ATTIVITA' DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE E REGIME DELLE RESPONSABILITA'
Giovanna Russo
La questione relativa alla natura, ai limiti e alla stessa configurabilità della responsabilità dei soggetti abilitati all'attività di intermediazione mobiliare è sorta nel momento stesso in cui si è inteso regolare il funzionamento dei mercati finanziari sostituendo vere norme giuridiche a mere regole tecniche. Peraltro, l'interrogativo è stato accentuato dalla presenza di una copiosa normativa di tipo regolamentare, che rende inevitabilmente sfumati e di difficile demarcazione i confini della suddetta responsabilità. Ai motivi suesposti si aggiunga, poi, la stringente necessità di riconquistare la fiducia degli investitori garantendo la trasparenza dei procedimenti e la correttezza e la professionalità delle condotte soggettive degli intermediari.
Pertanto, prendendo atto del tramonto del dogma dell'autonomia dell'azione 
rispetto al diritto (1), in modo particolare va segnalata la fondamentale importanza 
dell'apparato rimediale, dovendosi rilevare le tecniche che l'ordinamento offre 
agli investitori per l'attuazione dei loro interessi giuridicamente protetti, 
ove lesi da intermediari infedeli o negligenti. E una volta provveduto 
all'analisi della natura e del fondamento giuridico della responsabilità degli 
intermediari finanziari, occorre portare attenzione ad alcuni aspetti 
strettamente processuali, quali l'inversione dell'onere della prova e la 
quantificazione del danno risarcibile.
2. La responsabilità degli 
intermediari finanziari derivante dalla violazione delle regole di condotta
2. 1 L'importanza dell'apparato rimediale
Come noto, per incentivare l'intermediario finanziario a comportarsi 
nell'interesse della controparte, l'ordinamento giuridico ha individuato le cd. 
regole di comportamento, quale standard normativo minimo. 
Invero, le suddette regole acquistano un significato concreto, tutelando 
l'interesse degli investitori e del mercato, solo se l'ordinamento medesimo le 
considera nella definizione e nella predisposizione dell'apparato rimediale
(2). Questa 
considerazione di ordine generale trova pieno riscontro anche nel settore 
finanziario. In ossequio al brocardo ubi jus ibi rimedium, si rende poi 
necessario passare dalle declamazioni all'effettività delle soluzioni offerte.
Come insegna l'analisi economica del diritto, la regola rimediale costituisce 
infatti un segnale sociale, in quanto attribuisce ai consociati, ossia agli 
operatori finanziari, un prezzo implicito sottoforma di costo opportunità, che, 
"come ogni altro prezzo, determina almeno in parte le scelte individuali"
(3).
L'apparato rimediale, dunque, ha un ruolo decisivo sia per l'internalizzazione 
delle esternalità negative derivanti dai comportamenti opportunistici degli 
intermediari, sia per la prevenzione degli stessi attraverso la sua funzione 
deterrente. In sostanza, l'intermediario finanziario deciderà se adempiere o 
meno alla propria prestazione comparando il prezzo che l'ordinamento impone per 
l'inadempimento con quello dell'alternativa più conveniente a cui dovrà 
rinunciare per adempiere. 
Da ciò il rilievo che maggiore il 
quantum risarcibile, più alta è la 
probabilità che l'intermediario sia adempiente. Nel caso in cui l'investitore 
decida di instaurare una relazione con l'intermediario, quest'ultimo adempierà 
se il costo dell'inadempimento è maggiore di quello connesso all'adempimento. 
Sulla base di tali presupposti, un agente razionale non adempie ogniqualvolta il 
beneficio che ne deriva è superiore ai costi del risarcimento; si tratta della 
teoria del cd. efficient break of contract
(4). I giudici, 
pertanto, devono prestare particolare attenzione al segnale sociale che la loro 
decisione introduce sul mercato.
In realtà, a differenza dell'esperienza giuridica di altri Paesi, quali Germania 
e Francia (5), 
non è possibile individuare in Italia un vero e proprio diritto 
giurisprudenziale in materia di regole di comportamento degli intermediari. Allo 
stato attuale, se si esclude la giurisprudenza in tema di responsabilità degli 
intermediari per il fatto dei promotori finanziari, vengono in considerazione 
soltanto alcune pronunce di merito riguardanti gli obblighi dell'intermediario 
connessi al prospetto informativo consegnato all'investitore in sede di 
collocamento (6).
Tuttavia occorre segnalare una inversione di tendenza. In alcune recenti 
sentenze, infatti, è stata affermata la responsabilità dell'intermediario per la 
violazione delle regole di condotta sancite dall'ordinamento finanziario, e non 
più desunte dalla civilistica clausola della buona fede
(7).
 
2. 2 La responsabilità derivante dalla violazione delle regole di condotta: 
il fondamento normativo
Sottolineata la fondamentale importanza dei rimedi predisposti dall'ordinamento, 
si rende poi necessario individuare le condizioni in presenza delle quali si 
verifica un inadempimento di tali regole, in seguito al quale è possibile 
collegare, in astratto, una responsabilità dell'intermediario. In tal senso, 
viene in evidenza l'ipotesi in cui l'intermediario stesso si astiene dal porre 
in essere un comportamento volto alla tutela dell'interesse dell'investitore
(8). 
I profili problematici di tale fattispecie attengono principalmente 
all'eventuale ricerca del fondamento normativo dell'obbligo di comportamento di 
cui si assume la violazione. 
Questo aspetto era fortemente ridimensionato nel sistema delineato dalla legge 2 
gennaio 1991, n. 1 (cd. Legge sulle SIM), in quanto il carattere dettagliato 
della disciplina rendeva più agevole l'individuazione degli obblighi in esame
(9). Le 
difficoltà sembrano riemergere alla luce delle soluzioni adottate dal D. Lgs. 24 
febbraio 1998, n. 58, testo unico dell'intermediazione finanziaria (in via breve 
il t.u.f.), e ancor prima dal D. Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (cd. Decreto
Eurosim), che hanno determinato una sostanziale contrazione dell'apparato 
di conduct of business rules. 
Il diverso assetto normativo finisce, dunque, per riproporre la centralità delle 
clausole generali. In sostanza, tali clausole costituiscono il luogo normativo a 
cui occorre riferirsi per individuare gli obblighi di comportamento che 
l'intermediario è tenuto ad osservare a tutela della posizione giuridica degli 
investitori e della trasparenza del mercato. 
È certamente vero che ad ogni segmento di attività e ad ogni violazione di un 
obbligo comportamentale corrisponde un diverso fondamento giuridico sulla cui 
base i risparmiatori possono determinare l'azione di responsabilità nei 
confronti dell'intermediario 
(10); 
tuttavia, in mancanza di una regola espressamente formulata in via legislativa o 
regolamentare, è possibile configurare l'inadempimento dell'intermediario quando 
la sua condotta sia ritenuta contraria all'obbligo generale di correttezza: 
ossia ogniqualvolta il comportamento tenuto in concreto non è orientato al 
perseguimento dei suddetti interessi tutelati dalla legge
(11).
 
2. 3 (Segue) La natura giuridica
Superato il problema del fondamento giuridico dell'obbligo di condotta, perché 
esiste un'esplicita regola di comportamento ovvero perché ne viene individuata 
l'esistenza sulla base di una clausola generale, non vi sono particolari 
ostacoli a qualificare la violazione di questi obblighi in termini di 
inadempimento contrattuale e non, per contro, di illecito aquiliano 
(12). Invero, 
il tema è stato oggetto, per molti anni, di un vivace dibattito dottrinale, 
incentrato prevalentemente sulla qualificazione del rapporto tra intermediario e 
investitore  (13). 
Tuttavia, la questione della natura della responsabilità degli operatori 
finanziari sembra ormai risolta a favore dell'accoglimento della tesi che 
riconosce natura di inadempimento contrattuale (e precontrattuale) al 
comportamento dell'intermediario lesivo delle regole di condotta 
(14). 
L'intermediario, infatti, si astiene dal porre in essere un comportamento 
dovuto, privando materialmente la controparte di utilità corrispondenti ad 
interessi dell'investitore meritevoli di tutela
(15). Al 
riguardo, degna di nota è una recente sentenza del Tribunale di Bari
(16).
Rientrano nel quadro così descritto anche le altre tipologie di violazione degli obblighi di comportamento, che si riscontrano in situazioni in cui all'intermediario non si contesta di aver omesso un determinato comportamento, ma di non avervi provveduto esattamente. In questo caso, infatti, l'unica differenza consiste nel fatto che le censure finiscono per appuntarsi sulle modalità utilizzate nell'adempiere la rule of conduct (17).
Prescindendo in questa analisi da quella particolare fattispecie di 
responsabilità degli intermediari derivante dal fatto illecito dei promotori 
finanziari, si può quindi concludere che il comportamento dell'intermediario è 
idoneo a determinare una responsabilità di tipo precontrattuale o contrattuale, 
a seconda che la violazione delle norme di legge o di regolamento intervenga 
nella fase anteriore alla stipulazione del contratto o nella fase esecutiva del 
rapporto. Peraltro, la violazione di taluni obblighi informativi, nella fase 
antecedente alla stipulazione del contratto, può non rilevare in via autonoma ma 
essere assorbita dallo stesso inadempimento 
(18). 
Quanto detto, tuttavia, non priva il risparmiatore danneggiato della facoltà di 
agire in via "concorrente" con un'azione ex delicto. Accolto, infatti, il 
principio generale del "cumulo" di responsabilità contrattuale ed 
extracontrattuale, anche in subjecta materia si potrebbe prefigurare, 
talvolta, la facoltà del cliente di scegliere in via alternativa la normativa 
che gli è più favorevole o di perseguire un vantaggio patrimoniale che con 
l'esercizio della sola azione contrattuale non è stato raggiunto. 
Non è da escludere a priori, infatti, che il comportamento dell'intermediario 
presenti il duplice carattere di inadempimento e di fatto illecito. Ciò si 
verifica, in particolare, qualora il comportamento dell'intermediario sia doloso 
e/o quando integri una fattispecie delittuosa. È noto, infatti, che allo stato 
attuale degli orientamenti giurisprudenziali la regola del cumulo si presenta 
alla stregua di un principio generale, qualora l'inadempimento del 
"danneggiante" integri un reato ovvero qualora all'inadempimento si accompagni 
un comportamento doloso 
(19). 
Ne consegue che l'inadempimento contrattuale dell'intermediario che coincide con 
fattispecie penali, quali l'abusivismo, la gestione infedele, la confusione di 
patrimoni, potrebbe integrare gli estremi della responsabilità aquiliana, 
attribuendo al risparmiatore la facoltà di agire ex delicto, qualora non 
risulti indifferente allo stesso di agire in via contrattuale o delittuale.
 
2. 4 Aspetti processuali: l'inversione dell'onere della prova
In tale contesto, sembra opportuno accennare ad alcuni aspetti di natura 
strettamente processuale: l'inversione dell'onere della prova e la 
quantificazione del danno risarcibile. Si tratta, infatti, di temi strettamente 
connessi alla realizzazione di una concreta ed efficace tutela degli 
investitori.
Anteriormente alla legge n. 1/1991, la prova dell'inadempimento 
dell'intermediario si trasformava, per il cliente, in una vera e propria 
probatio diabolica, a meno che la condotta negligente dell'intermediario non 
fosse stata abnorme e macroscopica
(20).
A decorrere dalla suddetta legge 1/1991, coerentemente ad un disegno di speciale 
favor per la parte debole del rapporto contrattuale, il legislatore introdusse 
il principio di inversione dell'onus probandi, mantenuto poi nei 
successivi testi di legge.
Nel riproporre senza sostanziali modificazioni la norma già contenuta nell'art. 
18, 5° comma d.lgs. 415/1996, il comma 6° dell'art. 23 t.u.f. prevede che, nei 
giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei 
servizi di investimento, spetta al soggetto abilitato "l'onere della prova di 
aver agito con la specifica diligenza richiesta". 
Occorre sottolineare che, in tali giudizi di risarcimento dei danni, l'onere 
probatorio assume una configurazione del tutto particolare. 
In linea generale, l'intermediario non si impegna con l'investitore ad ottenere 
un determinato risultato finanziario, ma si obbliga ad esplicare la propria 
attività nel pieno rispetto delle regole della professionalità e della 
correttezza, lasciando a carico del cliente il rischio di mercato. Ne consegue 
che, in assenza della suddetta disposizione ad hoc, spetterebbe 
all'investitore-creditore, al pari del danneggiato dal fatto illecito, 
dimostrare la colpa (21).
Tali brevi riflessioni sono utili per cogliere la portata della regola in parola 
introdotta dal legislatore di settore. Per tale via, infatti, si addossa 
all'intermediario l'onere di provare che l'attività di investimento è stata 
eseguita nel pieno rispetto degli standards previsti dalla legge e dal 
contratto; sicché il cliente-attore deve limitarsi a dimostrare l'esistenza del 
danno e il nesso di causalità tra tale pregiudizio e l'inadempimento della 
controparte (22.
La prova liberatoria dell'intermediario si sostanzia nella dimostrazione di aver 
agito con la "specifica diligenza richiesta". In tal modo, la norma citata 
delinea una valutazione elastica che prende in considerazione le caratteristiche 
della particolare operazione eseguita dall'intermediario. Il giudice, in 
sostanza, è chiamato a valutare la condotta dell'intermediario in concreto, al 
fine di verificare l'effettivo rispetto della diligenza professionale.
In particolare, quanto al contenuto e al grado di diligenza richiesta 
all'intermediario abilitato, pare condiviso dai commentatori il riferimento ad 
una vera e propria "perizia": in questa prospettiva depone infatti l'utilizzo 
dell'aggettivo "specifica". Inoltre, la valutazione della diligenza del 
comportamento dell'intermediario non può prescindere da un raffronto con il 
comportamento esigibile in relazione ai singoli servizi di investimento ovvero 
ai singoli servizi accessori presi in considerazione.
L'intermediario è tenuto, sulla base dell'art. 23, ultimo comma del t.u.f. a 
dimostrare di aver agito in conformità a questi obblighi anche quando il 
giudizio di responsabilità venga promosso da investitori particolarmente 
qualificati. Tale circostanza induce a ritenere eccessivamente ampio il 
meccanismo giudiziale di tutela degli investitori introdotto nel nostro 
ordinamento, in quanto vale anche nelle ipotesi in cui l'azione di risarcimento 
venga promossa da operatori professionalmente "attrezzati" e, quindi, capaci di 
dare la prova dei fatti che costituiscono il fondamento del loro diritto. 
Questo approccio non sembra del tutto condivisibile, anche perché contrario 
all'indirizzo emerso nell'ordinamento comunitario e in altre esperienze 
giuridiche. In tale prospettiva appare auspicabile quanto meno 
un'interpretazione restrittiva dell'art. 23, u. c. t.u.f., nei giudizi di 
responsabilità promossi da investitori particolarmente qualificati
(23).
È appena il caso di sottolineare che la disposizione contenuta nell'art. 23, 6° 
comma t.u.f. non ha mancato di sollecitare gli interpreti ad una presa di 
posizione in ordine alla natura della responsabilità dell'intermediario per 
danni cagionati nello svolgimento di servizi di investimento.
L'interpretazione dottrinale della norma in parola ha fornito esiti quanto mai 
vari: si è tentato di ricondurre la responsabilità di svolgimento di servizi di 
investimento nell'area della responsabilità contrattuale; ovvero si è ritenuto 
che la norma regoli tutti i giudizi di responsabilità per lo svolgimento di 
servizi di investimento, restando impregiudicata la natura di detta 
responsabilità, che potrà a seconda dei casi, ricondursi all'area contrattuale 
ovvero a quella extracontrattuale.
Pur quando si sostenga , insieme alla dottrina maggioritaria 
(24), la 
natura contrattuale della responsabilità, è necessario interrogarsi sulla 
funzione che la norma contenuta nell'art. 23, 6° comma t.u.f. svolge: se 
la stessa avesse, infatti, la sola funzione di dispensare il danneggiato 
dall'onere di provare la colpa del danneggiante, la norma risulterebbe 
pleonastica, poiché gli stessi principi sarebbero ricavabili dalla applicazione 
della regola generale contenuta nell'art. 1218 c.c.. 
Invero, si è pure osservato che la norma del testo unico finanziario non può 
essere considerata superflua, in quanto contribuisce a dare certezza, 
nell'interesse sia dell'intermediario sia del cliente, al contenuto dell'onere 
probatorio che incombe sul primo, eliminando molti dubbi che solleva la 
disposizione di diritto comune
(25). 
Tuttavia, alcuni interpreti, per recuperare pratica operatività al principio 
dell'inversione dell'onere probatorio, ammettono la possibilità di una "doppia 
deroga" ai criteri codicistici: per un verso, esonerando il cliente dal provare 
il nesso di causalità fra la violazione e il danno; per altro verso, esigendo da 
parte dell'intermediario la prova positiva di aver agito con la diligenza dovuta
(26).
Questa ricostruzione, oltre a soddisfare il bisogno di tutela degli investitori, 
risulta convincente anche sul terreno logico-giuridico. Una volta esonerato il 
cliente dall'onere di provare l'inadempimento o il non corretto adempimento da 
parte dell'intermediario, viene meno uno dei due poli della serie causale alla 
base del pregiudizio economico lamentato; sicché non avrebbe senso pretendere 
dall'attore la prova del nesso di causalità fra il danno e il comportamento del 
soggetto abilitato. 
Sotto altro aspetto, la funzione essenziale della norma, che è quella di 
trasferire sull'intermediario la prova dei fatti che rientrano nella sua sfera 
di controllo, sarebbe solo in parte rispettata se si attribuisse al cliente 
l'onere di dimostrare la violazione delle prescrizioni normative in tema di 
servizi di investimento 
(27).
2. 5 (Segue) La quantificazione del danno risarcibile
Sono noti i criteri di valutazione del danno codificati dal legislatore del 
1942: ai sensi dell'art. 1223 c.c., il risarcimento del danno per 
l'inadempimento deve comprendere la perdita patrimoniale (il cd. danno 
emergente) e il mancato aumento del patrimonio, ossia il guadagno che il 
creditore avrebbe percepito se la controparte non fosse stata inadempiente (cd. 
lucro cessante). Tuttavia, il legislatore non individua dei criteri precisi di 
valutazione, alla stregua di parametri predeterminati 
(28), sicché 
sovente le difficoltà probatorie che si incontrano nella quantificazione del 
danno impongono all'interprete di ricorrere ad una valutazione equitativa dello 
stesso (art. 1226 c.c.).
Invero, la figura del danno emergente si presta ad una più facile valutazione: 
la perdita subita corrisponde, infatti, ad una sottrazione di utilità che già 
esisteva nel patrimonio del creditore. In subjecta materia, il danno 
patrimoniale subito dal risparmiatore consiste nella perdita totale o parziale 
del capitale investito. In sostanza, "il cliente ha diritto ad ottenere una 
somma pari alla differenza tra il valore che gli strumenti finanziari avevano al 
momento del loro acquisto e quello in cui vengono ricollocati sul mercato ovvero 
viene fatta valere la pretesa risarcitoria"
(29); oltre 
alla restituzione delle spese, ad esempio delle commissioni, connesse 
all'operazione finanziaria. 
È evidente che la valutazione del danno emergente varia a seconda del tipo di 
inadempimento realizzato dall'intermediario
(30). Così, ad esempio, nel caso di operazione non adeguata, la 
valutazione della perdita patrimoniale sarà effettuata comparando il valore del 
"portafoglio" del cliente prima del compimento dell'investimento e il valore 
dello stesso nel momento in cui il cliente viene a conoscenza (o avrebbe dovuto 
venire a conoscenza utilizzando l'ordinaria diligenza) dell'inadempimento della 
controparte. 
Lo stesso metodo non può essere applicato 
sic et simpliciter nel caso di 
operazione posta in essere in violazione della regola sulla best execution
(31). 
In tale evenienza, infatti, si dovrà misurare la differenza tra il prezzo 
effettivamente pagato o ricevuto dall'investitore - oltre che gli altri oneri 
sostenuti direttamente o indirettamente - e quello eventualmente migliore 
disponibile sul mercato. 
Apparentemente più problematica è la quantificazione del danno emergente nel 
caso di accertata violazione degli obblighi informativi gravanti 
sull'intermediario. Anche tale valutazione deve essere fatta alla luce degli 
specifici doveri informativi violati, avendo riguardo alle diverse fasi della 
dinamica negoziale. Ad esempio, se l'operatore finanziario viola la "know 
your customer rule" 
(32), 
il cliente creditore potrà richiedere oltre alle spese anche il capitale perso a 
seguito dell'inadempimento dell'intermediario. 
Lo stesso può essere ripetuto nel caso in cui il risparmiatore faccia 
affidamento su informazioni fornite dall'intermediario poi rivelatesi 
inadeguate. In tal caso, infatti, provato il nesso causale tra la violazione 
dell'obbligo informativo e il danno subìto, il cliente "dovrebbe essere riposto 
nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato in presenza di uno svolgimento 
vantaggioso del contratto"
(33), 
attraverso la misurazione della differenza del valore del portafoglio del 
cliente prima e dopo l'inadempimento.
In merito alla quantificazione del lucro cessante, come autorevolmente 
sottolineato (34), 
è opportuno individuare alcuni parametri precisi per determinare le nuove 
utilità che il cliente avrebbe presumibilmente conseguito se non si fosse 
verificato l'inadempimento. È necessario considerare, infatti, che la 
giurisprudenza è solita quantificare il lucro cessante ricorrendo alla 
valutazione equitativa, in quanto si tratta di danno destinato a manifestarsi 
prevalentemente nel futuro e dunque di più difficile valutazione. 
Preme qui evidenziare, però, che il ricorso a tale valutazione equitativa è 
particolarmente pericoloso nel settore finanziario. Come già ricordato
(35), infatti, 
le norme sui danni da inadempimento costituiscono, veri incentivi 
comportamentali. Di conseguenza, un risarcimento inidoneo a ripristinare lo status quo ante disincentiva gli intermediari a sopportare i costi connessi 
alla predisposizione dei mezzi volti a soddisfare l'interesse dello stesso 
risparmiatore. Per contro, un risarcimento superiore al pregiudizio 
effettivamente subìto favorisce comportamenti opportunistici dei risparmiatori e 
trasforma l'intermediario in una sorta di assicuratore delle perdite del 
cliente, connesse non all'adempimento, ma all'alea fisiologica del mercato.
Nella valutazione del lucro cessante, pertanto, non si devono considerare i 
vantaggi che l'investitore avrebbe realizzato in seguito ad un andamento 
positivo del contratto effettivamente concluso, ma si deve guardare al vantaggio 
o svantaggio potenziale che l'investitore avrebbe conseguito se l'intermediario 
si fosse comportato correttamente. 
Nel caso di inadempimento colposo, il criterio che deve guidare l'interprete 
nella qualificazione del lucro cessante è dunque quello della "prevedibilità" di 
cui all'art. 1225 c.c., non potendo dimenticare che "nella responsabilità 
contrattuale vi è un programma delle parti, e quindi ricorre l'esigenza di 
circoscrivere la responsabilità contrattuale rispetto ad un rischio specifico di 
danno" (36).
La dottrina che si è occupata del tema ha suggerito di organizzare "panieri" di 
prodotti aventi caratteristiche simili a quelli che hanno costituito l'oggetto 
del contratto di cui l'investitore assume la violazione 
(37). 
A conclusioni simili è giunta la giurisprudenza di merito 
(38). Il 
Tribunale di Bari, infatti, ha precisato che la quantificazione dell'aspettativa 
dell'investitore ad un maggior profitto deve essere effettuata utilizzando 
"categorie omogenee all'interno della massa dei prodotti finanziari: in 
particolare, organizzando "panieri" di prodotti con caratteristiche simili a 
quelli oggetto del contratto di cui l'investitore assume la violazione, 
delineando in tal modo un parametro di riferimento, da adeguare alle 
caratteristiche specifiche del contratto in questione".
Peraltro, nella prassi non è agevole individuare con precisione un "paniere" di 
riferimento, soprattutto a causa del numero di strumenti finanziari 
potenzialmente riconducibili nella stessa categoria. Di tal che alcuni autori
(39) ritengono opportuno utilizzare un criterio già predeterminato come l'indice di 
borsa. Naturalmente l'indice ha natura relazionale: ossia varia a seconda 
dell'investitore e della sua avversione al rischio. L'interprete deve 
dunque verificare l'avversione al rischio del risparmiatore sulla base delle 
informazioni disponibili quali l'esperienza in materia di investimenti 
finanziari, la situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento 
(40), 
individuando così l'indice di mercato più adatto. Ad esempio, se l'investitore 
ha un'alta aspettativa di rendimento, perché all'interno dello schema negoziale 
aveva deciso di assumere un rischio elevato, a questi si adatterà un indice ad 
alto rendimento e ad alto rischio 
(41).
_____________________________________________________
(1) Su tale 
fenomeno, cfr. MATTEI, U. I rimedi, in SACCO (a cura di), La parte generale del 
diritto civile 2, Il diritto soggettivo, Torino, 2001, 105 ss.
(2) Sui rimedi ed il metodo rimediale, 
cfr. per tutti MATTEI, U. I rimedi, in SACCO (a cura di), La parte generale del 
diritto civile 2, Il diritto soggettivo, Torino, 2001, 105 ss; SARTORI, F. Le 
regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 374; ivi altri 
riferimenti bibliografici.
(3) Cfr. 
MATTEI, U. I rimedi, in SACCO (a cura di), La parte generale del diritto civile 
2, Il diritto soggettivo, Torino, 2001, 115.
(4) La 
letteratura in materia è vastissima; inter ceteros, cfr. SARTORI, F. Le regole 
di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 377, in particolare v. 
nota n. 21, ove altri riferimenti bibliografici.
(5) Per un 
approfondimento in tal senso, cfr. LOBUONO, M. La responsabilità degli 
intermediari finanziari, Napoli, 1999, 169, 170.
(6) Cfr., 
inter ceteros, sentenza della Corte d'Appello di Milano, 2 febbraio 1990, 
pubblicata in Giurisprudenza italiana, 1992, I, sez.II, 49 ss. e in Diritto 
bancario, 1992, 85 ss.
(7) Fra le 
più recenti e significative, cfr. sentenza del Tribunale di Mantova, del 18 
marzo 2004, disponibile sul sito www.ilcaso.it relativa alle obbligazioni 
argentine.
(8) 
Ad 
esempio, ove l'intermediario venga meno agli obblighi di informazione previsti 
dalla normativa legislativa o regolamentare.
(9) In tal 
senso, cfr. le considerazioni di SANTORO, V. Gli obblighi di comportamento degli 
intermediari mobiliari, in Riv. Soc., 1994, 800.
(10) Cfr. 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 120; 
F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 370.
(11) Cfr. 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 195 e 
ss.
(12) 
A 
favore del superamento, in subjecta materia, della distinzione tra 
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, cfr. TOPINI, M. L'onere della 
prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello svolgimento dei 
servizi di investimento, in Giurisprudenza commerciale, 1999, 697 e ss.; 
tuttavia, in dottrina si registrano ancora posizioni contrapposte. Cfr. ad 
esempio BOCHICCHIO, F. Intermediazione mobiliare e sollecitazione al pubblico 
risparmio nella disciplina del mercato mobiliare, in Trattato di dir. comm. e di 
dir. pubbl. dell'economia, diretto da GALGANO, XX, Padova, 1994, 279, che 
considera la responsabilità dell'intermediario come contrattuale; contra 
GIARDINA, F. L'attività di intermediazione mobiliare: profili di responsabilità 
contrattuale e di responsabilità extracontrattuale, in BESSONE e BUSNELLI (a 
cura di), La vendita porta a porta di valori mobiliari, Milano, 1992, 162 e ss.
(13) Cfr. 
ad esempio DI MAJO, A. La correttezza nell'attività di intermediazione 
mobiliare, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, 289 e ss.; CARBONETTI, F., I 
contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, 65 e ss.; REALMONTE, 
Doveri di informazione e responsabilità precontrattuale nell'attività di 
intermediazione mobiliare, in MAZZAMUTO-TERRANOVA (a cura di), L'intermediazione 
mobiliare. Studi in onore di Aldo Malsano, Napoli, 1993, 109 e ss.; GIARDINA, F. 
L'attività di intermediazione mobiliare: profili di responsabilità contrattuale 
e di responsabilità extracontrattuale, in BESSONE e BUSNELLI (a cura di), La 
vendita porta a porta di valori mobiliari, Milano, 1992, 153 e ss.
(14) SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
369.
(15)
A 
tale proposito è sufficiente pensare all'obbligo di informazione: la mancata 
trasmissione al cliente dei dati di volta in volta ritenuti necessari al 
corretto svolgimento dell'operazione, priva il cliente della possibilità di 
compiere consapevoli scelte di investimento.
(16) Cfr. 
Tribunale di Bari, 3 maggio 2001, n. 1020, con nota di VOLPE, La responsabilità 
degli intermediari finanziari: un leading case, in Contratti, 2001, 901 e ss. In 
particolare, il giudice di prime cure accoglie la tesi della natura contrattuale 
della responsabilità dell'intermediario. Si legge nella sentenza "è evidente (…) 
che viene in rilievo il profilo della responsabilità dell'intermediario, il 
quale è tenuto ad eseguire i servizi di investimento in conformità ad una serie 
di obblighi di comportamento e, comunque, con la diligenza richiesta in un 
settore economico particolarmente complesso; in mancanza, sarà tenuto al 
risarcimento del danno che sia conseguenza diretta ed immediata del proprio 
inadempimento, individuabile, sulla base dell'art. 1223 c.c. sia nella perdita 
subita (danno emergente) che nel mancato guadagno (lucro cessante)."
(17) Basti pensare ancora una volta agli obblighi di informazione, il cui 
inadempimento può riguardare anche le forme e i modi utilizzati per trasmettere 
all'investitore i dati relativi all'operazione di investimento ovvero i casi in 
cui il cliente non sia stato pienamente informato sui rischi che caratterizzano 
l'operazione. In questi termini, cfr. LOBUONO, M. La responsabilità degli 
intermediari finanziari, Napoli, 1999, 195 ss.
(18) "In 
particolare, il comportamento scorretto posto in essere prima della conclusione 
del contratto sarebbe idoneo a rendere più evidente l'inadempimento 
dell'obbligazione contrattualmente assunta, inadempimento che assumerebbe in 
ogni caso una rilevanza assorbente. (…) Pertanto, ove, pur essendo mancata 
l'informazione, il contratto sia stato stipulato, quel dovere viene a permeare 
il contenuto e la sua violazione dà luogo a vera e propria responsabilità 
contrattuale", cfr. LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, 
Napoli, 1999, 120; F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari 
finanziari, Milano, 2004, 144 e 145.
(19) In 
questi termini, cfr. VISINTINI, G. Trattato breve della responsabilità civile, 
Padova, 1999, 229 e 230.
(20) SANTANGELO, A. La responsabilità dell'intermediario finanziario per la gestione 
di patrimoni mobiliari, in Mondo bancario, 1999, 4, 59 e ss.
(21) Cfr. 
VISINTINI, G. Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, passim; 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 120; 
SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
180. In particolare, trattandosi di obblighi cd. di diligenza, il creditore 
dovrebbe provare non solo il danno ma anche la difettosa o inadeguata 
prestazione alla stregua del parametro ex art. 1176 c.c. ed il nesso di 
causalità tra questa e il danno. Qualora tale prova venga fornita e l'assunto 
non sia smentito da prova contraria addotta dal debitore, questi, per non 
incorrere in responsabilità, avrebbe l'onere di dimostrare l'impossibilità a lui 
non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione. Cfr. PICARDI, L. 
Commento all'art. 23, in Testo Unico della Finanza, Commentario diretto da G. F. 
CAMPOBASSO, Torino, 2002, 210. 
(22) SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
380.
(23) 
In 
questi termini, LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, 
Napoli, 1999, 226; sartori, F. Le regole di condotta degli intermediari 
finanziari, Milano, 2004, 226; cfr. anche FALCONE - GRECO - ROTONDO, La 
responsabilità nella prestazione dei servizi di investimento, Milano, 2004, 12 e 
ss.
(24)
V., 
retro, § V. 1. 1., e relative note per riferimenti bibliografici.
(25) Cfr. 
COSTI R., Il mercato mobiliare, Torino, 2000, 133. 
(26) Cfr. 
PICARDI, L. Commento sub art. 23, in Testo Unico della Finanza, Commentario 
diretto da G. F. CAMPOBASSO, Torino, 2002, 211.
(27) Cfr. 
PICARDI, L. Commento sub art. 23, in Testo Unico della Finanza, Commentario 
diretto da G. F. CAMPOBASSO, Torino, 2002, 211.
(28) "La funzione dell'art. 1223 c.c. è soltanto descrittiva e sta semplicemente ad 
indicare la direttiva del legislatore secondo cui la reintegrazione del 
patrimonio del creditore deve essere integrale ed attenere a tutti i pregiudizi 
economici subiti dal danneggiato", in questi termini, cfr. VISINTINI, G. 
Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 545.
(29) Cfr. 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 262.
(30) Cfr., sul punto, SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari 
finanziari, Milano, 2004, 396 e ss.
(31) L'obbligo di best execution è imposto agli intermediari finanziari dall'art. 32 
del regolamento Consob 11522/1998, in materia di intermediari; in particolare, 
il 3° comma del citato articolo dispone: "Gli intermediari autorizzati eseguono 
in conto proprio o in conto terzi le negoziazioni alle migliori condizioni 
possibili con riferimento al momento, alle dimensioni e alla natura delle 
operazioni stesse. Nell'individuare le migliori condizioni possibili si ha 
riguardo ai prezzi pagati o ricevuti e agli altri oneri sostenuti direttamente o 
indirettamente dall'investitore".
(32) In 
conformità alla suddetta regola, gli operatori del mercato finanziario hanno il 
dovere di conoscere scrupolosamente la tipologia di investitori con cui vengono 
in contatto, ivi inclusa la loro propensione al rischio, nonché la situazione 
della loro liquidità, onde poterli consigliare meglio sulle operazioni da 
compiere. Si tratta, pertanto, di definire il profilo caratteristico dei 
clienti. La normativa di riferimento è dettata dall'art. 28, co. 1, lett. a) del 
regolamento Consob n. 11522/1998 in materia di intermediari. 
(33) Cfr. 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 259.
(34) SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
399.
(35) 
V., 
retro, § V. 1. 1.
(36) VISINTINI, G. Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 215.
(37) Cfr. 
LOBUONO, M. La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, 271; 
SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
400.
(38) 
Cfr. 
Tribunale di Bari, sentenza del 3 maggio 2001, n. 1020, con nota di VOLPE, La 
responsabilità degli intermediari finanziari: un leading case, in Contratti, 
2001, 901 e ss.
(39) 
SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
401.
(40)
Si 
tratta, come noto, di elementi che devono essere raccolti dall'intermediario ai 
sensi dell'art. 28, 1° comma, lett. a) del regolamento Consob n. 11522/1998. 
(41) Cfr. 
SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 
396 e ss.