato dalla garanzia della sicurezza della circolazione) che vanno dequotati i singoli aspetti di censura genericamente dedotti da parte appellante. Più segnatamente:
– il riferimento a valori previsionali (e non al valore degli investimenti realizzati) appare giustificato proprio nell’ottica di innalzare la quota parte di ricavi destinati al miglioramento dell’infrastruttura e, quindi, di riflesso, la qualità a beneficio degli utenti finali;
– i sistemi di penalità già previsti nella convezione si sono rivelati in concreto inidonei a garantire tale obiettivo.
5.7 Va disatteso, ancora, l’ottavo profilo di doglianza riproposto in relazione al punto 26 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 e relativo alle poste figurative.
Corretta appare, sul punto, la statuizione resa dal T.A.R., che ha ritenuto ragionevole detto regime alla luce del complesso impianto regolatorio della delibera gravata in prime cure.
In particolare, occorre rilevare che:
– la sorte del credito di poste figurative eventualmente maturato in applicazione del sistema tariffario previgente è presa in considerazione nell’ambito del meccanismo di salvaguardia di cui alla Misura 17, sia in termini di adeguamento del capitale investito netto che in riferimento al tasso di rendimento atteso;
– il nuovo meccanismo di poste figurative concepito dall’Autorità risulta, in ogni caso, finalizzato ad assicurare gradualità nell’evoluzione della tariffa, anche al fine di evitare squilibri di sistema, ivi compreso il mancato coordinamento fra i flussi di cassa prodotti dalla gestione autostradale e i fabbisogni finanziari necessari per la realizzazione dei nuovi investimenti (cfr. Misura 2.14);
– il livello delle poste figurative, al fine assicurare il rispetto del principio di neutralità finanziaria all’interno del periodo concessorio (Misura 26.1), deve essere annualmente ricalcolato sulla base dei maccanismi di adeguamento annuale della componente tariffaria di costruzione (cfr. Misura 26.2).
5.8 Privo di giuridico pregio è anche il nono profilo di doglianza con cui si ripropongono le censure già svolte in primo grado avverso il punto 27 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 in tema di revenue sharing.
Paiono, sul punto, condivisibili le considerazioni svolte nella sentenza impugnata.
In particolare l’introduzione di un di meccanismo di contenimento dei maggiori ricavi mediante revenue sharing risulta ragionevole alla luce sia delle finalità e dello spirito della riforma del 2018 (di cui è detto ampliamente supra) che della natura dell’attività imprenditoriale svolta dal concessionario. Questa, infatti, si caratterizza, come noto, per l’assoluta preponderanza dei costi fissi legati alla gestione autostradale a cui si accompagna un contenuto costo marginale operativo correlato a maggiori volumi.
Deve aggiungersi che la delibera contempla due specifici correttivi a bilanciamento rappresentati, da un lato, dalla presenza di un’adeguata soglia di tolleranza del 2%, accompagnata dalla condivisione dell’extra-ricavo eccedente detta soglia e, dall’altro, dalla previsione di un meccanismo di ridefinizione della componente tariffaria di gestione sulla base dei costi stimati con rifermento all’anno base per ciascun periodo regolatorio.
Quanto alle correlate censure relative al punto 7.3 dell’Allegato A (che prevede che gli eventuali introiti derivanti dalle variazioni in aumento o diminuzione rispetto alla tariffa unitaria media non possono concorrere in alcun modo alla redditività del concessionario), va infine evidenziato che tale divieto costituisce il corollario del principio di correlazione ai costi di gestione degli incrementi tariffari (esplicitato al punto 5 dell’allegato e non oggetto di esplicita impugnazione nel presente giudizio).
5.9 Da disattendere, in ultimo, è pure il decimo profilo di doglianza riproposto avverso il punto 17 dell’Allegato A della delibera n. 70/2019 (relativo al “Meccanismo di salvaguardia per le opere realizzate o in corso di realizzazione”).
In disparte dalla genericità della doglianza, la soluzione predisposta nella delibera gravata in prime cure non si appalesa contraddittoria e, soprattutto, appare predisposta in favore del concessionario.
Né soprattutto sono stati dedotti elementi specifici in forza dei quali sarebbe da considerare irragionevole l’esclusione dal campo di operatività del suddetto meccanismo i costi antecedenti. Del resto, questi ultimi non si ricollegano ad investimenti già effettuati per il miglioramento dell’infrastruttura e, quindi, non risultano meritevoli di recupero in favore del concessionario.
6. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha parzialmente respinto le censure svolte con il ricorso per motivi aggiunti (terzo e quarto motivo) con cui Autostrade Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. aveva contestato il meccanismo di conteggio del WACC, ossia il coefficiente di remunerazione del capitale investito (punto 16.6 dell’allegato A della delibera n. 70/2019).
Più segnatamente, il giudice di prime cure avrebbe errato nell’affermare che “Passando alle censure relative all’orizzonte temporale delle componenti del fattore equity beta (parametro beta e D/E) della formula di calcolo del WAC nominale, la ricorrente non ha fornito elementi per ritenere illogica la scelta della ART di considerare non la misura di detti rischi (che necessariamente ha valore in chiave prospettica) su base quinquennale (in chiave storica) ma biennale. Tale scelta appare inoltre coerente, rispetto a quella svolta dal CIPE nella delibera 16/2017, anche alla luce dell’aumento del paniere delle società comparables (che è raddoppiato) che consente comunque maggiore attendibilità previsionale anche sul più breve periodo. Quanto alla componente gearing, che misura l’incidenza del capitale di debito e indirettamente la struttura del capitale utilizzato, l’utilizzo di un dato di settore su base quinquennale (a differenza di quanto accadeva nel sistema previgente) viene giustificata da ART con l’obiettivo di fornire un parametro espressivo di un intero settore in un arco temporale significativo e non soluzioni taylor made calati sulla realtà del singolo concessionario, in ossequio alla intera filosofia del sistema basato sul raffronto con soglie di efficienza per settori allargati”.
Secondo parte appellante il T.A.R. avrebbe con ciò recepito acriticamente le difese svolte da A.R.T. senza prendere in considerazione specificatamente i denunciati profili di asserita irragionevolezza della regolazione.
Con riferimento al calcolo del componente Gearing (ossia la quota di indebitamento finanziario), il T.A.R. non avrebbe considerato che il parametro utilizzato dall’A.R.T. della media del quinquennio 2013-2017 si porrebbe in contrasto con la Delibera C.I.P.E. 68/2017 che, recando proprio le Linee Guida per il calcolo del WACC da utilizzare per l’aggiornamento quinquennale dei Piani Economici Finanziari delle Concessionarie Autostradali, impone il parametro derivante della media del settore dell’ultimo anno del periodo regolatorio precedente (nella fattispecie, quindi, il 2018). E, proprio in considerazione della citata delibera C.I.P.E., sarebbe del tutto inconferente anche il rilievo secondo cui la scelta di utilizzare un valore di leva finanziaria nozionale determinato come media del settore neutralizzerebbe l’effetto che la singola decisione finanziaria di un concessionario potrebbe avere sul WACC e indirettamente sul livello dei prezzi delle tariffe corrisposte dagli utenti. Da questo punto di vista la statuizione sarebbe erronea, non tenendo conto del fatto la media del settore considerata dall’Autorità avrebbe dovuto essere in ogni caso quella del 2018 e non quella del quinquennio 2013-2017.
La sentenza non potrebbe, poi, essere condivisa nemmeno laddove il T.A.R. ha convalidato la delibera sotto il profilo delle modalità di individuazione del fattore Equity Beta (misura del rischio sistematico non diversificabile di un titolo azionario). Anche da questo punto di vista, con particolare riferimento al calcolo del Beta Levered, sarebbero stati utilizzati i parametri Beta delle società Comparables relativi agli ultimi 2 anni (6 giugno 2017 – 6 giugno 2019), al contrario di quanto indicato dalla delibera CIPE 68/2017 ove è indicata la necessità di ampliare il periodo di osservazione fino a 5 anni (“la determinazione del coefficiente beta del singolo gestore è eseguita, su base giornaliera e su un arco di tempo quinquennale, applicando la procedura definita in allegato 2”).
Inoltre, secondo parte appellante, per il rapporto D/E delle Comparables. avrebbe dovuto essere considerato lo stesso orizzonte temporale utilizzato per la rilevazione del Beta Levered (id est gli ultimi cinque anni) pure con riferimento ai Comparables (ossia i coefficienti beta di altre aziende o settori comparabili) e il Ferrovial tax rate utilizzato (10,12%) non sarebbe corretto, in quanto nell’ultimo bilancio consolidato di Ferrovial risulterebbe un tax rate effettivo pari al 23% (come dichiarato da Ferrovial stessa).
Analoghe considerazioni varrebbero anche con riferimento al calcolo del tasso Risk free rate, basato sulla media degli ultimi 12 mesi e che trascurerebbe, così, che le concessionarie autostradali risentono di condizioni di accesso al mercato del credito differenti correlate alle singole società e al piano degli investimenti anche omettendo di valutare che la metodologia attualmente utilizzata, basata sul costo del debito effettivo di ciascuna concessionaria rilevato sui dati dell’ultimo bilancio disponibile, prevedendo il cap al 2% rispetto al livello del Risk free rate, garantirebbe già di fatto un allineamento verso un costo del debito efficiente.
6.1 Le censure in parola sono infondate.
Anzitutto occorre rilevare, in limine, che, come a più riprese affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’individuazione dei criteri da utilizzarsi per la determinazione del WACC, afferisce ad “un ambito che si caratterizza per un elevato grado di discrezionalità tecnica, la quale è certamente sindacabile dal questo Giudice, ma solo al fine di verificarne il livello di attendibilità (o maggior attendibilità), senza alcuna possibilità di sostituire alla valutazione dell’amministrazione quella del Collegio giudicante” (Cons. St., sez. VI, 4990/2019; Cons. Stato, Sez. VI, 1 luglio 2020, n. 4215).
In questa prospettiva ritiene il Collegio che nessuno dei profili di critica qui riproposti da parte appellante valga a smentire l’attendibilità dei parametri che l’Autorità ha inteso indicare per la determinazione del WACC.
Vanno sul punto condivise, con qualche puntualizzazione, le considerazioni svolte dal giudice di prime cure.
Nel dettaglio, quanto alla componente gearing (che misura il rapporto tra debiti finanziari e il totale delle fonti di finanziamento), pare che l’utilizzo di un dato di settore su base quinquennale (e non con riguardo unicamente all’ultimo anno del periodo regolatorio precedente) sia ragionevole trovando giustificazione nell’obiettivo, perseguito dal nuovo sistema tariffario (e di cui si è già detto amplius supra al punto 5.4), di stabilire un parametro espressivo di un intero settore in un arco temporale significativo e non soluzioni ritagliate sulla realtà del singolo concessionario, sì da promuovere un confronto competitivo (virtuale) tra gli operatori per soglie di efficienza. Detta peculiare finalità consente, peraltro, di discostarsi dalle indicazioni di portata generale, invero non strettamente vincolanti, di cui alla Delibera C.I.P.E. 68/2017 recante le Linee Guida per il calcolo del WACC, congegnate per scenari di mercato certamente diversi da quello, assolutamente peculiare, delle autostrade.
6.2 Quanto alle modalità di individuazione del fattore equity beta (ossia della misura del rischio sistematico non diversificabile di un titolo azionario), oltre a ribadire che le indicazioni contenute in seno alla Delibera C.I.P.E. 68/2017 non sono strettamente vincolanti, è appena il caso di osservare che la scelta di effettuare tale misura su base non quinquennale ma biennale non sembra mettere a rischio l’attendibilità del parametro posto che, da un lato, parte appellante non fornisce neppure un principio di prova in tal senso e, dall’altro, il riferimento ad un più breve periodo pare compensato, come dedotto dalla difesa erariale, dall’aumento del paniere delle società comparables (che è raddoppiato). Deve aggiungersi, peraltro, che, come messo in evidenza già nel giudizio di primo grado, la scelta dell’orizzonte di osservazione temporale di cinque anni potrebbe portare a stimare un valore dell’equity beta che si discosti sensibilmente da quello corrente, così mettendo a rischio l’attendibilità complessiva del calcolo in termini di aderenza alla concreta realtà operativa del concessionario.
Analoghe considerazioni valgono per il rapporto D/E delle Comparables rispetto al quale parte appellante ha dedotto censure sostanzialmente sovrapponibili (e che deve, in ogni caso, essere temporalmente coerente con la serie complessiva di dati utili per la cd. regressione).
6.3 Va, poi, confermata anche la legittimità della scelta di A.R.T. di assumere, ai fini di cui si discute, i dati presenti nella banca data Refinitiv, impiegando un Ferrovial tax rate del 10,12%.
Soccorrono, sul punto, anche gli elementi raccolti in primo grado a mezzo dell’incombente istruttorio disposto con l’ordinanza n. 952/2021 (vd. memoria del 23 novembre 2021).
Più segnatamente, ferma la genericità della doglianza svolta da parte appellante, occorre ribadire che il tax rate di Ferrovial non rappresenta un dato obbligatoriamente previsto nella redazione del bilancio di esercizio, atteso che i principi internazionali di redazione di bilancio IAS/IFRS prevedono esclusivamente la quantificazione dell’imposta corrisposta (nel dettaglio lo IAS 12) e non la quantificazione della percentuale di una aliquota fiscale equivalente. Sicché, proprio in ragione di siffatte peculiarità, l’Autorità ha, in maniera del tutto ragionevole, scelto di affidarsi alla società Refinitiv in quanto capace di fornire dati consolidati ed omogenei per tutte le società del settore (così neutralizzando, per l’effetto, l’opinabilità delle stime che potrebbero essere operate da ciascuna impresa – tra cui anche l’odierna appellante – sulla scorta di metodologie di calcolo essenzialmente soggettive).
6.4 In ultimo, anche con riguardo alla questione del Risk free rate, è sufficiente rilevare che, proprio nella prospettiva di stimolare l’allineamento verso un costo del debito efficiente, sembra ragionevole la scelta di A.R.T. di fare riferimento alla media degli ultimi 12 mesi in luogo del costo del debito effettivo di ciascuna concessionaria (diverso parametro la cui maggiore idoneità è stata, peraltro, solo genericamente allegata nell’atto di appello).
7. Per le ragioni sopra esposte l’appello è infondato e va respinto.
8. Sussistono, anche in considerazione della pluralità e parziale novità delle questioni affrontate, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra l’appellante Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. e l’Autorità di Regolazione dei Trasporti – A.R.T..
8.1 Nulla per le spese, in ragione della sua mancata costituzione in giudizio, per l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (A.I.S.C.AT.).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate tra Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. e Autorità di Regolazione dei Trasporti – A.R.T..
Nulla per spese per l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (A.I.S.C.AT.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere
Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Giovanni Gallone
IL PRESIDENTE
Carmine Volpe
IL SEGRETARIO