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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 230 | Data di udienza: 14 Febbraio 2024

RIFIUTI – Materiali residui di lavorazione presenti nelle cave – Cd. marmettola – CER 010413 – Natura di rifiuto laddove non destinato a diverso utilizzo – Art. 183, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – LR Toscana – Assoggettamento dei residui di lavorazione a contributo di estrazione – Non qualifica la natura del prodotto oggetto di lavorazione (Si ringrazia per la segnalazione il dott. Giovanni Menga)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Toscana
Città: Firenze
Data di pubblicazione: 26 Febbraio 2024
Numero: 230
Data di udienza: 14 Febbraio 2024
Presidente: Cacciari
Estensore: Faviere


Premassima

RIFIUTI – Materiali residui di lavorazione presenti nelle cave – Cd. marmettola – CER 010413 – Natura di rifiuto laddove non destinato a diverso utilizzo – Art. 183, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – LR Toscana – Assoggettamento dei residui di lavorazione a contributo di estrazione – Non qualifica la natura del prodotto oggetto di lavorazione (Si ringrazia per la segnalazione il dott. Giovanni Menga)



Massima

TAR TOSCANA, Sez. 2^ – 26 febbraio 2024, n. 230

RIFIUTI – Materiali residui di lavorazione presenti nelle cave – Cd. marmettola – CER 010413 – Natura di rifiuto laddove non destinato a diverso utilizzo – Art. 183, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – LR Toscana – Assoggettamento dei residui di lavorazione a contributo di estrazione – Non qualifica la natura del prodotto oggetto di lavorazione.

I materiali residui di lavorazione presenti nelle cave possono considerarsi rifiuti qualora posseggano le caratteristiche di cui all’art. 183, comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 152/2006. Il fatto che la legge regionale individui, nell’ambito dei materiali di cava per usi ornamentali, i cd. “derivati dei materiali da taglio” non ne esclude a priori la natura di rifiuto (in altri termini, il fatto che i residui dei tagli a monte e dell’attività di riquadratura dei blocchi possano rientrare in tale classificazione – e quindi essere inquadrati come materiale di cava diverso dai blocchi, lastre e affini, art. 2 della LRT 35/2015 – non esclude che al contempo possano assumere la qualità di rifiuto nel momento in cui escono dal ciclo produttivo e l’utilizzatore se ne debba disfare). Lo sfrido della tagliatrice a catena da riquadratura deve pertanto essere trattato come rifiuto (CER 010413) laddove non destinato a diverso utilizzo. Allo stesso modo, il fatto che la LRT n. 35/2015, all’art. 36, comma 2, assoggetti detti residui di lavorazione al contributo di estrazione non è sufficiente a qualificarli ex se come “prodotti”. Il contributo di estrazione non è un prelievo di carattere tributario ma ha funzione di ristorare la collettività per i disagi e i danni conseguenti all’attività estrattiva, tant’è che viene destinato a finanziare le spese che i Comuni e altri enti pubblici coinvolti nel governo dell’attività di cava devono sostenere per gli interventi infrastrutturali necessari e le opere di tutela ambientale conseguenti (TAR Toscana, sez. II, 09/08/2021, sent. n.1139). È evidente, quindi, che l’assoggettamento al contributo di estrazione non qualifica la natura del prodotto oggetto di lavorazione ma solo l’impatto di quest’ultima sull’ambiente, la salute e, più in generale, sugli interessi della collettività.

Pres. Cacciari, Est. Faviere – A. s.r.l. (avv.ti Guccinelli e Lattanzi) c. Comune di Carrara (avv.ti Fantoni e Ferraro) e Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana (avv. Simongini)


Allegato


Titolo Completo

TAR TOSCANA, Sez. 2^ - 26 febbraio 2024, n. 230

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1192 del 2018, proposto dalla
Società Apuana Marmi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Guccinelli e Luca Lattanzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Carrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sonia Fantoni e Lucia Ferraro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Michela Simongini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

della determinazione n. 74 emessa dal Dirigente del Settore Servizi Ambientali/Marmo del Comune di Carrara in data 01.06.2018 avente come oggetto “autorizzazione attività estrattiva piano di coltivazione cava n. 94 “Valbona B” Bacino n. 3 Miseglia – Società Apuana Marmi srl”, nella parte in cui adotta la prescrizione contenuta nel parere reso da Arpat, Dipartimento di Massa e Carrara in data 22.05.2018 per cui “il residuo della lavorazione della pietra CER 010413 proveniente dal taglio a catena, essendo contaminato da grasso, è un rifiuto e come tale deve essere allontanato e gestito”, nonché del parere espresso da Arpat Dipartimento di Massa e Carrara in data 22.05.2018 e di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Carrara e della Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 il dott. Marcello Faviere;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La Società Apuana Marmi s.r.l. gestisce la cava denominata Valbona B (cava n. 94), sita nel comune di Carrara, in forza di una autorizzazione all’attività estrattiva ai sensi della LRT n. 35/2015, rilasciata con DD n. 74 del 01.06.2018, dopo che la stessa aveva ottenuto autorizzazione paesaggistica (n. 70 del 23.08.2017) e la VIA (DD n. 37 del 26.03.2018).

L’autorizzazione reca nel dispositivo una serie di prescrizioni finalizzate alla limitazione dell’impatto ambientale, tra cui quella secondo cui “il residuo della lavorazione della pietra CER 010413 proveniente dal taglio a catena, essendo contaminato da grasso, è un rifiuto e come tale deve essere allontanato e gestito” (riportata al punto n. 4 della lett. c) del provvedimento). Tale prescrizione riporta quanto emerge da un parere della Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) rilasciato in sede di conferenza di servizi simultanea (svoltasi in data 23.05.2018, ai sensi dell’art. 14 ter della L. n. 241/1990).

2. Avverso tale prescrizione è insorta la Società interessata con ricorso notificato il 1.09.2018 ritualmente depositato presso questo Tribunale con cui lamenta, in due motivi, violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili.

Per resistere al gravame si sono costituite il Comune di Carrara (il 26.10.2018) e la ARPAT (il 15.11.2018), che hanno depositato memorie (rispettivamente il 9 e 10 gennaio 2024). La ricorrente ha depositato memoria di replica il 23.01.2024.

Alla udienza pubblica del 14 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso è infondato.

4. Con i due motivi di ricorso, trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva, si lamenta violazione degli articoli 2 e 36 della L.R.T. n. 35/2015, degli articoli 183 e 185 del D. Lgs. n. 152/2006, nonché del regolamento del Comune di Carrara per la gestione e la riscossione del contributo di estrazione; eccesso di potere per difetto di istruttoria e dei presupposti, per motivazione apodittica nonché per errore in fatto ed in diritto.

Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la prescrizione di cui al punto 4 del provvedimento impugnato non avrebbe fondamento giuridico. Il residuo della lavorazione preso in considerazione sarebbe un derivato da materiale da taglio (di cui all’art. 2 della LRT n. 35/2015) rientrante nell’attività estrattiva primaria (consistente nei cd. “tagli a monte” e “riquadratura” dei blocchi), assoggettato al contributo di estrazione (di cui all’art. 36 della medesima legge Regionale) laddove utilizzato per usi diversi rispetto a quelli di cava. Tali detriti, inoltre, sarebbero esclusi, a mente dell’art. 185, comma 2, del D.Lgs. n. 152/2006, dall’ambito di applicazione della disciplina rifiuti e ciò risulterebbe compatibile con il fatto che (come emergerebbe dal Piano di Gestione dei Derivati dai Materiali da Taglio, presentato alla conferenza dei servizi proprio dalla ricorrente) tali materiali di risulta potrebbero sia rimanere in cava che essere utilizzati a valle.

Con il secondo motivo si lamenta carenza istruttoria sia da parte del Comune (che avrebbe acriticamente accolto il parere tecnico dell’Agenzia) che della ARPAT, la quale non avrebbe supportato il proprio parere con dati analitici, in modo da consentire alla ricorrente di poter controdedurre in sede procedimentale ed evidenziare che nei propri processi di taglio utilizza grassi lubrificanti a base vegetale (e non minerale) in una percentuale trascurabile (in ordine di un chilogrammo per tonnellata di marmo, una incidenza di contaminazione pari allo 0,0009413% sul materiale solido asportato, come risulta dal Piano di Gestione della Cava presentato in sede di conferenza di servizi).

Le doglianze non persuadono.

In primo luogo non vi sono i presupposti per escludere in maniera certa che il materiale di cui si controverte non possa essere qualificato come rifiuto.

L’art. 185, comma 2, del D.Lgs. n. 152/2006 dispone che “sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto [Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati], in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento: […] d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave, di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117”;

Il D.Lgs. n. 117/2008 (recante Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE) costituisce normativa settoriale disciplinante il trattamento dei rifiuti di cava (che per tale ragione sono parzialmente sottratti alla disciplina generale di cui al D.Lgs. n. 152/2006).

Per la definizione di “rifiuto”, in ogni caso, l’art. 3 del decreto da ultimo richiamato rinvia a quanto previsto dall’art. 183 del Codice dell’Ambiente, vale a dire “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.

Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che “in materia di cave, sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura, fermo restando che l’attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali. Se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti da cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale. Al contrario, la mancanza di applicabilità del regime di cui al D.Lgs. n. 117/2008 e delle correlate autorizzazioni riconduce l’intera attività estrattiva di cava, quanto ai rifiuti, nell’ambito della disciplina generale di settore” (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 01/06/2022, n. 34630, conforme Cass. pen., Sez. III, 29/10/2008, n. 45463).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, quindi, i materiali residui di lavorazione presenti nelle cave possono considerarsi rifiuti qualora posseggano le caratteristiche di cui all’art. 183, comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 152/2006.

Il fatto che la legge regionale individui, nell’ambito dei materiali di cava per usi ornamentali, i cd. “derivati dei materiali da taglio” (definendoli come “materiale proveniente dalla coltivazione di cave di materiali per uso ornamentale, a cui è connesso per dislocazione e contiguità, non idoneo alla produzione di blocchi, lastre ed affini, listelli, nonché materiali di sfrido della riquadratura e del taglio effettuato in cava, destinato alla commercializzazione e oggetto dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività estrattiva e del progetto di coltivazione che ne stima le quantità”, cfr. art. 2, comma 1, lett. c, punto 2.2.2) non ne esclude a priori la natura di rifiuto.

È lo stesso Piano di gestione dei derivati dai materiali di taglio presentato in conferenza di servizi dalla ricorrente ad evidenziare che lo sfrido della tagliatrice a catena da riquadratura debba essere trattato come rifiuto (CER 010413) laddove non destinato a diverso utilizzo (si legge nella relazione, infatti, che “è ovvio che durante le lavorazioni nelle postazioni di taglio al monte, così come nelle aree di riquadratura dei blocchi si potrà avere accumulo temporaneo di sfrido di taglio che verrà recuperato giornalmente nei periodi più umidi o ad intervalli più ampi nei periodi più asciutti quando non vi è rischio di pioggia e conseguente trascinamento a valle. Lo sfrido della tagliatrice a catena da riquadratura (tema) potrà essere trasportato a valle insieme ai detriti di lavorazione più fini (terre e tout venant secondo la definizione del Comune di Carrara) oppure accantonato in appositi cassoni per altre destinazioni. Qualora non risultasse possibile destinare ad utilizzo parte dello sfrido, questo potrà essere accumulato in apposito cassone scarrabile per essere successivamente destinato a recupero come rifiuto con codice CER 010413. Medesimo discorso vale per lo sfrido di taglio proveniente dalle lavorazioni al monte”, cfr. doc. n. 6 di parte ricorrente).

Non persuadono quindi le argomentazioni della ricorrente volte a qualificare i residui di lavorazione di cui si controverte come prodotto.

Il fatto che la LRT n. 35/2015, all’art. 36, comma 2, li assoggetti al contributo di estrazione (prevedendo che “per i derivati dei materiali da taglio, il titolare dell’autorizzazione versa un contributo, stabilito dal comune, anche oltre il limite del 10,50 per cento del valore di mercato e comunque non superiore a 4,20 euro per tonnellata. Il contributo è destinato alle stesse categorie di interventi e di adempimenti definiti all’articolo 27 commi 2 e 3”) non è sufficiente a qualificarli ex se come “prodotti”.

L’art. 36 citato richiama l’art. 27, commi 2 e 3, della medesima legge che evidenzia come anche per i derivati di taglio la destinazione del contributo è la medesima di quella prevista per i prodotti di taglio.

Sulla natura e sulla funzione di tale prelievo questo Tribunale ha già avuto modo di evidenziare che “il contributo di estrazione, si ribadisce, non è un prelievo di carattere tributario ma ha funzione di ristorare la collettività per i disagi e i danni conseguenti all’attività estrattiva, tant’è che viene destinato a finanziare le spese che i Comuni e altri enti pubblici coinvolti nel governo dell’attività di cava devono sostenere per gli interventi infrastrutturali necessari e le opere di tutela ambientale conseguenti” (TAR Toscana, sez. II, 09/08/2021, sent. n.1139).

È evidente, quindi, che l’assoggettamento al contributo di estrazione non qualifica la natura del prodotto oggetto di lavorazione ma solo l’impatto di quest’ultima sull’ambiente, la salute e, più in generale, sugli interessi della collettività.

Allo stesso modo non risultano dirimenti le considerazioni di cui al secondo motivo sulla tipologia e sulla incidenza della contaminazione con grasso dei residui di lavorazione della tagliatrice a catena. In assenza di diverse previsioni sul punto, risulta ragionevole e conforme al principio di precauzione il fatto che l’amministrazione procedente abbia applicato al materiale da sfrido la qualifica di rifiuto alla presenza dell’alterazione derivante dal citato processo di lavorazione.

La conferenza di servizi, infatti, aveva già a disposizione il Piano di Coltivazione e la Relazione Tecnica del gennaio 2017 (cfr. doc. n. 8 di parte ricorrente) da cui si evincono sia la tipologia di lubrificante utilizzato nel processo di taglio a catena che l’incidenza dei relativi residui sul materiale solido di risulta. Non sono pertanto apprezzabili le doglianze di difetto di istruttoria e motivazione contenute nel secondo motivo di ricorso.

Quanto precede induce a due considerazioni.

In primo luogo risulta inconferente il richiamo della ricorrente alla legge regionale e alle definizioni relative ai derivati dei “materiali di taglio”, giacché la norma presenta una finalità diversa ma non incompatibile con la disciplina dei rifiuti.

In altri termini il fatto che i residui dei tagli a monte e dell’attività di riquadratura dei blocchi possano rientrare in tale classificazione (e quindi essere inquadrati come materiale di cava diverso dai blocchi, lastre e affini, art. 2 della LRT 35/2015) non esclude che al contempo possano assumere la qualità di rifiuto nel momento in cui escono dal ciclo produttivo e l’utilizzatore se ne debba disfare (art. 183 del D.Lgs. n. 152/2006).

In secondo luogo è palese che la prescrizione n. 4 incide sulle attività autorizzate solo nella misura in cui il residuo della lavorazione (da intendersi quale materiale da sfrido della tagliatrice a catena) possa essere trasportato a valle e quindi uscire dal sito di escavazione autorizzato oppure possa essere detenuto nel sito ma non destinato ad altra lavorazione.

L’art. 185, comma 4, del D.Lgs. n. 152/2006, prevede in tali casi che “il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter”.

Ciò significa che tale materiale o esce dalla cava per essere smaltito (e in tale caso deve essere trattato come rifiuto) oppure può essere utilizzato da soggetti terzi ma, in tal caso, per non essere inquadrato tra i rifiuti, deve possedere le caratteristiche del cd. “sotto prodotto”, di cui all’art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006.

Come evidenziato dalla difesa della ARPAT e non contraddetto dalla ricorrente, quest’ultima non ha fornito alcuna dimostrazione né delle destinazioni del materiale di cui si controverte, né del fatto che quest’ultimo possegga le caratteristiche di sottoprodotto.

Nel Piano di gestione sopra richiamato infatti si legge che “lo sfrido della tagliatrice a catena da riquadratura (tema) potrà essere trasportato a valle insieme ai detriti di lavorazione più fini […] oppure accantonato in appositi cassoni per altre destinazioni”.

Parte resistente evidenzia che tali destinazioni non sono descritte nei documenti della richiedente né è stato prodotto un Piano di Gestione dei Rifiuti (peraltro prescritto come allegato alla domanda, ai sensi dell’art. 17 della LRT n. 35/2015).

Al contrario viene descritta con dovizia di particolari la destinazione del materiale detritico grossolano (evidentemente diverso per provenienza e funzione, definito come “materiale commercialmente meno appetibile rispetto agli ornamentali, quali blocchi da scogliera e tutto il detrito nelle varie granulometrie commerciali”) con riferimento allo stoccaggio in sito e alla ulteriore riduzione ai fini del trasporto fuori cava (cfr. doc. n. 6 allegato al ricorso).

Ne consegue che la genericità della destinazione del materiale risultante dallo sfrido della tagliatrice a catena (in sito piuttosto che una volta uscito dalla cava) e l’assenza delle caratteristiche tipiche del sottoprodotto rendono legittima la prescrizione contenuta del provvedimento che, in via precauzionale, ha assunto la decisione maggiormente tutelante per l’ambiente.

Il Collegio evidenzia, infine, che anche le censure di carenza istruttoria mosse al Comune che avrebbe acriticamente riportato nel provvedimento il parere dell’ARPAT, non possono essere condivise.

Il provvedimento impugnato, come sopra evidenziato, è il frutto di una istruttoria condotta in conferenza di servizi ai sensi dell’art. 14-ter della l. n. 241/1990. In tali casi, sebbene la decisione finale competa all’amministrazione procedente, trattasi pur sempre di una c.d. “decisione polistrutturata”, ossia di una decisione che deve essere assunta, per l’appunto, tenendo conto delle “posizioni prevalenti espresse” dalle amministrazioni che hanno preso parte alla conferenza. Nel caso di specie l’amministrazione comunale ha adottato la determinazione motivata di conclusione della conferenza, con effetti decisori, sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti. Tale modus operandi risulta pertanto in linea con la ratio semplificatrice dell’istituto, volto a convogliare in una unica sede gli apporti tecnico istruttori delle amministrazioni di settore. Ciò implica che in assenza di ragioni contrarie, il Comune ha ragionevolmente riportato la posizione della ARPA e non sussisteva alcun obbligo di riaprire una autonoma istruttoria a valle dei lavori della conferenza.

Per quanto precede i due motivi di ricorso sono infondati.

5. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

6. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della complessità della materia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Cacciari, Presidente

Andrea Vitucci, Primo Referendario

Marcello Faviere, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Marcello Faviere

IL PRESIDENTE
Alessandro Cacciari

IL SEGRETARIO

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