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L’impatto della crisi sul mercato elettrico italiano.

 

The Impact of the Economic Recession on the Italian Electricity Market.

 

SERGIO PORTATADINO*

 

 

 

Abstract

The deterioration of the economic conjuncture has caused the rise of new risks for energy companies, but especially a significant slowdown of investments, with particular reference to the renewable sources. The middle/long term impact of the recession could threaten the green policies of the European (and now also American) Government and increase our dependence from natural gas, as a recent Pöyry’s research suggests.

Key words:
: Italian Electricity Market, Economic Crise


La sensazione di vivere in un periodo di cambiamento storico pervade anche i mercati energetici e l’emblema di questo mutamento è rappresentato dalle oscillazioni del prezzo del greggio, passato nel giro di pochi mesi dal suo record storico (quasi 150 dollari al barile nel luglio scorso) a livelli vicini ai 35 $/bl per poi raddoppiare di nuovo in pochissimo tempo.
Qual è il vero effetto di questa crisi sul mercato elettrico italiano? Come cambieranno, se cambieranno, le scelte di investimento degli operatori?
Il timore è che sul breve/medio periodo ci possa essere un rallentamento sia dei consumi per via della congiuntura economica negativa, sia degli investimenti – in particolare quelli nelle tecnologie rinnovabili – a causa della stretta al credito. Ma ciò che probabilmente peserà di più sull’industria elettrica sarà il costo del rischio, di difficile valutazione in un mercato che fino ad una decina di anni fa era ancora sostanzialmente monopolistico (e quindi piuttosto prevedibile).
In primo luogo, gli operatori elettrici dovranno affrontare un nuovo rischio legato alla domanda: la crisi finanziaria sta riducendo la ricchezza e la capacità di spesa sia delle famiglie che delle imprese ed infatti Confindustria, ma non solo lei, prevede un lungo periodo di recessione almeno fino al 2010. Questo significa da un lato una stagnazione della domanda, che potrebbe mettere un notevole freno agli investimenti in campo energetico, dall’altro fa incrementare il rischio di insolvenza da parte dei consumatori e questo rischio è particolarmente elevato per le piccole e medie imprese. Il rimedio qui potrebbe essere l’introduzione e lo sviluppo di sistemi di risk management che riconoscano il deteriorarsi delle condizioni di contesto e che mirino a salvaguardare il working capital delle aziende elettriche stressato dall’incremento delle insolvenze.
L’incremento dell’incertezza sui mercati potrebbe avere un pesante risvolto per quanto riguarda i nuovi investimenti in generazione elettrica e il settore più colpito potrebbe essere quello delle energie rinnovabili.
Nel recente passato, il mercato elettrico ha vissuto anni di buoni investimenti. In Italia, dal 2002 sono stati autorizzati ben 21 GW di nuova capacità termoelettrica (sostanzialmente tutti cicli combinati che bruciano gas naturale). Anche le rinnovabili hanno visto un boom, dovuto principalmente a scelte dei governi che hanno predisposto generosi incentivi, sostenendo gli investimenti fino al punto da rendere affari certi dei progetti che altrimenti difficilmente sarebbero stati concepiti.
Così, nonostante gli elevati prezzi delle materie prime – non solo del gas, ma anche rame, alluminio e acciaio – questi investimenti sono stati comunque realizzati e per diverse ragioni:
• Inelasticità della domanda
• Bassa competitività dei mercati all’ingrosso
• Significativi incentivi pubblici per il finanziamento delle energie rinnovabili
• Facile accesso al credito, grazie all’ipertrofia dei mercati finanziari
In altre parole, gli operatori sono stati in grado di realizzare gli investimenti necessari nonostante i crescenti costi di produzione, anche poiché la particolare struttura del mercato elettrico permette di traslare ai consumatori finali parte di questi maggiori oneri.
Poi il crollo della finanza globale.
Le banche falliscono, Lehman Brothers, le Borse a picco, il prezzo del greggio e delle altre materie prime che torna ai livelli di 5 anni fa e scende ad una velocità doppia rispetto a quella con cui è salito, i titoli delle società energetiche che vedono ridursi il proprio valore in Borsa, piani anti‐crisi e insomma tutto quello che leggiamo sui quotidiani in queste settimane.
E per l’energia elettrica in Italia, che cosa cambia?
Delle condizioni che hanno dato luogo a una fase espansiva degli investimenti, l’ultima, il facile accesso al credito, è certamente venuta meno. Infatti, si può registrare sul mercato finanziario un peggioramento delle condizioni di finanziamento generalmente offerte agli operatori. Tipicamente questo si traduce con spread più alti, un minor tempo di ritorno e una maggiore quota di capitale proprio da parte dell’investitore per finanziare i progetti. In aggiunta, il rallentamento atteso della domanda energetica dovuta alla crisi rende gli stessi investimenti più rischiosi, perché appunto ci potrebbe essere meno bisogno di nuova capacità di generazione elettrica e di nuove forniture di gas.
Per quanto riguarda gli altri fattori: la domanda rimarrà comunque sostanzialmente inelastica1, per via della necessità dei consumi energetici. Circa la concorrenza sui mercati all’ingrosso, è difficile prevedere in questo momento la sua evoluzione nel breve periodo, che dipenderà sia dallo sviluppo dei nuovi strumenti di mercato previsti, quali ad esempio la borsa a termine e i prodotti finanziari (e il mercato intraday che dovrebbe nascere secondo il nuovo disegno di mercato recentemente proposto) sia dal ruolo che nuovi significanti operatori entranti – EON in primis ma anche GDF-Suez, vorranno avere in questo mercato.
Tuttavia, il pericolo maggiore riguarda più gli investimenti in tecnologie rinnovabili che in centrali termoelettriche. Gli investimenti realizzati nel recente passato hanno infatti permesso all’Italia di recuperare il deficit di generazione che aveva precedentemente accumulato e l’ondata di nuovi impianti termoelettrici sembra essersi arrestata a prescindere dalla crisi finanziaria: a testimonianza di ciò si pensi che nessun nuovo progetto è stato autorizzato ormai dal 2006.

 


 

    Figura 1 – Nuova capacità termoelettrica autorizzata dal 20022
Fonte: Pöyry Energy Consulting su dati MSE, Terna.
Note: Nuova potenza autorizzata da impianti termoelettrici di potenza superiore a 300 MWt e di potenza inferiore nella Regione Sardegna.                



Il prezzo della crisi potrebbe dunque essere pagato dagli investitori in energie rinnovabili, verso cui si era orientato un ampio flusso di capitali, per via del basso rischio e delle favorevoli condizioni di finanziamento. Ma oggi il contesto è peggiorato ed oltre al problema relativo al credit crunch, si deve considerare che la riduzione del prezzo del greggio, qualora si confermasse nel tempo, renderebbe le rinnovabili meno redditizie e dunque ancora più esposte al rischio di vedersi tagliati i finanziamenti.
Pesa poi anche il rischio regolatorio che va incrementandosi per via della crisi: alcuni governi europei, per non gravare le proprie economie di ulteriori oneri in un momento di difficoltà, stanno mettendo a tema l’effettiva necessità di un sostegno alle rinnovabili così impegnativo. Non è quindi da escludere una possibile revisione degli obiettivi delle politiche ambientaliste europee nei prossimi anni che porterebbe così ad un ulteriore rallentamento del settore.
Infine, una menzione per la tecnologia nucleare, la quale, almeno in Italia, potrebbe soffrire meno degli impatti della crisi per il semplice motivo che è ancora un’idea più che un progetto concreto. Nessun nuovo impianto vedrà la luce in questo paese prima del 2020 ed anzi, siccome il maggior costo di un reattore è costituito dall’investimento iniziale con un notevole ricorso al debito, è prevedibile un ulteriore slittamento dei tempi di progettazione, nell’attesa di un contesto finanziario più favorevole a questo tipo di operazioni.
Insomma, proprio adesso che i prezzi delle materie prime sono diventati più convenienti, paradossalmente si potrebbe assistere ad una contrazione degli investimenti. Siccome l’onda di nuovi investimenti in cicli combinati sembra essersi già arrestata (nessuna nuova centrale autorizzata nel 2008), il rischio di contrazione degli investimenti potrebbe colpire specialmente l’energia rinnovabile, verso cui ultimamente si erano concentrati ingenti flussi di denaro. Dunque, quali conclusioni trarre?
In primis, la contrazione degli investimenti in rinnovabili potrebbe essere controbilanciata da politiche più mirate all’efficienza energetica, capaci di coniugare il risparmio dei costi con un approccio eco-sostenibile. Mentre per quanto riguarda l’andamento nel medio termine del parco di generazione elettrico, un recente studio della Pöyry3 ha messo in evidenza questi rischi per l’Unione Europea nel suo complesso e l’Italia non fa eccezione. Pöyry ipotizza tre scenari di sviluppo al 2020 chiamati “Cinico Realismo”, “Tutti i 20” e “Montagne Russe”.
Nel primo scenario, i paesi dell’UE si sforzano di riconciliare gli obiettivi della Direttiva “20-20-20” con i costi in un contesto di crisi. Lo schema ETS continua, ma viene sottoposto a periodica verifica e i suoi obiettivi potrebbero essere ridimensionati. Nel comparto elettrico si fa sempre più forte la dipendenza del gas, anche negli altri paesi europei. E le maggiori preoccupazioni provengono da problematiche di natura geopolitica e di sicurezza delle forniture. Tuttavia questo scenario potrebbe non realizzarsi, data l’elevata dipendenza dal gas che si scontra con problemi di natura geopolitica e di relazioni internazionali.
Nel secondo scenario, tutti i paesi investono fortemente per raggiungere i più ambiziosi obiettivi ambientali europei e la domanda reagisce trasformando le proprie abitudini in senso eco‐compatibile, così come lo sviluppo tecnologico. Tuttavia i costi sono elevati e vi è un forte rischio di delocalizzazione dell’industria manifatturiera in paesi non soggetti alla stringente regolazione ambientale europea. Tutto dipenderà da come verrà implementato l’accordo sul pacchetto clima e quanto visto sinora rendono questo scenario altamente improbabile.
Il terzo scenario è il peggiore, perché secondo lo studio Pöyry è anche, nel complesso, il più costoso. La domanda viene prevista essere molto debole nei prossimi anni, con un prezzo del petrolio stagnante sui livelli odierni. Di conseguenza, l’impeto per il perseguimento dell’efficienza energetica e per lo sviluppo delle rinnovabili si fa più flebile, ma tutti gli investimenti, per i motivi sopra citati, si riducono. Tuttavia, dopo un periodo di prezzi bassi la domanda si irrobustisce di nuovo e, anche a causa degli scarsi investimenti dovuto proprio alle ai prezzi contenuti delle materie prime, il costo dell’energia torna a salire vorticosamente, come nel recente passato.
Il grosso rischio che stiamo correndo attualmente è appunto quello di un futuro altalenante tipico dello scenario “Montagne Russe”, incentrato sull’utilizzo del gas nella generazione elettrica. Con scarsa attenzione alle problematiche ambientali e forti preoccupazioni circa la sicurezza delle forniture (da considerare i problemi sofferti da Gazprom nel mettere on-line nuovi giacimenti: ci si attende una stretta tra il 2011 e il 2014): ci potrebbero essere le infrastrutture, ma rischia di mancare la materia prima.
In un momento di crisi di tale portata è facile intuire come le scelte dei policy maker possano pesare sullo sviluppo dell’industria. Il livello di incertezza è altissimo, come non si è mai visto in tutta la storia recente del comparto energetico. Si tratta di compiere delle scelte tra diverse strategie che hanno payoff differenti. Molte delle scelte da affrontare rischiano di portare, nel medio periodo, a costi energetici sostenuti per i consumatori finali, incrementando così il rischio di povertà energetica. I policy maker sono posti di fronte ad una situazione dove gli investimenti sono a rischio e allo stesso tempo vengono posti obiettivi importanti in termini di riduzione dei gas serra e di sviluppo di tecnologie eco-compatibili. Questi richiederebbero ingenti investimenti e dunque si pone il problema di come creare le migliori condizioni affinché il comparto energetico superi la crisi e sia in grado di rispondere alle sfide a cui viene chiamato.
 

 

* Pöyry Energy Consulting .

 

1 La sua contrazione nell’immediato è da attribuirsi ad un effetto reddito e non dalla reazione al prezzo dell’energia.
2 Valore che non comprende la differenza di potenza dovuta agli interventi di modifica e trasformazione.
3 http://www.ilexenergy.com/pages/Documents/Other/EnergyMixPresentation_v1_0.pdf .

 



Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 06/07/2009

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