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Il promotore finanziario. Posizione professionale e disciplina delle attività
 

Daniela Raparelli
 




SOMMARIO: Il promotore finanziario. Generalità. – La contrattazione collettiva di riferimento. L’agente monomandatario. – Il promotore finanziario quale agente in esclusiva con libertà di plurimandato. – Conclusioni.

 

 

Il promotore finanziario. Generalità.

La figura del promotore finanziario venne introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 5 della L. n. 1/1991 ed è attualmente disciplinata dall’art. 31 del Tuf che, come già il decreto Eurosim, riserva a tali soggetti lo svolgimento dell’attività dell’offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento.
Preliminarmente, è bene ricordare come i promotori finanziari non rientrino nell’ambito della Dir. 93/22/CEE che, all’8° considerando, stabilisce che la vendita a domicilio e le sollecitazioni a domicilio dei valori mobiliari non devono essere contemplati dalla presente direttiva e devono essere disciplinati dalle disposizioni nazionali. L’applicazione della disciplina vigente nello Stato comunitario ospitante comporta che le imprese comunitarie abilitate nel loro Paese all’esercizio dei servizi d’investimento dovranno servirsi per l’offerta fuori sede in Italia di promotori finanziari che abbiano i requisiti richiesti dall’art. 31 del Tuf e che saranno sottoposti alla disciplina dalla stessa prevista1.
Diversi sono gli elementi che caratterizzano in generale la figura del promotore finanziario, primo fra tutti la riserva di attività2 ( che può essere letta anche come vincolo, per gli intermediari abilitati all’offerta fuori sede, di avvalersi di promotori finanziari per svolgere tale attività) prevista in loro favore dal comma I, dell’art. 31: a tali soggetti, infatti, compete in via esclusiva l’esercizio operativo dell’attività di promozione e collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e servizi di investimento fuori sede.
Ai sensi del comma II della citata norma, poi, la qualità di promotore finanziario può essere assunta unicamente da persone fisiche che, in qualità di dipendenti, agenti o mandatari, esercitino professionalmente l’offerta fuori sede.
La prima delle condizioni previste dalla norma in esame, ovvero lo svolgimento dell’attività unicamente da persone fisiche, comporta la personalità della prestazione con conseguente impossibilità per i promotori finanziari di unirsi in società, sia di capitali che di persone, per lo svolgimento dell’attività stessa.
La persistenza del divieto in esame ha suscitato perplessità in dottrina, in quanto considerato ormai anacronistico, anche in considerazione dell’abrogazione dello stesso vincolo nel settore delle professioni intellettuali protette3. A ben vedere, però, l’accostamento della figura del promotore finanziario alle professioni intellettuali non è così scontato. Come ha evidenziato parte della dottrina4, infatti, costituisce un’evidente forzatura il conferimento delle caratteristiche proprie della professionalità intellettuale ad un’attività prevalentemente commerciale e di distribuzione, sebbene connotata da profili di professionalità particolarmente elevati nell’indirizzo del cliente verso investimenti ottimali. Invero, manca un elemento essenziale, ovvero la titolarità del contratto del cliente, titolarità che appartiene pacificamente all’impresa di investimento.
Del resto, l’intellettualità che sicuramente caratterizza alcuni momenti della complessa attività propria del promotore finanziario, non risulta però prevalente rispetto alle altre componenti della stessa, né è oggetto della prestazione dovuta dal promotore al proprio intermediario e che, in definitiva, consiste nel procacciamento di clienti5.
Come è stato osservato in dottrina6, la sussistenza della preclusione delle forme societarie potrebbe trovare giustificazione nella necessità di mantenere un rapporto personale, data la natura prevalentemente fiduciaria del rapporto che intercorre tra risparmiatore e promotore finanziario. Infatti, sebbene la titolarità del rapporto con il cliente è dell’impresa di investimento e, dunque, è da escludere che il promotore abbia un contratto autonomo con il cliente, pur tuttavia, in virtù della professionalità che ne qualifica l’attività, instaura con il cliente un rapporto fiduciario di fatto che può assumere rilevanza giuridica autonoma7.
Altra condizione imposta dalla norma è che l’attività venga svolta professionalmente, ovvero in modo abituale anche se non esclusivo o principale, così come previsto dall’art. 2082 c.c., per l’imprenditore. Detta condizione deve ritenersi tuttora sussistente, nonostante la normazione secondaria abbia eliminato, tra le cause di cancellazione dall’albo dei promotori finanziari, l’ipotesi del mancato esercizio dell’attività senza giustificato motivo per oltre un anno8, in quanto è certo che la perdita di uno dei requisiti essenziali alla qualifica comporti la perdita della stessa.
Per quanto concerne il rapporto che lega il promotore finanziario al soggetto abilitato all’offerta fuori sede vige un regime di tipicità delle forme contrattuali: detto rapporto potrà assumere esclusivamente la veste di lavoro subordinato, agenzia o mandato.
I promotori finanziari, dunque, sono legati all’impresa di investimento da un contratto di lavoro dipendente od autonomo, quest’ultimo a sua volta nella forma dell’ agenzia o del mandato.
Il mandato si caratterizza, rispetto al contratto di agenzia, per la non stabilità, consentendo, in tal modo, l’accesso alla professione anche a soggetti posti in situazioni marginali e residuali, quali gli operatori occasionali, i cd. “procacciatori”, nonché a quelle categorie professionali il cui contratto di lavoro è incompatibile con il contratto di agenzia9.
Il contratto di mandato, però, ha sollevato non poche perplessità in dottrina, sia per la diversità della prestazione (compimento di atti giuridici anziché promozione di affari), sia per la mancanza di potere gestorio del mandatario pur in presenza di procura, sia soprattutto per il carattere non continuativo dell’attività del mandatario rispetto all’attività del promotore10 che, come detto, deve essere svolta professionalmente.
Nella prassi è, comunque, dominante la figura del promotore finanziario-agente11.
Infine, il comma in esame dispone che l’attività di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto. Si tratta del cd. vincolo di monomandato, in base al quale al promotore finanziario è preclusa la possibilità di promuovere e collocare presso il pubblico strumenti finanziari e servizi di investimento per conto di più intermediari.
Il comma III, dell’art. 31, disciplina la responsabilità degli intermediari per fatto del promotore, stabilendo che il soggetto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal promotore, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza e l’idea prevalente in dottrina la responsabilità solidale dell’intermediario ha carattere oggettivo ed è connessa al rischio di impresa, e ciò al fine di offrire una tutela rafforzata all’investitore che può così contare anche sul patrimonio dell’intermediario.
Il successivo comma IV prevede l’istituzione presso la Consob dell’albo unico nazionale dei promotori finanziari. L’iscrizione all’albo è condizionata alla ricorrenza dei requisiti di onorabilità e professionalità individuati con il D.M. Tesoro n. 472/1998, alla insussistenza delle situazioni impeditive di cui all’art. 2 del decreto medesimo ed al superamento della prova valutativa di cui all’art. 89 del Reg. Consob n. 11522/98 o, in alternativa a quest’ultima, alla ricorrenza di taluno dei requisiti di professionalità accertati dalla Consob sulla base dei criteri valutativi individuati dall’art. 4 del citato decreto (cd. iscrizione di diritto).



La contrattazione collettiva di riferimento. L’agente monomandatario.

In assenza di un contratto collettivo apposito per i promotori finanziari, la contrattazione collettiva di riferimento è l’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore commercio, del 26 febbraio 2002, cui gli stessi contratti individuali di agenzia, sottoscritti dai promotori finanziari, fanno spesso espresso riferimento nella prassi.
L’A.E.C., in diverse norme, detta una disciplina differenziata per l’ipotesi di agente operante in forma di monomandatario e per quella di agente operante in forma di plurimandatario.
In particolare, l’art. 7 dell’A.E.C., in attuazione di quanto previsto dall’art. 1751 bis, cod. civ., disciplina il calcolo dell’indennità non provvigionale dovuta all’agente a fronte del patto di non concorrenza post-contrattuale, quando inserito nel singolo incarico di agenzia, disponendo che la base di calcolo della suddetta indennità è ridotta del 20% per gli agenti operanti in forma di plurimandatario.
La citata norma precisa che, ai soli fini del calcolo dell’indennità prevista a fronte del patto di non concorrenza post-contrattuale, si considerano come monomandatari anche gli agenti operanti come plurimandatari, per i quali il mandato cessato valga almeno l'80% del monte provvigionale di spettanza dell’agente o rappresentante da tutte le case mandanti in ciascuno dei due anni antecedenti la chiusura del rapporto.
L’art. 10 dell’A.E.C., invece, regolamenta il preavviso dovuto dalla parte recedente in caso di risoluzione di un rapporto di agenzia a tempo indeterminato. Il periodo di preavviso imposto dalla norma al contraente recedente, variabile anche in funzione della durata del contratto nel solo caso in cui a recedere sia la casa mandante, è diverso a seconda che l’agente sia operante in forma di monomandatario o di plurimandatario.
Un’ulteriore diversificazione per le distinte ipotesi di agente operante in forma di monomandatario e di agente operante in forma di plurimandatario è dettata dall’art. 14 dell’A.E.C., rubricato “Previdenza Enasarco”. La citata norma dispone che il trattamento di previdenza in favore degli agenti e rappresentanti deve essere attuato mediante il versamento, da parte delle ditte, di un contributo sulle provvigioni liquidate all'agente o rappresentante e da un contributo di pari importo a carico dell'agente o rappresentante, che verrà trattenuto dalle ditte all'atto della liquidazione delle provvigioni stesse. Il secondo comma della norma precisa che detti contributi sono dovuti sulle provvigioni liquidate nell'anno nel limite di 24 milioni di lire per ciascuna delle case mandanti per gli agenti e rappresentanti operanti in forma di plurimandatario, ovvero nel limite di 42 milioni di lire, per gli agenti e rappresentanti operanti in forma di monomandatario.
Infine, va menzionato il disposto dell’art. 12 dell’A.E.C. che, in attuazione dell’art. 1751 cod. civ., disciplina l’indennità di fine rapporto dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto di agenzia. Detta indennità risulta composta da tre emolumenti: l’indennità di risoluzione del rapporto, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica.
Per quanto concerne, in particolare, l’indennità di risoluzione del rapporto la norma introduce limiti di calcolo più elevati per gli agenti impegnati ad esercitare in esclusiva la loro attività per una sola ditta.
Da un esame delle norme suindicate è possibile individuare una fondamentale differenza nel tenore letterale delle stesse: mentre, gli artt. 7, 10 e 14 prevedono una disciplina speciale per gli agenti “operanti in forma di monomandatario”, l’art. 12 si riferisce agli agenti “impegnati ad esercitare in esclusiva la loro attività per una sola ditta”. Si tratta, dunque, di due ipotesi distinte i cui ambiti devono essere individuati.
Preliminarmente, si deve ricordare che il patto di esclusiva vincolante l’agente ai sensi dell’art. 1743 cod. civ., inteso come il divieto di assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro, è elemento naturale del contratto di agenzia e come tale derogabile dalle parti.
La norma codicistica è riprodotta dall’art. 2 dell’A.E.C. che, al comma II, precisa che il suddetto divieto non si estende, salvo espresso patto di esclusiva per una sola ditta (vale a dire rapporto di monomandato), all'assunzione da parte dell'agente o rappresentante dell'incarico di trattare gli affari di più ditte non in concorrenza tra loro.
Deve, dunque, distinguersi la figura dell’agente in esclusiva da quella dell’agente monomandatario: è agente in esclusiva colui che assume l’impegno di non operare anche per altre ditte committenti in concorrenza, mentre l’agente monomandatario è quello che si impegna a non assumere mandati anche per ditte non in concorrenza12.
Ne consegue che all’agente monomandatario, a cui risulta preclusa l’assunzione di incarichi da parte di altre ditte anche non in concorrenza, sarà certamente applicabile il disposto degli artt. 7, 10 e 14 dell’A.E.C. che si riferiscono agli agenti “operanti in forma di monomandatari”. A tale categoria di agenti sarà anche applicabile il trattamento di favore previsto dall’art. 12 dell’A.E.C., per il calcolo dell’indennità di risoluzione del rapporto, a vantaggio degli agenti “impegnati ad esercitare in esclusiva la loro attività per una sola ditta”.
Diversa è la situazione per gli agenti con libertà di plurimandato i quali, sebbene possono essere vincolati da un patto di esclusiva con riferimento a ditte committenti in concorrenza, restano comunque liberi di assumere incarichi per conto di ditte non in concorrenza. In questi casi potrebbe assumere rilevanza giuridica la situazione di fatto concretamente determinatasi. Ed infatti, un agente con libertà di plurimandato può, in fatto, operare come un agente monomandatario ove si astenga dall’assumere incarichi da parte di altre ditte, siano esse in concorrenza o meno.
Deve, dunque, distinguersi all’interno della categoria degli agenti con libertà di plurimandato fra quelli che operano in fatto come plurimandatari e quelli che, invece, operano come monomandatari.
In ordine ai primi deve escludersi certamente l’applicazione del trattamento di favore previsto dagli artt. 7, 10, 12 e 14 dell’A.E.C.
Per quanto concerne i secondi, ovvero gli agenti con libertà di plurimandato che operano in fatto come monomandatari, la soluzione non è così scontata.
Per verificare se risulta applicabile il trattamento di favore di cui all’art. 12, bisogna preliminarmente determinare il significato da riconnettere alla locuzione “impegnati ad esercitare in esclusiva la loro attività per una sola ditta”. In particolare, si deve chiarire se con il termine “impegnato” debba intendersi l’assunzione di un’obbligazione contrattuale volta a limitare la libertà di plurimandato o, piuttosto, le modalità di fatto con cui l’agente ha in concreto eseguito il rapporto, svolgendo la sua attività professionale per conto di una sola ditta.
La problematica è stata affrontata in diverse occasioni dalla Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione da dare alla norma dell’art. 6 della L. n. 12 del 2 febbraio 1973 che prevede un maggiore massimale contributivo per l’agente che “sia impegnato ad esercitare la sua attività per un solo preponente”.
In una prima sentenza del 1994, la Corte esclude che l’espressione “sia impegnato” possa riferirsi ad uno svolgimento in concreto del rapporto afferendo, piuttosto, ad un accordo intercorso tra le parti. Pertanto, afferma la Corte, “non appare idoneo ad integrare il dettato della legge, il mero svolgimento di fatto del rapporto nei confronti di un unico mandante, poiché questo, di per sé, non esclude da parte del mandatario la possibilità di svolgere la sua attività anche per altri soggetti. Ciò, invero, è confermato proprio dalla espressione “sia impegnato” usata dal legislatore, che lungi dall’indicare un impegno unilaterale, sta proprio ad indicare un obbligo in senso tecnico giuridico, e quindi un accordo con il detto unico preponente” 13.
A distanza di circa quattro anni la Corte, investita nuovamente della questione, ritiene di non potersi conformare al suo precedente del 1994 e muta l’orientamento iniziale, in senso diametralmente opposto. Nella sentenza in commento la Corte sostiene che la previsione di un maggiore massimale contributivo in favore dell’agente impegnato ad esercitare la sua attività per un solo preponente trova fondamento nell’esigenza di compensare con una previsione più remunerativa l’agente in ragione del più difficile esercizio dell’attività, conseguente al divieto di svolgerla per qualsiasi altro preponente. “Risiede, quindi, nell’espletamento effettivo di una così speciale e particolare attività agenziale il fondamento giustificativo del particolare trattamento previdenziale: non a caso la legge all’art. 6 richiede un agente “impegnato” e non formalmente obbligato nei confronti di un unico committente essendo come si è detto, il più difficile esercizio dell’attività il fattore che giustifica il compenso previdenziale”14.
Infine, con una sentenza del 2000, in cui la Corte richiama espressamente il contrasto in seno ad essa determinatosi a seguito dei suddetti precedenti, viene accolto il filone interpretativo originario in base al quale il maggiore massimale contributivo è riservato agli agenti che si siano obbligati ad esercitare la loro attività nei confronti di un solo mandante. In tale pronuncia, la Corte chiarisce efficacemente che “il termine “impegnato”, contenuto nell’art. 6 della L. n. 12/1973, ha un significato univoco di “obbligato” oppure “vincolato”, non avendo, nel contesto della frase, un valore né riflessivo (si sia impegnato) con riferimento ad un obbligo assunto, né temporale (si fosse impegnato) con riferimento al tempo iniziale del rapporto. D’altra parte, dal punto di vista letterale il termine stesso, inserito nel contesto della norma, non può significare “occupato”, evidente essendo il riferimento all’esercizio effettivo di una attività nascente da un obbligo originariamente assunto”15.
La soluzione ultima accolta dalla Corte sembra quella preferibile e può essere efficacemente trasposta nell’interpretazione dell’art. 12 dell’A.E.C.
Ne consegue che agli agenti con libertà di plurimandato che operano in fatto come monomandatari non sono applicabili i limiti più elevati previsti per il calcolo dell’indennità di risoluzione del rapporto ai sensi della citata norma. Per quanto concerne, invece, l’applicazione degli arrt. 7, 10 e 14 dell’A.E.C. agli agenti con libertà di plurimandato, che operano di fatto come monomandatari, la soluzione positiva sembra conseguire al diverso tenore letterale delle suindicate norme, ove si riferiscono agli “agenti operanti in forma di monomandatari”.
Ed infatti, il termine “operante”, a differenza del termine “impegnato”, non presuppone l’esistenza di un obbligo in senso tecnico-giuridico, sembrando piuttosto rinviare esclusivamente ad una situazione di fatto. Del resto, non si può negare che un’interpretazione analoga dei due termini priverebbe di logica l’utilizzo di locuzioni diverse nei più volte richiamati artt. 7, 10, 12 e 14 dell’A.E.C.
L’accoglimento di detta interpretazione comporta l’applicabilità del trattamento di favore previsto dagli artt. 7, 10 e 14 anche agli agenti non vincolati giuridicamente al monomandato ma, in fatto, operanti come tali.
La soluzione proposta non solleva dubbi in ordine al rispetto del principio di uguaglianza con riferimento al trattamento fra agenti vincolati giuridicamente al monomandato e agenti con libertà di plurimandato che operano in fatto come monomandatari, in quanto solo ai primi sarà applicabile il trattamento di favore di cui all’art. 12 dell’A.E.C., compensando, in tal modo, la compressione totale della libertà di plurimandato.
Dubbi possono sorgere, invece, con riferimento agli agenti con libertà di plurimandato che operano come monomandatari, in quanto, in tale caso, potrebbe verificarsi l’ipotesi dell’agente che per alcuni periodi ha operato come plurimandatario. Applicare sic et sempliciter anche a questi casi gli artt. 7, 10 e 14 dell’A.E.C. sembra porsi in contrasto col rispetto del principio di uguaglianza, in quanto si verrebbe ad introdurre una disparità di trattamento rispetto a quegli agenti con libertà di plurimandato che hanno sempre operato come monomandatari.
Una possibile soluzione che eviterebbe incertezze in ordine al rispetto del principio di uguaglianza potrebbe essere quella di prevedere una riduzione dei vantaggi previsti dalle citate norme, proporzionale al periodo in cui l’agente ha operato come plurimandatario.



Il promotore finanziario quale agente in esclusiva con libertà di plurimandato

Fra le regole che disciplinano i rapporti tra il promotore finanziario e l’intermediario assume particolare rilievo quella prevista dall’art. 31, comma II, del Tuf e definita impropriamente16 del cd. monomandato, secondo cui “l’attività di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto” .
Promuovere e collocare presso i risparmiatori strumenti finanziari o servizi di invetsimento per conto di due o più soggetti abilitati è considerato uno degli illeciti più gravi in cui possa incorrere un promotore finanziario ed, infatti, l’art. 98, comma II, lett. a) del Regolamento Consob n. 11522/1998 lo menziona al primo posto nell’elenco degli illeciti sanzionati con la radiazione dall’Albo, che fra le pene previste è la più severa.
La regola in commento è sempre più osteggiata dalla categoria dei promotori, che la considerano oramai anacronistica in quanto non tiene in debito conto la fisiologica evoluzione della figura professionale, correlata, a sua volta, all’evoluzione dei mercati finanziari e delle esigenze dei risparmiatori. Questa evoluzione dovrebbe, a loro avviso, dare spazio ad una pluralità di modelli e figure professionali, capaci di offrire risposte articolate e differenziate alla domanda sempre meno omogenea che emerge nel mercato del risparmio: promotori che operano come agenti in regime di monomandato; promotori – consulenti; promotori che operano come broker, canalizzando la domanda dei clienti verso una gamma differenziata di prodotti, offerti da intermediari diversi, ecc.17.
In generale, si ritiene che l’abolizione del divieto comporterebbe il rischio di scarsa trasparenza, di conflitti di interesse e confusione del cliente, oltre a far venire meno il presupposto della responsabilità solidale ed oggettiva del soggetto abilitato che conferisce l’incarico, per i danni arrecati a terzi dal promotore18. Come osservato da parte della dottrina19, infatti, se il promotore potesse operare per più soggetti sarebbe difficile isolare la responsabilità dei singoli intermediari per l’attività posta in essere dai promotori.
In realtà, appare assai dubbio che il divieto in esame risponda principalmente alle esigenze di tutela degli investitori (ed infatti, un conflitto di interessi non minore sussiste in presenza di un monomandato, dal momento che il promotore potrà offrire soltanto prodotti dell’intermediario o da lui distribuiti), piuttosto che all’interesse delle cd. “reti di vendita”, ossia delle società specializzate nell’offerta fuori sede, ad evitare che sul mercato si affermino come intermediari autonomi soggetti la cui forza risiede nel contatto personale (e dunque nella relazione di fiducia costruita) con la clientela20.
La portata della regola del cd. monomandato è stata oggetto di diversi interventi chiarificatori della Consob.
L’organo di vigilanza ha precisato21 che, ai fini della violazione della regola in esame, risulta irrilevante la persistenza di rapporti formali non operativi fra il promotore finanziario ed il precedente intermediario, essendo rilevante unicamente lo svolgimento in concreto dell’attività promozionale per conto di più intermediari abilitati.
In una risposta a quesito22, la Consob ha negato la possibilità per il promotore finanziario di svolgere l’offerta fuori sede per conto di più intermediari appartenenti al medesimo gruppo, sul presupposto che il gruppo è privo di un’autonoma soggettività giuridica e, pertanto, i singoli soggetti che lo compongono mantengono ciascuno la loro propria autonomia giuridica. Ne consegue che lo svolgimento dell’offerta fuori sede per conto di più soggetti, sia pure appartenenti al medesimo gruppo, costituisce violazione della regola del cd. monomandato, attesa l’alterità soggettiva dei singoli componenti del gruppo.
E’ stato osservato23, che il riferimento contenuto nell’art. 31, comma II, Tuf, in base al quale il promotore può operare per un solo “soggetto” e non già per una sola “società di intermediazione mobiliare”, come invece statuiva l’art. 5, comma III, L. n. 1/1991, andrebbe interpretato nel senso del divieto di cumulo di incarichi conferiti anche da soggetti non abilitati (ossia non menzionati nell’art. 30 del Tuf), per i quali, tuttavia, è possibile l’esercizio dell’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti finanziari e dai servizi di investimento (ad esempio, le imprese di assicurazione).
Detta interpretazione è da respingere alla luce del consolidato orientamento della Consob24 che ha più volte affermato che, in linea di principio ed ai sensi dell’art. 94 del Reg. Intermediari, tra l’attività di promotore finanziario ed altre figure professionali, quali il broker di assicurazioni, l’agente di assicurazioni plurimandatario ed il consulente assicurativo o subagente di assicurazioni, non sussiste incompatibilità. Peraltro, il contestuale esercizio dell’attività di promotore e di ciascuna delle figure professionali in esame (anche se saltuario ed occasionale) deve sottostare ad una duplice limitazione, soggettiva ed oggettiva:
a) i collaboratori della società o dell’agenzia di assicurazione devono presentarsi alla clientela esclusivamente in qualità di agenti di queste ed astenersi dal rappresentare la propria qualità di promotori;
b) devono promuovere o collocare prodotti assicurativi diversi da quelli offerti dall’intermediario mobiliare per conto del quale svolgono attività di promotori.
La Consob ha chiarito che la ratio della duplice limitazione risiede nell’esigenza di non ingenerare confusione nella clientela circa la provenienza del prodotto offerto - se cioè una determinata polizza assicurativa rientri tra i prodotti e servizi diversi offerti dalla Sim o, viceversa, appartenga alla gamma dei prodotti offerti dalla compagnia assicuratrice - nonché nella necessità di separare le due attività in ragione della diversa disciplina cui sono soggette. Pertanto, il promotore finanziario che già svolga l’attività di offerta fuori sede per conto di una Sim e che intenda assumere l’ulteriore incarico di collocare prodotti assicurativi per conto di una società di assicurazioni, dovrà verificare, prima di accettare il doppio mandato, il tipo di prodotto offerto, nonché la provenienza dello stesso.
Parimenti, si è affermato25 che, in linea di principio, non si ravvisano cause di incompatibilità tra l’attività di promotore finanziario e la prestazione di un servizio di recupero crediti svolta, attraverso un contratto d’opera, per conto di una società che svolge l’attività di recupero crediti per conto di un gruppo bancario. In tali casi, però, un conflitto di interessi potrebbe effettivamente sussistere ove l’intermediario per conto del quale il promotore finanziario opera offra anch’esso un servizio di recupero crediti.
Una disciplina particolare è prevista per lo svolgimento dell’attività di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari da parte del promotore finanziario, ovvero della cd. consulenza autonoma o oggettivizzata (da non confondere con la cd. consulenza strumentale o illustrativa, attività prodromica e servente rispetto all’attività di promozione e collocamento).
Come chiarito dall’Organo di Vigilanza26, il promotore finanziario può svolgere l’attività di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari “in proprio”, solo ove non eserciti attività di promozione e collocamento per conto di un intermediario. Ove il promotore svolga l’attività di offerta fuori sede per conto di un intermediario, invece, l’attività di consulenza può essere esercitata solo per conto di quest’ultimo o di altro soggetto appartenente al medesimo gruppo, ai sensi dell’art. 94, comma I, lett. a) Reg. Intermediari.
La ratio di tale limitazione è da rinvenire nelle particolari caratteristiche della consulenza, attività consistente nel fornire all’investitore indicazioni utili per effettuare le proprie scelte di investimento e nel consigliare le operazioni più adeguate in relazione alla situazione economica ed agli obiettivi dell’investitore stesso: essa è pertanto caratterizzata dall’inesistenza di vincoli predeterminati in ordine agli investimenti da suggerire e dalla posizione di neutralità del consulente rispetto agli investimenti consigliati. Tale neutralità non è ravvisabile in capo al promotore incaricato dell’offerta fuori sede di determinati servizi d’investimento e strumenti finanziari per conto di un intermediario, avendo egli, in tal caso, un interesse proprio all’effettuazione di investimenti aventi ad oggetto i beni promossi. Da tale ratio discende che l’incompatibilità in questione non sussiste per i promotori iscritti all’albo, ma non operanti per conto di alcun soggetto abilitato all’offerta fuori sede27.
Perplessità può sollevare la possibilità di svolgere attività di consulenza per conto di un intermediario appartenente al medesimo gruppo, ma diverso da quello per il quale il promotore finanziario esercita l’offerta fuori sede, attesa, di converso, l’impossibilità di svolgere l’attività di promotore finanziario per conto di più soggetti appartenenti al medesimo gruppo.
Se, infatti, si esclude tale possibilità motivando con l’alterità soggettiva dei diversi intermediari del medesimo gruppo, non si comprende perché di tale alterità non si debba tenere conto nel servizio di consulenza, legittimando un possibile conflitto di interessi. Ed infatti, anche in tale caso il promotore finanziario avrà interesse ad orientare gli investitori verso gli strumenti finanziari ed i servizi di investimento che lo stesso promuove e colloca per conto dell’intermediario per il quale opera in qualità di promotore finanziario
Da quanto sopra esposto discende che l’attività di promotore finanziario non preclude, in linea generale, lo svolgimento di altre attività per conto di soggetti diversi dall’intermediario per il quale il promotore opera, ad eccezione di quanto disposto dall’art. 94 del Reg. Intermediari che elenca alcune ipotesi di incompatibilità.
Fra le diverse incompatibilità previste dalla citata norma, vi è quella relativa ad “ogni ulteriore incarico o attività che si ponga in grave contrasto” con l’ordinato svolgimento dell’attività di promotore finanziario.
Si tratta di una disposizione volutamente generica in quanto la ratio di tale norma è volta a garantire l’adattabilità del sistema, nell’ottica della migliore tutela del pubblico risparmio, a fattispecie non ancora mature nella prassi degli operatori, che potrebbero apparire in grado di compromettere il regolare svolgimento dell’attività tipica dei promotori. Come affermato dalla Commissione28, non è possibile circoscrivere e precisare a priori, aldilà del principio guida ivi enucleato, la portata applicativa della norma in esame. Pertanto, l’individuazione delle attività suscettibili di ricadere nell’ambito della norma in esame è rimessa ad una valutazione da effettuare, di volta in volta, con riguardo alle peculiarità del caso concreto.
In conclusione, si può affermare che il promotore finanziario può svolgere la tipica attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimenti per conto di un solo intermediario, essendo vincolato da un obbligo di esclusiva simile a quello previsto in generale per l’agente dall’art. 1743 cod. civ. (ma non derogabile dalle parti), ma potrà, al contempo, svolgere la sua attività professionale, genericamente intesa, per conto di altre ditte, purchè detta attività non si ponga in conflitto di interessi con l’attività di promotore finanziario.
Ne consegue che il promotore finanziario-agente, essendo obbligato da una norma imperativa a svolgere l’attività di promotore finanziario per conto di un solo intermediario, può dirsi sicuramente “agente in esclusiva”, in quanto gli è precluso assumere l’incarico di trattare “per lo stesso ramo” (offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento) gli affari di più “imprese in concorrenza” (i soggetti abilitati a svolgere l’offerta fuori sede ed individuati dall’art. 30 del Tuf), ma non può dirsi vincolato da un obbligo di monomandato, salva espressa pattuizione contrattuale in tal senso, ben potendo assumere l’incarico di promuovere affari diversi per conto di altri soggetti. Trattasi, dunque, di un agente in esclusiva con libertà di plurimandato.
Tornando alle norme dell’A.E.C. del settore commercio che, come detto, rappresenta ad oggi la contrattazione collettiva di riferimento, al promotore finanziario-agente sarà inapplicabile l’art. 12, salva espressa disposizione contrattuale che lo impegni a svolgere la sua attività (professionale) per conto di una sola ditta, ovvero che lo obblighi al monomandato. Risulteranno, invece, applicabili gli artt. 7, 10 e 14 ove il promotore abbia svolto la sua attività (professionale) unicamente per conto dell’intermediario per il quale esercita l’attività di promotore finanziario, operando in fatto come monomandatario.



Conclusioni

Il contratto di agenzia che lega il promotore finanziario all’intermediario abilitato all’offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento si caratterizza per la natura prevalentemente promozionale e commerciale della funzione che assegna al promotore, il quale assume l’impegno di procurare continuamente nuovi affari e nuovi clienti per conto del preponente.
Sebbene in questo, tale contratto sia analogo al contratto di agenzia concluso tra l’agente di commercio e la ditta preponente, tuttavia i due contratti non possono essere equiparati in toto in quanto quello sottoscritto dal promotore finanziario viene qualificato da un profilo ulteriore: la professionalità richiesta allo stesso e necessaria ad orientare in modo ottimale le scelte di investimento del cliente ed ad instaurare il rapporto fiduciario sul quale si fonderà la relazione di durata con l’investitore, per il periodo successivo alla conclusione del primo contatto.
Come osservato dalla dottrina29, tale peculiare professionalità non snatura la natura commerciale dell’attività svolta dal promotore finanziario nell’esecuzione del contratto di agenzia, ma la affianca consentendone l’ottimale valorizzazione.
La professionalità è, dunque, indefettibile e va riconosciuta. Il promotore finanziario, pertanto, non dovrebbe essere ricondotto nei ristretti limiti della figura dell’agente di commercio, vanificandosi, altrimenti, il riconoscimento della specifica professionalità richiestagli.
Inoltre, non vanno trascurate altre sostanziali differenze fra l’agente di commercio ed il promotore finanziario-agente, quale in primis il vincolo di esclusiva previsto a carico del promotore da una norma inderogabile di legge. Come è stato osservato30, tale vincolo comporta che in mancanza di accordi economici altamente remunerativi il promotore finanziario non possa, come i “comuni” agenti, trovare nella pluralità di mandati una fonte di incremento dei propri guadagni oltre che un modo di migliore utilizzazione delle spese per la ricerca ed il mantenimento della clientela. In tal modo però il promotore finanziario-agente finisce col dipendere dall’intermediario più del promotore finanziario-lavoratore dipendente, senza avere come quest’ultimo una normativa particolarmente forte a tutela del proprio posto di lavoro.
Né può obiettarsi che, in realtà, il promotore finanziario possa assumere altri incarichi per conto di ditte non in concorrenza, attesa la libertà di plurimandato di cui gode, poiché detta libertà gli consente sì di accettare altri mandati, ma non di svolgere la propria tipica attività (di promotore finanziario) per conto di più mandanti, come invece potrebbe l’agente di commercio ove l’autonomia privata derogasse alla norma di cui all’art. 1743 cod. civ.
Deve, inoltre, considerarsi l’impossibilità per il promotore finanziario-agente di stipulare un contratto di sub-agenzia, ritenuto invece lecito per l’agente in generale. Ed infatti, la particolare natura dell’attività del promotore finanziario, la necessità di presentare al risparmiatore il documento informativo rilasciato dall’intermediario e, soprattutto, la responsabilità di quest’ultimo per l’operato del promotore finanziario, rendono impossibile la creazione di un rapporto di sub-agenzia.
Da tali premesse consegue l’insufficienza di una contrattazione collettiva destinata a tutelare specificatamente gli agenti di commercio e che non tiene in debito conto le restrizioni previste dalla normativa specifica di settore, nonché i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti al promotore finanziario per l’iscrizione all’albo, ben più rigorosi rispetto a quelli richiesti dall’art. 5 della L. n. 204 del 1985 per l’iscrizione nel ruolo agenti di commercio.
Da qui le spinte delle associazioni di settore verso una contrattazione collettiva apposita per i promotori finanziari.


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1 A. Chieppa Maggi, Commento all’art. 31, in Testo unico della finanza, Commentario (diretto da) Campobasso, 2002, 274
2 Cfr. V. Roppo, Commento all’art. 31, in Commentario al Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, (a cura di) Alpa, Capriglione, 1998, 333
3 Cfr. M. De Mari, L. Spada, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari. Quarta parte, in Foro it., 2002, 1356
4 F. Bochicchio, La nuova disciplina del promotore finanziario, in Giur. Comm., 1998, 6, 871 e ss.
5 A. Chieppa Maggi, Il promotore finanziario, Bari, 2003, 44
6 A. Chieppa Maggi, Commento all’art. 31, op. cit., 275
7 Cfr. F. Bochicchio, op. cit.; contra v. F. Capriglione, Problemi della pratica. I “ patti di non concorrenza” con promotori finanziari, in Banca borsa tit. cred., 2001, 2, 223 e ss.
8 Cfr. art. 92 del Regolamento Consob n. 11522/98
9 F. Bochicchio, op. cit.
10 A. Chieppa Maggi, op. ult. cit., 276
11 Sulle problematiche relative alla disciplina applicabile al promotore-agente, v. A. Chieppa Maggi, Il promotore finanziario, op. cit., 53 e ss.
12 Trib. Verona, 10 dicembre 1991, in Informazione previd., 1992, 830.
13 Cass. civ., sez. lav., 9 febbraio 1994, n. 1302, in Foro it., 1994, 105
14 Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 1998, n. 2383, in Giust. Civ. Mass., 1998, 502
15 Cass. civ., sez. lav., 6 novembre 2000, n. 14444, in Giust. Civ. Mass., 2000, 2263
16 L. Zitiello, L’offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento, in (a cura di) G. Ferrarini e P. Marchetti, La riforma dei mercati finanziari. Dal decreto Eurosim al Testo Unico della Finanza, 1998, 265
17 V. Roppo, op. cit., 336
18 A. Chieppa Maggi, op. ult. cit., 276
19 M. De Mari, L. Spada, op. cit.
20 Cfr. R. Costi, L. Enriques, Il mercato mobiliare, in Trattato di diritto commerciale, (diretto da) G. Cottino, 2004, 181
21 Cfr. comunicazione n. DAL/RM/95005130 del 16 giugno 1995
22 Cfr. comunicazione n. DIN/2071281 del 30 ottobre 2002
23 A. Patroni Griffi, L’offerta fuori sede, in (a cura di) A. Patroni Griffi, M. Sandulli, V. Santoro, Intermediari finanziari, mercati e società quotate, 1999, 25; contra v. L. Zitiello, op. cit., 265.
24 Cfr. comunicazione n. 98092797 del 2 dicembre 1998; comunicazione n. 99077423 del 22 ottobre 1999; comunicazione n. 99088302 del 1 dicembre 1999; comunicazione n. DI/3536 del 19 gennaio 2000; comunicazione n. DI/40070 del  maggio 2000
25 Cfr. comunicazione n. DI/98010251 del 12 febbraio 1998
26 Cfr. Comunicazione n. DIN/1083623 del 7 novembre 2001
27 Cfr. Comunicazione n. DI/98096957 del 21 dicembre 1998
28 Cfr. comunicazione n. DAL/RM/97005841 del 3 luglio 1997; comunicazione n. DI/98010251 del 12 febbraio 1998
29 F. Bochicchio, op. cit., in Giur. Comm., 1999, 2, 205 e ss.
30 A. Chieppa Maggi, Il promotore finanziario, cit., 54.