DIRITTO DEL LAVORO – Mancata applicazione di norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne – Pregiudizio ai danni del cittadino italiano – Vantaggio al cittadino dell’Unione Europea – Effetto discriminatorio – Discriminazione alla rovescia del cittadino italiano rispetto al cittadino U.E. che si muova in senso transfrontaliero – Libera circolazione fra gli Stati membri – Irragionevole pregiudizio – Vantaggio riconosciuto allo straniero – Concorrenza rispetto alla pretesa ad un bene limitato – Diverso trattamento – Motivo di discriminazione – Vantaggio attribuito all’uno e disconosciuto all’altro – Disparità irragionevole e pregiudizievole – Anzianità di servizio – Svolgimento di analoga attività sanitaria – Appartenenza al comparto o ai sistemi ad esso equiparati – Omogeneità operativa – Organizzazione sanitaria – Organizzazione militare – Anzianità interna all’organizzazione di comparto – Principio di buon andamento – Settore sanitario pubblico civile – Principi di non discriminazione – Pretesa ad una posizione specifica – Cittadino di altro Stato membro in favore del quale, per i principi di libera circolazione, sia stata riconosciuta l’anzianità pregressa – Anzianità pregressa svolta al di fuori dal comparto – Riequilibrio delle posizioni degli interessati – Riconoscimento al medico interno dell’anzianità maturata anche in altro comparto – Art. 53 l. n.234/2012 – Art. 14-bis, co. 2, l. n.11/2005. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Marzo 2024
Numero: 5967
Data di udienza: 5 Dicembre 2023
Presidente: MAROTTA
Estensore: BELLÈ
Premassima
DIRITTO DEL LAVORO – Mancata applicazione di norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne – Pregiudizio ai danni del cittadino italiano – Vantaggio al cittadino dell’Unione Europea – Effetto discriminatorio – Discriminazione alla rovescia del cittadino italiano rispetto al cittadino U.E. che si muova in senso transfrontaliero – Libera circolazione fra gli Stati membri – Irragionevole pregiudizio – Vantaggio riconosciuto allo straniero – Concorrenza rispetto alla pretesa ad un bene limitato – Diverso trattamento – Motivo di discriminazione – Vantaggio attribuito all’uno e disconosciuto all’altro – Disparità irragionevole e pregiudizievole – Anzianità di servizio – Svolgimento di analoga attività sanitaria – Appartenenza al comparto o ai sistemi ad esso equiparati – Omogeneità operativa – Organizzazione sanitaria – Organizzazione militare – Anzianità interna all’organizzazione di comparto – Principio di buon andamento – Settore sanitario pubblico civile – Principi di non discriminazione – Pretesa ad una posizione specifica – Cittadino di altro Stato membro in favore del quale, per i principi di libera circolazione, sia stata riconosciuta l’anzianità pregressa – Anzianità pregressa svolta al di fuori dal comparto – Riequilibrio delle posizioni degli interessati – Riconoscimento al medico interno dell’anzianità maturata anche in altro comparto – Art. 53 l. n.234/2012 – Art. 14-bis, co. 2, l. n.11/2005. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 05 marzo 2024 (Ud. 05/12/2023), Sentenza n. 5967
DIRITTO DEL LAVORO – Art. 53 l. n. 234 del 2012 – Art. 14-bis, co. 2, l. n. 11 del 2005 – Mancata applicazione di norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne – Pregiudizio ai danni del cittadino italiano – Vantaggio al cittadino dell’Unione Europea – Effetto discriminatorio – Discriminazione alla rovescia del cittadino italiano rispetto al cittadino U.E. che si muova in senso transfrontaliero – Libera circolazione fra gli Stati membri – Irragionevole pregiudizio – Vantaggio riconosciuto allo straniero – Concorrenza rispetto alla pretesa ad un bene limitato – Diverso trattamento – Motivo di discriminazione – Vantaggio attribuito all’uno e disconosciuto all’altro – Disparità irragionevole e pregiudizievole.
L’art. 53 della l. n. 234 del 2012, come anche il previgente art. 14-bis, co. 2, della l. n. 11 del 2005, si interpreta nel senso che non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne quando, nella regolazione di medesimo caso, quelle disposizioni comportino al contempo un pregiudizio ai danni del cittadino italiano ed un vantaggio al cittadino dell’Unione Europea, in tal modo realizzando in concreto un effetto discriminatorio ai danni del primo. Invero, è indubbio che l’art. 53 cit. sia norma che serve ad evitare la discriminazione “al contrario” per i cittadini italiani, allorquando un certo trattamento sia da riconoscere, per lo più in ragione della tutela della libertà di circolazione fra gli Stati membri, al cittadino dell’Unione Europea. Ragionando in termini di discriminazione alla rovescia del cittadino italiano rispetto al cittadino U.E. che si muova in senso transfrontaliero, non si può però non rilevare che il cittadino italiano non è in sé portatore di una condizione minoritaria, né si inserisce in una categoria di persone che possa dirsi diversa rispetto alla generalità. Infatti, egli è sottoposto alla medesima disciplina e limitazioni degli altri cittadini italiani, mentre è il cittadino straniero che, trovandosi in una condizione diversa, perché destinato a spostarsi in un altro Paese, è per ciò destinatario, secondo il diritto dell’Unione e poi il diritto interno, di una regola speciale di protezione, funzionale alla libera circolazione fra gli Stati membri. Il trattamento ordinariamente proprio del diritto interno non è necessariamente ragione di pregiudizio in sé, in quanto esso può derivare da una disciplina la quale, per propri fini, regola in un certo modo, per quanto più rigoroso o restrittivo, certe situazioni, ma rispetto a tale regola interna tutti i cittadini italiani si trovano in analoga condizione. L’interferire della situazione tutelata dello straniero con quella più rigorosamente regolata per il cittadino italiano, nel passaggio dal piano astratto a quello concreto, può, però, tradursi in un irragionevole pregiudizio per il secondo, che in questo caso non è che non acquisisca un vantaggio che l’ordinamento interno attribuisce allo straniero per evitare che vi siano effetti di ostacolo al trasferimento tra diversi Paesi, ma può risultare prevaricato dallo straniero e proprio per il vantaggio riconosciuto a quest’ultimo. Infatti, se lo straniero ed il cittadino dello Stato membro siano visti nella loro concorrenza rispetto alla pretesa ad un bene limitato (ad es., con riferimento al caso di specie, accesso regolato in ragione dell’anzianità di servizio a migliori posizioni di carriera; accesso a turnazioni favorevoli), il diverso trattamento può diventare motivo di discriminazione, perché, in quelle situazioni convergenti, il vantaggio attribuito all’uno (qui, valorizzazione dell’anzianità dello straniero per l’intero lavoro pregresso) e disconosciuto all’altro (mancata valorizzazione dell’anzianità per il medico nazionale che abbia operato presso altri enti) è fonte di disparità irragionevole e pregiudizievole. (Nel caso di specie il ricorrente pone a base della propria prospettazione antidiscriminatoria il fatto che il medico straniero di qualsiasi struttura pubblica, ivi comprese in ipotesi quelle militari, se si trasferisca in Italia e sia assunto presso una struttura della sanità pubblica, abbia diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel Paese straniero, ivi compresa quella ancora in ipotesi maturata nel settore militare, come anche però in ogni altra struttura pubblica).
DIRITTO DEL LAVORO – Anzianità di servizio – Svolgimento di analoga attività sanitaria – Appartenenza al comparto o ai sistemi ad esso equiparati – Omogeneità operativa – Organizzazione sanitaria – Organizzazione militare – Anzianità interna all’organizzazione di comparto – Principio di buon andamento – Settore sanitario pubblico civile – Principi di non discriminazione – Pretesa ad una posizione specifica – Cittadino di altro Stato membro in favore del quale, per i principi di libera circolazione, sia stata riconosciuta l’anzianità pregressa – Anzianità pregressa svolta al di fuori dal comparto – Riequilibrio delle posizioni degli interessati – Riconoscimento al medico interno dell’anzianità maturata anche in altro comparto.
Sul piano del diritto interno, la delimitazione degli istituti retributivi non è stata calibrata, quanto a rilievo dell’anzianità di servizio, sul mero svolgimento di un’analoga attività sanitaria, ma sull’appartenenza al comparto o ai sistemi ad esso equiparati, quale conseguenza di una valorizzazione normativa discrezionale e non irrazionale, perché da connettere all’inserimento in enti caratterizzati da una loro omogeneità operativa, ampiamente intesa come riguardante sia le prestazioni mediche, sia tutto quanto comporta il risalire alla medesima tipologia generale di organizzazione sanitaria, inevitabilmente differenziata, sul piano strutturale ed ordinamentale, rispetto a quella militare o di altri settori. Tutto ciò delinea un assetto complessivamente finalizzato a valorizzare la sola anzianità “interna” all’organizzazione di “comparto”, il che, in una visione prospettica più allargata, costituisce a ben vedere il modo in cui, attraverso l’operare sinergico della legge e della contrattazione collettiva, è stato attuato, in tale ambito, il principio di buon andamento (art. 97 Cost.), secondo una discrezionalità non irrazionalmente indirizzata non solo alla mera anzianità lavorativa, ma anche all’inserimento nel sistema del settore sanitario pubblico “civile” destinato alla generalità degli utenti. Ciò non toglie tuttavia che, in ragione dei principi di non discriminazione, tutto muti allorquando, rispetto alla pretesa ad una posizione specifica – e dunque ad un bene limitato – il cittadino italiano munito di quelle esperienze entri in conflitto con il cittadino di altro Stato membro in favore del quale, per i principi di libera circolazione, sia stata riconosciuta l’anzianità pregressa, pur se ovviamente svolta al di fuori dal comparto. In tali evenienze, l’art. 53 della l. n. 234 del 2012 imporrebbe, pur in assenza di norme interne di adattamento, il riequilibrio delle posizioni degli interessati sulla base di una valutazione di discriminatorietà basata sui dati comuni esistenti (attività svolta/appartenenza alla pubblica amministrazione), onde ottenere, una tantum, l’evitamento dell’effetto discriminatorio concreto, attraverso il riconoscimento al medico interno dell’anzianità maturata anche in altro comparto. (Nella fattispecie in esame, il ricorrente, oltre a rivendicare in modo generico la parificazione ad un potenziale medico di altro Stato membro che sia equiparato al dirigente medico del comparto per effetto dell’art. 5, d.l. n. 98/2008, quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69/2013, non ha tuttavia evidenziato il verificarsi di una tale situazione di conflitto e la concretezza quindi del rischio di discriminazione).
(conferma sentenza n. 840/2016 – CORTE D’APPELLO di BOLOGNA), Pres. Marotta, Est. Bellè, Mogavero (avv. Santomassimo) c. Azienda USL della Romagna (avv. Zoli)
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 05/03/2024 (Ud. 05/12/2023), Sentenza n. 5967SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7587/2017 R.G. proposto da:
T. MOGAVERO, rappresentato e difeso dall’Avv. LUIGI SANTOMASSIMO ed elettivamente domiciliato in Roma, viale Carso 14 presso lo studio dell’Avv. GIOVANNI SABATELLI
– ricorrente –
CONTRO
AZIENDA USL DELLA ROMAGNA, in persona del procuratore speciale dott. Vilma Muccioli, rappresentata e difesa dall’Avv. CARLO ZOLI ed elettivamente domiciliata in Roma, via Faravelli 21, presso lo studio dell’Avv. ROBERTO ROMEI
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 840/2016, depositata il 7.11.2016, RG 1/2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.12.2023 dal Consigliere ROBERTO BELLE’;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale STEFANO VISONÀ, che ha concluso per l’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso;
uditi l’Avv. LUIGI SANTOMASSIMO per il ricorrente e l’Avv. FRANCO RAIMONDO BOCCIA per delega verbale dell’Avv. ROBERTO ROMEI per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. T. Mogavero, medico di anestesia, ha agito nei confronti della Azienda USL della Romagna (di seguito AUSL) ed ha esposto di essere stato assunto da essa nel 2007, in esito a concorso, provenendo dal Ministero della Difesa, ove aveva lavorato come medico militare nella medesima specialità.
Nell’assunzione presso la AUSL egli era stato inquadrato come neoassunto, non essendosi tenuto conto dell’anzianità pregressa. Ha quindi domandato la ricostruzione della carriera a fini giuridici ed economici, con il riconoscimento dell’anzianità pregressa nello status di medico ospedaliero militare ed ogni conseguenza quanto a differenze retributive, previdenziali, indennitarie e di ferie, evidenziando, tra le varie difese, che i medici di altri Paesi dell’Unione Europea che si trasferiscano presso strutture pubbliche italiane, hanno diritto, ai sensi dell’art. 5 d.l. n. 59 del 2008 conv. con mod. in L. n. 101/2008 e quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69 del 2013, conv. con mod. in L. n. 98 del 2013, al riconoscimento dell’anzianità maturata presso le strutture pubbliche straniere. Pertanto, insisteva il ricorrente, richiamando poi anche il disposto dell’art. 53 L. 234/2012 e del precedente art. 14-bis L. 11/2005, di significato analogo, doveva essere riconosciuto in suo favore identico trattamento, per effetto del servizio prestato come medico della struttura pubblica militare.
2. La domanda è stata rigettata in primo e secondo grado.
In particolare, la Corte d’Appello, pur ritenendo in astratto ineccepibile la ricostruzione giuridica operata dal ricorrente in tema di diritto antidiscriminatorio, ha ritenuto la mancanza di allegazioni rispetto al fatto che, negli altri paesi dell’ U.E., fosse assicurato il riconoscimento della continuità tra servizio medico militare e servizio nella sanità “civile” pubblica, sicché sarebbe stato carente un elemento necessario al giudizio comparativo richiesto.
3. T. Mogavero ha proposto ricorso per cassazione in base a quattro motivi, resistiti da controricorso della AUSL.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta con cui ha concluso per l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Sono in atti memorie di ambo le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per mancanza della firma del Presidente del collegio giudicante.
Il motivo è infondato, come risulta dalla copia autentica della sentenza depositata dalla controricorrente, che riporta la sottoscrizione autografa del Presidente, così come anche la copia depositata dal ricorrente riporta la sottoscrizione autografa dell’estensore e del Cancelliere, a riprova del trattarsi di atto cartaceo e non telematico.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione dell’art. 77 nn. 1 e 4 del Regolamento U.E. 492/2011, degli artt. 45, 46 e 48 TFUE, dell’art. 53 della L. n. 234/2012 e dell’art. 5, co. 1, d.l. n. 59 del 2008, conv. con mod. in L. n. 101/2008, quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69/2013 conv. con mod. in L. n. 98 del 2013. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha preteso, per attribuire la tutela richiesta, la dimostrazione che presso tutti gli altri paesi dell’Unione Europea fosse previsto il riconoscimento del diritto a lui negato, evidenziando come la normativa antidiscriminatoria europea in materia di libera circolazione dei lavoratori si applichi a tutti i cittadini U.E., senza distinzione di status militare e civile, così come è per la disciplina antidiscriminatoria interna delle situazioni transfrontaliere (art. 5, co. 1, d.l. n. 59 del 2008 cit.).
Il terzo motivo assume la violazione, per errata interpretazione, delle stesse norme di cui al secondo motivo.
Il motivo censura la sentenza impugnata per avere preteso la necessità di allegare, al fine di ottenere la tutela richiesta, l’esistenza di una norma ad hoc per la sola categoria dei medici militari che, nei vari Paesi U.E., preveda il diritto al mantenimento dell’anzianità maturata al momento del passaggio, per concorso esterno, al servizio sanitario civile.
Il motivo ricostruisce poi l’iter logico-giuridico della tesi sostenuta e richiama la normativa di equiparazione delle esperienze professionali e dell’anzianità (art. 5, co. 1, d.l. n. 59 del 2008 cit.) nonché la norma interna di contrasto delle discriminazioni al contrario (art. 53 L. n. 234/2012), sottolineando che la stessa Corte di merito aveva ammesso come non fosse affatto predicabile in assoluto la disomogeneità ontologica dello status militare rispetto a quello civile, quanto allo svolgimento delle prestazioni mediche.
Il quarto motivo infine censura la sentenza impugnata per avere preteso un’allegazione, ovverosia il fatto che gli altri Paesi della U.E. valorizzassero i servizi medici resi nell’ambito militare, allorquando vi fosse passaggio al servizio sanitario civile, che era del tutto nuova e ciò senza sollecitare su di essa il dibattito delle parti, così incorrendo in extra e\o ultrapetizione, oltre che violazione del principio del contraddittorio.
3. I motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica.
4. Il ricorrente pone al centro della propria pretesa l’applicazione dell’art. 53 L. n. 234/2012 (e del precedente art. 14-bis L. n. 11/2005 di significato analogo) secondo cui «nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea».
Il ragionamento, come già osservato dalla Corte territoriale, è in sé lineare.
Il ricorrente – già medico militare di anestesia – ha poi vinto il concorso da dirigente presso la A.S.L.
Egli fa quindi rilevare che, per effetto di vari pronunciamenti della Corte di Giustizia e poi per il recepimento del principio nel diritto interno (art. 5, d.l. n. 59/2008 cit., quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69/2013 cit.) i medici di Paesi U.E. che si trasferiscano in Italia hanno diritto al riconoscimento dell’anzianità maturata presso le strutture sanitarie pubbliche del Paese di provenienza. Di conseguenza, secondo la tesi sostenuta nei motivi, in applicazione dell’art. 53 cit. ed al fine di evitare una discriminazione ai danni del medico interno che si trovi nelle condizioni sopra evidenziate, anche in suo favore dovrebbero essere riconosciuti i medesimi effetti, economici e di “carriera”, conseguenti all’anzianità di servizio maturata, seppure riferibile a settore – quello militare – diverso da quello specifico della sanità civile, ma pur sempre, anch’esso, “pubblico”.
5. Per affrontare il tema è necessario ampliare la visuale ad ulteriori norme, solo in parte menzionate dal ricorrente, per ricostruire l’assetto della disciplina di fonte primaria relativo alle discriminazioni “alla rovescia”.
5.1 Una prima norma è l’art. 2 della L. n. 62 del 2005, con la quale, nel fissare i “principi e criteri direttivi generali della delega legislativa” per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”, fu stabilito che «i decreti legislativi assicurano che sia garantita una effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri ed evitando l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani nel momento in cui gli stessi sono tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l’esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri».
5.2 Il ricorrente iniziò a lavorare presso la AUSL nel 2007 e successivamente intervenne l’art. 5 del d.l. n. 59 del 2008, conv. con mod. in L. n. 101 del 2008, norma di attuazione in via diretta (e non delegata) dei principi comunitari, secondo cui «le amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del principio di libera circolazione dei lavoratori di cui agli articoli 39 del Trattato che istituisce la Comunità europea e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, salve più favorevoli previsioni, valutano, ai fini giuridici ed economici, l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nell’esercizio di un’attività analoga a quella considerata rilevante e svolta presso pubbliche amministrazioni di un altro Stato membro, anche in periodi antecedenti all’adesione del medesimo all’Unione europea, o presso organismi dell’Unione europea secondo condizioni di parità rispetto a quelle maturate nell’ambito dell’ordinamento italiano».
La disposizione, come si vede, non regolò le ricadute per i cittadini interni a fini di equiparazione al lavoratore transfrontaliero, né poteva avere alcun effetto il citato art. 2 della L. n. 62 del 2005, quale mera norma di principi per il caso di intervento mediante decreti delegati.
5.3 Successivamente, con la L. n. 88 del 2009 è stato introdotto nella L. n. 11 del 2005 l’art. 14-bis, co.1, della L. n. 11 del 2005, composto di due commi.
Il primo comma ha stabilito che «le norme italiane di recepimento e di attuazione di norme e principi della Comunità europea e dell’Unione europea assicurano la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea residenti o stabiliti nel territorio nazionale e non possono in ogni caso comportare un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani».
Il secondo comma ha invece stabilito che «nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o stabiliti nel territorio nazionale». Si tratta di commi evidentemente destinati a due fenomeni diversi, come reso evidente dal loro raffronto. Il primo comma è norma di indirizzo – in linea con la precedente previsione di delegazione – delle future norme di “recepimento” o, a tutto concedere, di adattamento in senso non discriminatorio di norme successive di recepimento che comportassero effetti sfavorevoli per i cittadini italiani. Il secondo comma riguarda invece l’adattamento di norme preesistenti destinate a produrre effetti discriminatori. Ciò è reso evidente dal fatto che, se rispetto a qualsiasi norma, antecedente o successiva, avesse operato il primo comma, non vi sarebbe stato alcun bisogno del secondo comma.
Quindi, nel caso di specie e rispetto alla fattispecie generale di favore per il lavoratore transfrontaliero introdotta dall’art. 5 del d.l. n. 59 del 2008, rileva solo il secondo comma, la cui formulazione è identica a quella dell’art. 53 L. 234/2012, su cui si dirà.
5.4 Con la L. n. 234/2012, il sistema del recepimento ha subito un ulteriore riassetto, in sé coerente con l’interpretazione dell’art. 14-bis che si è sopra delineata, in quanto il contenuto del primo comma di quella norma, in quel frangente abrogata, è stato nella sostanza trasfuso nell’art. 32, co. 1, lett. i) di tale legge, solo come principio informatore per l’esercizio delle deleghe rispetto ai decreti legislativi di recepimento (secondo cui «è assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani»), mentre il secondo comma è stato trasfuso nell’art. 53 cit.
5.5 È poi intervenuta l’integrazione dell’art. 5 del d.l. n. 59 del 2008, ad opera del d.l. n. 69 del 2013, conv. con mod. dalla L. n. 98 del 2013, prevedendosi, per quanto qui interessa, che «relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, per le quali l’ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge 10 luglio 1960, n. 735, di uno Stato membro a quella di un altro Stato Membro. Sono inapplicabili le disposizioni normative e le clausole dei contratti collettivi contrastanti con il presente comma». Quindi, anche tale norma non ha regolato gli effetti verso gli italiani della norma di favore per i medici transfrontalieri.
Né esisteva più, come norme primaria “diretta”, l’art. 14-bis, co.1, cit. e dunque non è che da essa potessero trarsi elementi per ipotizzare un’integrazione in senso equiparativo. Tutto ancora si riporta dunque ai possibili effetti di adeguamento automatico conseguenti all’applicazione dell’art. 53 cit., nel significato che esso ora assume come norma di equiparazione.
5.6 L’abnorme intrico normativo non è tuttavia privo di senso. Esso esprime in sostanza l’esigenza che sia il legislatore (o, come nel lavoro pubblico privatizzato, la contrattazione collettiva che sia da esso legittimata a regolare tali aspetti) a gestire le equiparazioni, sull’evidente presupposto che esse possono andare ad incidere su situazioni disparate, in cui va assicurata la regolazione da parte del diritto interno, i cui scopi o indirizzi non possono esser vanificati de plano da una generalizzata parificazione e su ciò si tornerà anche di seguito.
È del resto in linea con quanto si va dicendo il fatto stesso che, per lo più, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la “discriminazione alla rovescia” conseguente all’attuazione nei singoli Paesi del diritto unitario – al di là di particolari che qui non rilevano – è considerata quanto ad effetti ultimi come questione di diritto interno.
6. Ciò posto, è indubbio che l’art. 53 cit. sia norma che serve ad evitare la discriminazione “al contrario” per i cittadini italiani, allorquando un certo trattamento sia da riconoscere, per lo più in ragione della tutela della libertà di circolazione fra gli Stati membri, al cittadino dell’Unione Europea. La formulazione della norma va ben intesa, anche sulla base di quanto si è sopra detto, in quanto essa non ha il contenuto proprio di una disposizione generale sulle fonti, con effetto di generale abrogazione del diritto interno incoerente rispetto alla disciplina da applicare nel nostro Paese ai cittadini UE, ma si esprime – significativamente per quanto si dirà – nel senso che in presenza di “effetti discriminatori”, non “trovano applicazione” le norme interne meno favorevoli.
6.1 La disciplina antidiscriminatoria ha in effetti connotazioni plurime.
Essa può intanto essere vista quale regola volta ad evitare che una particolare condizione minoritaria o diversa di certe categorie di persone (religione, convinzioni personali, disabilità, età, tendenze sessuali, razza, genere, lavori non standard e quindi a tempo determinato o parziale etc.) sia ragione di pregiudizio per chi ne è portatore.
La regola antidiscriminatoria, da questo punto di vista, opera neutralizzando il fattore speciale, talora, se del caso anche in attuazione dell’art. 3, co. 2, Cost., prevedendo vantaggi atti ad eliminare gli effetti sfavorevoli per chi si trovi in quella condizione.
6.2 L’art. 5, d.l. n. 59 del 2008 cit. nel disattivare, rispetto al cittadino di altro paese U.E., le regole interne che, «ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali», richiedono che l’ «esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità» per il caso di passaggio dalla struttura sanitaria pubblica o di interesse pubblico di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro, rimuove, al fine di tutelare la libera circolazione delle persone da Stato a Stato, un fattore dissuasivo che incide su una situazione particolare dell’interessato, data dalla sua operatività pregressa in un ente sanitario di altro Stato membro e dunque estraneo all’organizzazione del comparto ed area sanitaria del pubblico impiego interno.
6.3 Ragionando in termini di discriminazione alla rovescia del cittadino italiano rispetto al cittadino U.E. che si muova in senso transfrontaliero, non si può però non rilevare che il cittadino italiano non è in sé portatore di una condizione minoritaria, né si inserisce in una categoria di persone che possa dirsi diversa rispetto alla generalità.
Infatti, egli è sottoposto alla medesima disciplina e limitazioni degli altri cittadini italiani, mentre è il cittadino straniero che, trovandosi in una condizione diversa, perché destinato a spostarsi in un altro Paese, è per ciò destinatario, secondo il diritto dell’Unione e poi il diritto interno, di una regola speciale di protezione, funzionale alla libera circolazione fra gli Stati membri. Un’estensione tout court delle regole destinate a disciplinare la situazione di chi si muova in senso transfrontaliero costituirebbe dunque l’estensione di un vantaggio stabilito a tutela di una posizione differenziata, in assenza di quest’ultima e dunque sostanzialmente porterebbe a vanificare la diversa norma interna che quel vantaggio di regola non riconosce.
In tal modo, attraverso il concatenarsi dei raffronti, il fenomeno interferisce, alterandola, con la disciplina di diritto interno di un certo ambito o settore.
Detto altrimenti, il trattamento ordinariamente proprio del diritto interno non è necessariamente ragione di pregiudizio in sé, in quanto esso può derivare da una disciplina la quale, per propri fini, regola in un certo modo, per quanto più rigoroso o restrittivo, certe situazioni, ma rispetto a tale regola interna tutti i cittadini italiani si trovano in analoga condizione.
La rimozione di tali regole più rigorose o restrittive per effetto della parificazione allo straniero, tutelato per assicurare la sua libera circolazione, inertizzerebbe tout court la disciplina interna, quale mero effetto del ragionamento, rispetto alla discriminazione, per categorie astratte e comporterebbe l’estensione di un vantaggio, riconosciuto a tutela della situazione particolare di chi si muova lavorativamente in senso transfrontaliero, pur se il diritto nazionale regoli la situazione dei cittadini o degli operatori non transfrontalieri in altro modo.
Anche nella logica dell’eguaglianza formale, di cui all’art. 3 co. 1 Cost., non si potrebbe parlare di situazioni comparate in sé eguali e tali da sollecitare la medesima esigenza di tutela, in quanto quest’ultima riguarda lo straniero ed è funzionale alla libera circolazione transfrontaliera, che è in sé cosa differente dal riconoscimento di un’analoga tutela per il cittadino italiano, che si trasferisca nell’ambito del medesimo Paese.
6.4 Non a caso, in quella che è forse la più importante pronuncia resa in tema di discriminazioni alla rovescia, la Corte Costituzionale ha argomentato ipotizzando che, pur in presenza di norme di rango europeo che escludono, in ragione del principio di libera circolazione, l’applicazione di certi limiti per i prodotti stranieri (in quel caso, la pasta), gli Stati membri restano «liberi di adottare … una normativa che, senza toccare i prodotti importati, tenda a migliorare la qualità della produzione nazionale o a mantenerla conforme alle tradizioni alimentari interne, anche oltre quanto necessario per assicurare la tutela della salute umana e degli altri valori che, nel trattato, fungono da limite al principio di libertà della circolazione delle merci. Un eventuale atteggiamento di tolleranza nei confronti delle “discriminazioni a rovescio” rientrerebbe, insomma, per il diritto comunitario, tra le scelte consentite agli Stati membri, interamente rimesse alla loro libera autodeterminazione di Stati sovrani» (Corte Cost. 16 dicembre 1997, n. 443).
6.5 Tali considerazioni, qui giuridicamente condivise, confermano, mutatis mutandis, il permanere dell’autonomia del diritto interno nel regolare, pur escludendo quanto ostativo alla libera circolazione transfrontaliera, le situazioni che riguardano i cittadini italiani o comunque lo status di chi non sia operatore transfrontaliero. È dunque da escludere che vi siano esigenze che impongano una parificazione indiscriminata a livello di normative generali e del resto, come si è visto, l’art. 53 cit. non si esprime in tal senso, ma si limita richiedere la non applicazione del diritto interno quando si producano “effetti” discriminatori. Ciò è del resto del tutto logico, non potendosi pensare che, attraverso una norma generale primaria come quella del menzionato art. 53, si determini una parificazione di ogni regime di diritto interno a quello proprio del cittadino (o dell’impresa) straniera che fruisca delle tutele proprie del principio di libera circolazione.
È di tutta evidenza l’effetto dirompente che ne deriverebbe rispetto alla regolazione interna di un numero assai elevato di fenomeni giuridici e ciò – insieme con la formulazione testuale della disposizione – induce a concludere diversamente. Non si può non rilevare altresì che una tale interpretazione finirebbe per minare alla radice il fondamentale canone della certezza del diritto giacché, ove si attribuisse alla disposizione la natura di norma di adattamento automatico in tutte le imprecisate situazioni nelle quali rileva il trattamento riconosciuto (spesso in via pretoria) al cittadino che circola all’interno dell’Unione (trattamento che implica anche, in caso di limitazioni, la valutazione di caso in caso sulla sussistenza di ragioni di interesse pubblico che giustifichino l’eventuale diversità), ne deriverebbe un’assoluta indeterminatezza della disciplina, perché ogni consociato, per individuare il precetto al quale è tenuto a prestare rispetto, dovrebbe, di volta in volta, egli stesso stabilire se quel precetto sarebbe o meno applicabile allo straniero che circola all’interno dell’Unione, il che implica anche una valutazione riservata invece al legislatore, sulla sussistenza di interessi superiori, valorizzati dall’ordinamento eurounitario, in presenza dei quali potrebbe in ipotesi ammettersi la disparità.
In sostanza, come già si è detto analizzando le norme generali destinate a regole il rischio di discriminazione “a rovescio” è di regola il legislatore interno a dover regolare i complessi equilibri che derivano dall’adattamento a norme di favore per cittadini o imprese transfrontalieri.
6.6 Il ragionamento ha però un grado ulteriore di complessità, dato dal fatto che i temi della discriminazione e dell’uguaglianza assumono caratura diversa se le situazioni da comparare siano tali da entrare tra loro in conflitto concreto, perché allora il miglior trattamento attribuito agli uni può diventare fonte di pregiudizio per gli altri.
L’interferire della situazione tutelata dello straniero con quella più rigorosamente regolata per il cittadino italiano, nel passaggio dal piano astratto a quello concreto, può infatti tradursi in un irragionevole pregiudizio per il secondo, che in questo caso non è che non acquisisca un vantaggio che l’ordinamento interno attribuisce allo straniero per evitare che vi siano effetti di ostacolo al trasferimento tra in diversi Paesi, ma può risultare prevaricato dallo straniero e proprio per il vantaggio riconosciuto a quest’ultimo.
Infatti, se lo straniero ed il cittadino dello Stato membro siano visti nella loro concorrenza rispetto alla pretesa ad un bene limitato (ad es., con riferimento al caso di specie, accesso regolato in ragione dell’anzianità di servizio a migliori posizioni di carriera; accesso a turnazioni favorevoli), il diverso trattamento può diventare motivo di discriminazione, perché, in quelle situazioni convergenti, il vantaggio attribuito all’uno (qui, valorizzazione dell’anzianità dello straniero per l’intero lavoro pregresso) e disconosciuto all’altro (mancata valorizzazione dell’anzianità per il medico nazionale che abbia operato presso altri enti) è fonte di disparità irragionevole e pregiudizievole.
Anche da questo punto di vista va richiamato quanto argomentato da Corte Cost. n. 443/1997 cit., la quale, pur sulla base di premesse sopra richiamate, è però poi pervenuta alla declaratoria di illegittimità della normativa di imposizione dell’uso di certi prodotti per la produzione della pasta – poste a tutela della tradizione nazionale – allorquando, analizzando la questione sub specie dell’art. 3 Cost. ha affermato come «nel giudizio di eguaglianza affidato a questa Corte non possono essere ignorati gli effetti discriminatori che l’applicazione del diritto comunitario è suscettibile di provocare», nell’operare – si badi bene – rispetto a «imprese che agiscono sullo stesso mercato in rapporto di concorrenza». È dunque sul piano del convergere di pretese rispetto ad un bene limitato che si manifesta un conflitto che va giuridicamente risolto.
In proposito, così come l’alterazione della concorrenza ha ispirato, nella pronuncia della Consulta, il rilievo di illegittimità costituzionale, nel generalizzare il principio, va detto che l’alterazione delle posizioni del cittadino interno e di quello straniero rispetto alla pretesa ad un certo bene può realizzare un insanabile contrasto di pretese (ad es., una certa posizione apicale etc.) che giustifica il correttivo giuridico.
6.7 In questa logica diviene ulteriormente chiaro il senso dell’art. 53 cit., la cui formulazione testuale, come si è già detto, stabilisce che “non trovano applicazione” – ma non che sono abrogate – le norme interne che realizzano “effetti discriminatori”, sicché da esse si prescinde se in concreto vi sia una discriminazione per un cittadino italiano che entri in concorrenza con un cittadino straniero tutelato dalle regole di garanzia della libera circolazione delle persone.
In sostanza, l’art. 53 cit. consente il superamento in concreto di un effetto discriminatorio, ma non comporta che, in assenza dei presupposti di quello specifico conflitto, si debba ritenere superato – in mancanza di opportuni interventi del legislatore – un intero sistema interno di regolazione differenziale.
6.8 Tutto ciò comporta che il determinarsi di una diversità di disciplina tra il cittadino straniero ed il cittadino italiano che operano sul piano transfrontaliero assume rilevanza, ai sensi dell’art. 53 se, in concreto, si manifesti un effetto discriminatorio in pregiudizio del cittadino interno.
In tal caso, se l’effetto riguardi singole situazioni contingenti, l’art. 53 cit. consente di operare attraverso una parificazione operata mediante la disapplicazione delle norme interne che prevedano limiti sfavorevoli al cittadino italiano, di modo da equipararlo – nei casi marginali in cui ciò rilevi – al cittadino di altro Stato membro che si sia trasferito ad operare in Italia.
Se invece l’effetto discriminatorio o la concorrenza tra situazioni interne e transfrontaliere siano strutturalmente tali, per la diffusività e ineludibilità del conflitto, da non consentire il rimedio attraverso il meccanismo di parificazione una tantum ai sensi dell’art. 53, la soluzione giuridica non potrebbe che essere diversa, potendosi ipotizzare la proposizione dell’incidente di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost. (Cass. 4 marzo 1996, n. 1665 e del resto ciò è quanto accaduto nel caso di Corte Costituzionale n.443/1997 cit.), oppure altre soluzioni o ancora, qualora si tratti di previsioni della contrattazione collettiva, potendosi ritenere che quest’ultima sia invalida per violazione del principio di uguaglianza. Ma non è questo quanto accade nel caso del medico transfrontaliero, in quanto esso solo occasionalmente può determinare conflitti – e quindi necessità di interventi antidiscriminatori – con i medici interni e dunque non vi è luogo ad approfondimenti sul punto.
7. Certamente, l’equiparazione del cittadino italiano allo straniero opera poi anche su un altro piano, che deriva da un’interpretazione inevitabilmente onnicomprensiva delle norme che agevolano la circolazione tra gli Stati membri.
Deve in particolare ritenersi che, per identità di situazione, la disciplina di favore per il cittadino transfrontaliero degli altri Stati membri si applichi anche al cittadino italiano che rientri dopo avere vissuto od operato in altro Stato membro. Parificazione che peraltro, in casi come quello di specie è in buona parte già insita nel fatto che sia per i medici transfrontalieri di ambito U.E., sia per i medici italiani che si trasferiscano in Italia da strutture straniere, la disciplina è quella comune di cui alla L. n. 735 del 1960, richiamato, per i cittadini U.E., dall’art. 5, d.l. n. 98/2008 cit., quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69/2013 cit.
8. Trasponendo alla vicenda oggetto di causa le considerazioni giuridiche generali sopra svolte, si può intanto rilevare l’indubbia erroneità delle valutazioni che fondano la pronuncia di appello.
8.1 Infatti, il ricorrente non pone a base della propria prospettazione antidiscriminatoria il fatto che all’interno degli altri Paesi U.E. chi operi come medico nel settore militare non subisca decurtazioni di anzianità quando transiti nella sanità pubblica generale, ma il fatto che il medico straniero di qualsiasi struttura pubblica, ivi comprese in ipotesi quelle militari, se si trasferisca in Italia e sia assunto presso una struttura della sanità pubblica, abbia diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel Paese straniero, ivi compresa quella ancora in ipotesi maturata nel settore militare, come anche però in ogni altra struttura pubblica.
È dunque evidente l’irrilevanza del trattamento che i Paesi U.E. destinino ai medici militari.
9. Superando quindi tale ragionamento e passando a quanto dibattuto in causa si può osservare, pur nella genericità delle pretese prospettate dal ricorrente, quanto segue.
9.1 Quanto all’indennità di esclusività si deve rilevare come questa S.C. (Cass. 3 marzo 2011, n. 5139) abbia ritenuto che l’art. 5 del CCNL per la dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, come autenticamente interpretato dal CCNL 12 luglio 2002, stipulato ai sensi dell’art. 64, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, esclude la conservazione dell’anzianità di servizio, già maturata alle dipendenze di istituti di cura a carattere scientifico ovvero negli ospedali militari, a favore dei dirigenti delle aziende sanitarie locali assunti dopo l’entrata in vigore del CCNL 5 dicembre 1996, senza che, in senso contrario, rilevi la previsione generale contenuta nell’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980 – che equipara il trattamento economico dei docenti universitari e dei ricercatori operanti presso ospedali convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale a quello spettante al personale delle unità sanitarie locali – avendo la norma contrattuale carattere speciale, sicché, ai fini della determinazione dell’indennità di esclusività, non può essere riconosciuto, a detto personale, il servizio svolto presso le precedenti amministrazioni di appartenenza.
In sostanza, la S.C. sul tema ha salvaguardato l’assetto delineato dalla contrattazione collettiva, la quale a propria volta ha tratto evidentemente ispirazione dalla necessità di assicurare tutela al più ampio assetto del servizio in regime di esclusività delineato dall’art. 15-quater e 15-quinquies d. lgs. n. 502/1992, come conseguenza di una strutturazione normativa intesa a valorizzare il servizio svolto quanto meno negli enti di comparto o nei servizi (v. ad es. i medici “universitari” per effetto dell’art. 5, co. 3, d. lgs. n. 517/1999 e dell’art. 15-quinquies, cit., co. 9) che espressamente la legge equipara ad essi.
9.2. Non diversamente, rispetto alla retribuzione di posizione, in un caso particolare di equiparazione di un medico transitato dall’Amministrazione degli Interni a quella sanitaria, Cass., 10 aprile 2017, n. 9161 ha ritenuto che l’anzianità da prendere in considerazione è quella maturata nello svolgimento delle funzioni all’interno del comparto sanità, ai sensi dell’art. 3 del CCNL dell’8 giugno 2000 area dirigenza medica e veterinaria, parte economica per il biennio 2000-2001. Ciò richiamando anche la previsione generale dell’art. 12 dello stesso CCNL del 8.6.2000, che al comma 3 prevede che «con riferimento alle norme in cui è richiesta esperienza professionale si deve intendere: (omissis) b) ai fini dell’applicazione degli artt. 3 e 5 l’anzianità complessiva, con rapporto di lavoro a tempo determinato ed , maturata alle date previste dalle norme, senza soluzione di continuità anche in aziende ed enti diversi del comparto» (v. poi, anche l’art. 24, co.
12, CCNL 2002-2005), così ulteriormente esplicitandosi che l’anzianità rilevante ai fini della previsione in questione è quella maturata nell’ambito del comparto, sebbene a prescindere dalla tipologia di contratto applicato (a tempo determinato o indeterminato).
9.3 E’ quindi evidente che – sul piano del diritto interno – la delimitazione dei menzionati istituti retributivi non è stata calibrata, quanto a rilievo dell’anzianità di servizio, sul mero svolgimento di un’analoga attività sanitaria, ma sull’appartenenza al comparto o ai sistemi ad esso equiparati, quale conseguenza di una valorizzazione normativa discrezionale e non irrazionale, perché da connettere all’inserimento in enti caratterizzati da una loro omogeneità operativa, ampiamente intesa come riguardante sia le prestazioni mediche, sia tutto quanto comporta il risalire alla medesima tipologia generale di organizzazione sanitaria, inevitabilmente differenziata, sul piano strutturale ed
ordinamentale, rispetto a quella militare o di altri settori.
9.4 Esclusioni simili hanno del resto riguardato, ai fini dello sviluppo economico della carriera in caso di assunzione a seguito di pubblico concorso, il personale degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Cass. 18 aprile 2012, n. 6032) e (Cass. 17 settembre 2015, n. 18233; Cass. 14 marzo 2012, n. 4060) anche il personale dapprima operante in regime di convenzione.
9.5 Tutto ciò delinea un assetto complessivamente finalizzato a valorizzare la sola anzianità “interna” all’organizzazione di “comparto”, il che, in una visione prospettica più allargata, costituisce a ben vedere il modo in cui, attraverso l’operare sinergico della legge e della contrattazione collettiva, è stato attuato, in tale ambito, il principio di buon andamento (art. 97 Cost.), secondo una discrezionalità non irrazionalmente indirizzata, come si è detto, non solo alla mera anzianità lavorativa, ma anche all’inserimento nel sistema del settore sanitario pubblico “civile” destinato alla generalità degli utenti.
Ciò esclude che il discrimine su cui ruota la disciplina collettiva appena esaminata – fino a modifica di essa – possa dirsi indebitamente irragionevole e come tale invalido.
10. Analoghe considerazioni valgono quanto all’accesso agli incarichi che, in sede di «prima assunzione», secondo l’art. 28, co. 1, CCNL 6.6.2000 (normativo 1998-2001, economico 1998-1999) possono essere «solo incarichi di natura professionale» di cui all’art. 27, co. 1 lett. d), mentre incarichi diversi possono derivare esclusivamente dal positivo svolgimento del primo quinquennio di attività, comprensivo (art. 15, co. 1, CCNL 2006-2009 normativo2006-2007 economico) dei periodi con incarico a tempo determinato, ma pur sempre nel comparto. È semmai con il nuovo sistema degli incarichi di cui all’art. 18 CCNL 2016-2019 e con l’art. 22 – anche co. 5 – del CCNL 2019-2021, in cui viene data rilevanza non solo all’esperienza nel comparto, ma all’ “anzianità” per il lavoro svolto presso altri comparti, che vi è stata evoluzione in senso inclusivo, ma ciò non può rilevare, anche ratione temporis, in causa.
11. Quanto sopra consente di ritenere manifestamente non irragionevole – nel combinarsi dei principi di cui agli artt. 3 e 97 Cost. – l’assetto interno che valorizzi l’anzianità solo se maturata negli enti del comparto o che ad essi siano espressamente equiparati.
Le argomentazioni svolte escludono altresì – richiamati anche i principi di fondo quali sopra delineati dal punto 6 al punto 6.5 – che si ponga una generale necessità di equiparazione dei medici nazionali provenienti da settori diversi e medici transfrontalieri. Ciò non toglie tuttavia che, in ragione dei principi di non discriminazione di cui si è detto, tutto muti allorquando, rispetto alla pretesa ad una posizione specifica – e dunque ad un bene limitato – il cittadino italiano munito di quelle esperienze entri in conflitto con il cittadino di altro Stato membro in favore del quale, per i principi di libera circolazione, sia stata riconosciuta l’anzianità pregressa, pur se ovviamente svolta al di fuori dal comparto.
Come nel caso in cui – ad esempio – per l’ottenimento di certe posizioni, risultando rilevante l’anzianità, essa fosse stata riconosciuta al medico transfrontaliero, ma non al medico italiano aspirante a quel medesimo posto provenendo da pubblica amministrazione esterna al comparto.
In tali evenienze, l’art. 53 cit. imporrebbe, pur in assenza di norme interne di adattamento, il riequilibrio delle posizioni degli interessati sulla base di una valutazione di discriminatorietà basata sui dati comuni esistenti (attività svolta/appartenenza alla pubblica amministrazione), onde ottenere, una tantum, l’evitamento dell’effetto discriminatorio concreto, attraverso il riconoscimento al medico interno dell’anzianità maturata anche in altro comparto.
12. Nella fattispecie in esame, il ricorrente, oltre a rivendicare in modo generico la parificazione ad un potenziale medico di altro Stato membro che sia equiparato al dirigente medico del comparto per effetto dell’art. 5, d.l. n. 98/2008 cit., quale integrato dall’art. 44, co. 1, d.l. n. 69/2013 cit., non ha tuttavia evidenziato il verificarsi di una tale situazione di conflitto e la concretezza quindi del rischio di discriminazione.
13. Tutto quanto argomentato comporta quindi, pur se sulla base della correzione della motivazione addotta dalla Corte territoriale – come si è detto in sé errata – il rigetto del ricorso per cassazione.
14. Le argomentazioni svolte evidenziano la manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per contrasto con la pregressa giurisprudenza di questa S.C., in quanto in realtà il tema giuridico sollecitato è assolutamente nuovo, oltre che di notevole complessità.
15. Ciò anzi giustifica la compensazione delle spese anche di questo grado di giudizio.
16. Va anche espresso il seguente principio: “L’art. 53 della L. n. 234 del 2012, come anche il previgente art. 14-bis, co. 2, della L. n. 11 del 2005, si interpreta nel senso che non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne quando, nella regolazione di medesimo caso, quelle disposizioni comportino al contempo un pregiudizio ai danni del cittadino italiano ed un vantaggio al cittadino dell’Unione Europea, in tal modo realizzando in concreto un effetto discriminatorio ai danni del primo”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023