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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto processuale civile Numero: 5205 | Data di udienza: 18 Gennaio 2024

DIRITTO DEL LAVORO – Conversione del contratto di lavoro a tempo determinato – Termine nullo – Risarcimento del danno – Art. 32, commi 5, 6 e 7, l. n. 183 del 2010 – Penale ex lege a carico del datore di lavoro – Importo dell’indennità – Costituzione in mora del datore di lavoro – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Indennità forfetizzata e onnicomprensiva – Danni causati dalla nullità del termine nel periodo intermedio – Restituzione delle somme eccedenti – Retribuzioni per il periodo intermedio – Retribuzioni per i mesi successivi alla sentenza che ha costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Art. 92 c.p.c. – Formulazione originaria – Spese processuali – Compensazione delle spese – Compensazione anche senza fornire alcuna motivazione – Statuizione sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità – Opportunità della compensazione – Poteri discrezionali del giudice di merito – Soccombenza reciproca – Giusti motivi – D.M. n. 55 del 2014 – Liquidazione delle spese giudiziali – Liquidazione globale – Spese – Competenze – Onorari – Controllo del rispetto dei minimi tariffari – Denuncia di eventuali violazioni – Onere della parte che intenda impugnare – Determinazione del distinto ammontare – Controllo adeguato sul quantum delle voci residue. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Febbraio 2024
Numero: 5205
Data di udienza: 18 Gennaio 2024
Presidente: Leone
Estensore: Ponterio


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Conversione del contratto di lavoro a tempo determinato – Termine nullo – Risarcimento del danno – Art. 32, commi 5, 6 e 7, l. n. 183 del 2010 – Penale ex lege a carico del datore di lavoro – Importo dell’indennità – Costituzione in mora del datore di lavoro – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Indennità forfetizzata e onnicomprensiva – Danni causati dalla nullità del termine nel periodo intermedio – Restituzione delle somme eccedenti – Retribuzioni per il periodo intermedio – Retribuzioni per i mesi successivi alla sentenza che ha costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Art. 92 c.p.c. – Formulazione originaria – Spese processuali – Compensazione delle spese – Compensazione anche senza fornire alcuna motivazione – Statuizione sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità – Opportunità della compensazione – Poteri discrezionali del giudice di merito – Soccombenza reciproca – Giusti motivi – D.M. n. 55 del 2014 – Liquidazione delle spese giudiziali – Liquidazione globale – Spese – Competenze – Onorari – Controllo del rispetto dei minimi tariffari – Denuncia di eventuali violazioni – Onere della parte che intenda impugnare – Determinazione del distinto ammontare – Controllo adeguato sul quantum delle voci residue. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 27 febbraio 2024 (Ud. 18/01/2024), Ordinanza n. 5205

 

 

DIRITTO DEL LAVORO – Conversione del contratto di lavoro a tempo determinato – Termine nullo – Risarcimento del danno – Art. 32, commi 5, 6 e 7, l. n. 183 del 2010 – Penale ex lege a carico del datore di lavoro – Importo dell’indennità – Costituzione in mora del datore di lavoro – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Indennità forfetizzata e onnicomprensiva – Danni causati dalla nullità del termine nel periodo intermedio – Restituzione delle somme eccedenti – Retribuzioni per il periodo intermedio – Retribuzioni per i mesi successivi alla sentenza che ha costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

In tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello, se pure ha richiamato i citati principi di diritto ribadendo che l’indennità risarcitoria, nella specie liquidata in cinque mensilità, copre il periodo sino alla pronuncia della sentenza del Tribunale che ha dichiarato la conversione del rapporto a tempo indeterminato, ha tuttavia condannato il lavoratore a restituire le somme eccedenti percepite in esecuzione dell’anzidetta sentenza riferendo tale eccedenza all’importo che in realtà comprende sia il risarcimento parametrato alle retribuzioni per il cd. periodo intermedio e sia le retribuzioni corrisposte per i mesi successivi alla sentenza di primo grado che ha dichiarato costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e come tali escluse dall’obbligo restitutorio. In tal modo la Corte ha erroneamente applicato l’art. 32.

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Art. 92 c.p.c. – Formulazione originaria – Spese processuali – Compensazione delle spese – Compensazione anche senza fornire alcuna motivazione – Statuizione sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità – Opportunità della compensazione – Poteri discrezionali del giudice di merito – Soccombenza reciproca – Giusti motivi.

L’art. 92 c.p.c. nella formulazione originaria, anteriore alle modifiche apportate dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, secondo cui «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti», deve essere interpretato nel senso che in materia di spese processuali, il giudice può disporre la compensazione anche senza fornire alcuna motivazione, e senza che – per questo – la statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, atteso che la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di giusti motivi. Deve, tuttavia, considerarsi che in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole.

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – D.M. n. 55 del 2014 – Liquidazione delle spese giudiziali – Liquidazione globale – Spese – Competenze – Onorari – Controllo del rispetto dei minimi tariffari – Denuncia di eventuali violazioni – Onere della parte che intenda impugnare – Determinazione del distinto ammontare – Controllo adeguato sul quantum delle voci residue.

Con riferimento al regime anteriore al D.M. n. 55 del 2014, la liquidazione delle spese giudiziali non può essere compiuta globalmente per spese, competenze e onorari, perché ciò non consentirebbe alla parte di controllare il rispetto dei minimi tariffari e di denunciare le eventuali violazioni, anche alla luce dell’onere, gravante sulla parte che intenda impugnare per Cassazione, dell’analitica specificazione delle voci e degli importi considerati, necessaria per consentire il controllo di legittimità. Il giudice nella liquidazione delle spese processuali deve sempre mettere le parti in condizione di verificare l’osservanza dei minimi tariffari; può, tuttavia, liquidare le spese con unica cifra, comprensiva degli esborsi, delle competenze di procuratore e degli onorari di avvocato, purché, accanto all’importo complessivo, determini il distinto ammontare di questi ultimi, consentendo così alla parte interessata di effettuare, per esclusione, un controllo adeguato sul “quantum” delle voci residue.

(accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Milano la sentenza n. 1617/2018 – CORTE DI APPELLO DI MILANO), Pres. Leone, Est. Ponterio, Scilletta Andrea (avv. Cogo) c. Poste Italiane S.p.a. – Società con socio unico (avv. Tosi)

 
 

 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 27/02/2024 (Ud. 18/01/2024), Ordinanza n. 5205

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37027-2019 proposto da:
SCILLETTA ANDREA, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

CONTRO

POSTE ITALIANE S.P.A. – SOCIETA’ CON SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1617/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/12/2018 R.G.N. 530/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dalla Consigliera CARLA PONTERIO.

RILEVATO CHE:

1. Con sentenza n. 1617 del 10.12.2018, la Corte d’appello di Milano, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 25661/2017), in parziale riforma della pronuncia di primo grado (che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto concluso tra Andrea Scilletta e Poste Italiane spa per il periodo dal 12 luglio 2002 al 30 settembre 2002, condannato Poste alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni a far data dalla mesa in mora), ha determinato l’indennità risarcitoria dovuta da Poste, ai sensi dell’art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, nella misura di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore alla data di scadenza del termine apposto al contratto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di primo grado al saldo; ha condannato Andrea Scilletta a restituire a Poste le somme, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, percepite in eccedenza in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Avverso tale sentenza Andrea Scilletta ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Poste Italiane spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

3. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

CONSIDERATO CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso il lavoratore deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 nonché vizio di motivazione omessa o illogica e quindi apparente in relazione all’ammontare delle retribuzioni oggetto della domanda restitutoria.

5. Il ricorrente allega che il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3683/2007, aveva disposto la conversione del rapporto di lavoro e condannato Poste al pagamento delle retribuzioni dalla data di messa in mora (26.6.2005); che Poste aveva ripristinato il rapporto di lavoro il 31.1.2008 e nel mese di giugno del 2008 aveva liquidato al dipendente l’importo di euro 57.948,82 (al netto dell’ aliunde perceptum pari ad euro 1.990,98), di cui euro 55.464,04 a titolo di “contenzioso voce stipendio, IIS, 13ma e 14ma mensilità” ed euro 2.484,78 a titolo di interessi maturati su questo importo; che la somma liquidata di euro 57.948,82 comprendeva (oltre alle retribuzioni relative al periodo cd. intermedio, dal 26.6.2005 al 7.11.2007, e pari ad euro 51.097,41) anche le retribuzioni (pari ad euro 6.850,87) dovute dalla data della sentenza di conversione (7.11.2007) a quella di effettivo di ripristino (31.1.2008); che la sentenza emessa in sede di rinvio ha condannato il lavoratore a restituire a Poste le somme dal medesimo percepite in esecuzione della sentenza di primo grado eccedenti l’importo dell’indennità risarcitoria liquidata in cinque mensilità; che tale eccedenza, in quanto riferita nella motivazione (pag. 5, terzo e quarto cpv.) all’importo di euro 57.948,82, comprende anche la somma pari ad euro 6.850,87 corrispondente alle retribuzioni dovute per il periodo successivo alla sentenza di primo grado; che la Corte di rinvio avrebbe dovuto adottare una pronuncia di condanna generica alla restituzione delle somme rivendicate da Poste a fronte della generica domanda restitutoria formulata dalla società nelle relative conclusioni; che la decisione presa dai giudici di rinvio contrasta con l’art. 32, quinto comma cit. in quanto, nel disporre la restituzione di somme a carico del lavoratore, non opera una doverosa distinzione tra quanto dal medesimo percepito in riferimento al periodo cd. intermedio e quanto ricevuto a titolo di retribuzioni per il periodo successivo alla pronuncia della sentenza di primo grado che ha disposto la conversione; che la sentenza è comunque nulla per vizio di motivazione in quanto non illustra il processo logico in base al quale è pervenuta alla conclusione che l’importo di euro 57.948,82 sia stato pagato da Poste a saldo delle retribuzioni dovute per il periodo intermedio e non anche per il periodo successivo alla pronuncia di conversione del rapporto di lavoro.

6. Il motivo è fondato.

7. Costituisce principio pacifico quello secondo cui, in tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione (v. Cass. n. 3056 del 2012; n. 151 del 2015; n. 19295 del 2014).

8. La Corte d’appello, se pure ha richiamato i citati principi di diritto ribadendo che l’indennità risarcitoria, nella specie liquidata in cinque mensilità, “copre il periodo sino alla pronuncia della sentenza del Tribunale di Milano che ha dichiarato la conversione del rapporto a tempo indeterminato” (v. sentenza pag. 4, terzultimo cpv.), ha tuttavia condannato il lavoratore a restituire le “somme eccedenti percepite in esecuzione dell’anzidetta sentenza” (v. sentenza pag. 5, quarto cpv.; v. anche dispositivo, secondo cpv.), riferendo tale eccedenza all’importo di euro 57.948,82, che in realtà comprende sia il risarcimento parametrato alle retribuzioni per il cd. periodo intermedio e sia le retribuzioni corrisposte per i mesi successivi alla sentenza di primo grado che ha dichiarato costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e come tali escluse dall’obbligo restitutorio. In tal modo la Corte ha erroneamente applicato l’art. 32 cit. e da ciò consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, risultando assorbite le residue censure mosse col motivo in esame.

9. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112, 132 e 385 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. nonché per vizio di motivazione omessa e illogica, contraddittoria e apparente su un fatto rilevante ai fini del giudizio in relazione alla compensazione delle spese del giudizio di secondo grado. Critica la sentenza della Corte di rinvio per avere confermato la statuizione di compensazione delle spese contenuta nella sentenza di secondo grado nonostante la totale soccombenza di Poste e, comunque, in assenza di qualsiasi motivazione, oltre che in violazione del principio di infrazionabilità della soccombenza.

10. Il motivo è fondato quanto a quest’ultimo profilo.

11. Occorre premettere che il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà vita a un nuovo procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico ed unitario; tale giudizio, pertanto, ove mutino le regole del processo, resta assoggettato – se non diversamente previsto – alla legge processuale vigente al momento in cui è stato introdotto il procedimento di primo grado (v. Cass. n. 29125 del 2019; n. 1301 del 2017; Cass. S.U. n. 11844 del 2016).

12. Nel caso di specie, il procedimento è iniziato in primo grado con ricorso depositato il 16.12.2005 e quindi trova applicazione l’art. 92 c.p.c. nella formulazione originaria, anteriore alle modifiche apportate dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, secondo cui «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti».

13. Secondo l’indirizzo consolidato formatosi su tale disposizione, in materia di spese processuali, il giudice può disporre la compensazione anche senza fornire alcuna motivazione, e senza che – per questo – la statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, atteso che la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di giusti motivi (v. Cass. S.U. n. 14989 del 2005).

14. Deve, tuttavia, considerarsi che, “in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole” (v. Cass. n. 19880 del 2011; n. 6369 del 2013; n. 19345 del 2014; n. 13356 del 2021).

15. La Corte di rinvio non si è attenuta a tale principio in quanto, confermando le statuizioni sulle spese già adottate in primo e secondo grado, ha condannato Poste alle spese del giudizio di primo grado, ha compensato le spese del giudizio di appello, ha nuovamente posto a carico di Poste le spese del giudizio di legittimità e di quello di rinvio, in tal modo mostrando di non considerare, ai fini della regolazione delle spese, l’esito complessivo della lite e senza in alcun modo spiegare le ragioni della compensazione disposta per il grado di appello in deroga al citato principio.

16. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 24, legge 794/42, degli artt. 1, 4, 5 e 6 del D.M. 127/04, degli artt. 2, 4 e 5 del D.M. 55/14, dell’art. 2333 comma 2, c.c. nonché vizio di motivazione omessa e illogica, contraddittoria e apparente su un fatto rilevante ai fini del giudizio. Si censura la sentenza per aver liquidato gli importi in modo unitario, senza distinguere tra diritti e onorari e tra le diverse fasi del giudizio; per non aver specificato il valore attribuito alla causa, per avere liquidato le spese al di sotto dei minimi inderogabili previsti dal D.M. 124/04 e dei valori medi di cui al D.M. 55/14 e per non aver specificato le ragioni atte a giustificare la riduzione dei parametri medi.

17. Il motivo è fondato.

18. La sentenza impugnata ha così statuito: “in considerazione dell’esito della controversia, ritiene il Collegio di confermare le statuizioni in punto di spese di lite contenute nelle sentenze di primo e di secondo grado e di condannare Poste Italiane spa a rifondere a Andrea Scilletta le spese del giudizio di cassazione e del presente giudizio di rinvio che, considerato il valore della causa e l’assenza di attività istruttoria, si liquidano come da dispositivo in applicazione del DM 10 Marzo 2014 n. 55, come modificato dal D.M. 8 Marzo 2018 n. 37 (€ 2000,00 per il giudizio di rinvio ed euro 1.800,00 per il giudizio di legittimità…” (pag. 5, ultimo cpv.). Il fatto che la sentenza impugnata abbia confermato le statuizioni sulle spese contenute nelle sentenze di primo e secondo grado (rispettivamente del 2007 e del 2011) ed abbia fatto espresso riferimento al DM 55/2014 solo per la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità e di rinvio, induce a ritenere che abbia inteso applicare per le spese dei giudizi di primo e secondo grado le tariffe anteriori al D.M. 55 del 2014.

19. Con riferimento al regime anteriore al D.M. n. 55 del 2014, questa Corte ha ripetutamente statuito (v. recentemente Cass. n. 15161 del 2019 in motivazione; v. anche Cass. n. 6306 del 2016 in motivazione), che “La liquidazione delle spese giudiziali non può essere compiuta globalmente per spese, competenze e onorari, perché ciò non consentirebbe alla parte di controllare il rispetto dei minimi tariffari e di denunciare le eventuali violazioni, anche alla luce dell’onere, gravante sulla parte che intenda impugnare per Cassazione, dell’analitica specificazione delle voci e degli importi considerati, necessaria per consentire il controllo di legittimità”, (così Cass. n. 1707 del 1995; n. 5607 del 1997; n. 9907 del 2001); si è ulteriormente precisato che “Il giudice nella liquidazione delle spese processuali deve sempre mettere le parti in condizione di verificare l’osservanza dei minimi tariffari; può, tuttavia, liquidare le spese con unica cifra, comprensiva degli esborsi, delle competenze di procuratore e degli onorari di avvocato, purché, accanto all’importo complessivo, determini il distinto ammontare di questi ultimi, consentendo così alla parte interessata di effettuare, per esclusione, un controllo adeguato sul “quantum” delle voci residue”, (così Cass. n. 7527 del 2002; n. 11006 del 2002).

20. Nel caso in esame, la liquidazione delle spese processuali di primo e secondo grado, presumibilmente eseguita in base al D.M. 127 del 2004, non reca alcuna distinzione tra le competenze e gli onorari; inoltre, le spese liquidate per il giudizio di legittimità e di rinvio non risultano rispettose dei minimi tariffari, ove pure si faccia riferimento allo scaglione 26.000/52.000, il più basso per le cause di valore indeterminabile.

21. Per le ragioni esposte, accolti i motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà a rideterminare l’obbligo restitutorio del lavoratore e ad una nuova liquidazione delle spese dell’intero giudizio, oltre che del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nell’adunanza camerale del 18 gennaio 2024

 
 

 

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