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I principi ispiratori per un’architettura bioclimatica (1)

 

Arch. Andrea Sillani  -  Arch. Pasquale Salerno

 

 

 

Con il termine bioclimatica,  che deriva dal lessico comune in uso nella bioclimatologia, viene indicata una disciplina, fondata da Kòppen agli inizi del secolo scorso, finalizzata principalmente alla ricerca delle cause di una determinata distribuzione della vegetazione nelle varie regioni del pianeta.


Tale disciplina tende ad identificare il bioclima come quel complesso di fattori del clima stesso che regolano, attraverso processi di ologenesi, la distribuzione planetaria dei grandi tipi di bioma.


La bioclimatologia, dunque, studia le connessioni tra il clima e la vita e definisce le modalità attraverso le quali l’uomo costruisce la propria abitazione tenendo conto delle peculiarità dei vari tipi di clima che si incontrano sul pianeta.


Pertanto, attingendo ideologicamente e concettualmente alla bioclimatica, per progettare correttamente un edificio, energeticamente razionale, occorre uno studio approfondito di tutti i fattori climatici relativi ed una identificazione della complessità della localizzazione di un edificio, sia nelle condizioni climatiche troppo calde che in quelle troppo fredde.


Questo nuovo approccio alla progettazione di un edificio è quindi definito bioclimatico.


La progettazione tradizionale e consolidata di un edificio, infatti, è un processo assai articolato che coinvolge una pluralità di sub-sistemi come, ad esempio, quello tecnologico, costruttivo, ambientale-climatico, organizzativo- distributivo, figurativo e relativo all’articolazione formale.


Tuttavia tra questi sistemi, che partecipano alla progettazione complessiva dell’edificio, quello ambientale-climatico, caratteristico di un’architettura bioclimatica, è certamente quello che, attualmente, attraversa una profonda crisi.


Nell’espressione Architettura bioclimatica, quindi, sono contenuti numerosi concetti assai diversi tra loro.


Una possibile definizione generale dell’Architettura bioclimatica potrebbe sintetizzarsi come quel complesso di soluzioni progettuali che consente di garantire all’interno di un edificio il mantenimento di condizioni di benessere utilizzando, il meno possibile, impianti che richiedono consumi energetici da fonti esauribili e quindi non rinnovabili.


In altri termini un edificio così caratterizzato deve essere in grado di stabilire un rapporto particolarmente stretto ed interdipendente con l’ambiente esterno ad esso e, poiché le condizioni esterne variano a seconda del sito e per un determinato sito variano anche nel tempo, l’edificio bioclimatico ideale dovrebbe modificarsi, integrarsi ed adattarsi conseguentemente e coerentemente.


Dovrebbe infatti caratterizzarsi come un edificio in grado di disperdere quantità minime di calore quando è molto freddo, captare energia solare durante le ore diurne soprattutto nei mesi invernali, immagazzinarla ed usarla quando serve, respingere le radiazioni solari nei periodi più caldi, nei quali, invece, dovrebbe cedere calore verso l’esterno in maniera cospicua.


Questo comportamento bioclimatico può essere indotto, cioè creato, nell’edificio attraverso una serie di accorgimenti progettuali ed attraverso l’impiego di opportune configurazioni planimetriche e formali.


Prioritariamente è assolutamente necessario considerare la forma e l’orientamento dell’edificio stesso in quanto configurazioni volumetriche molto compatte, ad esempio, sono in grado di ridurre le dispersioni di calore ed aumentano, al contrario, i guadagni di radiazione solare quando la temperatura esterna è maggiore di quella interna.


Inoltre l’impiego di forme più aperte dell’edificio consentono maggiori scambi per la ventilazione, determinano l’ampiezza delle superfici corrispondenti alle diverse esposizioni influenzando la possibilità di raccogliere e di immagazzinare la radiazione solare interagendo contestualmente con i venti dominanti della zona.


Anche la localizzazione del manufatto rispetto ad altri edifici ed ai rilievi naturali presenti nel sito, ai corsi d’acqua ed alla vegetazione eventualmente presente, influenza invece gli scambi di calore.


Per la riduzione delle dispersioni è necessario, infatti, che l’edificio sia isolato termicamente attraverso l’utilizzo di strati di materiali isolanti sulle pareti opache, sulle coperture e sui solai, riducendo contemporaneamente anche l’estensione delle superfici vetrate sulle pareti che ricevono poca radiazione solare per tutto il periodo di esposizione.


L’uso di doppi vetri e di schermature mobili per le finestre riduce, dunque, la dispersione durante le ore notturne, mentre le superfici che ricevono molta radiazione solare, esposte prevalentemente a sud, dovrebbero potersi aprire, all’occorrenza, per accoglierla, immagazzinarla e diffonderla in modo differenziato.


L’energia calorica così ottenuta viene infatti raccolta in speciali accumulatori termici per evitare l’effetto di aumentare la temperatura interna degli ambienti incorrendo nei conseguenti danni per il benessere complessivo dell’edificio.


Per quanto riguarda invece le condizioni estive, dovrà essere evitato che la radiazione solare diretta penetri all’interno delle superfici vetrate a causa della loro apertura.


Pertanto, quando possibile, è necessario proteggerle con schermature fisse o mobili in grado di assicurare ombreggiature nelle ore calde e di maggiore insolazione che avviene soprattutto nella stagione estiva.


La forma, le dimensioni e la posizione delle aperture dovranno permettere la ventilazione ed il raffreddamento notturno dell’edificio stesso.


Quando possibile dovrebbe essere adottato anche un parziale interramento dei lati dell’edificio esposti a nord che contribuirà al miglioramento complessivo sia delle condizioni di benessere nel periodo invernale che di quelle del periodo estivo conseguentemente alla stabilità della temperatura del terreno.


Nel prosieguo della trattazione verranno opportunamente approfondite le tematiche inerenti i principi e le modalità progettuali ed operative dell’architettura bioclimatica.

 



1.1 L’influsso delle teorie biologiche sulle attuali metodologie progettuali



Come già precedentemente affermato, i principi ispiratori dell’architettura bioclimatica affondano prevalentemente nelle teorie biologiche che studiano le connessioni tra la climatologia e la vita, individuando e definendo le modalità attraverso le quali l’uomo può costruire la propria abitazione tenendo conto dei vari tipi di clima che si incontrano sul pianeta.


Un’abitazione così caratterizzata, in grado cioè di stabilire un rapporto stretto e complementare con l’ambiente esterno ad essa, dovrebbe modificarsi ed adattarsi conseguentemente e coerentemente al mutamento delle condizioni esterne del sito che variano nel tempo.


La temporalità, all’interno del funzionalismo americano ottocentesco di Orazio Greenough e di Louis Sullivan, le cui radici storiche affondano nella cosiddetta metafora organica, giocava un ruolo certamente fondamentale, mentre nel funzionalismo razionalista degli anni Venti e Trenta, nato dalla metafora macchinista e destinato ad influenzare notevolmente l’architettura e la città contemporanea, le funzioni diventano uno schema logico a-temporale producendo, conseguentemente, un effetto spaziale e di fruizione di enorme semplificazione.


Attualmente appare evidente la necessità di recuperare la complessità del progetto che ha caratterizzato in passato l’architettura della città storica e che invece, attualmente, è quasi del tutto assente nelle nuove realizzazioni edilizie ed urbane delle nostre città moderne.


La metafora organica è in grado infatti di stimolare nell’architettura un nuovo atteggiamento progettuale.


Questa non è una metafora fisica finalizzata alla ricerca di un’architettura ispirata alle forme naturali, ma si tratta piuttosto di un principio filosofico immateriale, in grado di ispirare nuovi modelli per la conoscenza che possono essere definiti organici, in quanto si contrappongono al determinismo semplificatorio che ha prevalso nella scienza così come nell’architettura moderna e contemporanea.


Pertanto la metafora organica è intesa come modello concettuale in grado di recuperare la complessità e l’indeterminatezza che presiedono alla crescita biologica nel tempo recuperando altresì la dimensione della temporalità che risulta quasi del tutto scomparsa dall’architettura moderna e contemporanea.

 



1.2 L’evoluzione del rapporto tra biologia e architettura



Il rapporto tra le teorie architettoniche e le scienze naturali rappresenta, come già detto, una delle costanti principali che si incontrano nel corso della storia dell’architettura.


Infatti dalla ricostruzione dell’evoluzione del rapporto tra la biologia e la progettazione architettonica si possono evidenziare alcuni episodi particolarmente significativi.


A partire da Aristotele e Vitruvio, dai trattati tematici del Rinascimento fino alle dispute ideologiche e concettuali all’interno del dibattito settecentesco relative al rapporto tra natura ed artificio, la storia delle teorie architettoniche si intreccia, spesso in modo complesso e diversificato, con le scienze naturali.


L’architetto americano Frank Llyod Wright ha scritto che il termine organico si identifica con il termine natura e l’uso del termine stesso in architettura corrisponde ad un concetto di vita intrinseca e di intrinseca costruzione naturale.


Tra gli autori che hanno trattato specificatamente questa tematica è da citare, certamente per la sua originalità ed intuizione, Philip Steadmen con l’opera dal titolo “L’evoluzione del design” e Joseph Rykwert con l’opera “Architettura organica”.


Entrambi gli autori usano spesso il termine organico evidenziando e sottolineando ripetutamente come esso abbia mantenuto la sua connotazione originale di tipo “strumentale”.


Questa sottolineatura evidenzia, in modo assolutamente inconfutabile, come i termini meccanico ed organico, oggi completamente antitetici, in passato, al contrario, avevano un significato del tutto simile.


Il termine organico entra, quindi, nella teoria dell’architettura con Carlo Lodoli che, riferendolo all’arredo degli interni, impiegò per primo il termine di architettura organica.


Il Lodoli ribadisce che gli arredi interni, finalizzati all’impiego quotidiano da parte dell’individuo, dovrebbero assumere la particolare forma concava delle parti del corpo che entrano in contatto con essi.


A tale proposito aveva anche progettato e successivamente fatto costruire una sedia a schienale ricurvo, come quelle antiche, che gli erano note dalle immagini delle sculture dell’antichità classica greco-romana.


In realtà si può parlare, in modo ufficiale, di un rapporto tra architettura e biologia soltanto a partire dall’inizio del XIX secolo, quando, cioè, la biologia si costituisce e si articola come scienza vera e propria, definendo il vivente come specifico, determinato ed unico oggetto di interesse scientifico.


Ancora nel ‘600 e per tutto il ‘700, l’organismo vivente veniva concepito come un’associazione di parti che concorrevano a costituirlo nel suo insieme, così come una serie di pezzi meccanici che sono in grado di costituire, non solo formalmente ma anche funzionalmente, una qualsiasi macchina.


Lo studio complessivo degli organismi viventi era pertanto basato sull’osservazione e la classificazione della struttura visibile.


Soltanto nell’800 inizia, quindi, a farsi strada una vera e propria teoria dell’organizzazione secondo la quale si comincia ad interpretare il funzionalismo della struttura visibile di un organismo vivente come regolato anche dall’esistenza di molteplici funzioni invisibili.


In modo del tutto graduale, quindi, la nozione di organizzazione diventa centrale nelle scienze naturali e soltanto nel nostro secolo verrà definito e codificato un concetto molto simile a quello di organizzazione.


Tale concetto è quello di sistema.


Ripercorrendo sistematicamente le prime teorizzazioni del funzionalismo in architettura, si può evidenziare, con certezza, in che modo gli organismi naturali vengano intesi quali modelli per la progettazione architettonica.


Le idee di Greenough mostrano infatti le radici biologiche del funzionalismo ed evidenziano come l’adattamento della forma alla funzione sia il principio operante in natura da riproporre quindi anche nella progettazione architettonica.


Lo stesso Eidlitz, uno dei suoi più diretti eredi spirituali, scriveva che in natura le forme costituiscono il prodotto dell’ambiente circostante.
Infatti è l’ambiente che determina la funzione e, conseguentemente, le forme costituiscono il risultato della funzione stessa.


Allo stesso modo le forme della costruzione devono poter essere adattate all’ambiente che le circonda in modo tale che le funzioni, risultanti da un certo tipo di ambiente, siano completamente espresse nell’organismo architettonico.


Quando Greenough afferma che i principi dell’architettura possono essere appresi dallo studio degli scheletri e delle pelli degli animali e degli insetti, utilizza una metafora particolarmente appropriata alla tecnologia delle intelaiature in acciaio usate prevalentemente dagli architetti di Chicago tra il 1881 e il 1890.


Le idee ed i concetti di Greenough furono recepiti ed amplificati successivamente dall’architetto americano Louis Sullivan che sosteneva come in natura la forma segua sempre la funzione e che non può esistere un cambiamento della forma senza un conseguente e coerente cambiamento di funzione.


I principali eredi di Greenough furono, come già detto, l’architetto L. Eidlitz e lo scrittore M. Schuyler.


Anche lo stesso Steadman, a partire dalla fine del XIX secolo, individua in un suo saggio una serie, abbastanza numerosa, di analogie tra la biologia e le arti applicate con particolare riferimento all’architettura.


La principale analogia di cui parla in modo più circostanziato e assolutamente convincente è quella che coinvolge più profondamente il discorso sull’architettura, poiché il suo presupposto è che l’oggetto della progettazione architettonica non è l’edificio singolo o la città, quanto la relazione di questi sistemi tra loro e con l’ambiente circostante.


L’analogia che potremmo definire anatomica, consente, quindi, di paragonare le strutture dell’organismo vivente con le strutture ingegneristiche o architettoniche di numerosi manufatti di quel tempo.


Nell’analogia ecologica, invece, entra in gioco più propriamente il rapporto tra il sistema e l’ambiente.


Attraverso tale analogia l’organismo naturale viene studiato in base alle relazioni che esso è in grado di istaurare con il suo intorno vitale.


In questo caso, l’oggetto di attenzione è l’adattarsi dei sistemi naturali al loro ambiente allo scopo di istituire un paragone tra il conformarsi dell’edificio singolo o della città alla specifica situazione ambientale.


L’analogia anatomica darà vita, successivamente nel nostro secolo, ad un settore di ricerca particolare ed assai fecondo quale quello della bionica.
Nella bionica l’organismo biologico è assunto, infatti, come modello tecnico e funzionale da imitare.


Victor Papanek osserva e sottolinea come la bionica si occupi non tanto della forma delle parti e della forma delle singole cose, quanto piuttosto di come la natura faccia accadere le cose, con l’obiettivo di comprendere, in modo complessivo, la interrelazione delle parti e l’esistenza dei sistemi.


Se si potesse dire che Leonardo da Vinci quando si ispirava al volo degli uccelli per progettare le sue macchine volanti già si occupava della bionica, allora la nascita ufficiale della bionica dovrebbe essere ricercata in un ambito specificatamente militare.


Infatti l’origine moderna della disciplina della bionica risale ad alcuni studi realizzati all’inizio degli anni ’60 da alcuni ingegneri della USA Air Force focalizzati sulla struttura biologica dell’occhio delle api.


Il precursore bionico più noto è certamente il giardiniere inglese Joseph Paxton che per il progetto del Cristal Palace, costruito nel 1851 per ospitare l’Esposizione Universale di Londra, si ispirò alla struttura della foglia di un albero della foresta amazzonica.


Il giardiniere Paxton dedusse dalla larga foglia della Victoria amazzonica, sostenuta dall’irraggiarsi di nervature, un tipo di struttura in metallo e vetro che rappresentò per le grandi coperture una novità assoluta per la sua epoca.


Anche l’architettura del catalano Antonio Gaudì, impiegata in alcune realizzazioni come la Sagrada Familia, supera i principi della statica gotica tradizionale proprio attraverso l’osservazione dei sistemi naturali.


Ispirandosi al principio secondo il quale avviene la ramificazione nel mondo vegetale, Gaudì riesce ad inclinare i pilastri dell’edificio di Barcellona secondo la direzione della spinta esercitata dalla volta di copertura.


L’architetto catalano utilizza inoltre il principio geometrico della curva funicolare desunta dalle teorie del famoso matematico ed ingegnere, di origine italiana, Poleni.


Altre linee di pensiero, presenti nell’architettura moderna, sono relative alla corrente espressionista ed organicista di Hugo Hearing che, sostanzialmente, si oppone alla standardizzazione ed alla realizzazione del prodotto in serie, rifiutando l’approccio metodologico secondo il quale alle cose viene data forma dall’esterno in contrapposizione al loro interno divenire formale.


Il concetto di standard nel razionalismo implica l’aspirazione verso un tipo ottimale attraverso un processo di selezione paragonabile, in tutto e per tutto, a quello operante in natura e teorizzato, in modo sistematico, da Charles Darwin.


La creazione di tipi standardizzati rappresenta, secondo l’architetto tedesco Walter Gropius, il più alto livello raggiunto dalla civiltà contemporanea, la modalità più appropriata di ricerca del tipo perfetto e la definitiva separazione di quanto è essenziale e sovra-personale da quanto è personale ed accidentale.


Giunti infine ai nostri tempi, si arriva all’affermazione della concezione del progetto architettonico come un sistema dinamico adattivo, cioè una sorta di processo che si svolge secondo fasi interattive e strettamente connesse tra loro di prova ed errore.

 

 

1.3 Hugo Hearing ed i Metabolismi



Il movimento dei Metabolisti, sorto in Giappone negli anni ‘60, è tra i primi a considerare il riferimento alla biologia in modo completamente diverso rispetto ai precedenti movimenti dell’architettura.


Come già detto, tra le principali linee di pensiero presenti nell’architettura moderna, troviamo la corrente espressionista ed organicista di Hugo Hearing che, sostanzialmente, si oppone alla standardizzazione ed alla realizzazione del prodotto in serie, rifiutando l’approccio metodologico attraverso il quale alle cose viene data forma dall’esterno in contrapposizione al loro continuo interno divenire formale.


Per i Metabolismi è importante soprattutto l’osservazione e lo stabilirsi di una analogia tra i processi che presiedono ai sistemi naturali e quelli che regolano complessivamente la formazione e la vita della città.


Anche negli scritti di Hugo Hearing si possono trovare una serie di considerazioni, anche metodologiche, che si oppongono alla linea prevalente del Movimento Moderno sancita nelle dichiarazioni dei CIAM.


In primo luogo il problema da affrontare per Hearing è quello della costruzione del manufatto come organismo vitale.


Egli nega, infatti, con forza l’identificazione tra funzionalità ed estetica e contesta, in modo radicale e convinto, l’idea di città teorizzata e sostenuta da Le Corbusier nel 1925 nei suoi Principi di Urbanistica.


Alcuni aspetti del pensiero di Hearing si ritrovano in quegli anni, seppure in un contesto sostanzialmente diverso, nei programmi culturali e nelle azioni operative del movimento dei Metabolisti.


Secondo i Metabolisti la città è la sede privilegiata di tutti i processi di trasformazione della materia e dell’energia.


E’ essenziale dunque, per il movimento dei Metabolismi, l’introduzione della variabile tempo, trascurata quasi completamente dall’architettura del funzionalismo, che, al contrario, costituisce la dimensione fondamentale dei sistemi biologici.


Due dei principi fondamentali del movimento dei Metabolismi sono che la società deve essere vista come una parte di una entità naturale che include il regno animale e quello vegetale, e, in secondo luogo, che la tecnologia deve essere interpretata come una naturale e conseguente estensione dell’umanità.


Tale posizione, come è evidente, è in netto contrasto con la concezione prevalentemente occidentale della modernizzazione che sancisce come inevitabile il conflitto tra l’uomo, la natura e la tecnologia.

 



1.4 L’esperienza bioecologica del passato



La selezione delle opere del passato che segue nella trattazione successiva, non può certamente considerarsi esaustiva per le finalità ed i contenuti della presente pubblicazione sull’architettura bioecologica in quanto gli esempi, in grado di dimostrare la validità dei principi di tale architettura, sono assai più numerosi di quelli esposti in maniera assolutamente sintetica e del tutto speditiva.



1.4.1 Il sistema termale romano


I sistemi di riscaldamento dell’ambiente domestico, così come possiamo intenderli attualmente, si sono diffusi soprattutto dal XVIII e dal XIX secolo.


Precedentemente nelle abitazioni domestiche si trovano quasi soltanto focolari aperti o bracieri portatili fino a quando, soltanto dal 1400, si diffusero le stufe.


Tutto questo può apparire certamente sorprendente se si pensa al funzionamento dei complessi sistemi di riscaldamento in uso in epoca romana per le strutture termali dove è possibile trovare utilizzato un primo sistema di riscaldamento centralizzato.


Tale sistema di riscaldamento era chiamato ipocausto, o riscaldamento sotterraneo, e consisteva nel far circolare, sotto i pavimenti e lungo le pareti degli edifici termali romani, l’aria calda proveniente da un forno alimentato a legna.


Il riscaldamento sotterraneo sembra abbia avuto origine nel I secolo a.C. nelle aree vesuviane dove, attraverso la realizzazione delle cosiddette balneae pensiles, si riusciva a far circolare il calore utilizzando una tecnica analoga a quella impiegata per lo sfruttamento delle sorgenti geotermiche localizzate in prossimità del Vesuvio.


Questo impianto di riscaldamento, utilizzato principalmente nei grandi complessi termali, veniva anche impiegato per il riscaldamento di alcune parti delle più ricche abitazioni romane.


Particolare attenzione veniva posta nella scelta della legna per il fuoco che doveva essere asciutta e di una particolare essenza per evitare che la sua combustione producesse troppo fumo che avrebbe disturbato gli ospiti delle terme.


La sua combustione avveniva nella parte centrale del complesso termale in modo tale da evitare lunghi percorsi all’acqua ed all’aria riscaldata.


Per consentire la circolazione dell’aria calda all’interno degli ambienti, i pavimenti delle stanze dei complessi termali venivano realizzati sospendendoli sopra file di mattoni posti a distanze regolari tra loro.


Vitruvio, nel suo trattato De Architettura, sottolinea la necessità di porre particolare cura all’isolamento delle terme utilizzando intercapedini e controsoffitti opportunamente realizzati.


Inoltre stabilisce di orientare in direzione ovest le stanze riscaldate con la finalità di esporle il più a lungo possibile alla radiazione solare della seconda parte della giornata che, notoriamente, era il periodo in cui si assisteva al massimo afflusso.


Attraverso l’esposizione si riusciva quindi ad aggiungere al calore prodotto dalla combustione della legna anche quello della radiazione solare.


1.4.2 I Sassi di Matera

La relazione al Piano di Recupero dei cosiddetti “Sassi” di Matera, redatta dall’Amministrazione comunale, mette in evidenza, sottolineandolo anche con una certa enfasi, come “ (...) la loro forma contenga l’abilità, la perizia, le aspirazioni e la cultura delle persone che, giorno dopo giorno, imparavano a dominare le condizioni avverse ed ostili, apprendendo a rendere abitabile ed accogliente un luogo tanto impervio (...”).


Gli abitanti dei Sassi di Matera erano certi anche di trasmettere ai figli, in un periodo successivo, il loro talento e la loro perizia tecnica di costruttori predisponendo persino le ammorsature per eventuali successive costruzioni ed ampliamenti delle abitazioni stesse.


La qualità del materiale utilizzato nelle costruzioni, che si prestava molto bene alle lavorazioni più diversificate e complesse, ha consentito di adattare tali costruzioni alle esigenze dei suoi abitanti, alcuni dei quali abitano ancora questi particolari manufatti.


1.4.3 I Damnusi di Pantelleria

Il clima dell’isola di Pantelleria è caratterizzato dalla presenta di temperature piuttosto elevate che raggiungono medie mensili che variano dai 24°C ai 10°C, una piovosità molto bassa ed una ventosità assai elevata.


Il Dammuso, particolare ed esemplificativo esempio di manufatti di architettura spontanea di ispirazione bioclimatica, è una costruzione che tende ad offrire una difesa sia dal caldo eccessivo che dal vento che, come già detto, caratterizzano pesantemente le condizioni climatiche dell’isola di Pantelleria.


Questa costruzione, presente in numerosissimi esemplari in tutta l’isola, è nata molti secoli fa con l’obiettivo di poter vivere nella vigna e custodire i numerosi attrezzi da lavoro ed il raccolto dei contadini.


La copertura del Dammuso ha la forma di una volta a botte impermeabilizzata esternamente per la raccolta dell’acqua piovana che viene convogliata direttamente verso una cisterna sotterranea situata al di sotto della costruzione.


Il Damnuso presenta un'unica porta d’ingresso e nessuna vera e propria finestra all’infuori di due o tre piccole aperture situate alle spesse pareti, con la funzione principale di realizzare il ricambio interno dell’aria.


Il microclima interno, grazie anche allo spessore considerevole delle pareti esterne che può raggiungere oltre 80 centimetri, è assai confortevole ed ha consentito, negli ultimi due secoli, di trasformare il Dammuso di Pantelleria in abitazione per numerosi abitanti dell’isola e di qualche turista particolarmente sensibile alle questioni ambientali.



1.4.4 Le abitazioni della Val Chiavenna

Nella stua, la stanza che costituiva il luogo dove si svolgeva la maggior parte delle attività quotidiane delle popolazioni abitanti della Val Chiavenna, veniva localizzata una stufa a fuoco continuo ed a bassa temperatura che riusciva a mantenere la temperatura interna quasi costante di 17-18°C in relazione alle temperature esterne che oscillano, al contrario, tra 0 e –6°C pressoché di continuo nei periodi freddi.



1.4.5 I Trulli della Puglia


La grande massa muraria del trullo, assorbendo di giorno il calore del sole e restituendolo di notte, è in grado di regolare termicamente il microclima interno al manufatto riducendo, di fatto, di molti gradi la temperatura interna rispetto all’esterno.


Anche in questo caso la massa esterna è in grado di incidere sostanzialmente sulla regolazione della temperatura esterna.



1.4.6 Il Limoniere del lago di Garda

Un altro accorgimento di regolazione della temperatura, impiegato in edifici con caratteristiche bioecologiche, è costituito dalla struttura del Limoniere del lago di Garda.


Infatti gli agrumi locali crescono in serre di grandi dimensioni costituite da un lungo muraglione alto anche più di 10 metri con le spalle rivolte a nord ed affiancato ad est ed ad ovest da alte muraglie a secco che impiegano pietra locale.


A sud, lungo il prospetto del terreno coltivato ad agrumi, sono situati alti pilastri, molto solidi come il muro di cinta, i quali formano lo struttura scheletrica della copertura mobile e sui quali si stendono, parallelamente tra loro, robusti assi in legno che completano ed irrigidiscono la struttura del tetto.


Gli tra un pilastro e l’altro sono occlusi da alcune vetrate mobili in grado di essere facilmente aperte durante le calde giornate invernali con la finalità prioritaria di consentire all’aria di entrare liberamente.


Molte volte, quando la serra è posta in aree collinari o, comunque, su di terreno degradante, al primo ripiano, all’altezza di circa cinque o sei metri, ne segue un altro su cui poggiano altri pilastri, ed uno ancora al di sopra, in modo da formare un ampio spazio semicircolare che riprende la forma di un anfiteatro.



1.4.7 La Mesa Verde in Colorado (USA)

L’insediamento indiano di Mesa Verde in Colorado (USA), che risale al XIII secolo circa, rappresenta un esempio assai significativo di utilizzazione delle caratteristiche naturali di un territorio ai fini della sopravvivenza della popolazione che vi abita.


Tale insediamento è incassato in un taglio della roccia ed è esposto verso sud in posizione riparata rispetto ai raggi solari durante la stagione estiva ma non durante quella invernale.


Inoltre la roccia contro cui si addossa l’insediamento, garantisce anche una grandissima inerzia termica, riuscendo a conservare in questo modo anche le condizioni di confort pressoché costanti per tutto l’anno.


Infatti durante l’inverno i raggi solari, che sono molto più bassi rispetto alla stagione estiva, riescono a penetrare molto meglio nelle cavità rocciose, accumulando, in questo modo, il calore che viene lentamente rilasciato negli ambienti interni durante la notte.


In questo modo si viene a creare un microclima costante e confortevole rispetto all’alternarsi esterno di inverni rigidi ed estati torride.
 


1.4.8 Le torri del vento iraniane


Alcuni edifici della tradizione iraniana, come anche molte altre numerose opere di edilizia minore del Pakistan, utilizzano sistemi assai ingegnosi per difendere gli abitanti dalle condizioni climatiche piuttosto avverse.


Infatti a queste latitudini si assiste all’alternanza di giornate molto calde con notti in cui la temperatura si abbassa considerevolmente.


Oltre ai sistemi presenti anche in altri paesi caratterizzati dalle stesse condizioni climatiche, come l’uso di spessi muri in pietra che sono in grado di stabilizzare la temperatura ad un valore medio tra quello diurno e notturno, veniva utilizzato il sistema dei cortili interni alle residenze ricchi di piante e cespugli impiegati per schermare i muri esterni al manufatto e trattenere, in questo modo, il fresco notturno.


Inoltre gli edifici venivano costruiti addossandoli l’uno all’altro per diminuire l’insolazione e le perdite complessive di calore.


Il sistema più caratteristico dell’Iran è quello delle torri del vento o Baud Geers, che, appunto, nella lingua iraniana significa letteralmente “acchiappa-vento”.
Una torre del vento iraniana è una sorta di camino diviso in più sezioni da setti verticali realizzati in mattoni.


Durante la notte la torre del vento si raffredda lentamente e successivamente, durante il giorno, l’aria, a contatto con la muratura in mattoni, si raffredda diventando a sua volta più densa, scende conseguentemente verso il basso ed entra nell’edificio.


La presenza del vento accelera, evidentemente, questo processo di circolazione e di raffreddamento dell’ambiente interno.


L’aria entra nella torre dal lato esposto al vento, scende in basso ed entra nell’edificio attraverso alcune porte che si aprono sulla sala centrale e sullo scantinato.


La pressione di quest’aria fresca spinge fuori l’aria calda presente all’interno dell’edificio attraverso le porte e le finestre.


Durante il giorno, la torre si riscalda lentamente e questo calore viene ceduto all’aria durante la notte creando una corrente ascendente.


Se è necessario un ulteriore raffrescamento degli ambienti interni dell’abitazione, si può usare questa corrente per aspirare l’aria fresca notturna all’interno dell’edificio.


Quando c’è vento, anche di notte, l’aria può dirigersi verso il basso verso la parte della torre esposta al vento, scaldandosi, in questo modo, al contatto con la muratura in mattoni, mentre, contemporaneamente si verrà a creare una corrente di aria ascensionale nella sezione sottovento della torre.


Pertanto è possibile utilizzare la torre del vento per raffrescare l’edificio a seconda delle necessità climatiche delle stagioni, chiudendo opportunamente le comunicazioni tra le varie sezioni della torre e l’edificio ovvero aprendole secondo le necessità.


Le torri del vento iraniane vengono molto spesso utilizzate insieme a coperture curve o cupole che contribuiscono, contemporaneamente alle torri, alla creazione del confort ambientale durante la calura estiva.


Infatti l’aria calda tende a salire nella copertura a volta, molto al di sopra dell’area abitata, e tale superficie curva offre una superficie maggiore attraverso cui ritrasmette il calore.


Al contrario un tetto curvo riceve la stessa quantità di irraggiamento di un tetto piano che copre la stessa superficie.


Un effetto ancora più rilevante si raggiunge attraverso l’impiego di una cupola che presenti nella parte più elevata un’apertura per la circolazione dell’aria.
Infatti quando c’è ventilazione il passaggio dell’aria sulla superficie curva esterna della cupola determina un punto di depressione sull’apice della stessa e l’aria esterna viene così risucchiata verso l’interno.


In questo modo viene quindi estratta, all’interno dell’edificio, tutta l’aria più calda che si è accumulata nella volta.


L’apertura praticata nella parte più alta della cupola è generalmente sormontata da una calotta all’interno della quale vi sono praticate altre piccole aperture che convogliano il vento per aumentare l’effetto che risucchia l’aria.


Esistono inoltre, nell’architettura tradizionale iraniana, anche altri sistemi di raffrescamento naturale, peraltro più efficaci, che utilizzano anche l’acqua sfruttando, in questo caso, soprattutto il raffreddamento per evaporazione.


Infatti l’aria, passando sopra la superficie dell’acqua, o su di una parete umida della torre, riesce a cedere calore all’acqua facendone, pertanto, evaporare una parte considerevole.


Per realizzare queste condizioni, alcune volte, si sfrutta soltanto l’umidità naturale del muro sotterraneo della torre, oppure del condotto che dalla torre si dirige direttamente agli ambienti dell’abitazione.


Questo condotto veniva tradizionalmente utilizzato anche per la conservazione dei cibi prima che si diffondessero i frigoriferi.


Si può inoltre sfruttare l’evaporazione per il raffrescamento impiegando una vasca con una fontana che può trovarsi nel sotterraneo della torre del vento oppure nel locale in cui sbocca il condotto che proviene direttamente dalla torre.


In alcuni casi sono stati impiegati anche alcuni fiumi sotterranei e pozzi aperti verso il condotto, dai quali l’aria proveniente ad alta velocità dalla torre del vento riesce a risucchiare l’aria fredda ed umida.


Per raffreddare l’acqua, generalmente, si usa accoppiare più torri del vento con una cisterna che consiste in un serbatoio interrato o scavato nella roccia, coperto e circondato dalle torri del vento.


1.4.9 Le ville rinascimentali di Costozza

Questo particolare complesso di ville rinascimentali, situate presso l’abitato di Costozza (VI), ha conservato come caratteristica comune quella di essere ancora dotate di un sistema di raffrescamento naturale, che riesce a sfruttare l’aria proveniente da grandi cavità sotterranee, localizzate al di sotto delle abitazioni, chiamate comunemente covoli.


La temperatura all’interno di queste cavità, in parte naturali ed in parte scavate dalla mano dell’uomo, resta pressoché costante durante tutto l’anno mantenendo valori medi intorno agli 11-12°C.


I covoli sono in diretta comunicazione con l’esterno attraverso numerose aperture situate a quote diverse tra loro.


Pertanto, soprattutto nei periodi in cui la temperatura dell’aria esterna è maggiore di quella dell’aria interna, si innesca un moto convettivo di circolazione dell’aria per cui quella calda, che entra nei covoli dall’apertura in alto, riesce definitivamente ad uscire raffrescata dalle aperture situate in una posizione più bassa.


Con la finalità di sfruttare in modo appropriato tale fenomeno naturale di raffrescamento delle ville di Costozza, queste ultime sono state collegate direttamente alle parti inferiori dei covoli attraverso una serie di cunicoli sotterranei appositamente scavati, comunemente chiamati “ventidotti”, della lunghezza di qualche centinaio di metri.


Questi ventidotti arrivano fino alle cantine delle ville e successivamente da queste l’aria fresca penetra nei locali che si trovano nella parte più alta dell’abitazione attraverso rosoni di pietra o di marmo traforato localizzati nei pavimenti dei locali del piano terra.


Se il rosone resta chiuso, durante una giornata del mese di Luglio in cui la temperatura esterna può arrivare fino a 29° C, la temperatura in una stanza del piano terra può essere compresa tra i 20,5° C ed i 21,5° C.


Al contrario con il rosone aperto la temperatura in un ambiente della villa si abbassa fino a raggiungere la temperatura di 16° C, quando esternamente si arriva normalmente a 33° C.

 



1.5 Le recenti architetture bioecologiche

Rileggendo l’opera di alcuni esponenti fondamentali dell’architettura moderna, che si sono ispirati certamente alle opere di artisti anonimi del passato ed alle loro “invenzioni” tecnologiche per una gestione sostenibile dell’intero edificio, si possono annoverare, anche in questo secondo caso, numerosi, importanti e significativi insegnamenti relativi all’invenzione di particolari dispositivi cosiddetti naturali.



1.5.1 Le Corbusier ed il sole come strumento per la progettazione architettonica

In seguito all’invenzione ed alla decisa affermazione del cemento armato nell’architettura, la struttura portante di un edificio viene affidata esclusivamente ai pilastri verticali ed alle travi, che tessono la maglia strutturale del manufatto, e non più ai tradizionali muri portanti.


L’involucro esterno dell’abitazione si trasforma definitivamente in una semplice quanto efficace separazione e protezione degli ambienti interni dagli agenti atmosferici, dai rumori e, comunque, da tutti gli effetti esterni che possono interagire, anche negativamente, con la vita svolta all’interno del manufatto.


Pertanto non è più necessaria la realizzazione dell’involucro esterno impiegando materiali resistenti ma pesanti ed opachi che devono sopportare completamente il peso dei solai e del tetto dell’abitazione.


Le Corbusier rende quindi la parete esterna del tutto simile ad un “pannello di vetro” che permette quindi alla luce solare di entrare all’interno e di aprire completamente l’edificio verso il panorama esterno.


Tuttavia, in seguito alla dematerializzazione delle pareti esterne dell’edificio, vengono a crearsi nuove problematiche legate principalmente al riscaldamento degli ambienti interni, la loro ventilazione ed, in particolare, agli effetti del soleggiamento che, durante la stagione invernale, svolge una funzione prevalentemente benefica ma al contrario in estate può provocare effetti catastrofici per il benessere interno dell’abitazione.


Per risolvere, in modo valido, quest’ultimo problema, vengono generalmente utilizzati sistemi tradizionali, impiegando tende di tessuto sottile o più spesso e con più strati, le imposte di diversa natura, posizionate internamente o esternamente all’edificio e gli schermi da comporre architettonicamente con il disegno complessivo della facciata e del suo pannello di vetro trasparente.


Nelle Ville Radieuse, certamente una delle opere più importanti ed esemplificative dell’architettura di Le Corbusier, i lati dell’abitazione esposti verso nord non hanno affatto appartamenti.


Questi lati della costruzione sono massicci e forati da piccole feritoie che sono in grado di far penetrare, seppure in maniera minimale, la luce all’interno rischiarando, in questo modo, le strade interne.


In un’altro edificio, la Casa Jaoul, Le Corbusier decise di reimpiegare materiali più elementari e più usuali, rispetto a quelli più innovativi impiegati nella Ville Radieuse, come il mattone, la tegola piatta, le volte di copertura in tegole piatte a vista ed i tetti ricoperti completamente da un tappeto d’erba.


Il frangisole compare nelle opere realizzate a Barcellona, dove le abitazioni furono dotate di una profonda loggia con lamelle di cemento.


Invece ad Algeri, nei lati degli edifici esposti a nord ed ad est, furono conservate le vetrate tradizionali mentre a sud ed ovest furono installati alcuni frangisole, costituiti da alveoli di circa 80 centimetri di profondità e 70 centimetri di altezza in grado di provocare un ombra realmente efficace.


Questo dispositivo tecnologico di tipo assolutamente naturale si installa a qualche centimetro sul davanti della parete di vetro e viene mantenuto agganciato ai soffitti a sbalzo di ogni piano dell’edificio.



1.5.2 Alvar Aalto ed il superamento del benessere psicologico


In tutte le sue opere realizzate è continuamente presente un’attenzione molto particolare per le soluzioni architettoniche che favoriscono il benessere complessivo di coloro che devono abitare gli spazi degli edifici.


Sono, infatti, assai conosciute le soluzioni tecniche e progettuali adottate per le stanze di degenza del Sanatorio di Paimio, che utilizzano l’uso del colore sui soffitti per il riposo della vista del malato che si trova disteso e rende possibile una ventilazione naturale che giunge nell’ambiente interno indirettamente dopo aver percorso il vano compreso tra le doppie finestre.


L’architetto sottopone ad una verifica reale la sua architettura non attraverso l’astrattezza di principi estetici, ma rapportandola al comportamento quotidiano e reale degli individui che la utilizzano, vivendone i suoi spazi progettati.


Gli spazi interni che costituiscono l’involucro per i differenti momenti delle attività dell’uomo, lo proteggono, contemporaneamente, dall’ambiente esterno graduando principalmente la luce, il suono, i colori, la ventilazione ed il calore.


Pertanto si può certamente affermare che Alvar Aalto si occupa continuamente del benessere psicologico ed in alcuni casi rende matrice fondamentale nel progetto degli spazi uno in particolare di tali fattori.


Il diffondersi dell’energia sonora in una chiesa luterana come quella costruita a Imatra, ad esempio, riesce a formare un vero e proprio spazio acustico, integrando in questo involucro sonoro, oltre al controllo graduale della luminosità dell’ambiente, anche quello della ventilazione e del riscaldamento.


Infatti in questa realizzazione Alvar Aalto realizza una straordinaria soluzione progettuale che integra il pilastro, il soffitto e la parete quasi senza evidenziare una palese, quanto normale, discontinuità tecnologica.



1.5.3 Louis Kahn e la radiazione solare

L’intera opera di Louis Kahn sembra ispirata dall’impegno di rendere la radiazione solare il materiale per eccellenza della sua architettura.


Negli primi anni sessanta , durante un soggiorno a Luanda (Angola) relativamente all’incarico del progetto del nuovo Consolato Americano, Louis Kahn si rende conto dell’enorme illuminazione abbagliante e del calore che sono generati dal sole allorché questo colpisce le superfici esterne degli edifici senza incontrare schermature intermedie.


L’architetto inventa quindi la soluzione del muro posto dinanzi alla finestra, in una sorta di brise-soleil, rivisitato in chiave monumentale, forato in modo da regolare l’accesso della luce negli ambienti interni.


Inoltre Louis Kahn affronta anche la problematica del calore generato dalla copertura invasa completamente dal sole.


Nasce quindi un secondo elemento che può connotarsi come una sorta di sdoppiamento del tetto in due superfici separate, una per la pioggia ed una per il sole, da disporre distanziate tra loro di circa 1,80 metri.


Il tetto superiore, in questa soluzione, blocca i raggi solari e crea un’intensa circolazione d’aria in tutto l’edificio.



1.5.4 La lezione americana di Frank Lloyd Wright

Il Larkin Building, certamente una delle realizzazioni più famose di Frank lloyd Wright, era un semplice blocco di mattoni isolato ermeticamente in modo da proteggere lo spazio interno dalle emissioni dannose provenienti dai treni della vicina Stazione Centrale di New York.


Questo edificio era infatti uno dei primi edifici ad aria condizionata degli USA.


L’aria esterna aspirata nella parte alta delle torri al di sopra del livello dell’inquinamento proveniente dalla stazione ferroviaria, viene sospinta negli scantinati, ormai pulita e riscaldata, e successivamente fatta risalire attraverso i condotti in mattoni forati per la distribuzione ad ogni piano.


Il benessere ambientale è perseguito non solo attraverso il condizionamento dell’aria, ma anche mediante una serie di soluzioni tecniche e progettuali capaci di creare un microambiente interno sostitutivo ed alternativo rispetto a quello esterno cui si è dovuto rinunciare a causa della presenza della stazione ferroviaria.


Nella Roberts House Frank Lloyd Wright realizza una vera e propria galleria di accesso alle finestre apribili nella fascia alta ed introduce, quale elemento di innovazione, il tipo di mattone forato che facilita il flusso d’aria del camino.


Rappresenta quindi una sorta di stufa ad aria calda, che verrà riutilizzata, l’anno successivo, nella Robie House, dove l’asola delle finestre apribili è sostituita da aperture situate sotto le falde del tetto, e che, aperte durante la stagione estiva, consentono il risucchio completo dell’aria calda dagli ambienti domestici.


Questa residenza è, senza dubbio, uno dei più riusciti esempi di abitazione climatizzata realizzata da Frank Lloyd Wright nel periodo cosiddetto delle “prairie”.


L’edificio si apre completamente verso l’esterno liberando le superfici dell’involucro e piegandole ad assumere specifiche funzioni bioclimatiche con una serie assai copiosa di soluzioni innovative intese a trasformare la casa in un efficace organismo ambientale.


Il cortile di ingresso, situato a nord e protetto dai venti gelidi dell’inverno di Chicago, si mantiene fresco ed ombreggiato durante l’estate e, insieme al piano terra anch’esso in ombra in quanto protetto a sud dal terrazzo del soggiorno, costituisce un importante serbatoio di aria fresca per l’intero edificio.


Anche nelle umide giornate estive, in genere caratterizzate dall’assenza completa di vento, la massa di aria fresca riesce a condizionare l’abitazione arrivando a raffrescare anche le camere localizzate sotto tetto.


Il corpo dei servizi è collocato a nord in modo tale da costituire una vera e propria barriera al freddo.


Il soggiorno è fornito, per quasi l’intero perimetro, di finestre completamente apribili e dotate di zanzariere interne che consentono ogni sorta di ventilazione incrociata.


Inoltre la sporgenza del tetto a sud è calcolata, in modo assolutamente esatto, per impedire alla radiazione solare estiva di entrare all’interno dell’abitazione, senza togliere tuttavia la luce ed il calore durante il periodo invernale.


Gli ampi aggetti del tetto ad est e ad ovest funzionano come parasole nei torridi pomeriggi estivi, ma consentono ai raggi invernali, fortemente inclinati, di entrare trasformando il bow-window in un vero e proprio solarium.


Invece ad est il tetto funziona come parapioggia, proteggendo l’ingresso di servizio dal lato del cortile di accesso al garage.



1.5.5 Altre opere per l’individuazione di una corretta progettazione architettonica

 


I padri dell’architettura moderna, come Le Corbusier, Alvar Aalto, Louis Kahn e Frank Lloyd Wright, hanno certamente indirizzato, anche nel campo dell’architettura bioecologica, numerosi architetti contemporanei le cui opere costituiscono un esempio aggiornato di tali innovazioni pionieristiche.


Tra questi Mario Botta emerge per essere particolarmente attento al confort delle opere da lui progettate.


Le sue residenze sono particolarmente introverse e l’involucro esterno è molto compatto e, in alcuni casi, completamente chiuso.


Le forme, molto simili al cilindro, o al cubo, minimizzano le superfici di dispersione e si riducono sensibilmente anche le superfici vetrate, sia per una esigenza energetica complessiva che per la necessità di contenere le dispersioni termiche.


In questo modo, utilizzando tali forme, l’involucro esterno può essere coibentato molto bene e non vi sono particolari vincoli di orientamento.


Anche Thomas Herzog, costruendo a Ratisbona la sua prima abitazione unifamiliare, realizza la sua prima esperienza nell’ambito delle architetture solari.


Per risolvere positivamente il bilancio termico dell’edificio di Ratisbona sono stati messi a punto diversi ed ingegnosi accorgimenti che riguardano sia l’assetto distributivo e sia le scelte tecnico-costruttive.


Nello specifico, per quanto attiene l’organizzazione funzionale, tali accorgimenti possono essere così riassunti:
• realizzazione di una camera di decompressione situata a nord in corrispondenza dell’ingresso;
• individuazione di sub-sistemi di unità ambientali con diverse esigenze microclimatiche completamente compatibili con una fruizione razionale degli spazi.
Per quanto riguarda invece gli aspetti tecnico-costruttivi le principali soluzioni adottate sono di seguito sinteticamente elencate:
• miglioramento della capacità termica delle chiusure orizzontali di base che svolgono la funzione di massa di accumulo di calore;
• realizzazione di chiusure orizzontali di copertura micro-ventilate.


Queste misure, insieme con sistemi di riscaldamento aggiunti ed i guadagni indotti di energia solare esterna attraverso il soggiorno-serra, contribuiscono a ridurre il consumo annuale di gas da riscaldamento.


Nell’opera di Sir Norman Foster and Partners l’architettura solare rappresenta una combinazione di tradizione e di tecnologia.


La tradizione, infatti, è l’espressione della cultura di un tempo e di un luogo specifico mentre la tecnologia, che insegna a fare le cose, costituisce un mezzo e non un fine e, a causa degli attuali problemi energetici ed ambientali, si può tranquillamente affermare che l’architettura solare è potenzialmente la vera architettura spontanea dei nostri giorni.


Nel Business Promotion Centre di Duisburg, Foster and Partners garantiscono la fornitura di energia attraverso la cogenerazione e l’energia necessaria all’edificio è prodotta da un generatore azionato a gas.


Il processo solare si attiva per mezzo di celle fotovoltaiche e di raccoglitori ad alta prestazione per acqua calda situati sul tetto del manufatto.


La realizzazione del Business Promotion Centre di Duisburg rappresenta il primo esempio al mondo di riscaldamento, raffreddamento e generazione solari.
Nella Sede centrale della Commerzbank di Francoforte, vengono studiati nuovi modi per rendere più comodi e gradevoli gli spazi destinati agli uffici, realizzando gruppi di costruzioni a quattro piani, che sorgono intorno ad un giardino centrale.


Il giardino centrale sale a spirale sull’edificio creando una torre di grande trasparenza.


Nel progetto sono stati privilegiati i sistemi ad alta efficienza energetica ambientale ed è prevista ovunque una ventilazione naturale.


Inoltre le finestre degli uffici possono venire aperte manualmente verso l’esterno direttamente sul giardino che, paesaggisticamente, è molto curato.


In condizioni climatiche particolarmente estreme, le finestre degli uffici vengono chiuse automaticamente ed entrano in funzione i sistemi di climatizzazione interni.


Nell’Euro-Gate di Duisburg sono usate le più moderne tecnologie della microelettrica e del rinnovo ecologico.


Tale manufatto dispone infatti di una facciata produttrice di energia che comprende celle fotovoltaiche della capacità massima di 1000 kWh.


La sua struttura completamente curva funge da concentratore insieme alla riflettenza dell’acqua ed un ampio uso di celle solari.


Nel Stansted airport terminal di Londra ritroviamo l’ispirazione alla concezione dei primi aeroporti realizzati.


Infatti la facilità di circolazione, proprie di un edificio di altri tempi, hanno ispirato la luminosità, la comodità e la calma del nuovo terminal.


L’atrio, con la sua planimetria quasi quadrata, è completamente illuminato a giorno per mezzo di una rete regolare di punti luce che dal soffitto forniscono luce diffusa, riducendo notevolmente i carichi di illuminazione.


L’edificio è complessivamente molto ben isolato e prelevando l’eccesso di aria calda dalle zone più densamente frequentate dai passeggeri, l’aereoporto si autoriscalda per gran parte del periodo invernale.


Nel Padiglione inglese dell’Expo di Siviglia del ’92, Ove Arup e Partners progettano un edificio per accogliere 20000 visitatori al giorno con temperature fino a 40°C.


Il calore della radiazione solare diretta del sole viene assorbito completamente dal muro occidentale costituito da serbatoi d’acqua.


L’acqua, che scorreva lungo la parete vetrata esposta ad est, forniva un ulteriore raffrescamento naturale.


L’elettricità per il pompaggio dell’acqua delle pareti veniva generata attraverso l’impiego di pannelli fotovoltaici situati sul tetto.


Questi sistemi hanno permesso un risparmio complessivo di oltre il 30% dei consumi sostenuti durante l’intera manifestazione.


Nell’edificio GSW di Berlino viene sfruttato un “effetto camino solare” per fornire una ventilazione naturale agli spazi per gli uffici.


Un sistema di schermature nell’intercapedine tra le finestre e la facciata, riceve, contemporaneamente, calore dal sole e dall’interno dell’edificio.


Questa alternanza genera un flusso di aria calda verso l’alto, inducendo una ventilazione nei locali dell’edificio.


La circolazione complessiva dell’aria viene automaticamente regolata a seconda delle temperature esterne.


Questi sistemi hanno portato ad un risparmio energetico di circa il 37% rispetto ad un ufficio di tipo tradizionale completamente climatizzato.


Nel Progetto Solare a Northumbria Ove Arup e Partners hanno dimostrato, inoltre, che i pannelli solari possono essere una soluzione fattibile per rivestire gli edifici esistenti.


Infatti tali sistemi, mentre generano elettricità, riescono anche a proteggere climaticamente l’edificio.

 

L’inclinazione dei pannelli massimizza l’elettricità generata, fornendo, al tempo stesso, un’efficace ombreggiatura alle stanze sottostanti.

 

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 (1) Tratto dal testo “L’edificio ecologico, principi ispiratori, criteri progettuali, normativa ed incentivi economici”, Buffetti editore, Roma 2004.