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La liberalizzazione del mercato del gas naturale in Italia: verso un hub del gas?

 


THE LIBERALIZATION OF THE ITALIAN GAS MARKET: TOWARDS A GAS HUB?

 

Sergio Portatadino (*)

 


 


The liberalization of the gas market first began in 1998 with the EU’s directive 98/30/EC, which was then replaced by the directive 2003/55/EC pursuing the goal of creating a single and competitive European market. In Italy, the opening of the gas market to competition started with the Order nr. 164/2000 (called “Decreto Letta”), which ratificated the directive 98/30/EC, breaking up the historical ENI’s monopoly. The liberalization’s process was completed in December 2002, but even today (April 2005) tangible results are still lacking.
On the other hand, opportunities arise from the particular geographic position of Italy, crossroad of the gas streams coming from North Africa, Northern Europe, Russia and in the future also from the Caucasian area, making Italy a strategic location for the security of energy supply for the European Union and consequently for the wellbeing of the entire economy.
Italy may therefore become the gate for the European gas market, a place where the different gas streams are exchanged and then locally delivered or transported abroad and this may eventually bring to the developing of the Southern Europe gas hub.


* * *


La liberalizzazione del mercato del gas è iniziata a livello comunitario con la direttiva 98/30, poi aggiornata e sostituita dalla 2003/55 che persegue esplicitamente l’obiettivo di creare un unico mercato europeo libero e concorrenziale. In Italia, l’apertura alla concorrenza ebbe inizio con il decreto legislativo 164/2000 (“Decreto Letta”), in recepimento della 98/30, sancendo l’inizio di una nuova era all’insegna della concorrenza. Dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore i risultati sono certamente al di sotto delle aspettative e numerose incognite, ma anche interessanti possibilità, si prospettano all’orizzonte per il mercato italiano del gas. Esso sta attraversando una fase decisiva del suo percorso verso la completa liberalizzazione e sebbene sulla carta il monopolio di ENI sia terminato, nella realtà dei fatti esistono ancora gravosi ostacoli che devono essere rimossi.
La particolare posizione geografica del nostro paese, crocevia dei flussi di gas provenienti dal Nord Africa, dall’Europa Settentrionale, dalla Russia e, in futuro, anche dall’area caucasica, fa del sistema-Italia un punto strategico per il mantenimento dell’equilibrio e della sicurezza degli approvvigionamenti per l’intera Unione, in un ambito, quello energetico, da cui dipende il buon andamento di tutta l’economia. L’Italia potrebbe dunque diventare un luogo di scambio e di transito di numerosi flussi di gas e, sulla scia dell’esperienza nordamericana e inglese, potrebbe svilupparsi un rilevante mercato finanziario connesso ai flussi fisici di gas.

LA SITUAZIONE ITALIANA
Il mercato italiano del gas fin dalla sua nascita è stato caratterizzato dal monopolio verticalmente integrato di ENI, con la sola eccezione della Distribuzione, dove, sebbene il leader fosse Italgas, controllata di ENI, le quote di mercato sono sempre state molto frammentate. Quando il decreto Letta (164/2000) aprì il mercato alla concorrenza, lo fece concentrandosi dunque sull’Upstream della filiera, andando ad intaccare direttamente il monopolio esistente.
Nel maggio del 2000 il governo italiano recepì la direttiva 98/30 con il decreto legislativo 2000/164. La via scelta per aprire il mercato è stata sostanzialmente quella di scomporre le varie fasi della filiera (c.d. unbundling) ed imporre la separazione societaria/contabile alle imprese presenti in più livelli della filiera, in particolare:
Il monopolio di ENI è stato poi colpito ponendo un duplice tetto alle quote di mercato dell’incumbent: a partire dal I° Gennaio 2002, infatti, nessun impresa può vantare una quota d’immissione di gas in Italia (produzione + importazione) superiore al 75% dei consumi totali (esclusi gli autoconsumi); tetto che si riduce del 2% ogni anno fino a scendere al limite del 61% nel 2009 e 2010. Inoltre, nessun impresa potrà vendere ai clienti finali più del 50% dei consumi nazionali di gas annuali.
Oltre a ciò, “le imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento (SRG) sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta” (Art. 8 del Decreto Letta) in base a tariffe e condizioni di accesso regolamentate e pubbliche.
Potrebbe dunque sembrare che chiunque disponga di gas naturale possa importarlo in Italia e venderlo ad un prezzo regolamentato. Ma la realtà è ben diversa, infatti l’Art. 24 dello stesso decreto afferma che: “le imprese di gas naturale possono rifiutare l’accesso al sistema del gas alle altre imprese o ai clienti idonei che ne facciano richiesta solo nel caso in cui esse non dispongano della capacità necessaria, o nel caso in cui l’accesso al sistema impedirebbe loro di svolgere gli obblighi di servizio pubblico cui sono soggette, ovvero nel caso in cui dall’accesso derivino gravi difficoltà economiche e finanziarie ad imprese del gas naturale operanti nel sistema, in relazione a contratti di tipo “take or pay” sottoscritti prima dell’entrata in vigore della direttiva 98/30/CE.”
Ed è proprio qui che nasce la strategia “di difesa” di ENI per mantenere le proprie posizioni anche dopo l’apertura del mercato.
Bisogna premettere che il nocciolo della questione è la capacità d’importazione. Infatti le riserve di gas italiane sono limitate e i noti impedimenti burocratici all’apertura e alla coltivazione di nuovi giacimenti fanno sì che le importazioni contino ormai per una quota superiore all’80% delle immissioni (V. figura 1, 2 e 3).

 

Figura 1: Immissioni in rete nel 2003

 

 

Fonte: Elaborazione AEEG su dati Ministero delle attività produttive, 2004.




 



Figura 2: Produzione nazionale e importazione di gas naturale in Italia

 

 

Fonte: Elaborazione propria su dati AEEG, 2004.





 

Figura 3: Andamento della produzione italiana di gas naturale

 

 

Dati in Mmc. Dati storici:1950-2003. Previsioni:2004-2010.
Fonte: Ministero delle attività produttive, AEEG; 2004.



In sostanza, per far fronte al tetto antitrust, ENI ha messo mano principalmente alle importazioni tramite le c.d. “vendite innovative”. ENI vende cioè il gas in eccesso appena prima della frontiera italiana ai suoi concorrenti che (con esclusione di ENEL), a causa della scarsità di approvvigionamenti alternativi, non possono fare a meno di acquistare. ENI riesce, così, a spuntare un prezzo più elevato di quello praticato dai maggiori produttori, in quanto ENI compra il gas da un fornitore ad un prezzo x e lo rivende ad un importo maggiore, diciamo x + k, ottenendo in questo modo una rendita (k). L’ideale sarebbe che anche i nuovi importatori potessero approvvigionarsi pagando x come ENI, ma questo, come detto, non è possibile. Inoltre l’ex monopolista vende questo gas quasi sempre a chi suo diretto concorrente non è (come i consorzi di ex-municipalizzate, che vendono il gas ai propri clienti concentrati in bacini dove Italgas, la controllata di ENI nel settore della distribuzione, non è presente).

Tabella 1: I maggiori importatori di gas naturale in Italia

 

Importatori 2002/03 2003/04
ENI Gas&Power 41.623* 40.410
Enel Trade 7.913 9.092
Edison Gas 4.345 5.880
Plurigas 2.012 3.062
Energia 800 1.183
Gaz de France 178 579
Dalmine Energia 575 556
Gas Natural Vendita Italia n.d. 342
Energetic Source 90 313
Energas Milano 231 253
E Noi 84 186
Italcogim Trading n.d. 165
Altri 573 794
TOTALE 58.193 62.815

* Questo dato comprende anche le importazioni della divisione Agip.
Anno Termico 2003/04. Dati in Mmc. Fonte: AEEG, 2004.

Nel 2003/2004 le importazioni di ENI sono leggermente calate, come mostrato nella tabella 1 per poter far fronte al tetto anti-trust. Ne hanno approfittato i gruppi concorrenti, le cui importazioni sono cresciute complessivamente del 35% in un solo anno. C’è inoltre da registrare un aumento delle “vendite innovative” di ENI alla frontiera: esse contano ora per il 35% delle importazioni totali dei gruppi concorrenti (erano il 30% 12 mesi prima). Bisogna però dire che le vendite di ENI variano da importatore a importatore, infatti ENEL non vi fa ricorso, per Edison esse contano per il 51% di tutte le proprie importazioni (38% un anno fa), mentre per i gruppi minori si sono ridotte, passando dal 76% del 2002 al 64% del 2003, percentuale comunque decisamente elevata.
E’ bene ora spiegare perché ENI riesce ancora ad essere “quasi monopolista” per l’importazione. In primo luogo, i concorrenti di ENI hanno trovato e trovano difficoltà nell’approvvigionarsi dai fornitori internazionali a causa delle c.d. “clausole di destinazione”. Queste clausole, inserite nei contratti ToP d’importazione, hanno un duplice scopo: segmentare la domanda dei vari paesi ed impedire la nascita della concorrenza. Per quanto riguarda il primo punto, questi accordi vietano al compratore di rivendere all’estero il gas acquistato. Così facendo, i produttori-venditori possono segmentare i mercati dei vari stati in base all’elasticità della domanda e ai livelli strutturali dei prezzi locali (certamente maggiori in paesi completamente privi di risorse proprie). Queste clausole consentono così di eliminare la possibilità di arbitraggi tra un paese e l’altro, permettendo al venditore di massimizzare il proprio profitto. D’altra parte, queste clausole servono anche ai compratori (e cioè agli ex monopolisti, nel nostro caso ENI): infatti esse vietano ai produttori di concludere accordi di vendita con i concorrenti nazionali del compratore. Siccome queste clausole sono state previste sia da Gazprom che da Sonatrach, ecco spiegato perché è estremamente difficile per un new player riuscire a comprare gas da un produttore “alleato” di ENI.
In realtà si sta cercando di superare questo problema: la Commissione Europea sta lentamente riuscendo ad eliminare le clausole di destinazione presenti nei contratti di importazione di società europee, come per esempio quelle siglate nei contratti tra ENI e Gazprom. Il vero problema è un altro: infatti, se anche un’impresa concorrente riuscisse ad acquistare del gas da un produttore, dovrebbe anche essere in grado di trasportarlo fino alla frontiera, cosa tutt’altro che scontata in quanto i gasdotti internazionali sono di proprietà di ENI (o comunque sotto la sua gestione) e da essa utilizzati quasi in esclusiva (v. riquadro seguente). Infine, rifacendosi al sopraindicato Art. 24 del Decreto Letta, ENI non concede l’uso dei propri gasdotti d’interconnessione o del terminale di GNL proprio in quanto saturati dal proprio impegno a lungo termine con i paesi produttori.
Sostanzialmente, il problema è dunque “di accesso al sistema” e la conseguente mancanza di vie del gas disponibili per i nuovi attori del mercato, obbliga questi ultimi ad accettare le condizioni economiche dettate da ENI per la fornitura di grosse quote di gas naturale.


 


I gasdotti esistenti


I gasdotti in territorio UE che convogliano il gas verso l’Italia sono:
- Gasdotto Tenp/Transitgas: trasporta gas olandese attraverso Germania e Svizzera. ENI Possiede una quota del 49% per la tratta tedesca (51% a Ruhr Gas) e del 46% per la parte in territorio svizzero (51% Swisse Gas). E’ completamente saturato dal gas trasportato da ENI, la quale ha appena terminato di investire in lavori di ampliamento per trasportare attraverso Tenp anche gas norvegese.
- Gasdotto Tag: trasporta Gas proveniente dalla Russia. Di proprietà di Gazprom fino al confine austriaco, poi diventa proprietà della società austriaca OMV, ma su quest’ultimo tratto ENI vanta diritti di trasporto per il 90% della capacità totale. Anche questo gasdotto è saturato dal gas che ENI compra da Gazprom con un contratto di 25 anni.
 


I gasdotti extra-europei sono:


-Gasdotti transtunisino/Tmpc: trasporta gas algerino attraverso Tunisia e canale di Sicilia. Per la parte algerina la proprietà è dello Stato algerino, per quella tunisina di una società (Sotugat) che fa capo al Governo di Tunisi, mentre per la parte sottomarina la proprietà è equamente divisa tra ENI e Stato algerino. I diritti di trasporto sono interamente posseduti da ENI che, grazie alla stipula di contratti a lunga scadenza con il Governo algerino, ha completamente saturato la capacità di trasporto del gasdotto. Tuttavia con piccoli investimenti (dell’ordine di qualche decina di milione di euro) la capacità della tratta sottomarina potrebbe essere ampliata. Resta però il problema del tratto su terraferma dove sono richiesti maggiori investimenti e comunque un preventivo accordo con i Governi locali.
 

Nuovi investimenti


-Potenziamento del tratto austriaco del gasdotto Tenp: per un aumento di 6,5 Gmc all’anno. Le due società hanno però annunciato che questi lavori di ampliamento non verranno intrapresi se verranno costruiti i due rigassificatori ormai già autorizzati. Se infatti ciò accadesse secondo ENI porterebbe per i prossimi anni un eccesso di capacità di trasporto che renderebbe inutili ulteriori lavori di ampliamento dei gasdotti esistenti. La vera motivazione sembra però essere proprio nel desiderio di ENI di non creare troppi spazi per i suoi concorrenti.
-Potenziamento del transtunisino: per un aumento di 6,5 Gmc all’anno.
-Costruzione di un nuovo gasdotto che collegherà la Libia alla Sicilia (Gela): per una capacità complessiva annuale stimata in 8 Gmc
-Studio di fattibilità per un nuovo gasdotto che dovrebbe collegare l’Algeria alla Sardegna, e poi al continente con possibili finanziamenti statali.
 

Terminale GNL esistente


Il polo di Panigaglia, unico terminale esistente in Italia, occupa un’area di 45.000 metri quadrati ed è entrato in funzione nel 1971, ha una capacità di 3,6 Gmc annui ed ha subito un’incisiva opera di riqualificazione a fini ambientali durante gli anni ’90.
Chiaramente nel passato ENI ha sempre negato a terzi (Enel compresa) la possibilità di poter usufruire dell’impianto menzionato e quando Enel annunciò la costruzione di un proprio impianto a Monfalcone (Friuli V.G.) esso fu bloccato dalla contestazione della popolazione locale e delle associazioni ambientaliste, ma su tutta la vicenda grava l’ombra di un intervento di ENI.
 



Tabella 2: Nuovi Terminali GNL

 

SOCIETA'

UBICAZIONE

TERMINALE

CAPACITA' (Gmc all'anno)

STATO ATTUALE DEL

PROGETTO

Edison Gas Offshore Adriatico 4,6 - 6 autorizzato
Edison Gas Rosignano (Toscana) 3 in istruttoria
Enel Taranto (Puglia) 5 - 8,9 in istruttoria
Enel Vado Ligure (Liguria) 5 - 9 in istruttoria
Enel Muggia (Friuli V.G.) 5 - 9 in istruttoria
BG Italia Brindisi (Puglia) 4 - 12 autorizzato
LNG Terminal Lamezia Terme (Calabria) 6 -10 parere negativo della Regione
LNG Terminal Corigliano Calabro (Calabria) 8 parere negativo della Regione
Petrolifera Gioia Tauro Gioia Tauro (Calabria) 4,2 - 8 in istruttoria
Offshore Lng Toscana Offshore Livorno 3 - 6 in istruttoria

Fonte: Elaborazione propria su dati AEEG, 2003.

L’accesso al sistema non è però l’unico ostacolo che la liberalizzazione ha incontrato in questi anni in Italia. Esso è certamente il più evidente, ma potrebbe essere risolto grazie alla costruzione di nuovi terminali GNL nel corso dei prossimi anni. Purtroppo però esistono altri ostacoli da superare, alcuni direttamente collegati alle difficoltà di accesso al sistema. L’handicap più grave è certamente la mancanza di flessibilità e liquidità e le cause sono, in particolare:

- La mancanza di una reale concorrenza tra i fornitori, i quali, essendo extracomunitari, non sono soggetti alla legislazione europea;
- La saturazione (da parte di ENI) di tutti i gasdotti d’importazione;
- La rigidità dei contratti ToP che obbligano il compratore ad acquistare grandi quantitativi di gas per un periodo di tempo molto lungo e dunque la mancanza di liquidità del mercato;
- L’indicizzazione del prezzo del gas a quello del petrolio e quindi alla sua variabilità e imprevedibilità.

E’ facile capire perché i pochi fornitori internazionali non si facciano la guerra a vicenda: essi sono in numero ridotto, hanno fortissimo potere contrattuale e non sono soggetti alla legislazione italiana né europea, essendo i maggiori fornitori Russia, Algeria, Libia e Norvegia.
Questo problema non è detto che si risolverà, si potrebbe forse in futuro arrivare ad abbassare le imposte sul gas esportato da questi paesi, ma più di tanto non è realistico aspettarsi.
Per quanto riguarda la saturazione delle vie d’accesso al sistema-Italia, il problema è risolvibile regolamentando l’utilizzo dei gasdotti internazionali in modo da introdurre il TPA (accesso di terzi) anche in gasdotti posti su suolo straniero. Inoltre la probabile costruzione entro il 2010 dei terminali GNL di Rovigo e Brindisi dovrebbe, almeno in parte, permetterci di superare questo problema. Il punto però è un altro. Infatti se anche gli accessi al sistema-Italia fossero creati, ma utilizzati esclusivamente dai nuovi (pochi) soggetti promotori dell’investimento, si rischierebbe di passare da una situazione di monopolio ad una di oligopolio, che forse è anche peggio. I notevoli costi da sostenere per realizzare le infrastrutture necessarie sono un’imponente barriera all’entrata per potenziali competitor e solo pochissimi soggetti imprenditoriali possono permettersi progetti del genere. L’attuale normativa prevede che il 20% della capacità realizzata tramite nuovi investimenti debba essere riservata a terzi. Questo è già un buon risultato, ma potrebbe essere non sufficiente. Noi crediamo che sia importante creare un luogo dove poter mettere a confronto i flussi commerciali di gas che entrano nel nostro paese e creare così maggiore liquidità e maggiore flessibilità sul mercato. Questo luogo è l’hub del gas di cui parleremo tra non molto.
Vogliamo fare ora il punto su un’altra questione fondamentale: il prezzo del gas in Italia. Il fatto che i contratti ToP siano indicizzati al prezzo del petrolio e dei suoi derivati fa sì che esso non rifletta il corretto andamento della domanda e dell’offerta, ma sia invece influenzato dalla volatilità e dalla contingenza delle dinamiche petrolifere.
La creazione di una sufficiente dose di flessibilità e liquidità sul mercato (liquidità che verrebbe poi scambiata su un mercato spot presso l’hub) permetterebbe di superare tutti questi impedimenti. Infatti, se i quantitativi di gas scambiati a breve su un mercato spot assumono dimensioni significative e tali contrattazioni divengano una costante nel tempo, ecco che si creerebbe una quotazione diretta del prezzo del gas correlata alle dinamiche di domanda e offerta, in grado di fornire al mercato i giusti segnali sullo stato dell’intera industria.
Proseguendo, la scarsa concorrenza (soprattutto dal lato dell’offerta) e la dipendenza dal prezzo del greggio si è poi riflessa sui prezzi finali del gas, che non si sono discostati di molto dai livelli raggiunti negli anni precedenti. In effetti, un buon indicatore dei risultati raggiunti dal processo di liberalizzazione è proprio l’indice dei prezzi dei grandi utenti, quelli cioè che sono considerati idonei in tutta l’Unione. Come si evince dalle tabelle seguenti, i prezzi non hanno fatto registrare alcuna diminuzione rispetto ai livelli ante-liberalizzazione, anzi sono addirittura aumentati e di parecchio! A prova di ciò, dati forniti dalla società consortile Gas Intensive, costituitasi in seno a Confindustria, indicano in circa il 20% il differenziale nel costo del gas naturale per i settori ad alta intensità d’uso di gas naturale (siderurgia, ceramica, piastrelle, fonderie, carta) in Italia rispetto ai principali paesi europei.
Considerato che le componenti di costo legate a trasporto, stoccaggio e distribuzione sono regolamentate, e che le operazioni di ottimizzazione che ogni operatore può fare all’interno delle fasi regolamentate sono comunque limitate, il differenziale di prezzo (e dunque la capacità competitiva di ciascun operatore) è definito dal WACOG (Weighted Average Cost Of Gas) di ogni soggetto, che è pari, nel caso di gas importato, alla somma dei costi di materia prima e trasporto internazionale. Inutile dunque sottolineare il cospicuo vantaggio competitivo goduto da ENI. Un’elaborazione condotta dall’Aeeg insieme all’Antitrust ha evidenziato come i prezzi praticati ai clienti industriali da operatori diversi da ENI sono stati in media, nel periodo 2000-2003, superiori del 9%. Sostanzialmente ciò significa che stiamo pericolosamente procedendo verso una situazione di “entrata senza concorrenza”, dove anche in quei casi in cui, a seguito della liberalizzazione, un nuovo operatore è subentrato all’incumbent, il cambio non è stato favorevole per il cliente finale, anzi, almeno per i clienti industriali la situazione sembrerebbe perfino peggiorata!
Per ovviare a questi problemi bisogna alimentare lo stimolo competitivo dei concorrenti di ENI, attualmente mancante, in quanto la strategia delle “vendite innovative” permette ad ENI di scegliere i propri concorrenti in modo tale che essi vadano a posizionarsi in bacini chiusi, dove possono agire da monopolisti. Questi soggetti infatti, a causa di un WACOG strutturalmente maggiore di quello di ENI, non hanno la possibilità di fare concorrenza ad ENI sul prezzo e non possono dunque che scegliere la strada del mercato “di nicchia”, geograficamente limitato, ma con alti margini, il tutto, ovviamente, a scapito del consumatore.
Il livello elevato dei prezzi italiani non è tuttavia dovuto soltanto alla mancanza di una vera concorrenza nel mercato del gas, ma anche a due ulteriori fattori: da un lato la maggiore concorrenza interfuel che si registra in altri paesi europei (in particolare quelli che sfruttano l’energia nucleare), dall’altro l’indicizzazione del prezzo del gas a quello del petrolio.
Si consideri il prezzo britannico: esso è l’unico ad essere slegato dal Brent e rispondente solo alle dinamiche di domanda e offerta. Il prezzo inglese (v. tab. 3) è quello che è cresciuto di meno, anzi, nel segmento “Large Commercial” (che comprende, tra l’altro, anche le centrali termoelettriche) è calato di oltre il 3%. Da parte nostra, l’Italia ha visto aumentare sensibilmente il prezzo ante-imposte negli ultimi 5 anni. Soltanto nel segmento residenziale siamo ancora sotto la media europea, sebbene la crescita del prezzo di questo segmento sia stata la più sostenuta. E’ dunque evidente come la liberalizzazione del mercato europeo da sola non può bastare per riuscire a ridurre i prezzi. Occorre anche che il prezzo del gas naturale sia indicativo della situazione di domanda e offerta.


 

Figura 4: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di 418,6 TJ/anno (Clienti “Large Commercial”)


Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report, 2004.
 


Figura 5: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di 418 GJ/anno (Clienti “Small Commercial”)

 

Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report, 2004.
 


Figura 6: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di 16 GJ/anno (Clienti residenziali)


Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report, 2004.



Tab. 3: Variazione percentuale del prezzo del gas ante-imposte (€/GJ) tra il 1998 e il 2003

 

  Large Commercial Small Commercial Residenziali
Italia 48,48% 26,83% 29,21%
Francia 40,74% 6,25% 24,14%
Spagna 46,67% 19,12% 12,07%
Gran Bretagna  -3,45% 20,45% 1,08%
Germania 50,00% 39,66% 25,23%
Media UE 32,26% 27,87% 18,87%

Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report, 2004.



FLESSIBILITA’, LIQUIDITA’, ASSETTO DI MERCATO
Abbiamo prima elencato i problemi del mercato italiano del gas naturale e li abbiamo sostanzialmente ricondotti a due grandi categorie a cui ora ne aggiungiamo una terza:
• Poca liquidità;
• Mancanza di flessibilità;
• Incertezza circa il futuro assetto che il mercato italiano dovrà assumere.

Per superare questi ostacoli, proviamo ora ad avanzare alcune proposte.
Per quanto riguarda la liquidità, crediamo che il tanto discusso fenomeno della bolla di gas (ammesso che si verifichi) ci potrà solo relativamente aiutare: infatti alla luce degli ultimi dati circa la costante crescita della domanda da una parte e i ritardi che ci potrebbero essere nella costruzione dei due terminali GNL dall’altra, la prevista ridondanza di offerta non dovrebbe esserci, se non in proporzioni ridotte (10-15 Gmc totali) in corrispondenza degli anni in cui i due rigassificatori (Brindisi e Rovigo) entreranno in funzione.



Figura 7: Eccesso/Deficit di offerta

 

Fonte: Elaborazione propria, 2005.




In figura 7 si evidenzia una parziale ridondanza di offerta nei prossimi anni a cui però seguirà un deciso deficit che dunque potrebbe addirittura incentivare nuovi investimenti. Il grafico è stato realizzato tenendo presente le stime di domanda dei maggiori operatori italiani e le stime di offerta basate sui quantitativi minimi da ritirare inclusi nei contratti ToP siglati ad oggi.
Sono tuttavia possibili alcuni interventi normativi volti a creare maggiore liquidità sul mercato. Abbiamo individuato questi possibili provvedimenti essenzialmente nella liberazione del gas stoccato come “pseudo working gas” (4,6 Gmc), nella prosecuzione ed espansione dei programmi di gas release già intrapresi da ENI e nella cessione sul mercato spot di una certa quantità (10-20%) del gas prodotto da ciascun giacimento nazionale. Questa liquidità si affiancherebbe così a quella già creata dagli scambi a breve che avvengono presso il PSV e i punti d’interconnessione con l’estero e, se questi provvedimenti verranno effettivamente intrapresi, la liquidità potrebbe raggiungere dimensioni sufficienti per diventare il punto di riferimento anche per la formazione del futuro prezzo del gas.
Particolarmente interessante sembra essere la liberazione di gas attualmente stoccato, che potrebbe essere così ceduto sul mercato spot. Nella tabella seguente, Globa Insight fa notare un surplus che in Italia ammonterebbe tra i 5 e i 7 Gmc.

 

Fig. 8: Surplus di working gas in alcuni paesi europei


 

Dati in TWh. Fonte: Global Insight, 2002.



Ma una volta liberato il gas stoccato (o scambiato quello proveniente dai programmi di gas release di ENI) il problema sarà come mantenere liquido il mercato una volta che i quantitativi siano stati scambiati e i programmi di gas release terminati. Questo problema potrebbe essere risolto scambiando tutta la liquidità creata su un unico mercato spot presso un hub del gas, in modo tale da abituare gli operatori ad utilizzare la compravendita spot di gas in luogo dei contratti di lungo periodo.
Abbiamo già introdotto la problematica riguardante il prezzo del gas. Esso riguarda la flessibilità del mercato, poiché è una tematica legata alla rigida contrattualistica ToP. Il prezzo del gas si forma col metodo del Net Back Price, avendo cioè come punto di riferimento il combustibile alternativo meno costoso. Inoltre, nei contratti che caratterizzano il mercato, i ToP, anche l’indicizzazione del prezzo del gas è ancorata ad altri combustibili, in genere all’andamento del greggio e dei suoi derivati. Questo meccanismo di formazione del prezzo è distorsivo, poiché non rispecchia le reali condizioni di scarsità della materia prima e non fornisce agli operatori di mercato i giusti segnali per le loro scelte d’investimento.
Se si creasse un mercato spot efficiente, è chiaro che il prezzo che si formerebbe sarebbe invece un buon indicatore delle dinamiche di mercato e, considerato l’attuale periodo di alta quotazione del greggio, è probabile che il prezzo del gas potrebbe anche sensibilmente diminuire.
Parlando del prezzo del gas naturale abbiamo citato i contratti ToP. Essi sono necessari alla sostenibilità del mercato del gas naturale, poiché gli ingenti investimenti richiesti per mettere in esercizio le infrastrutture sarebbero altrimenti troppo rischiosi. Tuttavia, questo particolare tipo di contratto porta con sé una gravosa rigidità, di cui il mercato risente negativamente. Il modo per contemperare il bisogno di sicurezza e stabilità dei produttori e quello di competitività degli operatori di mercato e della collettività è l’introduzione di una maggiore dose di flessibilità. Ciò potrebbe avvenire in molti modi diversi: con la costruzione di nuove infrastrutture (specialmente riguardanti il GNL), con una gestione più efficiente degli stoccaggi, con l’eliminazione di eventuali conflitti d’interessi in seno agli operatori di mercato, con l’eliminazione delle clausole di destinazione, con l’introduzione delle clausole UIOLI (Use It Or Loose It) e così via…
Per quanto riguarda il terzo punto, vale a dire l’assetto futuro di mercato, la nostra posizione è per la creazione di un TSO realmente indipendente da ogni altro attore del mercato. Riteniamo che questo TSO debba essere SRG, non più partecipato con nessuna quota né da ENI né da nessun altro operatore di mercato. Abbiamo anche osservato che, per una più corretta gestione degli stoccaggi (considerata tra l’altro la loro importanza per la creazione di liquidità e flessibilità) e per evitare sospetti di favoritismo verso ENI, anche Stogit dovrebbe essere resa indipendente da ENI. Questo è certamente fattibile poiché attualmente Stogit è partecipata da SRG e qualora ENI uscisse dal capitale di SRG, uscirebbe anche da quello di Stogit.
La proposta più importante che vogliamo proporre in questa sede è però un’altra: quella della creazione di un efficiente mercato spot di gas e capacità presso un trading hub. Il mercato spot è necessario per garantire la sostenibilità dei buoni risultati in termini di liquidità e flessibilità che possono essere raggiunti grazie ai provvedimenti da noi esposti. La liquidità che si può formare grazie alla bolla di gas e ai programmi di gas release può essere valorizzata e sostenuta soltanto se incanalata sui binari di un mercato organizzato, che sfrutti questi eventi per abituare gli operatori a servirsi di questo centro di scambio, così che anche in futuro, quando la bolla di gas si sarà esaurita e i programmi di gas release saranno finiti, non si tornerà alla situazione preesistente, ma gli operatori continueranno ad utilizzare il mercato spot per soddisfare una buona parte delle proprie esigenze.
Un primo embrionale mercato spot del gas è già presente in Italia ed è il PSV. Esso è un sistema elettronico di scambio e cessione di gas immesso nella rete nazionale di gasdotti. E’ ancora di dimensioni ridotte e la stessa ENI, che lo ha promosso, non vi partecipa; tuttavia l’AEEG gli ha attribuito la qualifica di “mercato regolamentato delle capacità e del gas”, poiché permette al sistema-Italia di raggiungere il primo dei quattro obiettivi fissati dall’Autorità per pervenire ad una vera e propria “borsa del gas”. Questi obiettivi sono:


1. L’introduzione di procedure che, attraverso una piattaforma informatica, consentano la cessione e lo scambio di capacità di trasporto e di gas naturale immesso nella rete nazionale di gasdotti sulla base di accordi bilaterali fra utenti e in conformità con i criteri di bilanciamento del servizio di trasporto definiti dalla delibera n. 137/02;

2. L’introduzione di contratti standard per gli scambi bilaterali di gas e capacità; facilitando la conclusione di transazioni fra gli operatori, cui viene offerta la possibilità di definire i soli prezzo e volume della transazione, tali contratti si rivelano utili a promuovere la liquidità del mercato;

3. L’introduzione di un regime di bilanciamento incentrato su un mercato giornaliero, nel quale l’impresa di trasporto compra dagli (o vende agli) operatori del sistema il gas naturale in difetto o in eccesso nella rete di trasporto. Questo intervento, che pone i presupposti per una crescita del volume di gas scambiato giornalmente, richiede la modifica del regime di bilanciamento attualmente in vigore definito dalla delibera n. 137/02 e l’introduzione di un sistema che incentivi gli utenti a essere bilanciati attraverso corrispettivi calcolati sulla base del prezzo con il quale il gas naturale viene scambiato sul mercato giornaliero di bilanciamento;

4. L’introduzione di un mercato centralizzato del gas naturale gestito in modo indipendente e basato su un sistema automatico di incrocio fra domanda e offerta sul modello inglese della clearing house, il quale consenta la determinazione di un prezzo ufficiale quale riferimento per la conclusione delle transazioni.


Il primo obiettivo è stato già conseguito, per compiere anche gli altri tre passi verso la borsa del gas riteniamo sia necessario parlare ora di hub del gas, poiché è con l’introduzione di questo modello di mercato che secondo noi si riuscirà a compiere definitivamente la trasformazione del mercato italiano del gas naturale.



GLI HUB DEL GAS


Nell’industria del gas ciò che viene chiamato hub è un punto di snodo tra due o più gasdotti appartenenti a diversi sistemi di trasmissione. Attraverso questi punti d’interconnessione, il gas passa dunque dalla rete gestita da un TSO a quella di un suo concorrente. Ciò rende questi luoghi strategicamente rilevanti, perché in loro prossimità possono sorgere dei centri di mercato dove si scambia il gas passante per i vari sistemi interconnessi.
Questo appena descritto viene detto hub fisico (o point-specific hub), perché associato ad un particolare punto di snodo tra due sistemi di trasmissione. In Europa, questo tipo di hub si trova generalmente alla frontiera tra due stati, unico luogo dove reti appartenenti a TSO diversi si possono congiungere (citiamo, come esempi, gli hub di Emden in Olanda e Zeebrugge in Belgio). Negli Stati Uniti sono invece più diffusi, in quanto tradizionalmente esistono diverse pipeline company in competizione tra loro, specialmente dopo che è stato liberalizzato il mercato interstatale nel 1985 (Order No. 436).
Un secondo tipo di hub è invece l’hub virtuale (o system hub). Un hub virtuale non è associato a nessuno snodo fisico in particolare, bensì all’intero sistema infrastrutturale nazionale o regionale (come nel caso del National Bilance Point britannico). Si tratta, in questo caso, di un mercato aperto alla concorrenza, all’interno del quale sono stati sviluppati particolari meccanismi di negoziazione del gas naturale tra i vari competitor numerosi servizi di supporto.
Infine, esistono anche centri di mercato (o market center) indipendenti da qualsiasi tipo di infrastruttura fisica (locale o nazionale). Sono dei luoghi dove è possibile negoziare gas naturale, capacità di trasporto e stoccaggio e numerosi altri servizi. Quando, invece, un centro di mercato fa riferimento ad un particolare hub, sia esso hub fisico o virtuale, che non si limita dunque a fungere da semplice punto d’interconnessione tra due reti distinte, allora questo mercato prende il nome di gas trading hub (o più semplicemente, trading hub).
Ogni trading hub viene gestito da una compagnia in grado di fornire un adeguato numero di servizi di supporto allo scambio di gas, come il transito da una pipeline ad un’altra (nel caso di un hub fisico), lo stoccaggio o altri servizi ancora, sempre più particolareggiati e personalizzabili.
Le funzioni di un trading hub sono quelle tipiche di ogni mercato di scambio: facilitare le negoziazioni, ridurre i costi di transazione e migliorare così l’efficienza complessiva del sistema. Ad esse si aggiunge poi anche una funzione tipica dell’industria del gas naturale: il bilanciamento.
La corretta implementazione di queste funzioni, attraverso gli strumenti che andremo ora a descrivere, si dovrebbe riflettere sui prezzi con una sostanziale diminuzione, andando ad aumentare il benessere sociale.
Più i servizi offerti da un trading hub sono flessibili e personalizzabili, più compagnie parteciperanno alle negoziazioni, più l’hub diviene liquido e meglio assolve i compiti per i quali è stato pensato.
Gli hub nacquero negli Stati Uniti come risposta alla liberalizzazione del mercato interno (Order No. 436 e Order No.636). A seguito di questi provvedimenti, i produttori non erano più obbligati a vendere il proprio gas alle pipeline company, ma potevano cederlo direttamente ai clienti finali, che erano

 ora liberi di scegliere il fornitore che desideravano. Ciò ha creato però un aumento considerevole dei costi di transazione, specialmente per le piccole e medie imprese, a causa delle notevoli asimmetrie informative presenti nel mercato libero. Questi problemi sono stati prontamente superati con la creazione di numerosi centri di mercato, localizzati in prossimità di hub fisici. Si riunirono così in un unico mercato domanda e l’offerta del gas passante per quegli snodi. I costi di transazione vennero abbattuti anche grazie alla creazioni di contratti standard. Il primo trading hub è stato l’Henry Hub, costituito nel 1988 in Louisiana. Questi modello si è subito diffuso a macchia d’olio negli USA (tutt’ora ci sono una cinquantina di hub e 28 market center).

 

Figura 7: Schema di un tipico hub fisico
 


In buona sostanza, un hub fisico è un vero centro di smistamento di gas proveniente da pipeline company diverse. Non è detto che ogni hub debba avere uno stoccaggio ed una centrale di trattamento (raffinazione, compressione, omogeneizzazione dei vari tipi di gas che pervengono all’hub), ma generalmente questo è lo schema.





Figura 8: Schema di un tipico hub virtuale

 

Fonte: Elaborazione propria, 2005.


In un virtual hub il gas viene immesso in uno dei punti di entrata e proviene o da campi di produzione nazionale o da gasdotti d’importazione o ancora da terminali GNL. Il gas entra poi nella rete nazionale, generalmente molto magliata, almeno nel caso britannico e soprattutto in quello italiano. Il gas lascia poi la rete nazionale attraverso uno dei tanti punti di uscita per essere ceduto ad una grande utenza industriale, ad un cliente termoelettrico o ad un distributore locale (passando per le reti regionali). Gli stoccaggi sono considerati di volta in volta punti di entrata (quando il gas viene prelevato) o punti di uscita (quando il gas viene iniettato) dalla rete nazionale.
Da notare come un hub virtuale possa includere più di un hub fisico al suo interno.
Ogni hub ha il proprio regolamento (il c.d. Network Code), in funzione anche della specifica normativa presente (grado di liberalizzazione, tipo di tariffa di trasporto in vigore ecc…) e delle condizioni del mercato (se informale, cioè Over the Counter, o regolamentato); tuttavia, una tipica operazione di compravendita di gas naturale presso un hub consiste in due passaggi principali e distinti: la prenotazione della capacità di trasporto in entrata (entry) e in uscita (exit) e la procedura di bilanciamento.
Ovviamente i compratori di gas non sanno esattamente a quanto ammonterà la propria domanda in ogni istante della fornitura, perciò i contratti siglati sono comunque abbastanza flessibili. Tuttavia il bilanciamento tra domanda e offerta deve essere sempre assicurato, perciò ogni qualvolta che un venditore di gas si trova a dover fornire più gas di quanto pattuito (e dunque a dover occupare una capacità di trasporto maggiore di quella prenotata) deve pagare una penale, generalmente molto elevata. Tutto questo può essere evitato in quegli hub particolarmente sviluppati dove esiste un efficiente mercato secondario della capacità di trasporto e del gas. Così chi si trova in eccedenza di gas e/o di capacità può ricorrere al mercato senza dover pagare penali.
Dal punto di vista finanziario, il gestore dell’hub può fungere da controparte negli scambi di capacità sul mercato secondario. In questo caso, la liquidità e l’efficienza del mercato spot ne risentono positivamente, poiché diminuisce notevolmente il rischio finanziario delle operazioni e agli shippers è garantito l’anonimato, così da evitare eventuali comportamenti anticoncorrenziali dei venditori di capacità (v. ENI).

I SERVIZI OFFERTI IN UN HUB
I servizi che un trading hub può fornire sono diversi e si possono classificare in due macro-categorie: i servizi infrastrutturali, di natura fisica, che necessitano appunto di un adeguata infrastruttura per poter essere offerti e i servizi di supporto, di natura immateriale, informativa, che servono proprio da supporto ai servizi infrastrutturali.
E’ grazie ai servizi di supporto, tipicamente offerti grazie ad una piattaforma elettronica, che i centri di mercato si sono potuti sviluppare anche presso degli hub virtuali, lontano dalle infrastrutture fisiche dell’industria del gas naturale.
I servizi infrastrutturali sono:


- Wheeling: E’ il puro e semplice trasferimento fisico del gas da una pipeline ad un’altra. E’ la funzione tipica degli hub fisici più semplici.
- Stoccaggio: All’interno di un hub, la funzione dello stoccaggio è cruciale: esso infatti non è soltanto una forma di deposito della materia prima, ma è la base su cui poggiano tutti i servizi accessori di bilanciamento e speculazione. La modulazione degli stoccaggi permette infatti di poter far fronte a variazioni impreviste della domanda di gas senza dover incorrere in penali ed inoltre ammette la possibilità di arbitraggi su mercati del gas diversi con prezzi discordanti. Oltre al tradizionale servizio di deposito per fini strategici e per far fronte alla ciclicità della domanda, lo stoccaggio permette altre attività:

Parking: Si tratta di una forma di stoccaggio, il cliente dell’hub può così ovviare alla stagionalità del mercato del gas (si ricordi che la prenotazione dell’uso della rete di trasmissione, che ha validità annuale, viene fatta in basa alla capacità di punta) iniettando (letteralmente “parcheggiando”) il gas durante il periodo di bassa domanda (estate) ed estraendolo durante il periodo di alta domanda (inverno). In questo modo il cliente riesce a livellare il proprio fabbisogno di gas durante l’anno ed evita di dover prenotare capacità di trasporto addizionale che servirebbe solo nei brevi periodi di picco e rappresenterebbe dunque un costo aggiuntivo.
Il parking, in realtà, può anche essere soltanto virtuale, specialmente se effettuato in un orizzonte temporale breve. Questo servizio, infatti, può essere fornito attraverso uno swap di gas con altri shippers in posizione opposta. In altre parole, se uno shipper si trova con un’eccedenza di gas, invece che parcheggiarlo in uno stoccaggio, potrebbe decidere che è più convEniente prestarlo ad un altro shipper che invece ne ha bisogno (v. loaning). A sua volta (come ogni buon debitore!) questo shipper s’impegna a restituire quel quantitativo di gas in un periodo di tempo predefinito.
Loaning: E’ un prestito di gas naturale, il servizio speculare al parking. In questo caso, il cliente prende a prestito (da uno stoccaggio o da uno shippers in eccedenza) del gas che andrà poi a riconsegnare ad una data successiva.

- Bilanciamento: Questo servizio consiste nel mantenere sempre in equilibrio domanda e offerta. In un certo senso anche parking e loaning possono essere considerate due forme di bilanciamento. In ogni caso, il bilanciamento vero e proprio può essere di due tipi:

back up: Chiamato anche peaking, è un servizio offerto per risolvere improvvisi squilibri di breve termine. Consiste nell’acquisto, da parte di un cliente in deficit, di un quantitativo di gas per poter rispettare i propri impegni. Il gas così acquistato non viene poi restituito (a differenza del loaning) ed è per questo che un ricorso massiccio al back up potrebbe mettere a rischio la sicurezza del sistema, creando degli scompensi non previsti.
back down: Si tratta del servizio speculare al precedente. Un cliente in eccedenza vende il gas inutilizzato al gestore dell’hub.
no-notice: Questo servizio consente ai clienti che ne fanno uso di poter trasportare più gas di quanto prenotato senza incorrere in penali. E’ un servizio comunque costoso ed offerto solo dagli hub situati nei mercati più competitivi (v.USA).

Il servizio di bilanciamento, almeno nei centri di mercato più sviluppati, può anche essere sfruttato per fini speculativi, nel caso si formino dei differenziali di prezzo su piazze diverse permettendo così l’attuazione di arbitraggi. Per il servizio di bilanciamento, qualunque sia il suo scopo, è necessaria la presenza di un adeguata capacità di stoccaggio ed in particolare, per il bilanciamento di breve/brevissimo termine (giornaliero e orario) e dunque per i servizi di back up e back down, sono molto importanti gli stoccaggi con un tasso di rilascio particolarmente elevato, a causa della flessibilità richiesta da questi tipi di servizi.

- Compressione: Talvolta (specialmente negli USA) la compressione del gas naturale è un servizio che non viene offerto unitamente a quello di trasporto, ma separatamente.
- Hub-to-Hub Transfers: Questo servizio (anch’esso tipicamente americano) presuppone la coordinazione tra due o più hub: essi si scambiano il gas che viene immesso in un hub e prelevato in un altro.


I servizi di supporto sono:

- Trading elettronico: Si tratta della predisposizione di una piattaforma elettronica in grado di supportare e facilitare il buon esito delle negoziazioni. I tipici servizi offerti da una piattaforma sono:

Matching Nominations: Per ogni negoziazione, la piattaforma controlla e registra i quantitativi di gas (nominations) scambiati e, ottenuta la conferma che l’operazione può essere tecnicamente svolta presso l’hub, dà l’autorizzazione a procedere con l’implementazione dell’accordo.
Title Tracking: E’ il servizio di controllo della spedizione e della consegna di un certo ammontare di gas.
Title Transfer: E’ la registrazione finale del trasferimento della proprietà dell’ammontare di gas contrattato.

- Risk Management: Questo tipo di servizi è tipico dei trading hub molto sviluppati. Qui, infatti, il prezzo del gas dipende direttamente dalle dinamiche di domanda e offerta e non dal prezzo del greggio. Ciononostante, la volatilità e il rischio di prezzo non scompaiono, ma possono comunque essere limitati o eliminati con degli appositi strumenti finanziari derivati, come Opzioni, Futures, Forward, Swap ecc… Questi strumenti, che di rado si concludono con l’effettiva consegna del bene, possono anche essere utilizzati soltanto per fini speculativi.
- Servizi Amministrativi: Si tratta di un servizio di assistenza amministrativa per il completamento di tutte le procedure richieste dal regolamento dell’hub.


In un trading hub si potrebbero sviluppare vari tipi di mercato: in un mercato bilaterale informale (c.d. Over the Counter), le tantissime richieste di quantitativi di gas verrebbero assemblate da operatori specializzati (intermediari, broker…) con un potere contrattuale decisamente maggiore rispetto ai singoli clienti e dunque in grado di spuntare un prezzo minore ai fornitori; i contratti sarebbero personalizzabili ed adattabili ad ogni esigenza, i mercati secondari di materia prima e capacità di trasporto si svilupperebbero velocemente e, data la completa libertà nella definizione dei contratti, presso un mercato OTC si dovrebbe sviluppare rapidamente anche un mercato puramente finanziario, dove si possono scambiare contratti forward per speculare sul prezzo a termine del gas o tutelarsi dalle fluttuazioni impreviste dello stesso. Con il passare del tempo, però, il mercato OTC si evolverà verso un mercato sempre più standardizzato, a causa dei costi di transazione particolarmente elevati in un mercato di scambi bilaterali. Le negoziazioni avranno luogo presso un centro di mercato preciso, un hub del gas appunto, dove verrebbero aggregate, in quell’unico centro, un grande numero di offerte e domande di gas. In questo modo, presso l’hub, le varie esigenze dei partecipanti agli scambi verrebbero facilmente messe a confronto e soddisfatte.
Un altro tipo di mercato che si può sviluppare presso un hub del gas è il mercato per il bilanciamento. Questo tipo di mercato (così come l’OCM inglese – On the day Commodity Market) permetterebbe la negoziazione 24 ore su 24 e le transazioni sarebbero intermediate da una Clearing House per garantire una solida stabilità finanziaria. Le transazioni dovrebbero essere limitate agli scambi day-ahead e within-day, cioè il giorno precedente la consegna di gas e il giorno della consegna, questo perché il mercato OCM è appunto dedicato al bilanciamento finale. Il prezzo sarebbe comunque fatto dalla domanda totale messa a confronto con l’offerta totale e avrebbe valore erga omnes, ovviamente, tutte le offerte e le richieste sarebbero anonime e pubbliche, grazie ad un adeguato supporto elettronico.
C’è inoltre il problema dei contratti Take or Pay, necessari per la sicurezza del mercato stesso, ma portatori di una rigidità estrema che impedisce il nascere di un mercato spot. Qui lo scoglio è rappresentato dai fornitori, i quali non sono certo disposti a rinegoziare su una base temporale minore i contratti già siglati. Abbiamo visto però quanto sia importante attivare un mercato a breve e come questo permetterebbe di creare liquidità (la cui attuale mancanza è un altro pesante vincolo alla concorrenza) anche dalla parte dell’offerta per giungere infine ad un graduale abbassamento dei prezzi. In questo senso, un mercato spot costringerebbe i produttori e i compratori a rinnovare ciclicamente le forniture, con il prezzo che rifletterebbe così le condizioni di scarsità di domanda e offerta e allo stesso tempo perderebbe la sua fuorviante indicizzazione alla quotazione del greggio.
Giungere ad un trading hub, cioè un mercato flessibile, liquido e in grado di segnare un prezzo di riferimento anche per i contratti ToP non sarà facile. Di certo, i ToP continueranno ad esistere anche in futuro, viste le caratteristiche strutturali del mercato del gas, ma ciò non esclude necessariamente un buono sviluppo dei contratti spot. Le due forme contrattuali, scambi spot sull’hub e contratti ToP, andrebbero presumibilmente a coesistere, con i ToP che potrebbero formare la base di approvvigionamento per l’intero sistema, anche in funzione di una maggiore sicurezza delle forniture, mentre i contratti spot fungerebbero da modulatori di offerta e domanda; inoltre i contratti spot potrebbero servire sia per coprire eventuali picchi di domanda imprevista, sia per poter compiere arbitraggi intra- ed extra-sistema.
La creazione di un mercato spot sufficientemente ampio è cruciale, poiché ad esso si indicizzerebbero i contratti ToP, dando così i giusti segnali di scarsità al mercato e cancellando l’ancoraggio al greggio. Il mercato spot sarebbe largamente un mercato secondario, principalmente utilizzato per fini di bilanciamento, ma considerando che il 20% della capacità delle nuove infrastrutture realizzate verrà assegnata a soggetti diversi dal realizzatore (v. Decreto Marzano), si potrebbe creare anche un mercato spot primario poggiato su questo 20% di nuova capacità, che sarebbe dunque disponibile per importazioni di breve periodo. Se, inoltre, la capacità disponibile sarà a sua volta ridondante, allora tutti gli incrementi di domanda potrebbero essere soddisfatti ricorrendo al mercato spot, senza dover realizzare nuove infrastrutture che, per essere portate a termine, necessiterebbero di nuovi contratti ToP.
In conclusione, la creazione di un hub risolverebbe molti dei problemi del mercato italiano del gas naturale: il problema della mancanza di flessibilità, quello della scarsa liquidità del mercato, l’ancoraggio al prezzo del greggio, il difficile bilanciamento in un mercato liberalizzato e la discriminazione nelle negoziazioni. Infine, grazie all’intervento del governo italiano il gestore di rete (TSO) sarà reso almeno parzialmente indipendente entro tre anni (ENI dovrà obbligatoriamente scendere sotto il 20% nel capitale di SRG entro il 1°luglio 2007). e la Commissione Europea è riuscita ad eliminare le clausole di destinazione tra ENI e Gazprom mentre lo stesso risultato dovrebbe essere raggiunto anche con Sonatrach e questo renderà più affidabile e trasparente l’intero mercato.
L’ultimo stadio della liberalizzazione corrisponderà alla interconnessione dei vari hub europei e all’interoperabilità delle reti di trasporto.

UN HUB DEL GAS IN ITALIA?
Perché un hub possa essere creato, sia esso fisico o virtuale, ci devono essere i giusti presupposti. Queste condizioni basilari sono:


1) La disponibilità di quantitativi di gas da scambiare sul mercato spot;
2) La disponibilità di infrastrutture adeguate;
3) Una normativa che faciliti la transizione verso un modello di mercato basato su un trading hub;
4) Un numero minimo di partecipanti al nuovo mercato di scambio;
5) Una quantità minima di gas scambiato per far partire il mercato.


Vediamo ora, punto per punto, se in Italia ci sono le condizioni per poter istituire un trading hub.
Per quanto riguarda la liquidità, se consideriamo gli effetti congiunti della minibolla di gas che si potrebbe verificare e i diversi programmi di gas release, possiamo concludere che il mercato italiano dovrebbe raggiungere un buon livello di liquidità, sufficiente per lo sviluppo di un mercato spot.
Per quanto riguarda il secondo punto, cioè la disponibilità di infrastrutture, anche qui i presupposti ci sono. Soprattutto per quanto riguarda gli stoccaggi, l’Italia può vantare un buon numero di campi di buone dimensione ed una capacità di working gas abbondante. Il GNL è tutt’ora bloccato ma entro tre anni la nostra capacità di rigassificazione dovrebbe passare da 3,6 Gmc a 19,6 Gmc. Le uniche macchie riguardano, da un lato la regolamentazione dello stoccaggio, tutt’ora troppo poco trasparente e inefficiente, dall’altro la regolamentazione del trasporto internazionale via pipeline, che la Commissione Europea dovrà presto affrontare anche in sede diplomatica con i fornitori extracomunitari.
La normativa ci fa sorgere ancora qualche perplessità, con particolare riguardo all’assetto futuro delle società controllate da ENI, cioè SRG e Stogit. Per legge, ENI dovrà scendere sotto il 20% del capitale di SRG, ma questo non sarà sufficiente, perché, considerando che SRG è una società quotata, il 20% è ancora una quota rilevante. La nostra proposta è, come più volte ripetuto, la totale separazione societaria tra ENI da un lato e SRG (e dunque Stogit) dall’altro, così da poter fare di SRG un Transport & Storage System Operator indipendente da tutti gli attori del mercato del gas e quindi incentivato ad utilizzare la rete e gli stoccaggi in modo efficiente con beneficio per tutta la collettività.
Per quanto riguarda gli ultimi due punti, cioè il numero minimo di partecipanti al mercato ed un ammontare minimo di gas scambiato, è difficile fare previsioni. Certamente ci vorrà del tempo prima che il mercato spot prenda piede, tuttavia se esso verrà contestualizzato presso un hub dove tutte l’accesso a tutte le infrastrutture è disponibile a tutti, senza discriminazione e per via elettronica, i tempi potrebbero drasticamente ridursi.
Insomma, la soluzione ai problemi del mercato italiano del gas c’è. Non sarà facile portare a termine una transizione molto complessa di un mercato da sempre oggetto di monopolio, ma l’obiettivo di creare un mercato efficiente, liquido e trasparente non è un miraggio.
Probabilmente, però, si è sottovalutata la portata di un processo di liberalizzazione che in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna è durato ben più di un decennio e che in Italia si è voluto compiere in soli tre anni, forse con troppa fretta.

CONCLUSIONI
Alla fine di questo contributo, possiamo affermare con ragionevoli margini di certezza che i problemi maggiori derivano dalla mancanza di liquidità e flessibilità (oltre che da una mancanza di chiarezza circa la futura struttura da dare al mercato del gas). Queste problematiche potrebbero però essere risolte nei prossimi anni se verranno presi i giusti provvedimenti, che, in estrema sintesi sono:
 

- Creazione di maggiore liquidità sfruttando il fenomeno della bolla di gas, qualora dovesse verificarsi, e promuovendo ulteriori programmi di gas release;
- Trasformazione di SRG in un Transport & Storage System Operator, indipendente da ogni altro soggetti del mercato e operante in modo da perseguire soltanto l’efficienza nell’utilizzo delle infrastrutture che si troverà a gestire;
- Potenziamento del GNL, come dovrebbe avvenire entro il 2008/2010, anche grazie al sostegno ai progetti che i vari livelli di governo e l’AEEG non dovrebbero far mancare ai soggetti promotori;
- Potenziamento del PSV fino a diventare non solo la futura borsa del gas, ma un vero e proprio system hub sul modello inglese, dove tutte le infrastrutture sono telematicamente interconnesse, dove la flessibilità permetta a tutti gli operatori un bilanciamento in tempi ridotti e privo di penali utilizzando tutti gli strumenti potenzialmente disponibili;
- Creazione di un hub del gas di respiro europeo.



L’istituzione di un hub è particolarmente importante, poiché esso favorirà la ricerca di efficienza da parte di tutto il sistema, che fungerà così da portale d’accesso al mercato unico europeo. Le pubbliche autorità dovranno perciò impegnarsi affinché anche gli altri tre punti del percorso di avvicinamento alla borsa del gas vengano compiuti. In particolare, si suggerisce un’armonizzazione della regolamentazione degli scambi di gas e capacità: questi scambi dovranno essere resi possibili finanche nel giorno gas a cui si riferiscono ed il bilanciamento dovrà compiersi sulla base di meccanismi di mercato che non penalizzino i nuovi operatori privi dell’esperienza decennale dell’incumbent. Il trading hub dovrà essere strutturato in modo tale da permettere frequenti ed improvvisi swap sia di capacità che di commodity tra operatori all’interno dello stesso mercato, magari utilizzando vie d’accesso diverse (GNL contro Stoccaggio o Stoccaggio contro gasdotto, per esempio) ed anche scambi e cessioni tra mercati spot appartenenti a paesi diversi (dovranno essere possibili gli arbitraggi tra piazza e piazza, per esempio tra Zeebrugge e il PSV), perciò è necessario anche un forte potenziamento delle interconnessione tra i nascenti mercati europei (NBP, Zeebrugge, Eurohub, Baumgarten ed il PSV). In questo senso è auspicabile un forte impegno della Commissione Europea, del Forum di Madrid e del CEER, in modo che essi coordinino l’operato dei vari regolatori affinché sia creata un’unica rete paneuropea, fortemente interconnessa, in modo da poter sostenere la sfida dell’energia lanciata da colossi come gli USA, la Cina e l’India. Questa sfida sarà particolarmente ardua, ma anche un valido banco di prova per il processo d’integrazione che ormai avanza sempre più speditamente in seno all’Unione Europea.

* Borsista IEFE Bocconi, Università Commerciale Luigi Bocconi, rif: sergio.portatadino@unibocconi.it.