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Il principio delle comuni ma differenziate responsabilità

 

VITO DE LUCIA
 

 


Sommario
Il principio di comuni ma differenziate responsabilità è uno dei pilastri del diritto internazionale ambientale e dello sviluppo sostenibile. È emerso inizialmente ed è stato esplicitamente formulato nel contesto della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio nel 1992, il cosiddetto Earth Summit. Il principio trova le sue origini in considerazioni e principi generali di equità del diritto internazionale. In particolare, il principio di comuni ma differenziate responsabilità informa la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite e il Protocollo di Kyoto, ed è uno dei principi guida della politica climatica, in vista di un nuovo accordo internazionale che succeda al Protocollo di Kyoto a partire dal 2012.


Introduzione: responsabilità ambientale degli Stati nel Diritto Internazionale
In generale, la responsabilità ambientale degli Stati è un principio generale del diritto internazionale1. Il Principio 2 della Dichiarazione di Rio stabilisce che: “Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite ed ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed hanno il dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all'ambiente di altri stati o di aree situate oltre i limiti della giurisdizione nazionale2”. Questo principio di responsabilità per atti che causino danni transfrontalieri trova le sue origini nel Trail Smelter Arbitration3, che chiarì come il principio di sovranità incontra un limite nei diritti di un altro Stato sovrano, dal momento che “nessuno Stato ha il diritto di usare o di permettere l'utilizzo del proprio territorio in maniera tale che possa causare danni nel o al territorio di un altro Stato, o a beni o persone di questo4”. La Corte Internazionale di Giustizia ha poi riaffermato che “l'esistenza di un generale obbligo in capo agli Stati di assicurare che attività che avvengano nella loro giurisdizione e sotto il loro controllo rispettino l'ambiente di altri Stati e di aree che siano al di fuori di ogni giurisdizione statale” sia oramai parte del corpus di legislazione ambientale internazionale5.
Va rilevato però che questo tipo di responsabilità, che esprime una ragionevole commisurazione di diritti e obblighi degli Stati in materia di responsabilità, intende proteggere uno Stato da danni alla sua proprietà (territorio) causati da un altro Stato (o da attività sotto il controllo di un altro Stato).
Questo profilo di responsabilità non regola la protezione di risorse comuni globali, o che comunque non ricadano sotto alcuna giurisdizione esclusiva Statale, come ad esempio il clima. A tal fine va considerata una responsabilità “condivisa” o comune, espressione di quello che Drumble6 chiama uno “shared compact”, e che riflette sottostanti obblighi di cooperazione, buon vicinato e solidarietà con riguardo all'accesso, gestione e protezione di risorse comuni.

Responsabilità comuni e differenziate
Il principio numero 7 della Dichiarazione di Rio fornisce la prima formulazione del principio di comuni ma differenziate responsabilità, affermando che:
“[...] In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono7"


Origine della responsabilità comune
Il principio ha due matrici. La prima è rappresentata dalla responsabilità comune, e trova i suoi antecedenti nel principio di comune patrimonio dell'umanità. Questa matrice comune è stata materialmente espressa in diversi Trattati Internazionali, in materie quali la protezione dei tonni e altre specie ittiche8, lo Spazio e la Luna9, il patrimonio culturale e naturale10, uccelli acquatici11, il fondo e il sottosuolo del mare internazionale12. Più recentemente strumenti giuridici internazionali hanno qualificato come comune interesse dell'umanità il clima terrestre13 e la diversità biologica.14
In particolare, le parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, nel preambolo, si dichiarano “consapevoli che i cambiamenti di clima del pianeta e i relativi effetti negativi costituiscono un motivo di preoccupazione per il genere umano15”. La comune responsabilità riflette il dovere degli Stati di condividere equamente l'onere della protezione ambientale per le risorse globali comuni, i cosiddetti global commons. Questo interesse giuridico – e socio-ambientale – in comune è una fondante spinta alla cooperazione nella gestione e protezione di risorse globali quali l'atmosfera e il ciclo del carbonio.

Responsabilità differenziata
La seconda matrice esprime una duplice preoccupazione. In primo luogo è espressione di una volontà di commisurare la partecipazione alla protezione di tali risorse comuni alla specifiche condizioni socio-economiche e alle capacità finanziarie e infrastrutturali dei singoli paesi, così da raggiungere una sostanziale equità della distribuzione dei costi che bilanci i criteri formali di eguaglianza tra Stati sovrani. Questo aspetto risale già al principio di Trattamento Differenziato, la cui lunga storia è fatta risalire almeno al Trattato di Versailles del 1919 e a Trattati navali successivi alla Prima Guerra Mondiale16. Il Trattamento Differenziato17 riflette la necessità di considerare condizioni materiali differenti attraverso la “gradazione” degli obblighi assunti dalle varie Parti, o attraverso la contestualizzazione di tali obblighi. Magraw18 distingue a questo proposito tre tipologie di norme: norme assolute, che si applicano egualmente a tutte le Parti; norme contestuali, che si applicano ad ogni Parte tenendo conto delle speciali circostanze di ogni Parte, quali condizioni socio-economiche, capacità tecnico-finanziarie etc.; norme differenziate, che operano una differenziazione esplicita, ad esempio attraverso differenti orizzonti temporali entro i quali procedere all'adempimento delle obbligazioni stipulate.
Il principio del Trattamento Differenziato è anche riconosciuto nel''ambito del Diritto Internazionale Economico, e in particolare nella normativa dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, con il nome di “trattamento speciale e differenziato19”. Tale normativa ha il fine di consentire ai paesi in via di sviluppo di adattarsi alla liberalizzazione del commercio, attraverso previsioni di assistenza tecnica, termini temporali di adempimento elastici, flessibilità nell'adempimento etc.20.
Il punto cruciale però, e di novità, del principio di comuni ma differenziate responsabilità risiede nella considerazione esplicita delle responsabilità storiche dei singoli paesi alla determinazione di specifici danni ambientali – e in particolare per quanto riguarda i contributi in termini di emissioni di gas serra. Ed è proprio questa seconda dimensione, e cioè il nesso che il principio di comuni ma differenziate responsabilità stabilisce tra il passato sfruttamento economico dei commons globali e la responsabilità di intraprendere attività tese a rimediare o mitigare le conseguenze di tale sfruttamento, che si pone come particolarmente importante.
Prima di Rio tali disparità materiali e socio-economiche venivano integrate in accordi internazionali, come brevemente menzionato, attraverso il principio del trattamento differenziato21. Il principio del Polluter Pays22 dall'altra parte, assegna la responsabilità di sopportare i costi di rigenerazione e riparazione di danni ambientali a colui che inquina. La novità introdotta dal principio di comuni ma differenziate responsabilità sta quindi proprio nell'emergenza della dimensione storica, che introduce un elemento di correzione a fondamento di una equa redistribuzione delle responsabilità. In questo senso va oltre sia al principio del trattamento differenziato che a quello del principio del Polluter Pays23. In sintesi, il principio di comuni ma differenziate responsabilità esprime la necessità di valutare la responsabilità in una dimensione storica ed in funzione della cooperazione internazionale, della solidarietà e dell'equità.

Equità e narrative del consumo
Le problematiche etiche poste dai cambiamenti climatici sono molte, e complesse, sia in senso geografico che temporale. L'equità intragenerazionale deve risolvere i problemi legati alla diseguale distribuzione dei costi del consumo dei cosiddetti “servizi ambientali”, nonché dei benefici di tale consumo nel presente. Nel caso dei cambiamenti climatici, tali costi sono rappresentati dai potenziali effetti dannosi, mentre i benefici sono l'accumulazione di ricchezza24 avvenuto attraverso quei processi economici e industriali25 che hanno generato il problema per via delle emissioni climalteranti conseguenze di tali processi. E come ampiamente mostrato dai rapporti dell'IPCC (2001 e 2007), i danni da cambiamenti climatici saranno distribuiti principalmente nelle aree geografiche che meno (o nulla) hanno contribuito al surriscaldamento globale. Già Kofi Annan, durante la COP12 tenutasi a Nairobi, denunciava questa asimmetria sociale e geografica tra cause ed effetti dei cambiamenti climatici, e reiterava vigorosamente l'appello ai paesi industrializzati a dimostrare il ruolo di leadership da loro assunto nel regime climatico attraverso concrete azioni volte a ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici, ed a fornire appropriato supporto economico ai paesi in via di sviluppo per l'adattamento a quei cambiamenti oramai inevitabili.
In una dimensione temporalmente dinamica invece, l'equità intergenerazionale richiede che gli interessi delle generazioni future siano sufficientemente considerati nei processi decisionali di oggi.
Questo elemento di equità (e sostenibilità) intergenerazionale, e la considerazione storica delle emissioni dei gas serra e della conseguente alterazione del budget energetico della Terra sono direttamente legate alle modalità di produzione e consumo del mondo industrializzato. Ed è la questione del consumo che si pone come centrale nel quadro della distribuzione della responsabilità per i cambiamenti climatici.
Dal momento che i cambiamenti climatici sono principalmente il risultato dell'accumulazione di gas serra nell'atmosfera in conseguenza di attività industriali26, la responsabilità per tali emissioni può essere “seguita” nel tempo attraverso una doppia narrativa del consumo. In primo luogo il consumo è direttamente collegato alla produzione di beni e servizi consumati da individui e comunità, e che determina un “impronta” ecologica ben specifica e una serie di conseguenze in termini di uso del territorio, consumo delle risorse naturali ed emissioni di gas serra. In secondo luogo, e parallelamente, vi è un consumo della capacità di assorbimento della atmosfera delle emissioni climalteranti. Questa seconda narrativa corrisponde ad attività di consumo diretto dei servizi ecologici forniti dal ciclo del carbonio terrestre, e particolarmente la capacità di assorbimento e circolazione del carbonio immesso nell'atmosfera dalle attività umane.
Entrambe queste narrative del consumo mostrano una sproporzione enorme tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, sproporzione che si vuole eliminare attraverso differenziate responsabilità, in modo tale che il diritto allo sviluppo dei paesi in via di sviluppo non entri in conflitto (o non in maniera troppo decisa) con la necessità di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, e che la responsabilità storica sia giustamente considerata nella definizione degli obblighi di contribuzione alla risoluzione del problema del surriscaldamento globale.
Il riferimento a dei dati renderà più chiara questa disparità. Tra il 1900 e il 1990 gli Stati Uniti hanno contributo il 30% dell'accumulazione dei gas serra nell'atmosfera (e quindi del surriscaldamento del clima), l'Europa il 27%, la Cina e l'India (insieme ad altri paesi Asiatici in rapido sviluppo) il 12%, l'Africa e il Sud America poco più del 6%27. Queste differenze sono già molto marcate, ma esaminando i dati pro capite, il divario diventa un abisso. Le emissioni pro capite negli USA erano, nel 2000, circa 20.2 tonnellate di CO2 a persona, 16.9 in Canada, 10.6 in Russia e 9.5 nel Regno Unito. Nei paesi in via di sviluppo queste emissioni erano di 3.4 tonnellate di CO2 a persona in Messico, 2.6 in Cina, 1.9 in Brasile, 1.0 in India, 0.3 in Kenya e 0.1 in Burkina Faso28.
Ora ci sembra che le differenti responsabilità abbiano trovato una prospettiva significativa, soprattutto ai fini di una differenziazione degli obblighi di riduzione delle emissioni, e dei relativi costi di implementazione.
Eppure c'è dell'altro. Studi recenti29 hanno posto l'attenzione sul nesso consumo-emissioni da un altro angolo visuale. Attraverso l'analisi del cosiddetto carbon leakage e della displaced pollution (ossia fenomeni di “emigrazione” dell'inquinamento da un paese all'altro, in funzione di minori costi del lavoro e di una regolamentazione ambientale meno ferrea), questi studi mostrano come sia importante guardare al “consumo finale” per allocare la responsabilità delle emissioni, e non solo all'aspetto territoriale della produzione. Infatti le emissioni “incorporate” nel commercio internazionale rappresentano circa il 20% delle emissioni globali, e da questo punto di vista i paesi industrializzati sono “importatori di emissioni”, mentre i paesi in via di sviluppo le esportano: fino al 23% delle emissioni cinesi sono determinate da produzione finalizzata all'esportazione, e i cui prodotti sono consumati altrove (e principalmente negli Stati Uniti e in Europa).

Applicazione del principio nella Convenzione Quadro sul Clima e nel Protocollo di Kyoto
Il principio di comuni ma differenziate responsabilità è diventato un punto di riferimento etico e politico, prima ancora che giuridico, nel quadro del diritto internazionale ambientale, e del diritto internazionale dello sviluppo sostenibile. Il suo status giuridico però è incerto e fonte di discussioni dottrinarie30, almeno al di fuori della sua formulazione positiva espressa nella UNFCCC”. Nel diritto positivo internazionale l'aspetto della differenziazione è espresso in una serie di Multilateral Environmental Agreements31. Questa differenziazione ha variamente preso la forma di differenti standards, obblighi commisurati a capacità materiale/economiche, matrici temporali di compliance diversificate etc.
È solo nell'ambito del regime climatico però che all'elemento centrale del principio – la dimensione di responsabilità storica - viene data concreta espressione normativa. Il preambolo della UNFCCC riconosce che “la portata mondiale dei cambiamenti climatici richiede la più vasta cooperazione possibile di tutti i Paesi e la loro partecipazione ad un’azione internazionale adeguata ed efficace in rapporto alle loro responsabilità comuni ma differenziate, alle rispettive capacità e alle loro condizioni economiche e sociali”. L'articolo 3(1) della stessa Convezione stabilisce che “Nello svolgimento delle azioni intese a raggiungere l’obiettivo della Convenzione e ad adempierne le disposizioni, le Parti devono” inter alia “proteggere il sistema climatico a beneficio della presente e delle future generazioni, su una base di equità e in rapporto alle loro comuni ma differenziate responsabilità e alle rispettive capacità. Pertanto i Paesi sviluppati che sono Parti alla Convenzione, devono prendere l’iniziativa nella lotta contro i cambiamenti climatici e i relativi effetti negativi”. Ma v'è di più. Ogni Parte della Convenzione deve considerare la lista di obblighi di cui all'articolo 4 “Tenendo conto delle loro responsabilità comuni, ma differenziate e delle loro specifiche priorità nazionali e regionali di sviluppo, dei loro obiettivi e delle diverse circostanze”. Il Protocollo di Kyoto ripropone il principio come elemento fondante della sua struttura etica. All'articolo 10 infatti il Protocollo stabilisce che le Parti devono tener conto “delle loro comuni ma differenziate responsabilità e delle loro specifiche priorità di sviluppo nazionale e regionale, dei loro obiettivi e delle loro circostanze”, per poi elencare obiettivi di cooperazione e di politiche climatiche nazionali e regionali.
Più nel dettaglio, la Convenzione sul Clima, laddove stabilisce gli obblighi per le parti, opera una distinzione tra obblighi comuni e obblighi differenziati. All'articolo 4 infatti, dove sono elaborati gli obblighi delle parti, mentre il paragrafo 1 propone una lista di obbligazioni comuni32, il paragrafo 2 afferma che le “parti industrializzate e altre parti incluse nell'Allegato I si obbligano specificatamente”, per poi fare un elenco di tali obblighi specifici. Questo elenco include, tra l'altro, l'adozione di “politiche nazionali” e “corrispondenti provvedimenti per mitigare i cambiamenti climatici, limitando le emissioni causate dall’uomo di gas ad effetto serra e proteggendo e incrementando i suoi pozzi e serbatoi di gas ad effetto serra33”; richiamando il ruolo di leadership poi assegnato ai paesi sviluppati, il sottoparagrafo b prosegue stabilendo obblighi di comunicare “entro sei mesi dall’entrata in vigore della Convenzione nei suoi confronti e in seguito periodicamente, informazioni particolareggiate sulle sue politiche e misure di cui al precedente sottoparagrafo”.
Per quanto riguarda poi gli obblighi quantificati di riduzione delle emissioni stabiliti nel Protocollo di Kyoto, la differenziazione segue la logica dell'Allegato I/Non-Allegato I: sono solamente le Parti34 incluse nell'Allegato I della Convenzione che hanno obblighi quantificati di riduzione delle emissioni di gas serra, e la cui specifica quantità, espressa in percentuale rispetto alle emissioni di ciascun paese nel 1990, è specificata nell'Allegato B del Protocollo di Kyoto. In particolare, le parti “incluse nell’Allegato I assicureranno, individualmente o congiuntamente, che le loro emissioni antropiche aggregate, espresse in equivalente–biossido di carbonio, dei gas ad effetto serra indicati nell’Allegato A, non superino le quantità che sono loro attribuite, calcolate in funzione degli impegni assunti sulle limitazioni quantificate e riduzioni specificate nell’Allegato B e in conformità alle disposizioni del presente articolo, al fine di ridurre il totale delle emissioni di tali gas almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo di adempimento 2008–201235”. Altri obblighi che rispondono ad una logica di differenziazione si ritrovano in tutto il Protocollo. In particolare si possono menzionare l'obbligo di “aver ottenuto nel 2005, nell’adempimento degli impegni assunti” (articolo 3.2) e dovranno preparare “un sistema nazionale per la stima delle emissioni antropiche dalle fonti e dall’assorbimento dei pozzi di tutti i gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal” (articolo 5.1).
Ulteriori meccanismi funzionali all'applicazione del principio di comuni ma differenziate responsabilità nella politica di cooperazione internazionale per la mitigazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti dannosi sono gli impegni stabiliti sia dalla Convenzione che dal Protocollo in materia di trasferimento di tecnologia (articoli 10 e 11) e di assistenza finanziaria (articolo 11) per la mitigazione e l'adattamento dei paesi in via di sviluppo, attraverso la Global Environmental Facility36 (GEF). Il GEF gestisce due fondi sotto l'egida della Convenzione: lo Special Climate Change Fund e il Least Developed Countries Fund; sotto l'egida del Protocollo di Kyoto, il GEF gestisce invece il Kyoto Protocol Adaptation Fund. Questi meccanismi hanno tutti la finalità di attuare il principio in pratica, operando una redistribuzione degli oneri finanziari implicati in attività di mitigazione dei, e adattamento ai, cambiamenti climatici.
Infine, nel preambolo della Convenzione, si riconosce che le parti sono “consapevoli che la portata mondiale dei cambiamenti climatici richiede la più vasta cooperazione possibile di tutti i Paesi e la loro partecipazione ad un’azione internazionale adeguata ed efficace in rapporto alle loro responsabilità comuni ma differenziate, alle rispettive capacità e alle loro condizioni economiche e sociali”, mentre il ruolo di leadership è richiamato nell'articolo 3.1: “i Paesi sviluppati che sono Parti alla Convenzione, devono prendere l’iniziativa nella lotta contro i cambiamenti climatici e i relativi effetti negativi”.

Conclusione
Il principio di comuni ma differenziate responsabilità risponde ad esigenze etiche e giuridiche di equità, correggendo responsabilità storiche, e tenendo conto di differenze materiale e socio-economiche tra i vari Stati sovrani, altrimenti formalmente su un piano di eguaglianza. Queste esigenze si concretizzano, in particolare nel regime climatico, in una differenziazione di obblighi giuridici, sia pertinenti alle riduzioni di emissioni di gas serra, sia relativi ad aspetti di giustizia distributiva, e specialmente con riguardo a finanziamenti e fondi di aiuto all'adattamento.
In previsione della COP15 a Copenaghen, il principio di comuni ma differenziate responsabilità assume sempre maggiore rilevanza, soprattutto sul politica: è infatti invocato un po' da tutte le Parti sia durante le riunioni negoziali che nella documentazioni ufficiali depositata presso la Segreteria della Convenzione. Parimenti, il principio è invocato dalla società civile. A queste invocazioni corrispondono però significative differenze in merito alle modalità per rendere operativo il principio, il che si traduce in obiettivi e proposte di mitigazione e finanziamento per l'adattamento non solo molto lontane tra loro, ma spesso in diretto conflitto. D'altro canto, rimane chiaro come le responsabilità in questione siano da ancorare a quegli specifici elementi trattati nel corso di questo articolo, ed in particolare il contributo storico – di stock – al problema dei cambiamenti climatici e le capacità economico-finanziarie e tecnico-scientifiche. La proposta Greenhouse Development Rights37 (GDRs) suggerisce che per rendere operativa in maniera equa la differenziazione degli obblighi di riduzione, si dovrebbe usare una formula composita: responsabilità da una parte, e capacità dall'altra. E nonostante le accese discussioni in fase negoziale, soprattutto alle riunioni intersessionali di Bangkok e Barcellona, gli stessi Stati Uniti, lo ricordiamo, non hanno mai disconosciuto il valore etico, né giuridico in senso lato, del principio, ma hanno piuttosto dissentito circa il significato operativo dello stesso38. Un altro aspetto importante, soprattutto in vista del futuro del regime climatico, è legato alla linea di demarcazione della differenziazione. Ad oggi, il Protocollo di Kyoto opera questa differenziazione (di obblighi quantificati di riduzione delle emissioni) secondo la logica degli annessi, e quindi basandosi su una netta distinzione tra paesi inseriti nell'Annesso I della UNFCCC – paesi industrializzati e con economia in fase di transizione – e altri paesi – in via di sviluppo. In futuro questa distinzione netta potrebbe lasciare il posto ad una differenziazione basata su “soglie” di emissioni39, oppure su metodologie simili a quelle prospettate nella proposta GDRs, in cui valutazioni e calcoli dell'indice responsabilità-capacità sono individuali. Ad ogni modo, sarà necessario non solo aspettare la Cop15 di Copenaghen, ma con ogni probabilità anche la prossima COP16, che si terrà a Città del Messico.

 

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1 In inglese vi è una distinzione tra State Responsibility e State Liability. È la liability che rileva particolarmente ai nostri fini, dal momento che essa si riferisce ad atti ed attività leciti (injurious consequences arising out of acts not prohibited by international law) e che tuttavia producono danni. La State Responsibility invece regola la responsabilità degli Stati per atti illeciti e/o illegali (wrongful acts).Vedi, per il primo tipo di responsabilità: International Law Commission Draft articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, with commentaries, Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol. II, Part Two; per il secondo: International Law Commission International liability for injurious consequences arising out of acts not prohibited by international law.Yearbook of the International Law Commission, 1996, vol. II, Part Two, Annex I and risoluzione UNGA51/160
2 Enfasi aggiunta. Vedi http://bch.minambiente.it/IT/Documenti/PDFFILES/dichiarazionediRio.pdf
3 The conflict was about transboundary air pollution caused by a smelter factory located in Trail (Province of British Columbia, Canada) near the US border. The (privately-owned) factory emitted sulphur dioxide fumes into the air. Between 1926 and 1937 such fumes caused damage to privately owned agricultural and forest lands near Northport (State of Washington, USA).
4 Traduzione dell'autore. Originale: “no State has the right to use or permit the use of its territory in such a manner as to cause injury by fumes in or to the territory of another or the properties or persons therein […]”. Trail Smelter Arbitration http://www1.american.edu/ted/TRAIL.HTM
5 Advisory Opinion of 8 July 1996 on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons
6 Drumble M. (2002) Poverty, Wealth and Obligation in International Environmental Law , 76 Tulane Law Review 843 at 926 & 936
7 Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo, 1992. Disponibile in versione italiana presso il sito del Ministero dell'Ambiente: http://bch.minambiente.it/IT/Documenti/PDFFILES/dichiarazionediRio.pdf, il 6 Dicembre 2008
8 Preambolo della Convention for the Establishment of an Inter-American Tropical Tuna Commission: “The United States of America and the Republic of Costa Rica considering their mutual interest in maintaining the populations of yellowfin and skipjack tuna and of other kinds of fish taken by tuna fishing vessels in the eastern Pacific Ocean which by reason of continued use have come to be of common concern[...]”
9 Preambolo del Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, Including the Moon and Other Celestial Bodies: “Recognizing the common interest of all mankind in the progress of the exploration and use of outer space for peaceful purposes”
10 Preambolo della Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage: “Considering that parts of the cultural or natural heritage are of outstanding interest and therefore need to be preserved as part of the world heritage of mankind as a whole”
11 Preambolo della Convenzione internazionale relativa alle Zone Umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici: “Recognizing that waterfowl in their seasonal migrations may transcend frontiers and so should be regarded as an international resource”
12 Articolo 136 della UN Convention on Law of the Sea (UNCLOS): “The Area and its resources are the common heritage of mankind”, where Area means, as per article 1.1(1) “the seabed and ocean floor and subsoil thereof, beyond the limits of national jurisdiction”
13 Preambolo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC): “Acknowledging that change in the Earth's climate and its adverse effects are a common concern of humankind”
14 Preambolo della Convention on Biological Diversity (CBD): “Affirming that the conservation of biological diversity is a common concern of human kind”
15 Nella versione ufficiale della Convenzione, in inglese, il testo recita “comune preoccupazione” (common concern)
16 Vedi Stone C. D. (2004) Common but Differentiated Responsibilities in International Law, American Journal of International Law, Vol. 98, No. 2 (Apr., 2004), pp. 276-301
17 Per uno studio storico-giuridico dettagliato su tale principio si rinvia a Rajamani L. (2006) Differential Treatment in International Law, Oxford Monographs in International Law, Oxford University Press, 2006
18 Magraw D. (1990) Legal Treatment of Developing Countries: Differential, Contextual and Absolute Norms (1990) I Colorado Journal of International Environmental Law and Policy 69
19 In tutto vi sono 145 previsioni di trattamento speciale e differenziato, distribuiti, inter alia, nei GATT, GATS e TRIPS. Vedi Wolrd Trade Organization (2000) Committee on Trade and Development, Implementation of Special and Differential Treatment Provisions in WTO Agreements and Decisions, WT/COMTD/W/77, 25 October 2000
20 La segreteria dell'OMC ha sviluppato sei tipologie di trattamento speciale e differenziato: “provisions aimed at increasing the trade opportunities of developing country Members; provisions under which WTO Members should safeguard the interests of developing country Members; flexibility of commitments, of action, and use of policy instruments; transitional time periods; technical assistance; provisions relating to least-developed country Members”. Vedi Matsushita, M., Schoenbaum, T. J., e Mavroidis, P. C. (2006) The World Trade Organization: Law, Practice, and Policy, Oxford University Press (OUP) Second Edition, September 2006 e Wolrd Trade Organization (2000) op. cit.
21 Vedi Rajamani (2006) op. cit.
22 “inquinatore paga”
23 Vi sono una serie di implicazioni, che si potrebbero dire strutturali, di questa impostazione politica e giuridica, nel momento in cui si attribuisce rilevanza giuridica alla dimenzione storica della responsabilità, che però dovranno trattarsi in altra sede.
24 Lo sviluppo, o crescita, economica
25 Inclusi i cambiamenti d'uso del territorio e l'agricoltura industriale
26 Per ulteriori dettagli si rimanda ai rapporti dell'IPCCC: IPCC (2001) Climate Change 2001: The Scientific Basis, Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), 2001 Cambridge University Press, UK; IPCC(2001) Climate Change 2001: Mitigation, Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), 2001 Cambridge University Press, UK; IPCC (2007) Summary for Policymakers of the Synthesis Report of Fourth Assessment Report of Intergovernmental Panel on Climate Change, Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) 2007
27 Vedi Marland, G., T.A. Boden, and R.J. Andres. (2007) Global, Regional, and National CO2 Emissions In Trends: A Compendium of Data on Global Change, Carbon Dioxide Information Analysis Center, Oak Ridge National Laboratory, U.S. Department of Energy, Oak Ridge, Tenn., U.S.A.
28 La fonte di questi dati è rispettivamente, World Resources Institute (2001) Contributions to Global Warming Map. World Resources Institute, Washington DC, e World Resources Institute (2005), Climate and Atmosphere 2005, Earth Trends Data Tables: Climate and Atmosphere, World Resources Institute, http://earthtrends.wri.org/text/climate-atmosphere/cli1_2005.pdf accessed on November, 18 2008
29 Fra gli altri, vedi Wang, T. e Watson, J. (2007) Who Owns China's Carbon Emissions? Tyndall Briefing Note N. 23, October 2007, Tyndall Center for Climate Change Research, Peters. G. P. e Hertwich, E. G. (2008) Post-Kyoto greenhouse gas inventories: production versus consumption, Climatic Change, Volume 86, Numbers 1-2 / January, 2008 e infine Peters. G. P. e Hertwich, E. G. (2008) CO2 Embodied in International Trade with Implications for Global Climate Policy, Environmental Science & Technology, Vol. 42, No. 5. (1 March 2008), pp. 1401-1407
30 Vedi Rajamani L. (2000) The Principle of Common but Differentiated Responsibility and the Balance of Commitments under the Climate Regime, Review of European Community and International Environmental Law (RECIEL), Volume 9, Number 2, July 2000, pp. 120-131(12). Per una discussione dello status giuridico del principio come norma di diritto consuetudinario si veda De Lucia, V., (2009) Common but Differentiated Responsibility for the Global Environment, in S. D. Banik and S. K. Basu (eds) Environmental Challenges of the 21st Century, A.P.H. Publishing Corporation, New Delhi, India
31 See Protocollo di Montreal, Article 5, UNFCCC, Articles 3(1), 4(1), 4(2)(a) and (b), and 12, Protocollo di Kyoto, Article 10, Convenzione sulla Diversità Biologica, Article 20(1), Convenzione per Combattere la Desertificazione, Articles 5, 6(b), and 20, 1996 Protocol alla Convenzione contro l'Inquinamento Marino, Article 26.
32 Pur richiamando il principio di comuni ma differenziate responsabilità: “Tenendo conto delle loro responsabilità comuni, ma differenziate e delle loro specifiche priorità nazionali e regionali di sviluppo, dei loro obiettivi e delle diverse circostanze, tutte le Parti”
33 Articolo 4.2(a)
34 Paesi industrializzati e paesi con economia in fase di transizione
35 Protocollo di Kyoto, articolo 3 paragrafo 1
36 L'articolo 11 della Convenzione si riferisce ad un meccanismo finanziario “per l’assegnazione di risorse finanziarie a titolo di dono o di prestito agevolato, anche per il trasferimento di tecnologia”.
37 Baer, P., Athanasiou, T. e Kartha, S. (2007) The Right to Development in a Climate Constrained World The Greenhouse Development Rights Framework, Heinrich Böll Stiftung, publication series on ecology, Volume 1,
38 Si veda a tal proposito la risoluzione Byrd-Hagel del 1997, con la quale il Senato Americano aveva rigettato – con 95 voti a favore e 0 contrari – la ratifica del protocollo di Kyoto, e in cui il principio non era messo in discussione di per sé, ma era piuttosto la disparità di obblighi giuridici tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo che veniva contestata. Vedi anche Harris P. G (1999) Common but differentiated responsibility: The Kyoto Protocol and United States policy, New York University Environmental Law Journal 27 (1999)
39 L'idea della soglie di emissioni proviene dagli Stati Uniti, che non hanno mai gradito la distinzione di tipo “bianco o nero”, sancita nel Protocollo di Kyoto. Oggi, in vista della COP15 di Copenaghen, questa distinzione così netta è sempre più messa in discussione, vista la rapida crescita di emissioni di paesi quali Cina, India, Brasile. E proprio dagli Stati Uniti arrivano proposte di modifica dell'architettura giuridica del protocollo di Kyoto, in particolare attraverso un approccio basato sul cosiddetto portfolio of domestic commitments, ossia un approccio cosiddetto bottom-up (dal basso), e che sia il frutto di un’aggregazione di piani di riduzione delle emissioni, su base volontaria, dei singoli Stati, e/o di accordi bilaterali o regionali, in cui la netta distinzione basata sull'inserimento o meno nell'Annesso I verrebbe eliminata. Vedi a questo proposito anche Stavins, R. N. (2009) A Portfolio of Domestic Commitments: Implementing Common but Differentiated Responsibilities, Policy Brief, Harvard Project on International Climate Agreements, Belfer Center for Science and International Affairs, Harvard Kennedy SchoolOctober 19, 2009, and Levi, M. (2009) Copenhagen's Inconvenient Truth: How to Salvage the Climate Conference, Foreign Affais, Volume 88, Number 5, Settembre/Ottobre 2009. Un altro aspetto cruciale per gli Stati Uniti è quello della natura giuridica degli obblighi stabiliti nel regime climatico, che dovrebbe essere la stessa per tutti i paesi, diversamente dalla situazione odierna, in cui sono solo i paesi inseriti nell'Annesso I ad avere obblighi quantificati di riduzione delle emissioni, obblighi contenuti nell'Annesso B del Protocollo di Kyoto. Su entrambi i punti vi è una forte resistenza dei paesi del G77/Cina, e di molte organizzazioni e movimenti ambientalisti e di giustizia sociale, che vedono in queste proposte tentativi di eludere la responsabilità così come profilata nel Protocollo di Kyoto.

 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 10/12/2009

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