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La liberalizzazione del mercato del gas naturale in Italia: verso un hub del gas?
THE LIBERALIZATION OF THE ITALIAN GAS MARKET: TOWARDS A GAS HUB?
Sergio Portatadino (*)
The liberalization of the gas market first began in 1998 with the EU’s directive
98/30/EC, which was then replaced by the directive 2003/55/EC pursuing the goal
of creating a single and competitive European market. In Italy, the opening of
the gas market to competition started with the Order nr. 164/2000 (called
“Decreto Letta”), which ratificated the directive 98/30/EC, breaking up the
historical ENI’s monopoly. The liberalization’s process was completed in
December 2002, but even today (April 2005) tangible results are still lacking.
On the other hand, opportunities arise from the particular geographic position
of Italy, crossroad of the gas streams coming from North Africa, Northern Europe,
Russia and in the future also from the Caucasian area, making Italy a strategic
location for the security of energy supply for the European Union and
consequently for the wellbeing of the entire economy.
Italy may therefore become the gate for the European gas market, a place where
the different gas streams are exchanged and then locally delivered or
transported abroad and this may eventually bring to the developing of the
Southern Europe gas hub.
* * *
La liberalizzazione del mercato del gas è iniziata a livello comunitario con la
direttiva 98/30, poi aggiornata e sostituita dalla 2003/55 che persegue
esplicitamente l’obiettivo di creare un unico mercato europeo libero e
concorrenziale. In Italia, l’apertura alla concorrenza ebbe inizio con il
decreto legislativo 164/2000 (“Decreto Letta”), in recepimento della 98/30,
sancendo l’inizio di una nuova era all’insegna della concorrenza. Dopo quattro
anni dalla sua entrata in vigore i risultati sono certamente al di sotto delle
aspettative e numerose incognite, ma anche interessanti possibilità, si
prospettano all’orizzonte per il mercato italiano del gas. Esso sta
attraversando una fase decisiva del suo percorso verso la completa
liberalizzazione e sebbene sulla carta il monopolio di ENI sia terminato, nella
realtà dei fatti esistono ancora gravosi ostacoli che devono essere rimossi.
La particolare posizione geografica del nostro paese, crocevia dei flussi di gas
provenienti dal Nord Africa, dall’Europa Settentrionale, dalla Russia e, in
futuro, anche dall’area caucasica, fa del sistema-Italia un punto strategico per
il mantenimento dell’equilibrio e della sicurezza degli approvvigionamenti per
l’intera Unione, in un ambito, quello energetico, da cui dipende il buon
andamento di tutta l’economia. L’Italia potrebbe dunque diventare un luogo di
scambio e di transito di numerosi flussi di gas e, sulla scia dell’esperienza
nordamericana e inglese, potrebbe svilupparsi un rilevante mercato finanziario
connesso ai flussi fisici di gas.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Il mercato italiano del gas fin dalla sua nascita è stato caratterizzato
dal monopolio verticalmente integrato di ENI, con la sola eccezione della
Distribuzione, dove, sebbene il leader fosse Italgas, controllata di ENI, le
quote di mercato sono sempre state molto frammentate. Quando il decreto Letta
(164/2000) aprì il mercato alla concorrenza, lo fece concentrandosi dunque sull’Upstream
della filiera, andando ad intaccare direttamente il monopolio esistente.
Nel maggio del 2000 il governo italiano recepì la direttiva 98/30 con il decreto
legislativo 2000/164. La via scelta per aprire il mercato è stata
sostanzialmente quella di scomporre le varie fasi della filiera (c.d. unbundling)
ed imporre la separazione societaria/contabile alle imprese presenti in più
livelli della filiera, in particolare:
Il monopolio di ENI è stato poi colpito ponendo un duplice tetto alle quote di
mercato dell’incumbent: a partire dal I° Gennaio 2002, infatti, nessun impresa
può vantare una quota d’immissione di gas in Italia (produzione + importazione)
superiore al 75% dei consumi totali (esclusi gli autoconsumi); tetto che si
riduce del 2% ogni anno fino a scendere al limite del 61% nel 2009 e 2010.
Inoltre, nessun impresa potrà vendere ai clienti finali più del 50% dei consumi
nazionali di gas annuali.
Oltre a ciò, “le imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento (SRG)
sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano
richiesta” (Art. 8 del Decreto Letta) in base a tariffe e condizioni di accesso
regolamentate e pubbliche.
Potrebbe dunque sembrare che chiunque disponga di gas naturale possa importarlo
in Italia e venderlo ad un prezzo regolamentato. Ma la realtà è ben diversa,
infatti l’Art. 24 dello stesso decreto afferma che: “le imprese di gas naturale
possono rifiutare l’accesso al sistema del gas alle altre imprese o ai clienti
idonei che ne facciano richiesta solo nel caso in cui esse non dispongano della
capacità necessaria, o nel caso in cui l’accesso al sistema impedirebbe loro di
svolgere gli obblighi di servizio pubblico cui sono soggette, ovvero nel caso in
cui dall’accesso derivino gravi difficoltà economiche e finanziarie ad imprese
del gas naturale operanti nel sistema, in relazione a contratti di tipo “take or
pay” sottoscritti prima dell’entrata in vigore della direttiva 98/30/CE.”
Ed è proprio qui che nasce la strategia “di difesa” di ENI per mantenere le
proprie posizioni anche dopo l’apertura del mercato.
Bisogna premettere che il nocciolo della questione è la capacità d’importazione.
Infatti le riserve di gas italiane sono limitate e i noti impedimenti
burocratici all’apertura e alla coltivazione di nuovi giacimenti fanno sì che le
importazioni contino ormai per una quota superiore all’80% delle immissioni (V.
figura 1, 2 e 3).
Figura 1: Immissioni in rete nel 2003
Fonte: Elaborazione AEEG su dati Ministero delle attività produttive, 2004.
Figura 2: Produzione nazionale e importazione di gas naturale in Italia
Fonte: Elaborazione propria su dati AEEG, 2004.
Figura 3: Andamento della produzione italiana di gas naturale
Dati in Mmc. Dati storici:1950-2003. Previsioni:2004-2010.
Fonte: Ministero delle attività produttive, AEEG; 2004.
In sostanza, per far fronte al tetto antitrust, ENI ha messo mano principalmente
alle importazioni tramite le c.d. “vendite innovative”. ENI vende cioè il gas in
eccesso appena prima della frontiera italiana ai suoi concorrenti che (con
esclusione di ENEL), a causa della scarsità di approvvigionamenti alternativi,
non possono fare a meno di acquistare. ENI riesce, così, a spuntare un prezzo
più elevato di quello praticato dai maggiori produttori, in quanto ENI compra il
gas da un fornitore ad un prezzo x e lo rivende ad un importo maggiore, diciamo
x + k, ottenendo in questo modo una rendita (k). L’ideale sarebbe che anche i
nuovi importatori potessero approvvigionarsi pagando x come ENI, ma questo, come
detto, non è possibile. Inoltre l’ex monopolista vende questo gas quasi sempre a
chi suo diretto concorrente non è (come i consorzi di ex-municipalizzate, che
vendono il gas ai propri clienti concentrati in bacini dove Italgas, la
controllata di ENI nel settore della distribuzione, non è presente).
Tabella 1: I maggiori importatori di gas naturale in Italia
Importatori | 2002/03 | 2003/04 |
ENI Gas&Power | 41.623* | 40.410 |
Enel Trade | 7.913 | 9.092 |
Edison Gas | 4.345 | 5.880 |
Plurigas | 2.012 | 3.062 |
Energia | 800 | 1.183 |
Gaz de France | 178 | 579 |
Dalmine Energia | 575 | 556 |
Gas Natural Vendita Italia | n.d. | 342 |
Energetic Source | 90 | 313 |
Energas Milano | 231 | 253 |
E Noi | 84 | 186 |
Italcogim Trading | n.d. | 165 |
Altri | 573 | 794 |
TOTALE | 58.193 | 62.815 |
* Questo dato comprende anche le importazioni della divisione Agip.
Anno Termico 2003/04. Dati in Mmc. Fonte: AEEG, 2004.
Nel 2003/2004 le importazioni di ENI sono leggermente calate, come mostrato
nella tabella 1 per poter far fronte al tetto anti-trust. Ne hanno approfittato
i gruppi concorrenti, le cui importazioni sono cresciute complessivamente del
35% in un solo anno. C’è inoltre da registrare un aumento delle “vendite
innovative” di ENI alla frontiera: esse contano ora per il 35% delle
importazioni totali dei gruppi concorrenti (erano il 30% 12 mesi prima). Bisogna
però dire che le vendite di ENI variano da importatore a importatore, infatti
ENEL non vi fa ricorso, per Edison esse contano per il 51% di tutte le proprie
importazioni (38% un anno fa), mentre per i gruppi minori si sono ridotte,
passando dal 76% del 2002 al 64% del 2003, percentuale comunque decisamente
elevata.
E’ bene ora spiegare perché ENI riesce ancora ad essere “quasi monopolista” per
l’importazione. In primo luogo, i concorrenti di ENI hanno trovato e trovano
difficoltà nell’approvvigionarsi dai fornitori internazionali a causa delle c.d.
“clausole di destinazione”. Queste clausole, inserite nei contratti ToP
d’importazione, hanno un duplice scopo: segmentare la domanda dei vari paesi ed
impedire la nascita della concorrenza. Per quanto riguarda il primo punto,
questi accordi vietano al compratore di rivendere all’estero il gas acquistato.
Così facendo, i produttori-venditori possono segmentare i mercati dei vari stati
in base all’elasticità della domanda e ai livelli strutturali dei prezzi locali
(certamente maggiori in paesi completamente privi di risorse proprie). Queste
clausole consentono così di eliminare la possibilità di arbitraggi tra un paese
e l’altro, permettendo al venditore di massimizzare il proprio profitto. D’altra
parte, queste clausole servono anche ai compratori (e cioè agli ex monopolisti,
nel nostro caso ENI): infatti esse vietano ai produttori di concludere accordi
di vendita con i concorrenti nazionali del compratore. Siccome queste clausole
sono state previste sia da Gazprom che da Sonatrach, ecco spiegato perché è
estremamente difficile per un new player riuscire a comprare gas da un
produttore “alleato” di ENI.
In realtà si sta cercando di superare questo problema: la Commissione Europea
sta lentamente riuscendo ad eliminare le clausole di destinazione presenti nei
contratti di importazione di società europee, come per esempio quelle siglate
nei contratti tra ENI e Gazprom. Il vero problema è un altro: infatti, se anche
un’impresa concorrente riuscisse ad acquistare del gas da un produttore,
dovrebbe anche essere in grado di trasportarlo fino alla frontiera, cosa tutt’altro
che scontata in quanto i gasdotti internazionali sono di proprietà di ENI (o
comunque sotto la sua gestione) e da essa utilizzati quasi in esclusiva (v.
riquadro seguente). Infine, rifacendosi al sopraindicato Art. 24 del Decreto
Letta, ENI non concede l’uso dei propri gasdotti d’interconnessione o del
terminale di GNL proprio in quanto saturati dal proprio impegno a lungo termine
con i paesi produttori.
Sostanzialmente, il problema è dunque “di accesso al sistema” e la conseguente
mancanza di vie del gas disponibili per i nuovi attori del mercato, obbliga
questi ultimi ad accettare le condizioni economiche dettate da ENI per la
fornitura di grosse quote di gas naturale.
I gasdotti esistenti
I gasdotti in territorio UE che convogliano il gas verso l’Italia sono:
- Gasdotto Tenp/Transitgas: trasporta gas olandese attraverso Germania e
Svizzera. ENI Possiede una quota del 49% per la tratta tedesca (51% a Ruhr Gas)
e del 46% per la parte in territorio svizzero (51% Swisse Gas). E’ completamente
saturato dal gas trasportato da ENI, la quale ha appena terminato di investire
in lavori di ampliamento per trasportare attraverso Tenp anche gas norvegese.
- Gasdotto Tag: trasporta Gas proveniente dalla Russia. Di proprietà di Gazprom
fino al confine austriaco, poi diventa proprietà della società austriaca OMV, ma
su quest’ultimo tratto ENI vanta diritti di trasporto per il 90% della capacità
totale. Anche questo gasdotto è saturato dal gas che ENI compra da Gazprom con
un contratto di 25 anni.
I gasdotti extra-europei sono:
-Gasdotti transtunisino/Tmpc: trasporta gas algerino attraverso Tunisia e canale
di Sicilia. Per la parte algerina la proprietà è dello Stato algerino, per
quella tunisina di una società (Sotugat) che fa capo al Governo di Tunisi,
mentre per la parte sottomarina la proprietà è equamente divisa tra ENI e Stato
algerino. I diritti di trasporto sono interamente posseduti da ENI che, grazie
alla stipula di contratti a lunga scadenza con il Governo algerino, ha
completamente saturato la capacità di trasporto del gasdotto. Tuttavia con
piccoli investimenti (dell’ordine di qualche decina di milione di euro) la
capacità della tratta sottomarina potrebbe essere ampliata. Resta però il
problema del tratto su terraferma dove sono richiesti maggiori investimenti e
comunque un preventivo accordo con i Governi locali.
Nuovi investimenti
-Potenziamento del tratto austriaco del gasdotto Tenp: per un aumento di
6,5 Gmc all’anno. Le due società hanno però annunciato che questi lavori di
ampliamento non verranno intrapresi se verranno costruiti i due rigassificatori
ormai già autorizzati. Se infatti ciò accadesse secondo ENI porterebbe per i
prossimi anni un eccesso di capacità di trasporto che renderebbe inutili
ulteriori lavori di ampliamento dei gasdotti esistenti. La vera motivazione
sembra però essere proprio nel desiderio di ENI di non creare troppi spazi per i
suoi concorrenti.
-Potenziamento del transtunisino: per un aumento di 6,5 Gmc all’anno.
-Costruzione di un nuovo gasdotto che collegherà la Libia alla Sicilia (Gela):
per una capacità complessiva annuale stimata in 8 Gmc
-Studio di fattibilità per un nuovo gasdotto che dovrebbe collegare l’Algeria
alla Sardegna, e poi al continente con possibili finanziamenti statali.
Terminale GNL esistente
Il polo di Panigaglia, unico terminale esistente in Italia, occupa un’area di
45.000 metri quadrati ed è entrato in funzione nel 1971, ha una capacità di 3,6
Gmc annui ed ha subito un’incisiva opera di riqualificazione a fini ambientali
durante gli anni ’90.
Chiaramente nel passato ENI ha sempre negato a terzi (Enel compresa) la
possibilità di poter usufruire dell’impianto menzionato e quando Enel annunciò
la costruzione di un proprio impianto a Monfalcone (Friuli V.G.) esso fu
bloccato dalla contestazione della popolazione locale e delle associazioni
ambientaliste, ma su tutta la vicenda grava l’ombra di un intervento di ENI.
Tabella 2: Nuovi Terminali GNL
SOCIETA' |
UBICAZIONE TERMINALE |
CAPACITA' (Gmc all'anno) |
STATO ATTUALE DEL PROGETTO |
Edison Gas | Offshore Adriatico | 4,6 - 6 | autorizzato |
Edison Gas | Rosignano (Toscana) | 3 | in istruttoria |
Enel | Taranto (Puglia) | 5 - 8,9 | in istruttoria |
Enel | Vado Ligure (Liguria) | 5 - 9 | in istruttoria |
Enel | Muggia (Friuli V.G.) | 5 - 9 | in istruttoria |
BG Italia | Brindisi (Puglia) | 4 - 12 | autorizzato |
LNG | Terminal Lamezia Terme (Calabria) | 6 -10 | parere negativo della Regione |
LNG | Terminal Corigliano Calabro (Calabria) | 8 | parere negativo della Regione |
Petrolifera Gioia Tauro | Gioia Tauro (Calabria) | 4,2 - 8 | in istruttoria |
Offshore Lng Toscana | Offshore Livorno | 3 - 6 | in istruttoria |
Fonte: Elaborazione propria su dati AEEG, 2003.
L’accesso al sistema non è però l’unico ostacolo che la liberalizzazione ha
incontrato in questi anni in Italia. Esso è certamente il più evidente, ma
potrebbe essere risolto grazie alla costruzione di nuovi terminali GNL nel corso
dei prossimi anni. Purtroppo però esistono altri ostacoli da superare, alcuni
direttamente collegati alle difficoltà di accesso al sistema. L’handicap più
grave è certamente la mancanza di flessibilità e liquidità e le cause sono, in
particolare:
- La mancanza di una reale concorrenza tra i fornitori, i quali, essendo
extracomunitari, non sono soggetti alla legislazione europea;
- La saturazione (da parte di ENI) di tutti i gasdotti d’importazione;
- La rigidità dei contratti ToP che obbligano il compratore ad acquistare grandi
quantitativi di gas per un periodo di tempo molto lungo e dunque la mancanza di
liquidità del mercato;
- L’indicizzazione del prezzo del gas a quello del petrolio e quindi alla sua
variabilità e imprevedibilità.
E’ facile capire perché i pochi fornitori internazionali non si facciano la
guerra a vicenda: essi sono in numero ridotto, hanno fortissimo potere
contrattuale e non sono soggetti alla legislazione italiana né europea, essendo
i maggiori fornitori Russia, Algeria, Libia e Norvegia.
Questo problema non è detto che si risolverà, si potrebbe forse in futuro
arrivare ad abbassare le imposte sul gas esportato da questi paesi, ma più di
tanto non è realistico aspettarsi.
Per quanto riguarda la saturazione delle vie d’accesso al sistema-Italia, il
problema è risolvibile regolamentando l’utilizzo dei gasdotti internazionali in
modo da introdurre il TPA (accesso di terzi) anche in gasdotti posti su suolo
straniero. Inoltre la probabile costruzione entro il 2010 dei terminali GNL di
Rovigo e Brindisi dovrebbe, almeno in parte, permetterci di superare questo
problema. Il punto però è un altro. Infatti se anche gli accessi al
sistema-Italia fossero creati, ma utilizzati esclusivamente dai nuovi (pochi)
soggetti promotori dell’investimento, si rischierebbe di passare da una
situazione di monopolio ad una di oligopolio, che forse è anche peggio. I
notevoli costi da sostenere per realizzare le infrastrutture necessarie sono
un’imponente barriera all’entrata per potenziali competitor e solo pochissimi
soggetti imprenditoriali possono permettersi progetti del genere. L’attuale
normativa prevede che il 20% della capacità realizzata tramite nuovi
investimenti debba essere riservata a terzi. Questo è già un buon risultato, ma
potrebbe essere non sufficiente. Noi crediamo che sia importante creare un luogo
dove poter mettere a confronto i flussi commerciali di gas che entrano nel
nostro paese e creare così maggiore liquidità e maggiore flessibilità sul
mercato. Questo luogo è l’hub del gas di cui parleremo tra non molto.
Vogliamo fare ora il punto su un’altra questione fondamentale: il prezzo del gas
in Italia. Il fatto che i contratti ToP siano indicizzati al prezzo del petrolio
e dei suoi derivati fa sì che esso non rifletta il corretto andamento della
domanda e dell’offerta, ma sia invece influenzato dalla volatilità e dalla
contingenza delle dinamiche petrolifere.
La creazione di una sufficiente dose di flessibilità e liquidità sul mercato
(liquidità che verrebbe poi scambiata su un mercato spot presso l’hub)
permetterebbe di superare tutti questi impedimenti. Infatti, se i quantitativi
di gas scambiati a breve su un mercato spot assumono dimensioni significative e
tali contrattazioni divengano una costante nel tempo, ecco che si creerebbe una
quotazione diretta del prezzo del gas correlata alle dinamiche di domanda e
offerta, in grado di fornire al mercato i giusti segnali sullo stato dell’intera
industria.
Proseguendo, la scarsa concorrenza (soprattutto dal lato dell’offerta) e la
dipendenza dal prezzo del greggio si è poi riflessa sui prezzi finali del gas,
che non si sono discostati di molto dai livelli raggiunti negli anni precedenti.
In effetti, un buon indicatore dei risultati raggiunti dal processo di
liberalizzazione è proprio l’indice dei prezzi dei grandi utenti, quelli cioè
che sono considerati idonei in tutta l’Unione. Come si evince dalle tabelle
seguenti, i prezzi non hanno fatto registrare alcuna diminuzione rispetto ai
livelli ante-liberalizzazione, anzi sono addirittura aumentati e di parecchio! A
prova di ciò, dati forniti dalla società consortile Gas Intensive, costituitasi
in seno a Confindustria, indicano in circa il 20% il differenziale nel costo del
gas naturale per i settori ad alta intensità d’uso di gas naturale (siderurgia,
ceramica, piastrelle, fonderie, carta) in Italia rispetto ai principali paesi
europei.
Considerato che le componenti di costo legate a trasporto, stoccaggio e
distribuzione sono regolamentate, e che le operazioni di ottimizzazione che ogni
operatore può fare all’interno delle fasi regolamentate sono comunque limitate,
il differenziale di prezzo (e dunque la capacità competitiva di ciascun
operatore) è definito dal WACOG (Weighted Average Cost Of Gas) di ogni soggetto,
che è pari, nel caso di gas importato, alla somma dei costi di materia prima e
trasporto internazionale. Inutile dunque sottolineare il cospicuo vantaggio
competitivo goduto da ENI. Un’elaborazione condotta dall’Aeeg insieme
all’Antitrust ha evidenziato come i prezzi praticati ai clienti industriali da
operatori diversi da ENI sono stati in media, nel periodo 2000-2003, superiori
del 9%. Sostanzialmente ciò significa che stiamo pericolosamente procedendo
verso una situazione di “entrata senza concorrenza”, dove anche in quei casi in
cui, a seguito della liberalizzazione, un nuovo operatore è subentrato all’incumbent,
il cambio non è stato favorevole per il cliente finale, anzi, almeno per i
clienti industriali la situazione sembrerebbe perfino peggiorata!
Per ovviare a questi problemi bisogna alimentare lo stimolo competitivo dei
concorrenti di ENI, attualmente mancante, in quanto la strategia delle “vendite
innovative” permette ad ENI di scegliere i propri concorrenti in modo tale che
essi vadano a posizionarsi in bacini chiusi, dove possono agire da monopolisti.
Questi soggetti infatti, a causa di un WACOG strutturalmente maggiore di quello
di ENI, non hanno la possibilità di fare concorrenza ad ENI sul prezzo e non
possono dunque che scegliere la strada del mercato “di nicchia”, geograficamente
limitato, ma con alti margini, il tutto, ovviamente, a scapito del consumatore.
Il livello elevato dei prezzi italiani non è tuttavia dovuto soltanto alla
mancanza di una vera concorrenza nel mercato del gas, ma anche a due ulteriori
fattori: da un lato la maggiore concorrenza interfuel che si registra in altri
paesi europei (in particolare quelli che sfruttano l’energia nucleare),
dall’altro l’indicizzazione del prezzo del gas a quello del petrolio.
Si consideri il prezzo britannico: esso è l’unico ad essere slegato dal Brent e
rispondente solo alle dinamiche di domanda e offerta. Il prezzo inglese (v. tab.
3) è quello che è cresciuto di meno, anzi, nel segmento “Large Commercial” (che
comprende, tra l’altro, anche le centrali termoelettriche) è calato di oltre il
3%. Da parte nostra, l’Italia ha visto aumentare sensibilmente il prezzo
ante-imposte negli ultimi 5 anni. Soltanto nel segmento residenziale siamo
ancora sotto la media europea, sebbene la crescita del prezzo di questo segmento
sia stata la più sostenuta. E’ dunque evidente come la liberalizzazione del
mercato europeo da sola non può bastare per riuscire a ridurre i prezzi. Occorre
anche che il prezzo del gas naturale sia indicativo della situazione di domanda
e offerta.
Figura 4: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di 418,6 TJ/anno (Clienti “Large Commercial”)
Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report,
2004.
Figura 5: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di
418 GJ/anno (Clienti “Small Commercial”)
Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report,
2004.
Figura 6: Andamento del prezzo medio del gas (ante-imposte) per consumi di
16 GJ/anno (Clienti residenziali)
Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report, 2004.
Tab. 3: Variazione percentuale del prezzo del gas ante-imposte (€/GJ) tra
il 1998 e il 2003
Large Commercial | Small Commercial | Residenziali | |
Italia | 48,48% | 26,83% | 29,21% |
Francia | 40,74% | 6,25% | 24,14% |
Spagna | 46,67% | 19,12% | 12,07% |
Gran Bretagna | -3,45% | 20,45% | 1,08% |
Germania | 50,00% | 39,66% | 25,23% |
Media UE | 32,26% | 27,87% | 18,87% |
Fonte: Elaborazione propria su dati Commissione Europea, 3rd Benchmarking Report,
2004.
FLESSIBILITA’, LIQUIDITA’, ASSETTO DI MERCATO
Abbiamo prima elencato i problemi del mercato italiano del gas naturale
e li abbiamo sostanzialmente ricondotti a due grandi categorie a cui ora ne
aggiungiamo una terza:
• Poca liquidità;
• Mancanza di flessibilità;
• Incertezza circa il futuro assetto che il mercato italiano dovrà assumere.
Per superare questi ostacoli, proviamo ora ad avanzare alcune proposte.
Per quanto riguarda la liquidità, crediamo che il tanto discusso fenomeno della
bolla di gas (ammesso che si verifichi) ci potrà solo relativamente aiutare:
infatti alla luce degli ultimi dati circa la costante crescita della domanda da
una parte e i ritardi che ci potrebbero essere nella costruzione dei due
terminali GNL dall’altra, la prevista ridondanza di offerta non dovrebbe
esserci, se non in proporzioni ridotte (10-15 Gmc totali) in corrispondenza
degli anni in cui i due rigassificatori (Brindisi e Rovigo) entreranno in
funzione.
Figura 7: Eccesso/Deficit di offerta
Fonte: Elaborazione propria, 2005.
In figura 7 si evidenzia una parziale ridondanza di offerta nei prossimi anni a
cui però seguirà un deciso deficit che dunque potrebbe addirittura incentivare
nuovi investimenti. Il grafico è stato realizzato tenendo presente le stime di
domanda dei maggiori operatori italiani e le stime di offerta basate sui
quantitativi minimi da ritirare inclusi nei contratti ToP siglati ad oggi.
Sono tuttavia possibili alcuni interventi normativi volti a creare maggiore
liquidità sul mercato. Abbiamo individuato questi possibili provvedimenti
essenzialmente nella liberazione del gas stoccato come “pseudo working gas” (4,6
Gmc), nella prosecuzione ed espansione dei programmi di gas release già
intrapresi da ENI e nella cessione sul mercato spot di una certa quantità
(10-20%) del gas prodotto da ciascun giacimento nazionale. Questa liquidità si
affiancherebbe così a quella già creata dagli scambi a breve che avvengono
presso il PSV e i punti d’interconnessione con l’estero e, se questi
provvedimenti verranno effettivamente intrapresi, la liquidità potrebbe
raggiungere dimensioni sufficienti per diventare il punto di riferimento anche
per la formazione del futuro prezzo del gas.
Particolarmente interessante sembra essere la liberazione di gas attualmente
stoccato, che potrebbe essere così ceduto sul mercato spot. Nella tabella
seguente, Globa Insight fa notare un surplus che in Italia ammonterebbe tra i 5
e i 7 Gmc.
Fig. 8: Surplus di working gas in alcuni paesi europei
Dati in TWh. Fonte: Global Insight, 2002.
Ma una volta liberato il gas stoccato (o scambiato quello proveniente dai
programmi di gas release di ENI) il problema sarà come mantenere liquido il
mercato una volta che i quantitativi siano stati scambiati e i programmi di gas
release terminati. Questo problema potrebbe essere risolto scambiando tutta la
liquidità creata su un unico mercato spot presso un hub del gas, in modo tale da
abituare gli operatori ad utilizzare la compravendita spot di gas in luogo dei
contratti di lungo periodo.
Abbiamo già introdotto la problematica riguardante il prezzo del gas. Esso
riguarda la flessibilità del mercato, poiché è una tematica legata alla rigida
contrattualistica ToP. Il prezzo del gas si forma col metodo del Net Back Price,
avendo cioè come punto di riferimento il combustibile alternativo meno costoso.
Inoltre, nei contratti che caratterizzano il mercato, i ToP, anche
l’indicizzazione del prezzo del gas è ancorata ad altri combustibili, in genere
all’andamento del greggio e dei suoi derivati. Questo meccanismo di formazione
del prezzo è distorsivo, poiché non rispecchia le reali condizioni di scarsità
della materia prima e non fornisce agli operatori di mercato i giusti segnali
per le loro scelte d’investimento.
Se si creasse un mercato spot efficiente, è chiaro che il prezzo che si
formerebbe sarebbe invece un buon indicatore delle dinamiche di mercato e,
considerato l’attuale periodo di alta quotazione del greggio, è probabile che il
prezzo del gas potrebbe anche sensibilmente diminuire.
Parlando del prezzo del gas naturale abbiamo citato i contratti ToP. Essi sono
necessari alla sostenibilità del mercato del gas naturale, poiché gli ingenti
investimenti richiesti per mettere in esercizio le infrastrutture sarebbero
altrimenti troppo rischiosi. Tuttavia, questo particolare tipo di contratto
porta con sé una gravosa rigidità, di cui il mercato risente negativamente. Il
modo per contemperare il bisogno di sicurezza e stabilità dei produttori e
quello di competitività degli operatori di mercato e della collettività è
l’introduzione di una maggiore dose di flessibilità. Ciò potrebbe avvenire in
molti modi diversi: con la costruzione di nuove infrastrutture (specialmente
riguardanti il GNL), con una gestione più efficiente degli stoccaggi, con
l’eliminazione di eventuali conflitti d’interessi in seno agli operatori di
mercato, con l’eliminazione delle clausole di destinazione, con l’introduzione
delle clausole UIOLI (Use It Or Loose It) e così via…
Per quanto riguarda il terzo punto, vale a dire l’assetto futuro di mercato, la
nostra posizione è per la creazione di un TSO realmente indipendente da ogni
altro attore del mercato. Riteniamo che questo TSO debba essere SRG, non più
partecipato con nessuna quota né da ENI né da nessun altro operatore di mercato.
Abbiamo anche osservato che, per una più corretta gestione degli stoccaggi
(considerata tra l’altro la loro importanza per la creazione di liquidità e
flessibilità) e per evitare sospetti di favoritismo verso ENI, anche Stogit
dovrebbe essere resa indipendente da ENI. Questo è certamente fattibile poiché
attualmente Stogit è partecipata da SRG e qualora ENI uscisse dal capitale di
SRG, uscirebbe anche da quello di Stogit.
La proposta più importante che vogliamo proporre in questa sede è però un’altra:
quella della creazione di un efficiente mercato spot di gas e capacità presso un
trading hub. Il mercato spot è necessario per garantire la sostenibilità dei
buoni risultati in termini di liquidità e flessibilità che possono essere
raggiunti grazie ai provvedimenti da noi esposti. La liquidità che si può
formare grazie alla bolla di gas e ai programmi di gas release può essere
valorizzata e sostenuta soltanto se incanalata sui binari di un mercato
organizzato, che sfrutti questi eventi per abituare gli operatori a servirsi di
questo centro di scambio, così che anche in futuro, quando la bolla di gas si
sarà esaurita e i programmi di gas release saranno finiti, non si tornerà alla
situazione preesistente, ma gli operatori continueranno ad utilizzare il mercato
spot per soddisfare una buona parte delle proprie esigenze.
Un primo embrionale mercato spot del gas è già presente in Italia ed è il PSV.
Esso è un sistema elettronico di scambio e cessione di gas immesso nella rete
nazionale di gasdotti. E’ ancora di dimensioni ridotte e la stessa ENI, che lo
ha promosso, non vi partecipa; tuttavia l’AEEG gli ha attribuito la qualifica di
“mercato regolamentato delle capacità e del gas”, poiché permette al
sistema-Italia di raggiungere il primo dei quattro obiettivi fissati
dall’Autorità per pervenire ad una vera e propria “borsa del gas”. Questi
obiettivi sono:
1. L’introduzione di procedure che, attraverso una piattaforma informatica,
consentano la cessione e lo scambio di capacità di trasporto e di gas naturale
immesso nella rete nazionale di gasdotti sulla base di accordi bilaterali fra
utenti e in conformità con i criteri di bilanciamento del servizio di trasporto
definiti dalla delibera n. 137/02;
2. L’introduzione di contratti standard per gli scambi bilaterali di gas e
capacità; facilitando la conclusione di transazioni fra gli operatori, cui viene
offerta la possibilità di definire i soli prezzo e volume della transazione,
tali contratti si rivelano utili a promuovere la liquidità del mercato;
3. L’introduzione di un regime di bilanciamento incentrato su un mercato
giornaliero, nel quale l’impresa di trasporto compra dagli (o vende agli)
operatori del sistema il gas naturale in difetto o in eccesso nella rete di
trasporto. Questo intervento, che pone i presupposti per una crescita del volume
di gas scambiato giornalmente, richiede la modifica del regime di bilanciamento
attualmente in vigore definito dalla delibera n. 137/02 e l’introduzione di un
sistema che incentivi gli utenti a essere bilanciati attraverso corrispettivi
calcolati sulla base del prezzo con il quale il gas naturale viene scambiato sul
mercato giornaliero di bilanciamento;
4. L’introduzione di un mercato centralizzato del gas naturale gestito in modo
indipendente e basato su un sistema automatico di incrocio fra domanda e offerta
sul modello inglese della clearing house, il quale consenta la
determinazione di un prezzo ufficiale quale riferimento per la conclusione delle
transazioni.
Il primo obiettivo è stato già conseguito, per compiere anche gli altri tre
passi verso la borsa del gas riteniamo sia necessario parlare ora di hub del
gas, poiché è con l’introduzione di questo modello di mercato che secondo noi si
riuscirà a compiere definitivamente la trasformazione del mercato italiano del
gas naturale.
GLI HUB DEL GAS
Nell’industria del gas ciò che viene chiamato hub è un punto di snodo
tra due o più gasdotti appartenenti a diversi sistemi di trasmissione.
Attraverso questi punti d’interconnessione, il gas passa dunque dalla rete
gestita da un TSO a quella di un suo concorrente. Ciò rende questi luoghi
strategicamente rilevanti, perché in loro prossimità possono sorgere dei centri
di mercato dove si scambia il gas passante per i vari sistemi interconnessi.
Questo appena descritto viene detto hub fisico (o point-specific hub),
perché associato ad un particolare punto di snodo tra due sistemi di
trasmissione. In Europa, questo tipo di hub si trova generalmente alla frontiera
tra due stati, unico luogo dove reti appartenenti a TSO diversi si possono
congiungere (citiamo, come esempi, gli hub di Emden in Olanda e Zeebrugge in
Belgio). Negli Stati Uniti sono invece più diffusi, in quanto tradizionalmente
esistono diverse pipeline company in competizione tra loro, specialmente
dopo che è stato liberalizzato il mercato interstatale nel 1985 (Order No. 436).
Un secondo tipo di hub è invece l’hub virtuale (o system hub). Un
hub virtuale non è associato a nessuno snodo fisico in particolare, bensì
all’intero sistema infrastrutturale nazionale o regionale (come nel caso del
National Bilance Point britannico). Si tratta, in questo caso, di un mercato
aperto alla concorrenza, all’interno del quale sono stati sviluppati particolari
meccanismi di negoziazione del gas naturale tra i vari competitor numerosi
servizi di supporto.
Infine, esistono anche centri di mercato (o market center) indipendenti
da qualsiasi tipo di infrastruttura fisica (locale o nazionale). Sono dei luoghi
dove è possibile negoziare gas naturale, capacità di trasporto e stoccaggio e
numerosi altri servizi. Quando, invece, un centro di mercato fa riferimento ad
un particolare hub, sia esso hub fisico o virtuale, che non si limita dunque a
fungere da semplice punto d’interconnessione tra due reti distinte, allora
questo mercato prende il nome di gas trading hub (o più semplicemente, trading
hub).
Ogni trading hub viene gestito da una compagnia in grado di fornire un adeguato
numero di servizi di supporto allo scambio di gas, come il transito da una
pipeline ad un’altra (nel caso di un hub fisico), lo stoccaggio o altri servizi
ancora, sempre più particolareggiati e personalizzabili.
Le funzioni di un trading hub sono quelle tipiche di ogni mercato di scambio:
facilitare le negoziazioni, ridurre i costi di transazione e migliorare così
l’efficienza complessiva del sistema. Ad esse si aggiunge poi anche una funzione
tipica dell’industria del gas naturale: il bilanciamento.
La corretta implementazione di queste funzioni, attraverso gli strumenti che
andremo ora a descrivere, si dovrebbe riflettere sui prezzi con una sostanziale
diminuzione, andando ad aumentare il benessere sociale.
Più i servizi offerti da un trading hub sono flessibili e personalizzabili, più
compagnie parteciperanno alle negoziazioni, più l’hub diviene liquido e meglio
assolve i compiti per i quali è stato pensato.
Gli hub nacquero negli Stati Uniti come risposta alla liberalizzazione del
mercato interno (Order No. 436 e Order No.636). A seguito di questi
provvedimenti, i produttori non erano più obbligati a vendere il proprio gas
alle pipeline company, ma potevano cederlo direttamente ai clienti finali, che
erano
ora liberi di scegliere il fornitore che desideravano. Ciò ha creato però un aumento considerevole dei costi di transazione, specialmente per le piccole e medie imprese, a causa delle notevoli asimmetrie informative presenti nel mercato libero. Questi problemi sono stati prontamente superati con la creazione di numerosi centri di mercato, localizzati in prossimità di hub fisici. Si riunirono così in un unico mercato domanda e l’offerta del gas passante per quegli snodi. I costi di transazione vennero abbattuti anche grazie alla creazioni di contratti standard. Il primo trading hub è stato l’Henry Hub, costituito nel 1988 in Louisiana. Questi modello si è subito diffuso a macchia d’olio negli USA (tutt’ora ci sono una cinquantina di hub e 28 market center).
Figura 7: Schema di un tipico hub fisico
In
buona sostanza, un hub fisico è un vero centro di smistamento di gas proveniente
da pipeline company diverse. Non è detto che ogni hub debba avere uno stoccaggio
ed una centrale di trattamento (raffinazione, compressione, omogeneizzazione dei
vari tipi di gas che pervengono all’hub), ma generalmente questo è lo schema.
Figura 8: Schema di un tipico hub virtuale
Fonte: Elaborazione propria, 2005.
In un virtual hub il gas viene immesso in uno dei punti di entrata e proviene o
da campi di produzione nazionale o da gasdotti d’importazione o ancora da
terminali GNL. Il gas entra poi nella rete nazionale, generalmente molto
magliata, almeno nel caso britannico e soprattutto in quello italiano. Il gas
lascia poi la rete nazionale attraverso uno dei tanti punti di uscita per essere
ceduto ad una grande utenza industriale, ad un cliente termoelettrico o ad un
distributore locale (passando per le reti regionali). Gli stoccaggi sono
considerati di volta in volta punti di entrata (quando il gas viene prelevato) o
punti di uscita (quando il gas viene iniettato) dalla rete nazionale.
Da notare come un hub virtuale possa includere più di un hub fisico al suo
interno.
Ogni hub ha il proprio regolamento (il c.d. Network Code), in
funzione anche della specifica normativa presente (grado di liberalizzazione,
tipo di tariffa di trasporto in vigore ecc…) e delle condizioni del mercato (se
informale, cioè Over the Counter, o regolamentato); tuttavia, una tipica
operazione di compravendita di gas naturale presso un hub consiste in due
passaggi principali e distinti: la prenotazione della capacità di trasporto in
entrata (entry) e in uscita (exit) e la procedura di bilanciamento.
Ovviamente i compratori di gas non sanno esattamente a quanto ammonterà la
propria domanda in ogni istante della fornitura, perciò i contratti siglati sono
comunque abbastanza flessibili. Tuttavia il bilanciamento tra domanda e offerta
deve essere sempre assicurato, perciò ogni qualvolta che un venditore di gas si
trova a dover fornire più gas di quanto pattuito (e dunque a dover occupare una
capacità di trasporto maggiore di quella prenotata) deve pagare una penale,
generalmente molto elevata. Tutto questo può essere evitato in quegli hub
particolarmente sviluppati dove esiste un efficiente mercato secondario della
capacità di trasporto e del gas. Così chi si trova in eccedenza di gas e/o di
capacità può ricorrere al mercato senza dover pagare penali.
Dal punto di vista finanziario, il gestore dell’hub può fungere da controparte
negli scambi di capacità sul mercato secondario. In questo caso, la liquidità e
l’efficienza del mercato spot ne risentono positivamente, poiché diminuisce
notevolmente il rischio finanziario delle operazioni e agli shippers è garantito
l’anonimato, così da evitare eventuali comportamenti anticoncorrenziali dei
venditori di capacità (v. ENI).
I SERVIZI OFFERTI IN UN HUB
I servizi che un trading hub può fornire sono diversi e si possono
classificare in due macro-categorie: i servizi infrastrutturali, di
natura fisica, che necessitano appunto di un adeguata infrastruttura per poter
essere offerti e i servizi di supporto, di natura immateriale,
informativa, che servono proprio da supporto ai servizi infrastrutturali.
E’ grazie ai servizi di supporto, tipicamente offerti grazie ad una piattaforma
elettronica, che i centri di mercato si sono potuti sviluppare anche presso
degli hub virtuali, lontano dalle infrastrutture fisiche dell’industria del gas
naturale.
I servizi infrastrutturali sono:
- Wheeling: E’ il puro e semplice trasferimento fisico del gas da una
pipeline ad un’altra. E’ la funzione tipica degli hub fisici più semplici.
- Stoccaggio: All’interno di un hub, la funzione dello stoccaggio è
cruciale: esso infatti non è soltanto una forma di deposito della materia prima,
ma è la base su cui poggiano tutti i servizi accessori di bilanciamento e
speculazione. La modulazione degli stoccaggi permette infatti di poter far
fronte a variazioni impreviste della domanda di gas senza dover incorrere in
penali ed inoltre ammette la possibilità di arbitraggi su mercati del gas
diversi con prezzi discordanti. Oltre al tradizionale servizio di deposito per
fini strategici e per far fronte alla ciclicità della domanda, lo stoccaggio
permette altre attività:
Parking: Si tratta di una
forma di stoccaggio, il cliente dell’hub può così ovviare alla stagionalità del
mercato del gas (si ricordi che la prenotazione dell’uso della rete di
trasmissione, che ha validità annuale, viene fatta in basa alla capacità di
punta) iniettando (letteralmente “parcheggiando”) il gas durante il periodo di
bassa domanda (estate) ed estraendolo durante il periodo di alta domanda
(inverno). In questo modo il cliente riesce a livellare il proprio fabbisogno di
gas durante l’anno ed evita di dover prenotare capacità di trasporto addizionale
che servirebbe solo nei brevi periodi di picco e rappresenterebbe dunque un
costo aggiuntivo.
Il parking, in realtà, può anche essere soltanto virtuale, specialmente se
effettuato in un orizzonte temporale breve. Questo servizio, infatti, può essere
fornito attraverso uno swap di gas con altri shippers in posizione opposta. In
altre parole, se uno shipper si trova con un’eccedenza di gas, invece che
parcheggiarlo in uno stoccaggio, potrebbe decidere che è più convEniente
prestarlo ad un altro shipper che invece ne ha bisogno (v. loaning). A sua volta
(come ogni buon debitore!) questo shipper s’impegna a restituire quel
quantitativo di gas in un periodo di tempo predefinito.
Loaning: E’ un prestito di gas naturale, il servizio speculare al
parking. In questo caso, il cliente prende a prestito (da uno stoccaggio o da
uno shippers in eccedenza) del gas che andrà poi a riconsegnare ad una data
successiva.
- Bilanciamento: Questo servizio consiste nel mantenere sempre in equilibrio domanda e offerta. In un certo senso anche parking e loaning possono essere considerate due forme di bilanciamento. In ogni caso, il bilanciamento vero e proprio può essere di due tipi:
back up: Chiamato anche peaking, è un servizio offerto per risolvere
improvvisi squilibri di breve termine. Consiste nell’acquisto, da parte di un
cliente in deficit, di un quantitativo di gas per poter rispettare i propri
impegni. Il gas così acquistato non viene poi restituito (a differenza del
loaning) ed è per questo che un ricorso massiccio al back up potrebbe mettere a
rischio la sicurezza del sistema, creando degli scompensi non previsti.
back down: Si tratta del servizio speculare al precedente. Un cliente
in eccedenza vende il gas inutilizzato al gestore dell’hub.
no-notice: Questo servizio consente ai clienti che ne fanno uso di
poter trasportare più gas di quanto prenotato senza incorrere in penali. E’ un
servizio comunque costoso ed offerto solo dagli hub situati nei mercati più
competitivi (v.USA).
Il servizio di bilanciamento, almeno nei centri di mercato più sviluppati, può anche essere sfruttato per fini speculativi, nel caso si formino dei differenziali di prezzo su piazze diverse permettendo così l’attuazione di arbitraggi. Per il servizio di bilanciamento, qualunque sia il suo scopo, è necessaria la presenza di un adeguata capacità di stoccaggio ed in particolare, per il bilanciamento di breve/brevissimo termine (giornaliero e orario) e dunque per i servizi di back up e back down, sono molto importanti gli stoccaggi con un tasso di rilascio particolarmente elevato, a causa della flessibilità richiesta da questi tipi di servizi.
- Compressione: Talvolta (specialmente negli USA) la compressione del gas
naturale è un servizio che non viene offerto unitamente a quello di trasporto,
ma separatamente.
- Hub-to-Hub Transfers: Questo servizio (anch’esso tipicamente americano)
presuppone la coordinazione tra due o più hub: essi si scambiano il gas che
viene immesso in un hub e prelevato in un altro.
I servizi di supporto sono:
- Trading elettronico: Si tratta della predisposizione di una piattaforma elettronica in grado di supportare e facilitare il buon esito delle negoziazioni. I tipici servizi offerti da una piattaforma sono:
Matching Nominations: Per ogni negoziazione, la piattaforma controlla e
registra i quantitativi di gas (nominations) scambiati e, ottenuta la conferma
che l’operazione può essere tecnicamente svolta presso l’hub, dà
l’autorizzazione a procedere con l’implementazione dell’accordo.
Title Tracking: E’ il servizio di controllo della spedizione e della
consegna di un certo ammontare di gas.
Title Transfer: E’ la registrazione finale del trasferimento della
proprietà dell’ammontare di gas contrattato.
- Risk Management: Questo tipo di servizi è tipico dei trading hub molto
sviluppati. Qui, infatti, il prezzo del gas dipende direttamente dalle dinamiche
di domanda e offerta e non dal prezzo del greggio. Ciononostante, la volatilità
e il rischio di prezzo non scompaiono, ma possono comunque essere limitati o
eliminati con degli appositi strumenti finanziari derivati, come Opzioni,
Futures, Forward, Swap ecc… Questi strumenti, che di rado si concludono con
l’effettiva consegna del bene, possono anche essere utilizzati soltanto per fini
speculativi.
- Servizi Amministrativi: Si tratta di un servizio di assistenza
amministrativa per il completamento di tutte le procedure richieste dal
regolamento dell’hub.
In un trading hub si potrebbero sviluppare vari tipi di mercato: in un mercato
bilaterale informale (c.d. Over the Counter), le tantissime richieste di
quantitativi di gas verrebbero assemblate da operatori specializzati
(intermediari, broker…) con un potere contrattuale decisamente maggiore
rispetto ai singoli clienti e dunque in grado di spuntare un prezzo minore ai
fornitori; i contratti sarebbero personalizzabili ed adattabili ad ogni
esigenza, i mercati secondari di materia prima e capacità di trasporto si
svilupperebbero velocemente e, data la completa libertà nella definizione dei
contratti, presso un mercato OTC si dovrebbe sviluppare rapidamente anche un
mercato puramente finanziario, dove si possono scambiare contratti forward per
speculare sul prezzo a termine del gas o tutelarsi dalle fluttuazioni impreviste
dello stesso. Con il passare del tempo, però, il mercato OTC si evolverà verso
un mercato sempre più standardizzato, a causa dei costi di transazione
particolarmente elevati in un mercato di scambi bilaterali. Le negoziazioni
avranno luogo presso un centro di mercato preciso, un hub del gas appunto, dove
verrebbero aggregate, in quell’unico centro, un grande numero di offerte e
domande di gas. In questo modo, presso l’hub, le varie esigenze dei partecipanti
agli scambi verrebbero facilmente messe a confronto e soddisfatte.
Un altro tipo di mercato che si può sviluppare presso un hub del gas è il
mercato per il bilanciamento. Questo tipo di mercato (così come l’OCM inglese –
On the day Commodity Market) permetterebbe la negoziazione 24 ore su 24 e
le transazioni sarebbero intermediate da una Clearing House per garantire
una solida stabilità finanziaria. Le transazioni dovrebbero essere limitate agli
scambi day-ahead e within-day, cioè il giorno precedente la consegna di
gas e il giorno della consegna, questo perché il mercato OCM è appunto dedicato
al bilanciamento finale. Il prezzo sarebbe comunque fatto dalla domanda totale
messa a confronto con l’offerta totale e avrebbe valore erga omnes, ovviamente,
tutte le offerte e le richieste sarebbero anonime e pubbliche, grazie ad un
adeguato supporto elettronico.
C’è inoltre il problema dei contratti Take or Pay, necessari per la sicurezza
del mercato stesso, ma portatori di una rigidità estrema che impedisce il
nascere di un mercato spot. Qui lo scoglio è rappresentato dai fornitori, i
quali non sono certo disposti a rinegoziare su una base temporale minore i
contratti già siglati. Abbiamo visto però quanto sia importante attivare un
mercato a breve e come questo permetterebbe di creare liquidità (la cui attuale
mancanza è un altro pesante vincolo alla concorrenza) anche dalla parte
dell’offerta per giungere infine ad un graduale abbassamento dei prezzi. In
questo senso, un mercato spot costringerebbe i produttori e i compratori a
rinnovare ciclicamente le forniture, con il prezzo che rifletterebbe così le
condizioni di scarsità di domanda e offerta e allo stesso tempo perderebbe la
sua fuorviante indicizzazione alla quotazione del greggio.
Giungere ad un trading hub, cioè un mercato flessibile, liquido e in grado di
segnare un prezzo di riferimento anche per i contratti ToP non sarà facile. Di
certo, i ToP continueranno ad esistere anche in futuro, viste le caratteristiche
strutturali del mercato del gas, ma ciò non esclude necessariamente un buono
sviluppo dei contratti spot. Le due forme contrattuali, scambi spot sull’hub e
contratti ToP, andrebbero presumibilmente a coesistere, con i ToP che potrebbero
formare la base di approvvigionamento per l’intero sistema, anche in funzione di
una maggiore sicurezza delle forniture, mentre i contratti spot fungerebbero da
modulatori di offerta e domanda; inoltre i contratti spot potrebbero servire sia
per coprire eventuali picchi di domanda imprevista, sia per poter compiere
arbitraggi intra- ed extra-sistema.
La creazione di un mercato spot sufficientemente ampio è cruciale, poiché ad
esso si indicizzerebbero i contratti ToP, dando così i giusti segnali di
scarsità al mercato e cancellando l’ancoraggio al greggio. Il mercato spot
sarebbe largamente un mercato secondario, principalmente utilizzato per fini di
bilanciamento, ma considerando che il 20% della capacità delle nuove
infrastrutture realizzate verrà assegnata a soggetti diversi dal realizzatore
(v. Decreto Marzano), si potrebbe creare anche un mercato spot primario poggiato
su questo 20% di nuova capacità, che sarebbe dunque disponibile per importazioni
di breve periodo. Se, inoltre, la capacità disponibile sarà a sua volta
ridondante, allora tutti gli incrementi di domanda potrebbero essere soddisfatti
ricorrendo al mercato spot, senza dover realizzare nuove infrastrutture che, per
essere portate a termine, necessiterebbero di nuovi contratti ToP.
In conclusione, la creazione di un hub risolverebbe molti dei problemi del
mercato italiano del gas naturale: il problema della mancanza di flessibilità,
quello della scarsa liquidità del mercato, l’ancoraggio al prezzo del greggio,
il difficile bilanciamento in un mercato liberalizzato e la discriminazione
nelle negoziazioni. Infine, grazie all’intervento del governo italiano il
gestore di rete (TSO) sarà reso almeno parzialmente indipendente entro tre anni
(ENI dovrà obbligatoriamente scendere sotto il 20% nel capitale di SRG entro il
1°luglio 2007). e la Commissione Europea è riuscita ad eliminare le clausole di
destinazione tra ENI e Gazprom mentre lo stesso risultato dovrebbe essere
raggiunto anche con Sonatrach e questo renderà più affidabile e trasparente
l’intero mercato.
L’ultimo stadio della liberalizzazione corrisponderà alla interconnessione dei
vari hub europei e all’interoperabilità delle reti di trasporto.
UN HUB DEL GAS IN ITALIA?
Perché un hub possa essere creato, sia esso fisico o virtuale, ci devono
essere i giusti presupposti. Queste condizioni basilari sono:
1) La disponibilità di quantitativi di gas da scambiare sul mercato spot;
2) La disponibilità di infrastrutture adeguate;
3) Una normativa che faciliti la transizione verso un modello di mercato basato
su un trading hub;
4) Un numero minimo di partecipanti al nuovo mercato di scambio;
5) Una quantità minima di gas scambiato per far partire il mercato.
Vediamo ora, punto per punto, se in Italia ci sono le condizioni per poter
istituire un trading hub.
Per quanto riguarda la liquidità, se consideriamo gli effetti congiunti della
minibolla di gas che si potrebbe verificare e i diversi programmi di gas release,
possiamo concludere che il mercato italiano dovrebbe raggiungere un buon livello
di liquidità, sufficiente per lo sviluppo di un mercato spot.
Per quanto riguarda il secondo punto, cioè la disponibilità di infrastrutture,
anche qui i presupposti ci sono. Soprattutto per quanto riguarda gli stoccaggi,
l’Italia può vantare un buon numero di campi di buone dimensione ed una capacità
di working gas abbondante. Il GNL è tutt’ora bloccato ma entro tre anni la
nostra capacità di rigassificazione dovrebbe passare da 3,6 Gmc a 19,6 Gmc. Le
uniche macchie riguardano, da un lato la regolamentazione dello stoccaggio,
tutt’ora troppo poco trasparente e inefficiente, dall’altro la regolamentazione
del trasporto internazionale via pipeline, che la Commissione Europea dovrà
presto affrontare anche in sede diplomatica con i fornitori extracomunitari.
La normativa ci fa sorgere ancora qualche perplessità, con particolare riguardo
all’assetto futuro delle società controllate da ENI, cioè SRG e Stogit. Per
legge, ENI dovrà scendere sotto il 20% del capitale di SRG, ma questo non sarà
sufficiente, perché, considerando che SRG è una società quotata, il 20% è ancora
una quota rilevante. La nostra proposta è, come più volte ripetuto, la totale
separazione societaria tra ENI da un lato e SRG (e dunque Stogit) dall’altro,
così da poter fare di SRG un Transport & Storage System Operator indipendente da
tutti gli attori del mercato del gas e quindi incentivato ad utilizzare la rete
e gli stoccaggi in modo efficiente con beneficio per tutta la collettività.
Per quanto riguarda gli ultimi due punti, cioè il numero minimo di partecipanti
al mercato ed un ammontare minimo di gas scambiato, è difficile fare previsioni.
Certamente ci vorrà del tempo prima che il mercato spot prenda piede, tuttavia
se esso verrà contestualizzato presso un hub dove tutte l’accesso a tutte le
infrastrutture è disponibile a tutti, senza discriminazione e per via
elettronica, i tempi potrebbero drasticamente ridursi.
Insomma, la soluzione ai problemi del mercato italiano del gas c’è. Non sarà
facile portare a termine una transizione molto complessa di un mercato da sempre
oggetto di monopolio, ma l’obiettivo di creare un mercato efficiente, liquido e
trasparente non è un miraggio.
Probabilmente, però, si è sottovalutata la portata di un processo di
liberalizzazione che in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna è durato
ben più di un decennio e che in Italia si è voluto compiere in soli tre anni,
forse con troppa fretta.
CONCLUSIONI
Alla fine di questo contributo, possiamo affermare con ragionevoli
margini di certezza che i problemi maggiori derivano dalla mancanza di liquidità
e flessibilità (oltre che da una mancanza di chiarezza circa la futura struttura
da dare al mercato del gas). Queste problematiche potrebbero però essere risolte
nei prossimi anni se verranno presi i giusti provvedimenti, che, in estrema
sintesi sono:
- Creazione di maggiore liquidità sfruttando il fenomeno della bolla di gas,
qualora dovesse verificarsi, e promuovendo ulteriori programmi di gas release;
- Trasformazione di SRG in un Transport & Storage System Operator, indipendente
da ogni altro soggetti del mercato e operante in modo da perseguire soltanto
l’efficienza nell’utilizzo delle infrastrutture che si troverà a gestire;
- Potenziamento del GNL, come dovrebbe avvenire entro il 2008/2010, anche grazie
al sostegno ai progetti che i vari livelli di governo e l’AEEG non dovrebbero
far mancare ai soggetti promotori;
- Potenziamento del PSV fino a diventare non solo la futura borsa del gas, ma un
vero e proprio system hub sul modello inglese, dove tutte le infrastrutture sono
telematicamente interconnesse, dove la flessibilità permetta a tutti gli
operatori un bilanciamento in tempi ridotti e privo di penali utilizzando tutti
gli strumenti potenzialmente disponibili;
- Creazione di un hub del gas di respiro europeo.
L’istituzione di un hub è particolarmente importante, poiché esso favorirà la
ricerca di efficienza da parte di tutto il sistema, che fungerà così da portale
d’accesso al mercato unico europeo. Le pubbliche autorità dovranno perciò
impegnarsi affinché anche gli altri tre punti del percorso di avvicinamento alla
borsa del gas vengano compiuti. In particolare, si suggerisce un’armonizzazione
della regolamentazione degli scambi di gas e capacità: questi scambi dovranno
essere resi possibili finanche nel giorno gas a cui si riferiscono ed il
bilanciamento dovrà compiersi sulla base di meccanismi di mercato che non
penalizzino i nuovi operatori privi dell’esperienza decennale dell’incumbent. Il
trading hub dovrà essere strutturato in modo tale da permettere frequenti ed
improvvisi swap sia di capacità che di commodity tra operatori all’interno dello
stesso mercato, magari utilizzando vie d’accesso diverse (GNL contro Stoccaggio
o Stoccaggio contro gasdotto, per esempio) ed anche scambi e cessioni tra
mercati spot appartenenti a paesi diversi (dovranno essere possibili gli
arbitraggi tra piazza e piazza, per esempio tra Zeebrugge e il PSV), perciò è
necessario anche un forte potenziamento delle interconnessione tra i nascenti
mercati europei (NBP, Zeebrugge, Eurohub, Baumgarten ed il PSV). In questo senso
è auspicabile un forte impegno della Commissione Europea, del Forum di Madrid e
del CEER, in modo che essi coordinino l’operato dei vari regolatori affinché sia
creata un’unica rete paneuropea, fortemente interconnessa, in modo da poter
sostenere la sfida dell’energia lanciata da colossi come gli USA, la Cina e
l’India. Questa sfida sarà particolarmente ardua, ma anche un valido banco di
prova per il processo d’integrazione che ormai avanza sempre più speditamente in
seno all’Unione Europea.
* Borsista IEFE Bocconi, Università Commerciale Luigi Bocconi,
rif:
sergio.portatadino@unibocconi.it.