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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 10550 | Data di udienza: 7 Novembre 2023

RIFIUTI – Autortà amministrative indipendenti – ARERA – Impianti minimi – Disicplina – Competenza – Stato – Sussiste (Massima a cura di Aniello Formisano)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Dicembre 2023
Numero: 10550
Data di udienza: 7 Novembre 2023
Presidente: Sabbato
Estensore: Manzione


Premassima

RIFIUTI – Autortà amministrative indipendenti – ARERA – Impianti minimi – Disicplina – Competenza – Stato – Sussiste (Massima a cura di Aniello Formisano)



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 2^ – 6 dicembre 2023, n. 10550

RIFIUTI – Autortà amministrative indipendenti – ARERA – Impianti minimi – Disciplina – Competenza – Stato – Sussiste

Spetta allo Stato e non alle regioni o all’ARERA, l’individuazione e la disciplina degli impianti minimi all’esercizio del potere regolatorio. L’ARERA nel fornire i criteri per individuare gli impianti “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, non solo ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, ma ha di fatto arricchito di contenuti a esso estranei il potere pianificatorio delle Regioni, individuando la soluzione “normativa” alle criticità impiantistiche nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza.

(Conferma TAR Lombardia n. 486 /2023) Pres Sabbato, Est. Manzione – ARERA (Avv. Stato) c. Società Cooperativa N. (avv.ti De Giorgi, Damiani  e Vaira)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 2^ - 6 dicembre 2023, n.10550

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3135 del 2023, proposto dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente -ARERA- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n.12,

contro

la Società Cooperativa Nuova San Michele, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio De Giorgi, Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

nei confronti

del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
della Società Appia Energy s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Quinto, Pietro Quinto e Vittorio Triggiani, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
delle Società De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l., Dcf Eco.Trans.De.Co s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Bice Annalisa Pasqualone, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, dell’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il Servizio di gestione dei rifiuti (AGER), dell’Azienda municipale igiene urbana (AMIU) Puglia e della Società Heracle s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituite in giudizio,

sul ricorso numero di registro generale 3140 del 2023, proposto dall’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il Servizio di gestione dei rifiuti (AGER), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandra Canuti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

la Società Cooperativa Nuova San Michele, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio De Giorgi, Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

nei confronti

dell’Autorità di regolazione per Energia reti e ambiente (ARERA), in persona del legale rappresentante pro tempore e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica), in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
della Società Appia Energy s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Quinto, Pietro Quinto e Vittorio Triggiani, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
delle Società De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l., Dcf Eco.Trans.De.Co s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Bice Annalisa Pasqualone, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
della Società Heracle s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pavanini, Pietro Quinto e Valeria Zambardi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore e dell’Azienda municipale igiene urbana (AMIU) Puglia s.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituite in giudizio,

sul ricorso numero di registro generale 3160 del 2023, proposto dalla Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Tiziana Teresa Colelli e Filippo Arena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

la Società Cooperativa Nuova San Michele, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio De Giorgi, Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

nei confronti

dell’Autorità di regolazione per Energia reti e ambiente (ARERA), in persona del legale rappresentante pro tempore e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica), in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
della Società Appia Energy s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Quinto, Pietro Quinto e Vittorio Triggiani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
delle Società De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l. e Dcf Eco.Trans.De.Co s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Bice Annalisa Pasqualone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
della Società Heracle s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pavanini, Pietro Quinto e Valeria Zambardi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
dell’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il Servizio di gestione dei rifiuti (AGER) e dell’Azienda municipale igiene urbana (AMIU) Puglia s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,

sul ricorso numero di registro generale 4168 del 2023, proposto dalla Società Cooperativa Nuova San Michele, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio De Giorgi, Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

l’Autorità di regolazione per Energia reti e ambiente (ARERA), in persona del legale rappresentante pro tempore e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica), in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
l’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il Servizio di gestione dei rifiuti (AGER) e l’Azienda municipale igiene urbana (AMIU) Puglia s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio,

nei confronti

delle Società Appia Energy s.r.l., Heracle s.r.l., De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l., Dcf Eco.Trans.De.Co s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio,

tutti e quattro gli appelli per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione Prima, 24 febbraio 2023, n. 486, resa tra le parti, avente ad oggetto «Metodo tariffario rifiuti (MTR-2) per il secondo periodo regolatorio 2022-2025».

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Cooperativa Nuova San Michele nei procedimenti nn.r.g. 3135/2023, 3140/2023 e 3160/2023, dell’ARERA nei procedimenti n.r.g. 3140/2023, 3160/2023 e 4168/2023 e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica) in tutti i procedimenti;

Visti altresì gli atti di costituzione delle Società Appia Energy s.r.l., De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l. e DFC Eco.Trans.De.Co s.r.l. nei procedimenti nn.r.g. 3135/2023, 3140/2023 e 3160/2023 e della Società Heracle s.r.l. nei procedimenti nn.r.g. 3140/2023 e 3160/2023;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Luigi Simeoli, gli avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira, l’avvocato Alessandra Canuti, l’avvocato Filippo Arena, l’avvocato Bice Annalisa Pasqualone e l’avvocato Luigi Quinto.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La Società Cooperativa Nuova San Michele (d’ora in avanti solo la Società o la Cooperativa) è titolare di un impianto di discarica per rifiuti speciali non pericolosi in località San Giuseppe del Comune di Foggia, autorizzata all’esercizio con A.I.A. rilasciata dalla Regione Puglia in data 21 luglio 2011, n. 8, prorogata e ampliata dalla Provincia di Foggia, rispettivamente in data 10 novembre 2016 (n. 72614), 4 giugno 2019 (relativamente alla sopraelevazione del lotto “B”) e 12 luglio 2019 (realizzazione ed esercizio di un nuovo lotto, denominato “C”).

1.1. Ha impugnato innanzi al T.a.r. per la Lombardia (ricorso n.r.g. 298/2022) la deliberazione dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA o l’Autorità) del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/Rif, comprensiva del suo Allegato A, avente ad oggetto il «Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2)», le deliberazioni del Consiglio regionale e della Giunta regionale della Puglia rispettivamente n. 68 del 14 dicembre 2021, recante l’approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (PRGRU) e n. 2251 del 29 dicembre 2021, che, in attuazione delle indicazioni di ARERA, individua gli impianti di chiusura del ciclo “minimi”, nonché la comunicazione dell’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti (AGER) trasmessa in data 18 gennaio 2022, con la quale è stata resa edotta di essere destinataria dei rifiuti contrassegnati dal codice EER 190501 prodotti dall’impianto di trattamento meccanico biologico (TMB) di rifiuti urbani ubicato nel Comune di Foggia, già attribuiti ad una serie di Comuni di cui è fornita elencazione, fermo restando il futuro conguaglio delle tariffe “al cancello”.

1.2. Con successivi motivi aggiunti depositati il 30 settembre 2022 ha altresì impugnato il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR) approvato con decreto dell’allora denominato Ministero della transizione ecologica (oggi dell’ambiente e della sicurezza energetica) del 24 giugno 2022, n.257, riferito all’arco temporale 2022-2028, lamentandone l’illegittimità in via derivata dalla delibera dell’ARERA n. 363 del 2021, di cui avrebbe recepito acriticamente i contenuti, nonché vizi autonomi.

2. La Società ha contestato la carenza di potere di ARERA in base all’art. 1, comma 527, della l. n. 205 del 2017, che ne ha individuato le competenze in materia di rifiuti, e segnatamente l’erronea estensione dello stesso a gestori “non integrati” di rifiuti speciali, operanti in regime di libero mercato. Ciò laddove il giudice riconosca corretta la lettura data alla delibera n. 363 del 2021 da parte della Regione, che senza alcuna specifica istruttoria sulle caratteristiche del singolo impianto, ha ascritto il proprio al novero di quelli “minimi”, indicando anche il quantitativo di rifiuti urbani da destinarvi. Ha poi avanzato singole censure, da ultimo nei confronti della nota dell’AGER, disconoscendone la competenza in un assetto gestionale connotato dall’utilizzo dell’ambito territoriale ottimale (ATO) solo per un segmento del servizio di smaltimento dei rifiuti, stante che per raccolta e trasporto la legislazione regionale della Puglia prevede circoscrizioni più limitate (ARO).

3. Nel procedimento di primo grado sono intervenute ad adiuvandum le Società indicate in epigrafe, a loro volta danneggiate dalle opzioni interpretative della Regione Puglia, ovvero dal quadro regolatorio a monte, in quanto legate convenzionalmente a vario titolo alla Società Cooperativa Nuova San Michele, sulle cui capacità di ricezione di rifiuti facevano affidamento nell’esercizio delle proprie attività.

4. Il T.a.r. per la Lombardia, nella resistenza dell’ARERA, dell’AGER, del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e della Regione Puglia, con la sentenza n. 486 del 2023, effettuata una ricostruzione della cornice normativa di riferimento, ha accolto il ricorso introduttivo e dichiarato inammissibili per incompetenza territoriale i motivi aggiunti. La delibera n. 363 del 2021, dunque, avrebbe travalicato il perimetro delle competenze che l’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017 ha attribuito ad ARERA, nel contempo invadendo ambiti riservati allo Stato o alle Regioni. In particolare, il legislatore ha previsto (art. 195, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 152 del 2006, Codice dell’ambiente) un sistema programmatorio che a livello statale -e quindi con un angolo prospettico nazionale ed unitario- può porre mano alle esigenze impiantistiche del Paese «secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale», sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Esso deve essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria, con indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione. L’art. 196 a sua volta attribuisce alle Regioni la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199 del medesimo Codice (lett. a). Da ultimo, l’assetto delle competenze è stato inciso in maniera chiarificatrice dall’art. 198-bis, inserito nel d.lgs. n. 152 del 2006 dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio»: il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti ivi previsto, la cui approvazione, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, deve avvenire con decreto del Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, costituirebbe ormai la sedes materiae istituzionale per la declinazione delle definizioni che l’Autorità ha inteso inopinatamente anticipare nella propria delibera. Ciò troverebbe peraltro conferma nello sviluppo delle consultazioni prodromiche all’adozione della delibera stessa: mentre nel primo documento per la consultazione, n.196/2021/R/RIF, ancora si auspicava un intervento risolutivo del Governo, proprio attraverso il Programma nazionale, per affrontare le criticità rivenienti dalla situazione deficitaria sotto il profilo impiantistico di alcune zone del Paese, nel successivo, n. 282/2021/R/RI, F, si annunciava l’indicazione alle Regioni di individuare i c.d. “impianti minimi”, per il caso «[…] in cui le tempistiche di adozione di tale intervento [approvazione del Programma ] non si rivelino compatibili con quelle richieste per il varo degli atti necessari alle determinazioni tariffarie per il secondo periodo regolatorio […]».

4.1. In sintesi, ad avviso del Tribunale adito, la delibera di ARERA avrebbe:

– invaso l’ambito di competenza che il legislatore statale ha assegnato allo Stato ed in particolare al Ministero, individuato dall’art. 198-bis del d.lgs. n. 152/2006 in relazione ai contenuti del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti;

– attribuito, di fatto, alle Regioni poteri che il legislatore statale non ha loro, recta via, assegnato traslando quanto dovrebbe essere definito in sede nazionale in un ambito locale, nuovamente in piena violazione delle competenze dello Stato (combinato disposto degli artt. 195 e 196 del Codice dell’ambiente), così da allontanarsi dall’obiettivo del riequilibrio socio-economico fra aree del territorio nazionale;

– sovvertito la logica tipica degli atti programmatori in materia ambientale, e, in generale, nei contesti in cui concorrono competenze “multilivello”, stante che sempre ai sensi dell’art. 198-bis, comma 2, il Programma nazionale fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche e sulla base di essi le Regioni e le Province autonome elaborano i Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199, così trasformando questi ultimi in atto programmatorio di prima istanza.

5. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti e autonomi ricorsi sia l’ARERA (n.r.g. 3135/2023), sia l’AGER (n.g. 3140/2023), sia la Regione Puglia (n.r.g. 3160 del 2023), sia, infine, la Società Cooperativa Nuova San Michele (n.r.g. 4168/2023), quest’ultima censurando soltanto la declaratoria di incompetenza a pronunciarsi sul Programma nazionale di gestione dei rifiuti, e conseguentemente riproponendo le originarie doglianze avverso lo stesso.

6. L’ARERA si è costituita in giudizio in tutti e tre i procedimenti nei quali non è parte appellante.

6.1. Il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (MASE) si è costituito in tutti i procedimenti, ad adiuvandum, nonché nel procedimento n.r.g. 4168 del 2023, ad opponendum.

6.2. Le Società Consulenze ambientali s.r.l., DFC Eco. Trans. e De Cristofaro si sono costituite nei procedimenti nn.r.g. 3135/2023, 3140/2023 e 3160/2023, producendo memorie; con atto di stile si sono costituite la Società Appia Energy s.r.l. nei procedimenti nn.r.g. 3135/2023, 3160/2023 e 4168/2023 e Heracle s.r.l., nei procedimenti nn.r.g. 3140/2023, 3160/2023 e 4168/2023.

7. Nel ricorso in appello n.r.g. 3135 del 2023 l’Autorità per la regolazione energia reti e ambiente ha articolato due distinti motivi di gravame.

7.1. Con il primo motivo ha contestato la ricostruzione del quadro delle competenze operata dal T.a.r., sia in assoluto – ovvero avuto riguardo alla corretta lettura da dare all’articolo 1, comma 527, della l. n. 205 del 2017, con riferimento all’esatta estensione ed accezione da attribuire al proprio potere regolatorio – sia in relazione alle competenze delle altre Amministrazioni, e segnatamente dello Stato e delle Regioni, di cui al complesso normativo costituito dagli artt. 195, 196, 198-bis e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006. La categorizzazione dei c.d. “impianti minimi” non costituirebbe affatto un indebito esercizio di potere normativo o programmatorio, ma la mera modulazione di quello tariffario, da intendere necessariamente in senso pro-concorrenziale, come consentito dalle finalità dello stesso elencate nella legge del 2017. In particolare la lettera g) del comma 527 dell’art. 1 della legge n. 205 consente espressamente di introdurre le c.d. “tariffe al cancello” per tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti. La scelta di circoscrivere l’applicazione delle stesse solo a taluni impianti, individuati come “minimi”, oltre che riduttiva rispetto alle potenzialità ammesse dalla norma, risponderebbe ad un obiettivo di tutela dei clienti finali, ovvero i cittadini, evitando loro aggravi tributari, e sarebbe pertanto in linea con quanto ricavabile dalla legge istitutiva dell’Autorità, n. 481/1995, comunque richiamata da quella del 2017. L’Autorità infatti avrebbe avuto la possibilità di tariffare tutti gli impianti di trattamento indistintamente, intendendosi per tali quelli riconducibili alla relativa definizione contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. s), d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero gli impianti di «recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento». D’altro canto, non era possibile non tenere conto della situazione di deficit impiantistico che connota alcuni territori del Paese, di cui si è anche dato atto nel primo documento di consultazione (n. 196/2021/R/rif, in particolare paragrafi 4.1 e 4.2). La situazione di «[…] eccessivo potere di mercato in capo ai pochi impianti esistenti, con un possibile incremento dei costi di complessiva gestione dei rifiuti urbani e maggiore spesa per i cittadini» che ne è conseguita, ha imposto la scelta effettuata, peraltro preannunciata nel secondo documento di consultazione (n. 282/2021/R/rif). In presenza di una gestione “non integrata” l’attività di regolazione presuppone necessariamente la valutazione del livello di efficacia dell’eventuale esistenza di pressione competitiva che contribuisce alla promozione di efficienza allocativa. Il tutto assumendo quale parametro di valutazione la presenza di flussi garantiti in ingresso, sulla base di quanto previsto in atti di programmazione o di affidamento e la possibilità di incidere significativamente sulla formazione dei prezzi tenuto conto delle caratteristiche dell’operatore che gestisce e delle limitazioni strutturali alla capacità di trattamento dell’impianto. In sintesi, il T.a.r., ritenendo ARERA non legittimata a introdurre concetti strumentali all’attività di tariffazione, avrebbe confuso la regolazione con la programmazione, rimessa interamente, nel rispetto del riparto delle competenze, alle Regioni, cui è infatti demandata l’individuazione in concreto degli impianti “minimi” (v. art. 6, comma 1, in forza del quale «L’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” di cui al comma 3.2 avviene, di norma, nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dal presente provvedimento»). Infine, la correttezza della tesi proposta avrebbe trovato recente conferma nella sentenza del T.a.r. per l’Emilia-Romagna, 16 gennaio 2023, n. 17, laddove si afferma che «[…] nell’allegato A della delibera ARERA è previsto, riguardo agli impianti in questione di chiusura del ciclo “minimi”, esclusivamente “…una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe che prevede delle incentivazioni coerenti con la menzionata gerarchia per la gestione dei rifiuti, secondo quanto disposto dall’Articolo 23…”». Quanto agli effetti del sopravvenuto Programma nazionale, la presenza al suo interno di una disciplina «identica nella sostanza alle disposizioni di cui alla delibera n. 363/2021» non può che essere intesa come un sostanziale recepimento del MTR-2 nello strumento pianificatorio sopravvenuto, con conseguente novazione della fonte delle regole sugli impianti “minimi”, tale da fare comunque venire meno il contrasto di competenze affermato dal primo giudice. Non può infatti essere condivisa la sua dequotazione a mero riferimento “storico”, come opinato dal T.a.r., in quanto ciò significherebbe da parte del Ministero avallare un’invasione di competenze rinunciando all’esercizio delle proprie prerogative in merito. D’altro canto, che il Ministero abbia ben chiara l’attività effettuata da ARERA e la condivida troverebbe conferma nel percorso che ha portato all’approvazione del Programma, come riferito nel preambolo dello stesso, ove se ne ricorda l’avvenuta stesura all’esito dei lavori di un tavolo tecnico cui ha partecipato anche l’Autorità di Regolazione per Energia reti e ambiente.

7.2. Con un secondo motivo di censura, l’Autorità ha lamentato una lettura strumentale e distorta dei documenti di consultazione. L’auspicio, contenuto nel capitolo 3 di quello contrassegnato dal n. 196/2021/R, a che il futuro Programma nazionale si assumesse l’onere di ridefinire il fabbisogno impiantistico, infatti, andava letto come mera sottolineatura di un dato di fatto, pur nella evidenziata diversa funzione dell’attività programmatoria di competenza statale (superare il deficit, appunto) rispetto a quella regolatoria (attivarsi, alla luce del deficit attuale, per ridurne le conseguenze negative sugli utenti, destinatari finali dei maggiori costi determinati dalla presenza di un mercato con rigidità strutturali). Ciò troverebbe un avallo perfino nella sistematica del documento, che inserisce ridetto auspicio nella parte relativa alla descrizione del contesto (capitolo III), mentre illustra gli orientamenti in tema di “impianti minimi” nel successivo capitolo IV, contenente le opzioni per la regolazione degli impianti di trattamento. Il coinvolgimento delle Regioni, infine, nel rispetto delle previsioni di cui al combinato disposto degli artt.196 e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, è stato in qualche modo ribadito nel paragrafo 9.6 del Programma nazionale, ove si evidenzia come l’analisi dei flussi costituisca un’attività necessaria per l’elaborazione dei Piani regionali, al fine di tracciare i rifiuti e colmare i gap impiantistici. Tali attività sono «funzionali e sinergiche alla ricognizione e alla classificazione degli impianti di trattamento» effettuata ai sensi della deliberazione 363/2021/R/rif, che si è dunque preoccupata di coordinare il proprio contenuto tariffario con le competenze programmatorie di Stato e Regioni, senza che le relative attribuzioni venissero modificate, sovvertite, né tanto meno invase.

8. Con ricorso n.r.g. 3140/2023 l’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti (AGER), articolando un unico, sviluppato motivo, ha egualmente censurato l’inquadramento dell’intervento di ARERA tra le attività programmatorie operato dal primo giudice, indebitamente ipotizzando il mancato rispetto dell’assetto delle competenze riveniente dalla lettura congiunta degli artt. 195, 196, 198-bis e 199 del T.u.a., nonché dell’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017 e della legge n. 481 del 1995. In particolare, non si sarebbe tenuto conto della circostanza che l’Autorità non ha affatto individuato direttamente gli impianti “minimi”, con ciò avocando a sé poteri di spettanza regionale, ma ne ha demandato il compito alla Regione, rimarcando anche la necessità di provvedervi « di norma, nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dal presente provvedimento» (art. 6 della delibera impugnata). La Regione Puglia a sua volta avrebbe rispettato le proprie prerogative dando attuazione all’art. 196, comma 1, lettera b), che le attribuisce la «regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti» e all’articolo 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, che le impone di individuare all’interno dell’apposito piano «il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza». Infine, per quanto concerne gli atti di specifica spettanza, ha ricordato quanto statuito in tale Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (PRGRU) in sede di individuazione dei flussi e dei fabbisogni di impianti necessari (A.2.1 – Scenario di Piano, in particolare tabella p. 133), ove si demanda ad un «[…] separato provvedimento della Regione Puglia, competente ai sensi dell’art. 196 TUA all’attività di programmazione d’intesa con AGER Puglia, ente di governo d’ambito cui spetta non solo l’attuazione del piano regionale dei rifiuti urbani ma anche la disciplina dei flussi dei rifiuti indifferenziati e differenziati da avviare a smaltimento ed a recupero secondo quanto prescritto dall’art. 9 legge regionale n. 24/2012 così come modificata dalla legge regionale n. 20/2016[…]» l’individuazione in concreto degli impianti di chiusura del ciclo “minimi”. Previsione cui è stata data, appunto, con la delibera di Giunta n. 2251 del 29 dicembre 2021. Quanto al Programma nazionale, così come ARERA ne ha richiamato in particolare il paragrafo 9.6, di sostanziale avallo della correttezza del percorso seguito. Ha infine invocato i contenuti della segnalazione del 22 dicembre 2022 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), resa ai sensi dell’articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, che non ha ravvisato profili di criticità nelle scelte operate dalla Regione Puglia, limitando i propri rilievi a quelle effettuate da altre Regioni (Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia).

9. Con ricorso n.r.g. 3160 del 2023 la Regione Puglia ha innanzi tutto lamentato la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (motivo sub I): a suo dire, infatti, il ricorso introduttivo della Società Cooperativa Nuova San Michele non sarebbe stato mirato a contestare in toto la competenza dell’ARERA a dettare regole per la definizione dei corrispettivi di accesso agli impianti, ma orientato alla circostanza che la deliberazione ha attinto operatori non integrati nel ciclo di gestione dei rifiuti urbani che trattano rifiuti speciali. Essa, cioè, si sarebbe limitata a criticare l’estensione del potere regolatorio in relazione agli artt. 1 e 2, della l. n. 481/1995 e 1, comma 527, della l. n. 205/2017 al di fuori dei rifiuti urbani e assimilati. Nessun rilievo sarebbe invece stato mosso alla “creazione” della figura giuridica degli impianti “minimi”, intorno alla quale ruota l’intera motivazione della sentenza impugnata, né sarebbe stata messa in dubbio la finalità tariffaria della deliberazione, ovvero invocata la competenza in materia del Ministero dell’ambiente, tramite il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti. All’opposto, nel ricorso per motivi aggiunti, la Cooperativa ha addirittura rilevato espressamente l’incompetenza di tale Ministero, con ciò confermando che l’individuazione degli impianti “minimi” spettava ad ARERA (cfr. pag. 14 del ricorso per motivi aggiunti ove si afferma che: «il PNGR impugnato ha effettuato la predetta ricognizione impiantistica, andando tuttavia, con il paragrafo 5.2. non solo a fotografare la localizzazione geografica, ma ad integrare la descrizione tipologica del trattamento del rifiuto in esso effettuato con la qualificazione degli stessi a mezzo di ciò che è stato definito come “matrice delle opzioni regolatorie in funzione della tassonomia impiantistica” introdotta da ARERA. Tale previsione, tuttavia, costituisce elemento ulteriore e diverso dal mero dato ricognitivo stabilito nel richiamato art. 198-bis, e si espande sino ad introdurre nella pianificazione nazionale e nei criteri generali a cui le Regioni dovranno attenersi in sede di aggiornamento dei propri Piani regionali, un criterio dichiaratamente regolatorio del grado di integrazione degli impianti autorizzati in esercizio nel servizio (integrato e non) di gestione dei rifiuti e quindi del regime economico a cui detti stessi impianti devono soggiacere. In altri termini, recependo la “tassonomia impiantistica” adottata da ARERA, il PNGR (ed il Ministero attraverso esso) ha esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni e competenze».

9.1. Ha quindi rivendicato la correttezza del percorso seguito da ARERA e, a cascata, dalla Regione medesima e dal proprio ente gestore. Ha essa pure rimarcato la portata riduttiva della scelta effettuata, non estesa a tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti urbani (indipendentemente dalla classificazione che questi ultimi assumono all’esito del processo di trattamento), come pure la normativa avrebbe consentito. Ha quindi concluso affermando che gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” non costituiscono una distinta e nuova categoria creata dall’ARERA nel contesto del più ampio genus degli impianti di trattamento dei rifiuti con la finalità di colmare una situazione di gap impiantistico, ma si identificano in quelli che si vogliono rendere destinatari di determinati criteri tariffari in ragione delle specificità delle realtà in cui operano. Ciò allo scopo di promuovere la concorrenza nei contesti in cui difetta e tutelare l’utenza evitando che i pochi impianti esistenti, dotati di potere di mercato, applichino prezzi eccessivi, determinando un incremento dei costi di complessiva gestione dei rifiuti urbani e una maggiore spesa per i cittadini. In tale logica, gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” identificano «gli impianti di trattamento presenti sul territorio» (cfr. art. 21.2 dell’Allegato A alla delibera ARERA n. 363/2021) ritenuti indispensabili alla chiusura del ciclo dei rifiuti e previsti nella programmazione, là dove per «presenti» si devono intendere quelli già operanti e in esercizio nel momento in cui avviene l’individuazione (opzione interpretativa che sarebbe stata poi confermata dall’art. 1.3 della determina del 22 aprile 2022, n. 01/DRIF/2022, con la quale ARERA ha approvato gli schemi tipo degli atti costituenti la proposta tariffaria e le modalità operative per la relativa trasmissione alla stessa, fornendo anche taluni chiarimenti su aspetti applicativi del sistema MTR2).

10. Con apposita memoria di analogo contenuto versata in atti in tutti e tre i rimanenti procedimenti promossi da parti avverse, la Società Cooperativa Nuova San Michele, dopo aver controdedotto ai rispettivi motivi di appello, ha altresì riproposto quelli di cui al ricorso di primo grado, assorbiti nella decisione di accoglimento. Ha lamentato dunque l’autonoma illegittimità delle delibere del Consiglio regionale n.68 del 2021 e della Giunta regionale n.2251 del 2021, nonché degli atti attuativi posti in essere dall’AGER, per eccesso di potere, sviamento di potere, vizio di motivazione, illogicità e difetto di istruttoria, oltre che per errata interpretazione della deliberazione di ARERA. Nelle premesse di quest’ultima, infatti, è detto chiaramente che l’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” avrebbe dovuto avvenire «nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dalla deliberazione n. 363 del 3 agosto 2021 il cui termine per la definizione per la procedura di validazione è prevista per il 30 aprile 2022». La riserva di competenza, statuita al riguardo dall’art. 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, per un verso non sarebbe stata esercitata, stante che risulterebbe carente, nella fattispecie, l’adozione di atti di programmazione entro i quali rinvenire la disciplina specifica per l’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” nell’ambito del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani; per altro verso sarebbe stata esercitata indebitamente, nella parte in cui risultano individuati, con atti non aventi contenuto di pianificazione, impianti “minimi” non integrati nel ciclo dei rifiuti urbani e sottoposti purtuttavia alla regolamentazione tariffaria ed all’assorbimento di flussi imposti di smaltimento. Non si sarebbe inoltre tenuta in debito conto la peculiarità della Regione Puglia, ove manca una vera e propria gestione integrata dei rifiuti, atteso che le leggi regionali (dapprima, la n. 24 del 2012, indi la n. 20 del 2016) l’hanno segmentata in due, ovvero da un lato la raccolta ed il trasporto dei rifiuti urbani, per i quali valgono sub ambiti territoriali (ARO, ambiti di raccolta ottimale) e dall’altro il trattamento e lo smaltimento, attribuiti all’Autorità di governo d’ambito (l’AGER). Da qui la violazione anche dell’art. 186-bis, comma 2, della legge n. 191 del 2009, in forza del quale le Autorità d’ambito vanno istituite dalle Regioni con le funzioni di cui all’art. 201 del T.u.a., ovvero limitatamente al «servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani». Anche sotto tale profilo sarebbe illegittimo l’atto in data 18 gennaio 2022, con il quale l’Agenzia ha dato disposizioni operative affinché, nell’ambito dell’organizzazione dei flussi, i rifiuti EER 190501 prodotti dall’ impianto di TMB ubicato nel territorio del Comune di Foggia, già attribuiti ad una serie di comuni nominativamente indicati, fossero conferiti presso l’impianto gestito dalla Società Cooperativa Nuova San Michele nel periodo compreso tra il 20 gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022, procedendo poi ad avviare le attività tecnico-amministrative conseguenti (procedure di omologa del rifiuto, propedeutiche al conferimento, precisando che i contratti con il gestore dell’impianto di discarica siano stipulati con i gestori degli impianti di TMB produttori dei rifiuti, con contestuale integrazione contrattuale con i comuni conferitori per la tariffa per lo smaltimento da addebitare).

La Giunta regionale infine con la gravata delibera n. 2251/2021 ha proceduto autonomamente e senza una effettiva e legittima istruttoria a qualificare come di “chiusura del ciclo minimi” tutti gli impianti in esercizio, così pretermettendo il primo elemento istruttorio dettato dalla delibera ARERA, che stabiliva di provvedere (in tutto o in parte) anche alla luce delle caratteristiche dell’operatore che li gestisce (art. 21, comma 2). L’atto si sarebbe limitato invece a fornire una motivazione di portata “generale” di sistema, attagliata al servizio di gestione dei rifiuti urbani, sicché ne risulterebbe del tutto disatteso il presupposto per cui l’impianto della Società, totalmente privato, è anche dedicato al trattamento di rifiuti speciali non pericolosi e quindi opera nel mercato attraverso la gestione di materiali che, al pari delle merci, sono soggetti al principio di libera circolazione, individuando in base alle proprie valutazioni imprenditoriali gli interlocutori contrattuali ed il regime tariffario da applicare. Inoltre, sempre sotto il profilo motivazionale, la presenza di flussi di rifiuti extra-regionali, di per sé non configurerebbe un elemento dimostrativo della presenza di un eccesso di domanda rispetto all’offerta di impianti, così come il livello delle tariffe non sarebbe sintomatico della sussistenza di una situazione di oligopolio, in assenza di una prova effettiva dell’avvenuta maggiorazione delle tariffe. Profili di sviamento di potere sarebbero ravvisabili anche nello scostamento, senza alcuna ragione plausibile, dalle stime contenute nel Piano regionale approvato pochi giorni prima, ovvero con deliberazione di Consiglio regionale n. 68/2021 (la delibera di Giunta indica in 392.640,46 t/a i quantitativi di frazione umida -RBD- riveniente dal trattamento dei rifiuti solidi urbani che giustificherebbero l’individuazione di tutte le discariche come impianti minimi, mentre nei due scenari riportati nel Piano regionale per gli impianti di trattamento dell’indifferenziato a cui sono attribuiti i codici EER 190501 e 191212, si parla, per gli anni 2022 e 2025, rispettivamente di 153.917 t/a e 160.409 t/a). In sostanza, la qualificazione degli impianti di chiusura “minimi” sarebbe strumentale a colmare il grave ritardo della Regione nella messa in esercizio degli impianti pubblici destinati a soddisfare la domanda di trattamento dei rifiuti urbani. Sarebbe infine stata perpetrata una inspiegabile disparità di trattamento, stante che nella ricognizione degli impianti non sarebbe stato incluso quello denominato CISA, seppure figurasse nella tabella estrapolata dal Piano regionale.

10.1. In punto di fatto, per valorizzare in concreto l’effetto pregiudizievole della scelta regionale sulla propria attività, ha riferito che la propria capacità volumetrica residua al 30 giugno 2021, pari a metri cubi 235.000, alla luce delle indicazioni di afflusso di rifiuti impostole, nei quattro anni considerati sarebbe stata assorbita per circa il 60%, con comprensibile pregiudizio economico anche in ragione dell’evidente impossibilità di rispettare le previsioni del proprio piano industriale.

11. Con distinte memorie di analogo tenore versate in atti del fascicolo n.r.g. 3140 del 2023, le Società De Cristofaro s.r.l., Consulenze Ambientali s.r.l. e DCF Eco.Trans.De.Co s.r.l., hanno condiviso le argomentazione della Cooperativa, anche relative ai riproposti motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r. per la Lombardia. Hanno altresì insistito sugli effetti distorsivi della concorrenza della scelta adottata, richiamando a loro volta quanto messo in luce nella segnalazione dell’AGCM del 22 dicembre 2022, seppure non focalizzata sulle deliberazioni della Regione Puglia.

11.1. Tali argomentazioni sono state precedute dall’indicazione delle circostanze a supporto del loro specifico interesse alla decisione della causa – peraltro mai messo in discussione dal Tribunale di prime cure – e segnatamente:

– quanto alla Consulenze ambientali s.r.l., siccome società di intermediazione iscritta all’Albo Gestori ambientali che svolge attività anche per conto di soggetti che conferiscono rifiuti presso l’impianto della Cooperativa Nuova San Michele;

– quanto alla De Cristofaro s.r.l., perché titolare di un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali non pericolosi ubicato in Lucera (FG) alla Contrada Montaratro, regolarmente autorizzato, che si avvale per lo smaltimento dei rifiuti che all’esito del processo di trattamento non sono ulteriormente recuperabili, dell’impianto della Cooperativa, per il tramite della DCF Eco.Trans.De.Co s.r.l., che ne cura l’intermediazione e il trasporto;

– quanto alla DCF Eco.Trans.De.Co s.r.l., in quanto iscritta all’Albo Nazionale Gestori Ambientali al n. BA01490), che svolge essa pure attività con la Società collegata Consulenze Ambientali per il conferimento dei rifiuti presso la discarica della Società cooperativa Nuova San Michele.

12. Alla camera di consiglio del 9 maggio 2023, fissata per decidere sulle istanze di sospensiva avanzate nei ricorsi nn.r.g. 3135, 3140 e 3160 del 2023, su concorde richiesta delle parti, la causa è stata differita al merito.

13. Con successivo ricorso n.r.g. 4168 del 2023 la Società Cooperativa Nuova San Michele ha articolato a sua volta un unico motivo di gravame, censurando in particolare il capo della sentenza (§ 17) col quale il T.a.r. per la Lombardia ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sui motivi aggiunti, in quanto riferiti ad un atto –il sopravvenuto Programma nazionale di gestione dei rifiuti – i cui effetti sono estesi all’intero territorio nazionale, come tale impugnabile innanzi al T.a.r. per il Lazio. Non si sarebbe dato il giusto rilievo al rapporto tra i due provvedimenti e alla conseguenzialità del secondo rispetto al primo. La circostanza, infatti, che il § 5.2 del Programma abbia espressamente fatto propria la «distintiva tassonomia degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani» introdotta da ARERA, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, andrebbe letta nel senso dell’avvenuto “assorbimento” delle relative affermazioni, con conseguente riverbero dei vizi ascritti alla delibera anche sull’atto che ha inteso appropriarsene. Ha quindi riproposto le (autonome) censure circa la violazione della normativa disciplinante il riparto di competenze e attribuzioni tra amministrazione statale e regionale e Autorità di regolazione. Di fatto, cioè, l’individuazione di una categoria a fini asseritamente solo tariffari, non poteva essere utilizzata a fini programmatori dal Ministero medesimo. Il principio della razionalizzazione economica a cui tende l’individuazione delle macro-aree localizzative cui fa riferimento l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, non può essere dilatato sino ad introdurre qualificazioni tipologiche degli impianti che non siano esclusivamente legate alla specifica tecnica del trattamento, ma che attengono al regime tariffario ad essi applicabile, condizionando in tal modo il successivo potere regolatorio e pianificatorio delle Regioni. Infine, risulterebbe violato anche l’art.182-bis del d. lgs. n. 152/2006 il quale, nello stabilire che lo smaltimento o il recupero dei rifiuti urbani non differenziati avviene facendo ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti (per realizzarne l’autosufficienza e ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinate tipologie), contempla esclusivamente l’ipotesi di un sistema integrato di gestione di rifiuti e quindi di un gestore integrato, giammai quella di sottoposizione a regolazione di impianti non integrati o eserciti da soggetti gestori non integrati.

14. Sono seguite memorie anche in replica di tutte le parti nei vari procedimenti.

15. In data 27 ottobre 2023 la Società De Cristofaro s.r.l. ha avanzato istanza di rinvio, condivisa dalla Società Cooperativa Nuova San Michele, a fini di riunione con il ricorso n.r.g. 5669/2023, presentato dalla stessa avverso la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 822 del 2023, in quanto riferita alle medesime delibere oggetto di impugnativa nell’odierna controversia.

16. All’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023, esaurita la trattazione orale, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

17. Preliminarmente il Collegio, preso atto che trattasi di appelli avverso la medesima sentenza, ne dispone la riunione.

18. Sempre in via preliminare, ritiene di non accedere all’istanza di rinvio avanzata congiuntamente dalle Società De Cristofaro s.r.l. e Cooperativa Nuova San Michele s.r.l., non ravvisando la sussistenza di quei «casi eccezionali» cui l’art. 73, comma 1-bis, c.p.a., lo subordina. Il richiamato appello pendente presso questo Consiglio di Stato, al quale si chiede la riunione, infatti, attiene ad una sentenza del T.a.r. per la Lombardia (la n. 822 del 2023) avente sì ad oggetto la medesima deliberazione di ARERA e i relativi provvedimenti regionali attuativi, ma nella quale il primo giudice si è limitato a dichiarare la inammissibilità del gravame non riconoscendo alla ricorrente la titolarità di una posizione giuridica differenziata nel procedimento di individuazione degli impianti minimi. Analoga questione non si è posta nel procedimento n.r.g. 298 del 2022, ove la De Cristofaro s.r.l. è intervenuta ad adiuvandum, avendo evidentemente il Tribunale adito ritenuto che l’attività svolta dalla stessa, seppure non toccata direttamente dalle “tariffe al cancello” in quanto di intermediazione e trasporto, non possa non subire l’impatto negativo della sostanziale sottrazione al regime di libero mercato della discarica gestita dalla Cooperativa Nuova San Michele, con la quale ha evidentemente rapporti negoziali. Ricostruzione che peraltro il Collegio condivide, anche con riferimento alle altre Società costituitesi nell’odierno giudizio, a maggior ragione la Appia Energy s.r.l. e la Heracle s.r.l., che figurano nell’elenco degli impianti “minimi” individuati dalla Regione.

19. Ciò detto, al fine di inquadrare correttamente l’oggetto della vicenda di cui è causa, si rende necessario un breve richiamo ai contenuti dei principali atti impugnati, ovvero la deliberazione di ARERA n. 363 del 2021 e quella della Giunta regionale della Puglia n. 2251 del 2021, attuativa del Piano di gestione dei rifiuti urbani (deliberazione n. 68 del 2021).

19.1. La deliberazione di ARERA – meglio conosciuta come “MTR-2”, dall’acronimo di individuazione del sistema tariffario per il secondo periodo regolatorio (2022-2025) – scaturisce da un complesso procedimento nel quale ampio spazio è stato dato alla consultazione pubblica, dei cui esiti si dà conto in premessa. Per quanto qui di specifico interesse, in essa si precisa che la modulazione degli strumenti di regolazione deve avvenire «in ragione del livello di pressione competitiva, dell’attività di programmazione settoriale, nonché del grado di integrazione della filiera». Con riferimento a quest’ultimo, gli impianti denominati “di chiusura del ciclo” vengono distinti in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”. Gli impianti “minimi”, dei quali si occupa in particolare l’art. 6, vanno individuati «di norma, nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso», secondo quanto previsto dal medesimo provvedimento (disposizione poi replicata all’art. 21.3 dell’Allegato A).

19.2. L’art. 21 dell’Allegato A alla delibera, contenente i veri e propri criteri per la tariffazione “al cancello”, riprende la distinzione correlata al grado di integrazione nel ciclo dei rifiuti, menzionando separatamente il «gestore integrato», che l’art. 1 definisce come «l’operatore incaricato del servizio integrato di gestione dei rifiuti […]» e il «gestore non integrato», dizione alla quale vanno invece ricondotti sia gli impianti “minimi” che quelli “aggiuntivi”. A completamento di quanto detto nell’art. 6 della deliberazione, la norma chiarisce poi che l’individuazione dei primi deve avvenire «anche alla luce delle caratteristiche dell’operatore che li gestisce» all’interno degli impianti di trattamento presenti sul territorio che offrano «una capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori» o che siano «già stati individuati in sede di programmazione, sulla base di decisioni di soggetti competenti alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti» (art. 21.2). A livello definitorio, l’art. 1 sottolinea come gli impianti di chiusura “minimi” sono quelli individuati «come indispensabili» sulla base delle condizioni sopra precisate.

19.3. Alle Regioni e alle Province autonome, dunque, è sostanzialmente richiesto di effettuare una ricognizione, e la relativa caratterizzazione, con orizzonte temporale 2022-2025, degli impianti di trattamento presenti sul proprio territorio, già operativi o di cui si prevede l’entrata in esercizio nel periodo considerato, distinguendoli tra impianti di chiusura del ciclo (impianti di trattamento della frazione organica, inceneritori con e senza recupero di energia, discariche) e impianti intermedi (trattamento meccanico e meccanico-biologico). Tale attività è funzionale alla successiva classificazione in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”, che deve riguardare quelli ritenuti di chiusura del ciclo, in ragione del livello di pressione competitiva, nella misura in cui può contribuire alla promozione dell’efficienza allocativa, dell’attività di programmazione settoriale, nonché del grado di integrazione della filiera, al dichiarato fine della modulazione degli strumenti di regolazione previsti per l’applicazione dei criteri di accesso (matrice delle opzioni regolatorie). Gli impianti di chiusura del ciclo “minimi”, quindi, sono individuati (in base alle risultanze del monitoraggio svolto dalle Regioni e dalle Province autonome in merito all’organizzazione territoriale, all’analisi e all’evoluzione prevista dei flussi, nonché a valutazioni sull’efficienza, efficacia ed economicità dei sistemi di gestione) qualora risultino operare, offrendo la propria capacità di trattamento, in un mercato caratterizzato da rigidità strutturali, nella misura di un ampio e stabile eccesso di domanda a fronte di un limitato numero di operatori presenti: quanto detto nell’ipotesi in cui la loro capacità di trattamento risulti già impegnata da flussi garantiti dagli strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi, ovvero comunque provvedendovi in sede di programmazione “mirata”.

19.4. L’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” implica specifiche conseguenze che egualmente le Regioni sono tenute ad esplicitare, «anche ove non risultino negli strumenti di programmazione vigenti», nonché l’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti. evidentemente destinate a garantire una gestione autosufficiente (e dunque a completare) del ciclo dei rifiuti, relative a:

a. flussi che si prevede vengano trattati per impianto, anche ove ancora non risultassero negli strumenti di programmazione vigenti;

b. eventuale distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che la Regione o la Provincia autonoma ritengano utile specificare;

c. elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti (quali per esempio gestori della raccolta e del trasporto dei rifiuti urbani o gestori di impianti di trattamento intermedio). A tale ultimo proposito, è altresì richiesto che siano esplicitati gli eventuali impianti “intermedi” da cui provengono flussi indicati come in ingresso a impianti di chiusura del ciclo “minimi”, integrando tale elenco con le medesime informazioni di cui ai punti precedenti (flussi previsti e soggetti conferitori).

Una volta quantificato il flusso complessivo, assoggettato alle regole di cui al MTR-2, che si prevede venga trattato dall’impianto di chiusura del ciclo individuato come “minimo”, la Regione o la Provincia ha facoltà di ripartirlo in base a valutazioni di prossimità, distinguendo tra “flusso di prossimità”, appunto, e “flusso di non prossimità”, in modo che gli eventuali incrementi dei corrispettivi di accesso (rispetto a quelli praticati nell’anno precedente) siano interamente trasferiti nelle tariffe applicate ai flussi provenienti da aree non di prossimità, lasciando invariate quelle relative ai flussi da aree di prossimità o, in modo speculare, che i decrementi siano a vantaggio dei soli flussi provenienti dalle aree di prossimità, al fine di favorire l’accettabilità sociale verso tali infrastrutture, avvantaggiando le comunità più vicine agli impianti, secondo il criterio di prossimità ritenuto più idoneo. La qualifica di impianto “minimo” si mantiene per un periodo almeno biennale, a partire dall’anno 2022, e può essere anche parziale, qualora l’impianto conservi una capacità residua di trattamento non impegnata dalla programmazione regionale; in questo caso le regole di riconoscimento dei costi e di determinazione delle tariffe al cancello, di cui al MTR-2, trovano applicazione unicamente per la quota di flusso programmata dalla Regione o Provincia autonoma.

19.4.1. É di immediata evidenza come l’intero sistema, per quanto apprezzabile negli obiettivi e virtuoso nella concezione, si spinga ben oltre l’ambito tariffario, indirizzando l’operatività delle Regioni verso una programmazione razionale che valorizzi le esigenze del territorio fornendo risposte ricavate dallo stesso, ovvero attingendole all’imprenditoria privata ivi esistente, senza che sia stata elaborato a monte un effettivo piano dei fabbisogni rispetto ad un obiettivo di autosufficienza egualmente predeterminato.

19.5. Con deliberazione n. 2251 del 29 dicembre 2021 la Regione Puglia ha dunque “classificato” -recte, individuato – gli impianti “minimi”, includendo in apposito elenco tutti quelli di trattamento della FORSU, i termovalorizzatori e gli impianti di discarica, nel contempo demandando alla propria Agenzia di settore (l’AGER) gli adempimenti successivi, ovvero, in particolare, l’approvazione del piano economico finanziario alla cui presentazione i gestori di suddetti impianti sono obbligati, anche ai fini dei successivi conguagli o perequazioni rivenienti dall’assoggettamento al MTR-2.

20. Richiamato quanto sopra, occorre ora individuare il nucleo essenziale della controversia, ovvero la riconducibilità o meno delle disposizioni di cui è causa all’esercizio del potere regolatorio per come attribuito all’Autorità dalla legislazione vigente, nonché, da altra angolazione, il loro ipotetico sovrapporsi ai contenuti di un atto programmatorio, la cui adozione spetta per legge alle Regioni e, in un ambito sopraelevato, allo Stato. Secondo le argomentazioni di parte pubblica, infatti, l’introduzione del concetto di “impianti minimi” non avrebbe alcuna portata autonoma, o innovativa ( e quindi normativa), ma rivestirebbe una funzione esclusivamente strumentale alla successiva declinazione delle metodiche tariffarie, in un’ottica di valorizzazione della portata propulsiva delle stesse in vista dell’efficientamento e miglioramento del servizio, così da arginare gli effetti distorsivi sui costi delle riscontrate posizioni di monopolio. D’altro canto, la competenza programmatoria regionale risulterebbe pienamente rispettata giusta il rinvio, per l’individuazione in concreto degli impianti “minimi”, ai relativi atti di siffatta natura.

21. Il Collegio non condivide tale ricostruzione, accedendo piuttosto a quella effettuata dal T.a.r. per la Lombardia, seppure con le precisazioni e integrazioni di seguito sviluppate.

22. Va innanzi tutto premesso come la problematica di cui è causa non sia nuova in relazione agli atti, quale che ne sia il contenuto, delle Autorità indipendenti, stante che la loro disciplina di settore si connota spesso per l’utilizzo di clausole di ampio respiro, sbilanciate piuttosto in direzione finalistica che di tassatività contenutistica. In tale solco si inserisce anche la formulazione dell’art. 1, comma 527, della l. 205 del 2017, che non a caso ricalca quella di cui all’art. 10, comma 11, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, istitutivo dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, in sostituzione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche di cui art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006. Né gli ambiti funzionali dell’attività regolatoria risultano più chiari ove si acceda direttamente alla norma originaria, ovvero la l. n. 481 del 1995, a più riprese invocata dagli appellanti di parte pubblica, egualmente connotata da laconiche affermazioni di principio, se si eccettua l’art. 20, le cui previsioni di maggior dettaglio sono riferite esclusivamente all’esercizio del potere sanzionatorio.

23. Proprio a fronte degli effetti della oggettiva difficoltà per il legislatore di predeterminare il contenuto di certi provvedimenti, in particolare nel settore dei servizi di pubblica utilità e dei mercati finanziari in senso ampio, la giurisprudenza ha elaborato pertanto la teoria dei poteri impliciti, che comporta una inevitabile limitazione del principio di legalità sostanziale degli atti, cui fa da contraltare il rafforzamento di quella procedimentale (sul punto, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972, ove si valorizzano gli aspetti partecipativi, sia sub specie di consultazioni generali, che di comunicazione di avvio del procedimento). In tale ricostruzione, la l. n. 481 del 1995 sarebbe soltanto «una legge di indirizzo, che poggia su prognosi incerte, rinvii in bianco all’esercizio del futuro potere, inscritto in clausole generali o concetti indeterminati che spetta all’Autorità concretizzare» (Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532, ove si ritiene conforme al quadro costituzionale la previsione di un potere regolatorio circoscritta alla predeterminazione degli obiettivi propri dell’attività e dei limiti che ne connotano l’esercizio in concreto).

23.1. La legge istitutiva dell’Autorità di settore, 14 novembre 1995, n.481, nel cui solco si sono inserite le successive per ampliarne l’originaria competenza, richiamandola, dunque, ne limitava l’ambito di operatività ai settori del gas e dell’energia (da cui l’originaria denominazione di AEEG). Con l’art. 21, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono state trasferite a ridetta Autorità anche le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, già assegnate all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, sicché la relativa denominazione è stata mutata in Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (AEEGSI).

24. Mentre tuttavia in relazione agli ambiti dell’energia elettrica e del gas le direttive comunitarie di riferimento disciplinano direttamente le finalità e i compiti delle autorità di regolazione (direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE), per il settore dei rifiuti, come per quello idrico, ridetto livello di disciplina sovranazionale manca, essendo la materia rimessa alla discrezionalità degli Stati membri per quanto riguarda sia l’organizzazione che l’ampiezza della regolazione.

25. L’art. 1, comma 527 della l. n. 205 del 2017, dunque, risponde all’esigenza di indicazione finalistica esplicita – in verità non del tutto consona alle regole della tecnica normativa – mediante un incipit di largo respiro sotto la cui egida vanno ricondotte tutte le attività attribuite alla neo denominata ARERA. L’Autorità, pertanto, deve agire: «Al fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, per garantire accessibilità, fruibilità, diffusione omogenea sull’intero territorio nazionale nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonché di garantire l’adeguamento strutturale agli obiettivi imposti dalla normativa comunitaria, superando così le procedure di infrazione già avviate con conseguenti benefici economici a favore degli enti locali interessati da dette procedure […]». Tale ultimo inciso, inserito nel corso dei lavori parlamentari, viene correlato nella documentazione a corredo del disegno di legge, al deferimento dell’Italia, in data 17 maggio 2017 da parte della Commissione europea alla Corte di giustizia dell’Ue per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche indicate come fonti di grave rischio per la salute umana e per l’ambiente, in ragione della ritenuta violazione della direttiva europea sulle discariche (Direttiva 1999/31/CE), la cui tempistica di attuazione era ampiamente decorsa. Ritiene il Collegio che esso contribuisca a dare un’ulteriore colorazione in termini “conformativi” all’esercizio dei poteri di ARERA, finalizzato finanche al superamento di un problema specifico e contingente quale quello derivante dalla presenza sul territorio di uno di quei siti che sono stati oggetto di attenzione da parte della Commissione Ue. Tale orizzonte prospettico ampio, d’altro canto, è altresì imposto anche dalle più recenti riforme conseguite al recepimento – al quale peraltro va attribuita l’introduzione nel Codice dell’ambiente dell’art. 198-bis- del c.d. pacchetto “energia circolare” concretizzatosi in quattro direttive datate 30 maggio 2018 (si tratta delle direttive n. 2018/849 UE, n. 2018/850 UE; n. 2018/851 UE e n.2018/852). Con esse infatti cambia definitivamente l’approccio al servizio dei rifiuti, suggellandosi un’evoluzione già avviatasi da anni, e il relativo ciclo integrato, attratto nel regime di privativa pubblica, necessita di una completa rivisitazione, al fine di valorizzare/valutare quelle attività che escono da tale ambito, per comporre attività di mercato. In tale logica la regolazione è sicuramente strumento anche pro concorrenziale, come rivendicato da ARERA; funzionale a garantire condizioni di qualità uniformi sul territorio, pur salvaguardando le specificità territoriali, quanto meno in termini di livello minimo essenziale. Ciò tuttavia non può avere una portata illimitata, dovendo l’atipicità finalistica del relativo potere confrontarsi con la tipicità di quelli delle altre amministrazioni che con esso interferiscono.

26. Come chiarito dai lavori preparatori della norma, dunque (v. Dossier XVII legislatura a cura degli uffici studi delle Camere, Volume II, pag. 162 e seguenti), ARERA avrebbe dovuto sostituirsi ai compiti già attribuiti all’Osservatorio nazionale sui rifiuti dall’art. 206-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 (inserito dall’art. 2, comma 29-bis del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), indi trasferiti al Ministero dell’ambiente dal c.d. “collegato ambientale” del 2015. Lo scarso coordinamento tra le varie disposizioni, che non agevola la ricostruzione di un quadro preciso della materia, trova peraltro conferma nel fatto che la norma da ultimo citata prevedeva, fino alla recente abrogazione avvenuta con d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108, anche il potere di definire un sistema tariffario equo e trasparente basato sul principio dell’ordinamento dell’Unione europea «chi inquina paga» e sulla copertura integrale dei costi efficienti di esercizio e di investimento (lettera g-bis).

27. D’altro canto, l’attrazione della gestione dei rifiuti tra i servizi di interesse pubblico a rete, che in qualche modo costituisce il presupposto della sentita esigenza di individuare anche per gli stessi un’Autorità di regolazione tariffaria, costituisce una conquista relativamente recente del legislatore, seppure anticipata in via pretoria dalla giurisprudenza amministrativa. Solo con l’inserimento del comma 6-bis nell’art. 3-bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148 del 2011, avvenuto con l’art. 1, comma 609, lett. e) della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si è infatti positivizzato ridetto inquadramento, estendendo al settore la prevista individuazione di un ambito territoriale ottimale (ATO) in funzione di tutela sia della concorrenza che dell’ambiente, con l’obbligatoria istituzione di nuovi enti di governo sovracomunali.

27.1. Un più ampio sforzo in tale direzione fu intrapreso in occasione della ipotizzata riforma dei servizi pubblici locali che avrebbe dovuto essere varata in attuazione degli artt. 16 e 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124, allo scopo di dettare una «disciplina generale organica» del settore, attraverso un riordino del quadro normativo «risultato di una serie di interventi disorganici che hanno oscillato tra la promozione delle forme pubbliche di gestione e gli incentivi più o meno marcati all’affidamento a terzi mediante gara» (così testualmente nella relazione illustrativa). A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016, che ha interrotto di fatto l’iter di perfezionamento del Testo unico de quo, censurandone il paradigma procedimentale in quanto non sufficientemente coinvolgente le Regioni pur attingendo anche materia di loro competenza (si pensi, per quanto qui di interesse, al trasporto locale), il legislatore ha inteso perseguire comunque la scelta originaria di attrarre la regolazione del ciclo dei rifiuti alla competenza dell’Autorità, inserendola in una sorta di norma stralcio della precedente, confluita nell’articolato della finanziaria del 2018, legge n. 205 del 2017, più volte citata.

27.2. Va ricordato per completezza che nel solco di tale ormai consolidata opzione si pone oggi anche l’art. 33 del d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, di «Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica», che nel dettare regole di coordinamento in relazione alla gestione dei rifiuti urbani, ne conferma l’inquadramento, rinviando al disposto degli artt. 3-bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 e 200, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, sull’ambito territoriale ottimale di erogazione del servizio. Il decreto, peraltro, contiene una specifica disposizione avente ad oggetto il potere regolatorio di ARERA (art. 7), con riferimento al quale menziona anche la possibilità di individuazione di «indicatori» e di «livelli minimi di qualità dei servizi», che seppure concettualmente distinti dalla nozione di impianto “minimo”, ne evocano, quanto meno nell’aggettivazione, il contenuto finalistico. Il che, a ben guardare, parrebbe deporre nel senso dell’inesistenza di omologo potere in base alla legislazione previgente.

28. L’analisi di dettaglio delle singole attività consentite all’ARERA contenuta nell’art. 1, comma 527 della l. n. 205 del 2017, nulla aggiunge alla cornice per come sopra ricostruita. Nella relativa elencazione, la tariffazione ne costituisce soltanto una delle possibili declinazioni, contenuta in particolare alle lettere f), ove si prevede la «predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio “chi inquina paga”» (originariamente sovrapponentesi rispetto all’analogo potere ministeriale come detto venuto meno solo con la decretazione del 2020 ); g), relativa alla «fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento») e h), che si riferisce alla « approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento»).

29. Sotto un profilo strettamente letterale, dunque, mentre con riferimento alla individuazione del «metodo tariffario», l’oggetto è limitato al «servizio integrato dei rifiuti» e ai «singoli servizi che costituiscono attività di gestione»; con riguardo alle «tariffe di accesso» (c.d. “tariffe al cancello”), esso può estendersi a tutti gli impianti di trattamento, anche estranei al servizio (i c.d. “gestori non integrati”), purché tuttavia ciò avvenga con la dimostrata finalità di migliorare il ciclo dei rifiuti urbani e assimilati. Da qui la sostanziale estraneità allo stesso della regolamentazione delle tariffe “al cancello” degli impianti di trattamento di rifiuti speciali, salvo si tratti della particolare tipologia degli stessi che deriva dal recupero dei rifiuti urbani medesimi (art. 184, comma 2, lett. g), siccome in grado di impattare sulla chiusura del ciclo. Astrattamente, dunque, non esiste una pregiudiziale negativa per oggetto ad applicare le “tariffe al cancello” a impianti di trattamento di tale tipologia di rifiuti speciali. Ciò vale a maggior ragione con riferimento ad impianti che hanno nella loro potenzialità gestoria, formalizzata nell’autorizzazione ambientale, lo smaltimento di rifiuti con codice europeo EER 10.05.01, corrispondente a parti di rifiuti urbani e simili non destinati al compost, essendo al riguardo del tutto ininfluente la scelta di politica industriale concretamente effettuata di non accoglierli nella propria discarica.

30. La definizione di “trattamento”, infatti, non può non essere attinta dal d.lgs. n. 152 del 2006, che vi riconduce tutte le «operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento» (art. 183, lettera s), precisando poi che per “recupero” si intende «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale» (art. 183, lettera t).

31. La precisazione, tuttavia, sulla quale pure insistono le Amministrazioni appellanti, nonché, da altra angolazione, la Cooperativa, non ha rilievo una volta che si escluda la sussistenza a monte di un potere di indirizzo dell’attività programmatoria regionale in capo all’ARERA.

32. Privo di pregio appare pertanto il riferimento, di cui al primo motivo di appello dell’Autorità, al contenuto testuale della lettera g) del più volte richiamato comma 527 dell’art. 1 della l. n. 205 del 2017, che comunque non può essere astratto dal contesto della norma nella quale si inserisce, ivi comprese le più volte richiamate finalizzazioni delle relative attività attribuite alla stessa.

33. Da qui altresì anche l’infondatezza del primo motivo del ricorso n.r.g. 3160/2023, con il quale la Regione Puglia lamenta la violazione da parte del primo giudice del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. A tutto concedere alla tesi dell’appellante, infatti, il primo giudice non ha esaminato gli specifici profili di carenza di potere prospettati dalla Società avuto riguardo all’oggetto (rifiuti speciali) e ai soggetti (gestori non integrati), stante che ha disconosciuto, sulla base delle medesime disposizioni la cui corretta lettura è comunque invocata dalla stessa, la sussistenza in radice della relativa attribuzione. Percorso argomentativo che il Collegio condivide e fa proprio.

34. Secondo il T.a.r. per la Lombardia, la delibera avrebbe anche invaso le competenze programmatorie della Regione, nonché quelle statali di indirizzo delle stesse. Salvo poi concludere individuando nel solo Programma nazionale introdotto dall’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 il limite legislativo alla configurabilità dell’esercizio di poteri impliciti in quello di tariffazione, teleologicamente orientato agli obiettivi statuiti dal legislatore.

35. L’assunto necessita di talune precisazioni.

36. La ripartizione multilivello delle competenze in materia ambientale in genere e di rifiuti in particolare è stata oggetto, come noto, di un intenso dibattito costituzionalistico cui non è rimasta estranea neppure l’approvazione del d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento al quale si levarono voci di dissenso avuto riguardo all’asserito scarso coinvolgimento delle Regioni.

37. Sul punto, e senza attingere la tematica della prevalenza degli interessi quale soluzione di compromesso suggerita per analoghe questioni dal giudice delle leggi, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha da tempo aderito ad una lettura rigorosa che sulla scia dei principi più volte affermati dalla Consulta (ex plurimis, Corte cost. 11 marzo 2015, n. 58) ha ritenuto che la disciplina dei rifiuti rientri nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, lettera s), della Costituzione, a prescindere dalle possibili interferenze con altri interessi e competenze. Deve intendersi pertanto riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Per i rifiuti, dunque, «necessita una normazione generale, valevole sull’intero territorio nazionale, non potendo l’ordinamento tollerare che le caratteristiche intrinseche di un rifiuto, ai fini del suo trattamento, possano essere diversificate a seconda della diversa convenienza, opportunità o percezione avvertita dai singoli enti territoriali» (Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2022, n. 3870).

38. L’individuazione della allocazione delle competenze amministrative in materia ambientale ha a lungo risentito delle incertezze nella definizione del rapporto tra i livelli di governo nella definizione degli interventi per la tutela ambientale, e dunque della titolarità della potestà legislativa in materia. Con la sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2019, n. 129, tuttavia, la questione pare definitivamente chiarita. Nei paragrafi 3.1 e seguenti del “Considerato in diritto”, la Corte chiarisce infatti che la disciplina delle competenze fissata con legge dello Stato riveste carattere di piena trasversalità rispetto alle eventuali attribuzioni regionali. Essa «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino». Ridetta trasversalità della legislazione statale, dunque, caratterizza non soltanto le disposizioni di natura sostanziale, ma anche quelle aventi contenuto organizzativo, con le quali lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente. Ciò in quanto la cura dell’interesse ambientale non si limita alla definizione degli obiettivi di protezione, all’attuazione di politiche ambientali ed alla gestione del territorio, ma, proprio per rendere effettivi i livelli di tutela stabiliti dal legislatore statale, si spinge fino «all’individuazione di specifiche competenze amministrative, il cui riparto si presta ad essere inquadrato nell’ambito di una necessaria differenziazione dei diversi attori, i cui rispettivi ruoli vanno coordinati nella prospettiva di una maggiore adeguatezza dell’intervento». Esse pure, pertanto, integrano i “livelli di tutela uniforme” che non ammettono deroga da parte del legislatore regionale.

39. É da tale imprescindibile angolazione che vanno pertanto lette le disposizioni della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 relative alla individuazione delle competenze in materia di rifiuti, tipicamente ripartite sui vari livelli, centrale e territoriali. Esse non possono che costituire un limite all’espansione finalistica del potere di ARERA, arginandolo alla radice.

39.1. La potestà pianificatoria/programmatoria consegue alle indicazioni contenute nell’art. 28 della direttiva 2008/98/CE, che prevede che gli Stati membri provvedano affinché le rispettive autorità competenti predispongano uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani devono comprendere un’analisi della situazione della gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato; le misure da adottare per migliorare una preparazione per il riutilizzo, un riciclaggio, un recupero e uno smaltimento dei rifiuti corretti dal punto di vista ambientale; una valutazione del modo in cui i piani contribuiranno all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della medesima direttiva.

39.2. In coerenza con tale previsione, l’art. 196, comma 1, lettera a), individua quale prima competenza delle Regioni quella di predisporre, adottare e aggiornare, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, i piani regionali di gestione dei rifiuti. L’art. 199 a sua volta, inserito nel successivo Capo III, dedicato nello specifico al «Servizio di gestione integrata dei rifiuti», indica il contenuto di dettaglio di tali piani (PRGR), connotandoli anche come strumenti di analisi dello stato di fatto in termini di gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato, in funzione dell’individuazione delle misure da adottare per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni, contribuendo altresì agli obiettivi generali in materia validi su scala nazionale. In tale ottica, i Piani devono dunque indicare (lettera a): «[…] tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale […]); essi devono altresì proporre «una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, di chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti correlati » (lettera c). L’atto di pianificazione, pertanto, si concretizza in una sorta di analisi della domanda e dell’offerta, declinando le «politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione» (lettera e) e « il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti» (lettera h).

40. Per quanto sia difficile, in un contesto, anche lessicale, di tale complessità, isolare concettualmente talune definizioni, collocandole in un ambito (regolatorio) piuttosto che nell’altro (programmatorio) è di tutta evidenza che l’attività demandata alla Regione è già rigorosamente indirizzata verso una soluzione alle criticità impiantistiche, delle quali pure si tracciano gli indici, consistente nell’individuazione, all’interno degli impianti di trattamento già presenti, di quelli che le occorrono per la chiusura del ciclo, non a caso indicando anche il quantitativo di rifiuti da conferire coattivamente e la relativa provenienza. Ciò non solo travalica il potere delle Regioni, ma prescinde anche dalle indicazioni che a monte lo Stato doveva fornire loro per risolvere ridette criticità. La non chiara articolazione sequenziale, inoltre, tra indicazioni e atto nel quale inserirle (programmatorio solo «di norma», così ammettendo che si addivenga ad una sorta di programmazione ricognitoria ad horas, peraltro in tempo utile per l’applicazione del nuovo regime tariffario), aggrava ulteriormente la percezione da un lato di sostanziale innesto di contenuti normativi nelle metodiche tariffarie (che divengono così metodiche di redazione dei piani regionali), dall’altro, di intrusione nei Piani regionali di principi guida che avrebbero dovuto essere forniti dallo Stato.

41. Non a caso, da subito il d.lgs. n. 152 del 2006 ha previsto un potere di direttiva dello Stato nei confronti delle Regioni, laddove ha previsto (art. 195) che sia lo stesso a determinare i «[…] criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali di cui all’articolo 199 con particolare riferimento alla determinazione, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, delle linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, da costituirsi ai sensi dell’articolo 200, e per il coordinamento dei piani stessi». Si tratta di un’attribuzione che non va confusa con l’esercizio dell’attività programmatoria, ma che si pone a monte della stessa, al chiaro scopo di garantire che le pianificazioni si integrino e si omogeneizzino anche tra di loro, in modo che la gestione dei rifiuti sia oggetto di una strategia coesa e coordinata, in linea con gli atti strategici e regolamentari dell’Unione Europea.

41.1. La disposizione, dunque, ritiene necessario allo scopo un atto regolamentare a carattere normativo, come comprovato dalla sua richiesta adozione «ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell’interno, sentite la Conferenza Stato-regioni, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 195, comma 3). Il legislatore del 2020 ha demandato compiti in parte sovrapponibili ad un atto amministrativo avente la veste del decreto ministeriale, collocandolo in un contesto analitico di più ampio respiro e contenuto scientifico egualmente predeterminato.

41.2. Trattasi, lo si ripete, di una competenza diversa da quella, enfatizzata dal primo giudice, pure rimessa allo Stato, di localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, che richiede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 195, comma 1, lett. f) ed egualmente il parere della Conferenza unificata Stato-regioni.

42. L’avvenuta introduzione dell’art. 198-bis nel d.lgs. n. 152 del 2006 con il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, di recepimento di una delle ricordate Direttive del 30 maggio 2018 sull’economia circolare (art. 2, comma 1), peraltro, non innova l’originario assetto delle competenze, ma caso mai lo arricchisce di un tassello ulteriore, che seppure formalmente per certi versi sovrapponibile per contenuti conferma la scelta originaria di avocare al livello centrale le opzioni pianificatoria “di principio”. Non a caso, il Programma successivamente approvato con d.m. n. 257 del 24 giugno 2022, che costituisce anche obiettivo esplicitato quale misura del PNRR (Missione 2, «Rivoluzione verde e transizione ecologica»), contiene un’espressa salvaguardia dei Piani regionali già conformi alle proprie indicazioni (art. 199, comma 8, a sua volta novellato sul punto). A tale Programma è demandato il compito di fissare i macro-obiettivi e di definire «i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si attengono nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del presente decreto».

43. Viene in tal modo a configurarsi, cioè, un meccanismo pianificatorio “a cascata”, del tutto assimilabile a quello vigente in materia urbanistica (laddove, tuttavia, si intersecano anche molteplici previsioni settoriali specifiche), ove la disciplina di dettaglio è demandata all’amministrazione più vicina ai bisogni della collettività, in attuazione del principio di sussidiarietà verticale che tipicamente ispira la ripartizione multilivello di tale tipologia di competenze. Laddove in passato era configurabile un solo livello di programmazione, “guidata” dalle direttive statali, ora si configura la collocazione della stessa in una cornice, egualmente programmatoria, elaborata a livello centrale. La regia resta unitaria e sovraordinata, in modo da garantire la visione d’insieme delle criticità, individuandone soluzioni non necessariamente circoscritte al territorio.

44. Non è, dunque, soltanto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 a non rendere «[…] possibile far ricorso al principio dei poteri impliciti che, in quanto derogatorio del principio di legalità, va applicato in modo stringente per consentirne la compatibilità costituzionale», come affermato dal primo giudice. Esso costituisce semplicemente la conferma della ribadita necessità, con una norma peraltro sopravvenuta all’avvenuta attribuzione ad ARERA di poteri in materia di rifiuti, di un coordinamento statale nella individuazione delle scelte necessarie a chiudere in maniera efficiente il relativo ciclo.

45. Nell’uno (regolamento a carattere normativo), come nell’altro caso (programma nazionale) è lo Stato a dover indicare le regole, cui le Regioni daranno attuazione, in primo luogo attraverso il proprio strumento principe costituito dal PRGR. Alla indicazione di “principi”, si aggiunge (non si sostituisce) un vero e proprio “Programma” – dizione più ampia e per questo più ambiziosa di quella di “Piano” in quanto implica una direttrice di sviluppo delle politiche ambientali in materia di rifiuti – che tiene conto delle problematiche per l’ambiente, localizzando le maggiori e individuando i siti più idonei per impiantistica di interesse sovraregionale, ma nel contempo mettendo a regime le potenzialità economiche della intrinseca natura di risorsa di un rifiuto recuperato a diverso utilizzo.

46. D’altro canto, il necessario bilanciamento tra contrapposti interessi egualmente tutelati dalla Costituzione (la tutela dell’ambiente, da un lato, in tutte le sue implicazioni, da un lato e le ragioni dell’imprenditoria privata, dall’altro) non può essere rimesso alla singola Regione in assenza di scelte dello Stato, che, ove richiedono elaborazioni concettuali, dovranno assumere veste necessariamente normativa; ove siano correlate a situazioni concrete di deficit, necessitano comunque di un’angolazione prospettica equidistante e complessiva, come tale capace di valutare necessità e priorità nonché di imporre conseguentemente il sacrificio dell’una a discapito di altra.

47. Non a caso, laddove il legislatore ha inteso fornire indicazioni per migliorare il sistema gestionale attraverso le regole tariffarie, lo ha detto espressamente: si pensi a quanto disposto dall’art. 1, comma 667, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità del 2014), come modificato dall’art. 42, comma 1, della legge n. 221 del 2015, in forza del quale è stato emanato il d.m. 20 aprile 2017, che disciplina i criteri per la realizzazione da parte dei Comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati.

48. L’ARERA, pertanto, nel fornire i criteri per individuare gli “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, non solo ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, che il legislatore non ha inteso delegarle, neppure nelle più recenti novelle di settore (v. la legge del 2020 che ha introdotto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006); ma ha di fatto arricchito di contenuti ad esso estranei il potere pianificatorio delle Regioni, individuando la soluzione “normativa” alle criticità impiantistiche nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza.

49. Quanto ai documenti di consultazione prodromici all’adozione della deliberazione, se un qualche valore può essere attribuito all’auspicio, di cui al primo di tali documenti (documento di consultazione 196/2021/R/RIF), che la futura programmazione nazionale di cui all’art. 198-bis del Codice dell’ambiente divenga «un’utile occasione per ridefinire il fabbisogno impiantistico nazionale (che richiederebbe comunque un meccanismo di aggiornamento periodico, al fine di accrescere l’efficacia degli strumenti di programmazione regionale) tanto da essere individuato nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” come riforma necessaria “ ad evitare procedure di infrazione sui rifiuti [e a consentire] di colmare lacune impiantistiche e gestionali”, a fronte “ delle evidenze [segnalate] dalla Commissione Europea sull’assenza di una rete integrata di impianti di raccolta e trattamento rifiuti attribuibile all’insufficiente capacità di pianificazione delle regioni e, in generale, alla debolezza della governance”», esso non può che coincidere con quello attribuitogli dal primo giudice. Quand’anche, tuttavia, non si voglia seguire la linea di attribuire al cambiamento di impostazione che pare trasparire dal raffronto tra il contenuto dei due documenti di consultazione un preciso significato in senso rafforzativo della consapevolezza originaria dell’esatta ripartizione delle competenze, superata per esigenze di celerità, ciò non inficia la ricostruzione fornita. Resta infatti la circostanza oggettiva che l’intento di ARERA è stato palesato nel secondo documento di consultazione, in coerenza o in contraddizione, a seconda della lettura datane, con quanto affermato nel precedente, preannunciando l’adozione del metodo MTR-2 per come poi concretamente effettuato, «mediante un coinvolgimento attivo delle Regioni», laddove «le tempistiche di adozione di tale intervento [ovvero di approvazione del Programma, che necessita di condivisione in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281/1997] non si rivelino compatibili con quelle richieste per il varo degli atti necessari alle determinazioni tariffarie per il secondo periodo regolatorio)». E ciò appare sufficiente a salvaguardarne la valenza partecipativa delle consultazioni, peraltro non messa in dubbio da nessuna delle parti in causa.

50. La carenza di potere e il vizio di incompetenza che affligge la delibera di ARERA si riverbera inevitabilmente sulle deliberazioni e sugli atti regionali adottati in esecuzione della stessa (quanto al Piano regionale dei rifiuti, limitatamente alla parte di interesse).

51. Quanto detto in merito all’infondatezza degli appelli nn.r.g. 3135/2023, 3140/2023 e 3169/2023, rende superfluo scrutinare le censure riproposte dalla Società, in quanto assorbite nella prospettata decisione di merito.

52. Rimane da esaminare il diverso contenuto del ricorso n.r.g. 4168 del 2023 con il quale la Cooperativa Nuova San Michele ha impugnato il capo della sentenza del T.a.r. per la Lombardia di declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti, ravvisando la competenza territoriale del T.a.r. per il Lazio a decidere su un provvedimento, quale il PNGR, avente efficacia su scala nazionale. Avendo il paragrafo 5.2. del Programma recepito acriticamente, inglobandolo, il contenuto della deliberazione di ARERA n. 363 del 2021, esso costituirebbe atto conseguente del precedente, con conseguente riverbero sullo stesso dei medesimi vizi che inficiano l’atto presupposto. Esso inoltre sarebbe affetto da vizi propri, ivi compresa l’incompetenza.

53. Il Collegio ha già chiarito la natura del Programma nazionale di gestione dei rifiuti introdotto dall’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2016. La finalità che lo contraddistingue, anche in relazione agli impegni assunti dall’Italia con la presentazione del PNRR, lo rende ontologicamente autonomo, pure in ragione della sua assoluta novità contenutistica. Vero è, tuttavia, che al paragrafo 5.1 del Programma, recante la dicitura «tassonomia ARERA per gli impianti di trattamento dei rifiuti urbani», richiama i contenuti della deliberazione di ARERA MTR-2, qualificandola in termini di avvenuta introduzione di un criterio classificatorio da parte dell’Autorità a soli fini di assoggettamento alla regolazione dei costi riconosciuti e alla determinazione delle tariffe di conferimento secondo i criteri stabiliti. Egualmente vero è che il Ministero mostra in verità di condividere le opzioni dell’Autorità, evidentemente non ravvisando nella relativa estrinsecazione alcuna invasione delle proprie competenze. Si legge infatti ancora nel richiamato paragrafo: «Tale classificazione deriva dagli obiettivi che hanno guidato da subito l’azione di ARERA, con riferimento specifico alle attività di trattamento a valle della filiera di gestione dei rifiuti, riconducibili in particolare a due principali direzioni strategiche. Da un lato, la promozione della capacità del sistema locale (regionale o di macroarea) di gestire integralmente i rifiuti, con una forte attenzione al profilo infrastrutturale del settore, per ricomporre i divari territoriali e le carenze impiantistiche rilevate, favorendo così anche il pieno esplicarsi degli stimoli concorrenziali al raggiungimento dell’efficienza allocativa; dall’altro lato, lo sfruttamento ottimale delle potenzialità di valorizzazione economica insite nelle diverse filiere dei rifiuti, incentivando lo sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative ed ambientalmente sostenibili, penalizzando oltremodo lo smaltimento in discarica, in coerenza con i target di carattere ambientale dettati dal quadro euro-unitario e nazionale».

53.1. Il successivo paragrafo 9.6, infine, in maniera ancor più specifica con riguardo all’attività di pianificazione delle Regioni e alla classificazione degli impianti – non a caso indicate congiuntamente – richiama come adempimento necessario e propedeutico l’analisi dei flussi per tracciare i rifiuti e colmare i gap impiantistici, e l’applicazione della metodologia LCA (life cycle assessment) in funzione della ricognizione e classificazione degli impianti di trattamento, ricordando come le stesse siano state «richieste da ARERA secondo la tassonomia illustrata nel Capitolo 5, e ai connessi adempimenti ai sensi della deliberazione 363/2021/R /rif recante il Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025, con specifico riferimento alla determinazione delle tariffe di accesso per il trattamento dei rifiuti conferiti». Ora, anche a prescindere dalla successiva precisazione in forza della quale «[…] le scelte in ordine alla qualificazione degli impianti di chiusura del ciclo come “minimi” devono trovare adeguata giustificazione e sviluppo nei pertinenti atti di programmazione regionale», il significato di convalida, recepimento, ovvero mero richiamo da attribuire a ridette affermazioni esulano dal perimetro dell’odierna decisione. La riproposizione delle relative indicazioni nel Programma, «che costituisce in realtà la corretta sedes materiae, date le competenze individuate dall’art. 198-bis del Codice dell’Ambiente» (punto 12), sposta effettivamente sull’analisi dello stesso, da effettuare in primo luogo nella pertinente sede territoriale, l’asse della problematica futura, collocando le scelte pianificatorie regionali nell’ambito della disciplina transitoria ivi prevista. In sintesi, vuoi che la delibera n. 363 del 2021 sia un mero “fatto storico” di cui il Programma nazionale dà atto, vuoi che, viceversa, nel farlo ridetto Programma ne abbia recepito i contenuti, operando la novazione della fonte ipotizzata da ARERA, ciò non può che valere pro futuro e riguardare l’esatta portata e l’eventuale illegittima di quella (nuova) previsione, non la correttezza dell’attuale.

54. Per tutto quanto sopra detto devono dunque essere respinti gli appelli nn.r.g. 3135/2023, 3140/2023, 3160/2023 e 4168/2023, previamente riuniti, e conseguentemente confermata la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 486 del 2023, con le precisazioni di cui in narrativa.

55. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339).

56. La complessità della materia trattata giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti n.r.g. 3135/2023, 3140/2023, 3160/2023 e 4168/2023, li respinge.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere

Stefano Filippini, Consigliere

L’ESTENSORE
Antonella Manzione

IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato

IL SEGRETARIO

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