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La pubblicità comparativa. Un nuovo strumento di informazione.
 

Marianna Chichi
 

 

 


Come si sa la pubblicità comparativa è stata a lungo vista con sfavore sia dagli operatori di diritto che dalla normativa autodisciplinare(1); si pensi al fatto che prima dell'intervento della disciplina comunitaria, nel nostro ordinamento non esisteva una legge sulla materia. E in assenza di un preciso riferimento normativo, il fenomeno era inquadrato nell'ambito della concorrenza sleale (art. 2598 c.c.).


Per parte sua ,la giurisprudenza distingueva tre tipologie di comparazione(2): diretta, attraverso un esplicito paragone tra i prodotti o servizi concorrenti;indiretta, attraverso un raffronto con prodotti o servizi di concorrenti non nominati;superlazione, con l'utilizzo di un superlativo relativo nel paragone con tutti gli altri prodotti o servizi dello stesso genere.

 

La prima tipologia, era vietata soltanto quando denigratoria verso i concorrenti; l'art. 2598 n. 2 del codice civile infatti, comprende tra gli atti di concorrenza sleale la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito o l'appropriazione di pregi di prodotti o dell'impresa di un concorrente. Il solo requisito della veridicità non era considerato di per sé sufficiente, in quanto la comparazione non doveva avvenire in maniera "tendenziosa, subdola o comunque scorretta"(3).


La valutazione dell'obiettività ed imparzialità quindi avveniva caso per caso.Lo stesso avveniva per la seconda: la dottrina infatti consentiva tale comparazione soltanto quando "non trasmoda(sse) nella denigrazione ed appar(isse) utile ad illustrare sotto l'aspetto tecnico ed economico le caratteristiche ed i vantaggi oggettivamente rilevanti e verificabili del prodotto pubblicizzato"(4).


La pubblicità comparativa indiretta, svolta in modo corretto e con portata informativa(5), era generalmente ammessa sia dalla giurisprudenza che da parte della dottrina(6).


L'ultima tipologia, seppur considerata come sottospecie della comparazione indiretta(7) e quindi non in contrasto con il divieto dell'articolo 2598 c.c.,(8) spesso è stata sanzionata dal Giurì di autodisciplina per l'impossibilità di dimostrare la veridicità dei superlativi.


La pubblicità comparativa (a ben vedere già presente negli Stati Uniti da oltre cinquant'anni) è stata introdotta nel nostro ordinamento soltanto nel 2000 con il decreto legislativo n.67 in attuazione della dir. 97/55/Ce (modificativa della dir. 84/450/Cee) integrando il d.lgs. 74/92.


Il motivo di questo ritardo è dovuto al timore del rischio di denigrazione delle aziende dei concorrenti ma anche di confusione nei consumatori: senza dubbio infatti, facendo la comparazione paragoni tra beni e servizi offerti dai concorrenti risulta più obiettiva, e questo può rappresentare un pericolo per i consumatori.


Tuttavia è innegabile che "in linea generale, se effettuata in termini e condizioni leali e con le modalità adeguate, (…) permette di rendere un'informazione più completa in favore dei consumatori ed utenti e, soprattutto, consente una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, della qualità delle loro prestazioni e del loro costo.


Infatti, la pubblicità comparativa offre un beneficio per tutti coloro che intendono usufruire dei servizi offerti al pubblico, in quanto vi è la possibilità di disporre di informazioni ulteriori che possono agevolare il processo decisionale; ma tale forma di comunicazione avvantaggia anche gli operatori economici che, usufruendo dello strumento della competizione, hanno la possibilità di includere nell'offerta al pubblico ulteriori dati relativi ai propri servizi o prodotti, creando le condizioni per ampliare il numero dei propri utenti o acquirenti.


Questo positivo effetto si verifica specialmente nell'ipotesi della mera comparazione dei prezzi riferiti a prestatori equivalenti; il confronto di più dati informativi circa il prezzo, infatti, stimola la concorrenza tra gli operatori, e il costo dei servizi o dei prodotti offerti tende ad abbassarsi.


In conclusione, un divieto incondizionato di uso della pubblicità comparativa imposto ai prestatori, di fatto, limita le possibilità dei soggetti più capaci di sviluppare ed ampliare l'offerta dei loro servizi, impedendo anche un ricambio di clientela, ma soprattutto, sarebbe un ostacolo alla libera concorrenza" (9).


Alla luce di queste considerazioni tale forma di pubblicità può definirsi "strumento di informazione" proprio in virtù dell'innegabile "valore informativo addizionale"(10) ed è quindi in grado, (soltanto se opportunamente regolamentata) di aprire nuove opportunità al mercato.


"La disciplina sulla pubblicità comparativa non incide solo sui rapporti tra imprese che, volendo promuovere l'acquisto di prodotti e servizi, si rivolgono al mercato pubblicitario per allestire campagne eventualmente ricorrendo a messaggi comparativi, ma involge anche interessi che riguardano: a) gli istituti che con scopi scientifici o di protezione del pubblico effettuano ricerche comparative sulle qualità e sulle caratteristiche di prodotti o servizi; i risultati di queste ricerche debbono essere protetti, in quanto sono il frutto di attività intellettuale e lavorativa; b) i titolari di marchi e altri segni distintivi: nella comparazione, i messaggi possono spingersi a identificare un prodotto o un servizio, e per pervenire a tale risultato debbono utilizzare i segni di cui esso è dotato per distinguersi dai prodotti o dai servizi similari"(11)


Sarà allora utile considerare la definizione e gli ambiti di liceità introdotti nel nostro ordinamento.


La pubblicità comparativa è definita nell'articolo 2 del decreto legislativo 74/92 comma 1, lettera b bis), come "qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente".


Le condizioni di liceità sono dettate dall'articolo 3 bis, che recita:


"1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è lecita se sono soddisfatte le seguenti condizioni:


a) non è ingannevole ai sensi del presente decreto;
b) confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
c) confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
d) non ingenera confusione sul mercato fra l'operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell'operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
e) non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;
f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
g) non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
h) non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.

2. Il requisito della verificabilità di cui al comma 1, lettera c), si intende soddisfatto quando i dati addotti ad illustrazione della caratteristica del bene o servizio pubblicizzato sono suscettibili di dimostrazione.
3. Qualunque raffronto che fa riferimento ad un'offerta speciale deve indicare in modo chiaro e non equivoco il termine finale dell'offerta oppure, nel caso in cui l'offerta speciale non sia ancora cominciata, la data di inizio del periodo nel corso del quale si applicano il prezzo speciale o altre condizioni particolari o, se del caso, che l'offerta speciale dipende dalla disponibilità dei beni e servizi".


In particolare. La pubblicità ingannevole è uno strumento di concorrenza scorretto in quanto induce in errore, portando ad una falsa rappresentazione della realtà al fine di provocare un comportamento suscettibile di valutazione economica a favore dell'impresa che la produce. Colpisce direttamente la buona fede dei consumatori .


La comparazione è ammessa per i beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o propongono gli stessi obiettivi, quindi esclusivamente per i beni succedanei o dello stesso genere che occupano il medesimo segmento di mercato. In caso contrario si rischierebbe di dar luogo alla forma di pubblicità per agganciamento. L'interscambiabilità dei prodotti dev'essere valutata dal punto di vista dei consumatori(12).


Il confronto oggettivo è quello che riguarda aspetti fondamentali di beni o servizi. Il prezzo è espressamente previsto dalla norma come requisito essenziale; l'essenzialità di altre caratteristiche dev'essere valutata in virtù della funzione del prodotto, considerando i bisogni cui risponde. Tutte le informazioni devono poter essere verificabili e accertate da prove (pena rettifica obbligatoria). Poiché la norma è ferrea nel richiedere l'oggettività del confronto, parte della dottrina esclude la liceità della comparazione suggestiva(13).


La comparazione non deve ingenerare confusione sul mercato tra l'operatore pubblicitario e un concorrente o tra marchi, denominazioni commerciali e altri segni distintivi: se l'utilizzo dei segni distintivi di un concorrente avviene nel rispetto di quanto stabilito dalla direttiva, con l'unico scopo di evidenziare le differenze, non viola il diritto esclusivo del titolare del marchio.


Il confronto non deve causare discredito o denigrazione del concorrente, pertanto non solo non deve diffondere notizie false, ma neppure quelle vere se riportate in modo incompleto, parziale e tendenzioso.


Per i prodotti recanti denominazione d'origine, la comparazione per essere lecita deve riferirsi soltanto a prodotti aventi la stessa denominazione.


Non è consentita la pubblicità comparativa che trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, dalla denominazione commerciale o da altro segno distintivo di un concorrente o denominazioni d'origine di prodotti concorrenti, con l'unico scopo di riflettere sui propri beni la considerazione di cui godono i prodotti concorrenti. Tale norma costituisce uno strumento concesso ai giudici per reprime forme pubblicitarie per agganciamento(14).


Non è ammessa infine la rappresentazione di un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da marchio o denominazione commerciale depositati.


Il legislatore ha esteso alla pubblicità comparativa la disciplina prevista per la pubblicità ingannevole dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 74 del 1992, affidando quindi all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il compito di controllare anche la pubblicità comparativa.


È importante specificare tuttavia, che il sindacato dell'Autorità riguarda la sola pubblicità comparativa diretta, sia esplicita (che realizzi un confronto con uno o più concorrenti nominati o identificabili in modo non equivoco) che implicita (in cui l'identità del concorrente si evince dal contesto promozionale); ciò è desumibile dall'articolo 2, lettera b-bis sopra riportato(15).


È esclusa pertanto tale natura con riguardo ad un messaggio recante un confronto riferito alla generalità dei concorrenti; al contrario, sono sindacabili sotto il profilo della liceità, le comparazioni svolte attraverso la menzione delle certificazioni sui prodotti detenute, rispettivamente, dall'operatore pubblicitario e da determinati e ben individuati concorrenti, o tramite l'espressa menzione del nome commerciale o dei marchi di un'azienda concorrente(16).


L'Autorità ha precisato che anche da un punto di vista logico, prima che giuridico, l'ingannevolezza dei messaggi può specificarsi in due distinti profili, connessi ma non necessariamente coincidenti e perciò valutabili disgiuntamente.


Il primo profilo ha per oggetto l'ingannevolezza in sé, ai sensi dell'articolo 3 

(" Elementi di valutazione):

1. Per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:
a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi;
b) al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato, ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi vengono forniti;
c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all'impresa ed i premi o riconoscimenti"), l'altro l'ingannevolezza del confronto rilevante ai sensi dell'articolo 3 - bis, comma 1, lettera a)"
(17).


Il riscontro dell'ingannevolezza nel secondo aspetto rileva anche come violazione del disposto di cui all'articolo 3-bis, comma 1, lettera a), qualora il profilo di induzione in errore riscontrato sia idoneo altresì ad alterare la percezione degli esatti termini del confronto pubblicitario.


È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario non solo in materia di atti di concorrenza sleale ma anche in quella di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore, sui marchi e "delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti"(art. 7, 13 d.lgs 74/92).


E' ammesso anche il controllo da parte di organismi volontari ed autonomi di autodisciplina (art. 8, comma 1, d.lgs 74/92).


Così l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha modificando l'articolo 15 del Codice, che ammetteva solo la pubblicità comparativa indiretta con rigorosi limiti, consentendo la comparazione " quando sia utile ad illustrare, sotto l'aspetto tecnico o economico, caratteristiche e vantaggi dei beni e servizi pubblicizzati, ponendo a confronto obiettivamente caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative di beni e servizi concorrenti, che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi.


La comparazione deve essere leale e non ingannevole, non deve ingenerare rischi di confusione, né causare discredito o denigrazione. Non deve trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà altrui." (18)


Perché un elemento possa essere utilizzato al fine di un'analisi comparativa, dovrà essere essenziale, pertinente, verificabile e rappresentativo.


Ne discende la necessaria cumulatività dei requisiti richiesti dal codice di autodisciplina al fine di una corretta forma di comparazione prestazionale (attraverso la quale si mettono in risalto pregi e caratteristiche dei prodotti e servizi offerti)(19).


Tuttavia "il raffronto comparativo non deve necessariamente portarsi su tutti gli elementi costitutivi un determinato prodotto o servizio"(20).


Secondo il Giurì infatti il confronto può riguardare anche il solo elemento prezzo, purché sia quello finale pagato dal consumatore; "non deve pertanto limitarsi a comparare alcune delle voci che concorrono a formarlo, a meno che il consumatore venga chiaramente avvertito, e con evidenza pari agli altri termini del confronto, circa i limiti della comparazione medesima" (21).


Per quanto riguarda l'omogeneità dei beni, "la comparabilità di due beni non postula solo l'identità dei bisogni o degli stessi obiettivi, ma esige anche una loro appartenenza alla stessa fascia qualitativa ed economica"(22).


Il criterio della omogeneità dei beni non è ricondotto a parametri puramente merceologici, infatti, il fatto che i prodotti non appartengano alla medesima classe merceologica è irrilevante nella misura in cui l'inserzionista decida di realizzare una pubblicità comparativa(23).


Il requisito in esame inoltre, "non incide esclusivamente sulla natura del bene in concreto, ma anche sulla stessa immagine pubblicitaria che di questo viene data al fine di svolgere il raffronto con altro prodotto di un concorrente"(24).


Il Giurì ha quindi condannato messaggi comparativi di servizi assolutamente omogenei ma con omissioni nella loro rappresentazione(25).


Infatti "il principio dell'autosufficienza informativa del messaggio comporta che le omissioni vengano sanzionate allorché ciò che è taciuto risulti essenziale per una corretta comprensione di ciò che viene invece enunciato come elemento caratterizzante del messaggio"(26).


L'articolo 14 dello stesso codice vieta "ogni denigrazione delle attività, imprese o prodotti altrui, anche se non nominati".


Esiste tuttavia un "discredito ammesso"(27) che non può essere censurato, in quanto parte imprescindibile della natura della pubblicità comparativa, che è innegabilmente utilizzata per mettere in luce un prodotto o servizio a discapito di un altro.


Spetta al Giurì valutare nel merito se tale denigrazione importi o meno violazione degli artt. 14 e 15 del CAP.


Si ricordi tuttavia, che mentre l'autorità giudiziaria statale non soltanto può impedire la continuazione del messaggio promozionale ed emettere provvedimenti per rimuoverne gli effetti ma può anche condannare l'autore al risarcimento del danno in presenza di dolo o colpa, i poteri del Giurì consistono esclusivamente nella possibilità di emettere un'ingiunzione di desistenza e di ordinare la pubblicazione del provvedimento.

 

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(1) Guizzardi, Pubblicità comparativa e autodisciplina pubblicitaria: prospettive dopo la direttiva CEE, in Giur. it., 1999, 1345 e ss.
(2) M. Fusi, P. Testa, in Diritto e pubblicità, p. 90 e segg.
(3) Cass., 13/06/1978, n.2931, in Mass. Giust. Civ., 1978, 1200.
(4) M. Fusi, P. Testa, ult. op. cit.
(5) App. Milano, 5 dicembre 1972, in Giur. ann. dir. ind, 1972, n. 209; Trib Milano, 11 ottobre 1973, n.399; Trib. Milano, 3 dicembre 1973, n. 428; Trib. Milano, 28 gennaio 1974, n. 510; Trib. Milano, 16 ottobre 1075, n. 754; Trib. Milano, 27 marzo 1976, n. 713; Trib. Milano, 12 luglio 1976, n. 850; Trib. Milano, 26 settembre1977, n. 967; App. Milano, 30 marzo 1978, n. 1043; Trib. Milano, 30 marzo 1978, n. 1044; Trib. Milano, 16 settembre 1982, n. 1620; App. Bologna, 14 giugno 1983, n. 1677; Cass., agosto 1987, n. 6682.
(6) Sordelli L., La concorrenza sleale, Milano 1955, 114 e segg.; Franceschelli R., Notizie e apprezzamenti veri o notori, pubblicità redazionale e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1964, II, 24 e ss.
(7) Floridia, La repressione della pubblicità comparativa, in Dir. ind., 1999, 182.
(8) Trib. Milano, 14/01/1991, in Giur. ann. Dir. ind., 1991, 2644.
(9) P. Sammarso, Le comunicazioni commerciali nelle professioni regolamentata, in Commercio elettronico e servizi della società dell'informazione, a cura di E. Tosi, 2003, p. 157, 158.
(10) Guggino, Comparazione suggestiva ed agganciamento, commento a Giurì pronuncia n. 148. 30/05/2000, in Il Dir. Ind., 2000, 276
(11) G. Alpa, Il diritto dei consumatori, Editori Laterza, 2002, p. 141.
(12) Meli, La pubblicità comparativa fra vecchia e nuova disciplina, in Giur. comm., 1999, 284.
(13) Auteri, La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e impresa, 1998, 601.
(14) Meli, op. cit., 288.
(15) Per la pubblicità comparativa diretta :PI/4090;PI/4056; PI4037; PI4299. Per la pubblicità comparativa indiretta: PI/PI/3962. Per la non ingannevolezza del confronto : PI/3945; PI/4037.
(16) Per l'omogeneità dei prodotti o servizi confrontati: PI/4056; PI/4018.
Divieto di denigrazione: PI/4090.
Per la prima ipotesi si veda il caso PI/3687; per le seconde PI/3716; PI/3680; PI/3750,e PI/3865.
(17) PI/3680, in Bollettino n.32/2002
(18) Nella pronuncia 13/07/1999, n. 214, in Dir. ind. 2000, il Giurì ha distinto la norma in due parti: l'una si riferisce alle condizioni di liceità della comparazione prestazionale, l'altra riguarda le condizioni di liceità di qualsiasi confronto.
(19) Pronuncia Giurì n. 74, 14/008/2000
(20) Fusi-Testa-Cottafavi, Le nuove regole per la pubblicità comparativa, Milano, 2000, 206
(21) Pronuncia Giurì 10/02/2004, n. 37
(22) Fusi-Testa-Cottafavi, op. cit., 213.
(23) Filippo Maria Andreani, Omogeneità dei prodotti alimentari e pubblicità comparativa, commento a pronuncia Giurì18/11/2003, n. 201, in Dir. ind.n. 3, 2004, 284
(24) Filippo Maria Andreani, Uso del marchio altrui nella propria pubblicità, commento a pronuncia Giurì 29/04/2003, n.84, in Il Dir ind.e n. 1, 2004, 87
(25) Pronuncia Giurì n. 76, 22/02/2002.
(26) Giurì, pronuncia 1171172003, n. 193
(27) Per un'ampia casistica: Cavallaro, La polizza telefonica e l'onore degli agenti di assicurazione, in Il diritto industriale, 2000, 378.