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Modellistica del particolato atmosferico

Particulate matter modelling

 

GENNARO BUONAURO(*)




Summary
This work wants to give a contribution in atmospheric pollution from particulate matter.
The objective: simulation of atmospheric particulate matter scattering on Europe and Italy.
I use 2 models:

MM5: mesoscale model
CAMx: Comprehensive Air quality Model with eXtensions.

In CAMx I put atmospheric particulate chemistry, organic and inorganic chemistry, in SAPRC-99 reaction mechanism.
The data resulting from my simulations represent the concentration of ozone. From this data I analyse the influence of particulate matter. To analyse better this, I used KZ filter (Kolmogorov-Zurbenko), a method of spectral decomposition.
Then, with the comparison between data resulting from the simulations, for 2 domains: Europe and Italy, and data observed, I analyse the consistence of my alterations and the performance of the new model.


Il presente lavoro intende dare un contributo in materia di inquinamento atmosferico dovuto alle emissioni di polveri sottili.
Per particolato atmosferico s’intende l'insieme di quelle particelle (allo stato solido o liquido) in sospensione nell'atmosfera che conservano le proprie caratteristiche per tempi tali da consentire la partecipazione a processi fisici e/o chimici come entità a sé stanti. Il termine particolato definisce genericamente un’ampia classe di sostanze ed è quindi sinonimo di eterogeneità chimica.
In realtà, la modalità più diffusa per la classificazione delle masse aerosoliche consiste nella utilizzazione di sigle indicanti le dimensioni delle particelle costituenti la frazione considerata. In questo modo, le polveri PM10 rappresentano il particolato che ha un diametro inferiore a 10 micron. Le polveri PM2,5 rappresentano il particolato che ha un diametro inferiore a 2,5 micron e costituiscono circa il 60% delle PM10. Generalmente si considera il PM2,5 come frazione fine e l'intervallo PM10 - PM2,5 come frazione grossolana.
La composizione del particolato dipende dalla tipologia dello stesso e quindi dall'area e dalla tipologia della sorgente di emissione come si può vedere in Figura 1.




Figura 1. Composizione del Materiale Particolato



Il particolato grossolano è costituito esclusivamente da particelle primarie (particelle emesse come tali dalle sorgenti naturali o antropiche). Le particelle fini, invece, sono composte essenzialmente da solfati, acidi, nitrati, carbonio elementare, carbonio organico e metalli.
Si stima che ogni giorno vengano immesse nell’aria circa 10 milioni di tonnellate di particolato, di cui il 94% di origine naturale. La concentrazione nell’aria di queste particelle viene comunque limitata dalla naturale tendenza alla deposizione per effetto della gravità (deposizione secca) e dall’azione delle nubi o delle piogge (rimozione umida), per cui la concentrazione risultante nell’aria pulita è dell’ordine di 1-1,5µg/mc. Oltre che dalla natura dei venti e dalle precipitazioni, la permanenza in atmosfera è fortemente condizionata dalle dimensioni delle particelle. Quelle che hanno un diametro superiore a 50 micrometri sono visibili nell’aria e sedimentano piuttosto velocemente causando fenomeni di inquinamento su scala molto ristretta.
Le più piccole possono rimanere in sospensione per molto tempo; alla fine gli urti casuali e la reciproca attrazione le fanno collidere e riunire assieme, in questo modo raggiungono delle dimensioni tali da acquistare una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo. Le polveri PM10 possono rimanere in sospensione per 12 ore circa, mentre le particelle con un diametro inferiore ad 1 µm fluttuano nell’aria anche per 1 mese. Ciò fa sì che, ad esempio, il particolato emesso dai camini di altezza elevata possa essere trasportato dagli agenti atmosferici anche a grandi distanze, per cui parte dell’inquinamento di fondo riscontrato in una determinata città può provenire da un’industria situata a diversi km dal centro urbano.
Nei centri urbani l’inquinamento da polveri fini (che sono le più pericolose per la salute) è essenzialmente dovuto al traffico veicolare ed al riscaldamento domestico. Per questo motivo, quando la concentrazione di particolato nell’aria diventa troppo alta, vengono attuate delle limitazioni al traffico; in varie nazioni può anche essere imposto un limite alla temperatura del riscaldamento negli ambienti chiusi: 18°C in Germania o 20°C in Italia.

A prescindere dalla tossicità, le particelle che possono produrre degli effetti indesiderati sull’uomo sono sostanzialmente quelle di dimensioni più ridotte, infatti, nel processo della respirazione, le particelle maggiori di 15 micron vengono generalmente rimosse dal naso.

Gli effetti del particolato sul clima e sui materiali sono piuttosto evidenti. Il particolato dei fumi e delle esalazioni provoca una diminuzione della visibilità atmosferica; allo stesso tempo diminuisce anche la luminosità assorbendo o riflettendo la luce solare. Negli ultimi 50 anni si è notata una diminuzione della visibilità del 50% ed il fenomeno risulta tanto più grave quanto più ci si avvicina alle grandi aree abitative ed industriali.
Le polveri sospese favoriscono la formazione di nebbie e nuvole, costituendo i nuclei di condensazione attorno ai quali si condensano le gocce d’acqua. Di conseguenza favoriscono il verificarsi dei fenomeni delle nebbie e delle piogge acide, che comportano effetti di erosione e corrosione dei materiali e dei metalli.
Il particolato, inoltre, danneggia i circuiti elettrici ed elettronici, gli edifici e le opere d’arte e riduce la durata dei tessuti. Le polveri (ad esempio quelle emesse dai cementifici) possono depositarsi sulle foglie delle piante e formare così una patina opaca che, schermando la luce, ostacola il procedere del processo di fotosintesi.
Gli effetti del particolato sul clima della terra sono invece piuttosto discussi: sicuramente un aumento del particolato in atmosfera comporta una diminuzione della temperatura terrestre per un effetto di riflessione e schermatura della luce solare, in ogni caso tale azione è comunque mitigata dal fatto che le particelle riflettono anche le radiazioni infrarosse provenienti dalla terra.

Le particelle presenti in atmosfera in forma solida, possono sia essere immesse in atmosfera già come particelle solide, sia formarsi in atmosfera, a partire da fasi liquide o gassose, attraverso una serie di trasformazioni.
 

• La nucleazione è il processo attraverso il quale, tramite l’agglomerazione di molecole di vapore supersaturate, si formano nuove particelle in atmosfera. Si parla di nucleazione omomolecolare quando il processo interessa una singola specie e di nucleazione eteromolecolare quando il processo interessa più specie chimiche. Inoltre, si parla di nucleazione omogenea quando il processo avviene in assenza di superfici o materiale esterno estraneo, viceversa si parla di nucleazione eterogenea [11].
• I processi di crescita del particolato atmosferico (condensazione e dissoluzione) sono caratterizzati da una prima fase di insaturazione dell’equilibrio tra la fase gassosa e quella aerosol. In questa fase, ipotizzando il processo di condensazione, si ha la diffusione delle molecole gassose verso la superficie della particella. Nella seconda fase, la molecola viene catturata dalla superficie della particella che accresce così il suo volume. Se la superficie della particella è rivestita da una pellicola acquosa e se il gas si discioglie in acqua, si parla di dissoluzione. Se invece la superficie della particella è secca, si parla di condensazione.
• Le particelle sospese in atmosfera possono venire a contatto tra loro a causa di moto Browniano, turbolenza, velocità di deposizione, etc. Quando le particelle che vengono a contatto aderiscono tra loro si parla di coagulazione. La coagulazione è quindi un processo che riassume i processi di collisione ed adesione. Mediante coagulazione le particelle accrescono la loro dimensione e diminuiscono di numero.
 

La deposizione degli inquinanti presenti in atmosfera si distingue in deposizione umida, mediata cioè da particelle di pioggia o di nebbia o di nuvole al livello del suolo, e in deposizione secca che avviene senza il tramite di tali condensazioni acquose. L’importanza relativa di uno dei due tipi di deposizione, dipende da diversi fattori tra cui la fase (vapore o aerosol) dell’inquinante in atmosfera, la sua solubilità in acqua, la quantità di precipitazioni e il tipo di suolo o di vegetazione.

Sono stati sviluppati diversi modelli per la previsione della formazione degli aerosol inorganici. Le specie prese generalmente in considerazione sono:


NH3, HCl, HNO3,  H2O (per la fase gassosa)


H2O, H2SO4, NH4+, SO4--, NO3-, H+, Na+, Cl-, HSO4-(per la fase liquida)


Na2SO4, NaHSO4, NaCl, NaNO3, NH4Cl, NH4NO3, (NH4)2SO, NH4HSO4, (per la fase solida)


Tutti i modelli individuano un sistema di cui viene calcolato l’equilibrio minimizzando l’energia libera di Gibbs. Questa viene calcolata in funzione dei potenziali chimici e dell’attività delle singole specie. Il calcolo delle attività delle specie disciolte in acqua richiede la determinazione dei coefficienti di attività. I metodi con cui tale determinazione viene effettuata sono un altro elemento di distinzione tra i diversi modelli.
Gli aerosol organici secondari (SOA), invece, si formano a seguito delle reazioni che coinvolgono gas organici reattivi (ROG e VOC) presenti in atmosfera e specie ossidanti. Tra le principali specie ossidanti attive in ambiente urbano, vi è O3 (attivo giorno e notte), OH (attivo solo di giorno), NO3 (attivo solo di notte poiché di giorno si fotolizza in NO2 in tempi molto brevi).


Perchè i modelli

Un modello è una rappresentazione semplificata di un fenomeno complesso: non contiene tutte le caratteristiche di un sistema reale, ma comprende tutti gli elementi essenziali alla sua descrizione.
Quali caratteristiche sono essenziali per la descrizione di un problema? Questo dipende dagli scopi del modello, dalla definizione del problema e dalle scale spaziali e temporali alle quali il modello si riferisce. Non è possibile, in un solo modello, descrivere tutto, dalle molecole più semplici fino al funzionamento dell’intero universo. Gli studiosi scelgono tipiche scale spaziali e temporali per descrivere il fenomeno di interesse. In questa ottica, la matematica dovrebbe essere considerata come una lingua, uno strumento formale estremamente adatto ad esprimere informazioni ed elaborare deduzioni quantitative e sistematiche.
Il trattamento matematico di un problema consente di fare previsioni che possono essere confrontate con le osservazioni:
I processi atmosferici fisici e chimici sono molto complessi. Le sole misure ambientali forniscono unicamente una descrizione istantanea delle condizioni atmosferiche, è quindi utile interpretare queste misure mediante un modello concettuale dei processi atmosferici.
 

I modelli matematici forniscono la struttura necessaria per la comprensione dei singoli processi e per lo studio delle loro interazioni; essi forniscono informazioni sulle relazioni fra emissione, concentrazione e deposizione degli inquinanti, tenuto conto dei processi di dispersione, trasporto, trasformazione chimica e rimozione. Il risultato della simulazione sarà comunque affetto da un certo grado di incertezza dovuto all’incapacità di descrivere correttamente i fenomeni fisici, alla dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, all’impossibilità di utilizzare misure prive di errore.
 

I modelli matematici di tipo chimico-fisico, a differenza di quelli statistici, non si basano sull'elaborazione statistica dei dati di monitoraggio ma descrivono i processi chimico-fisici fondamentali e si distinguono in modelli lagrangiani ed euleriani.
I primi descrivono le variazioni delle concentrazioni delle specie chimiche in relazione al fluido in movimento. La dispersione di un inquinante viene simulata attraverso pseudo-particelle la cui dinamica, all’interno del dominio interessato, viene determinata dal campo di vento e dalle condizioni locali di turbolenza atmosferica.
I modelli euleriani, invece, descrivono il moto delle particelle usando come sistema di riferimento un sistema fisso, solitamente solidale col suolo, rispetto al quale vengono definite le posizioni delle particelle in funzione del tempo.
Entrambi i modelli si basano sulla risoluzione dell’equazione di conservazione della massa, detta anche equazione di continuità; ovviamente tale equazione verrà scritta in modo diverso a seconda del sistema di riferimento che si prende in considerazione.
Oltre all’equazione di continuità, è necessario risolvere le equazioni della quantità di moto e di conservazione dell’energia, le quali legano le variabili atmosferiche (temperatura, umidità, pressione, velocità del vento) alla variazione delle concentrazioni dei gas e degli aerosol e ai flussi radiativi.


Il modello meteorologico MM5

E’ un modello ad area limitata che consente di utilizzare griglie innestate per simulare la dinamica non idrostatica. E’ costituito da diversi software, disposti in modo da formare una struttura sequenziale, attraversata da un flusso di dati, come descritto in Fig. 2:




Figura 2. Struttura MM5



Il primo di questi software è Terrain. Esso permette la definizione spaziale dell’area di studio, definendone i contorni orizzontali e verticali nonché le proprietà del suolo come l’elevazione (importante ai fini della turbolenza atmosferica indotta dalla frizione di superficie), le caratteristiche di uso del suolo (importanti per gli effetti di deposizione ed adsorbimento da parte del suolo, ed anche per le proprietà riflettenti della superficie).
Il Terrain genera dei files di output contenenti queste informazioni che vengono poi usati come input per i software successivi: Pregrid e Regridder (appartenenti allo stesso modulo: Regrid) il cui scopo è quello di eseguire un’interpolazione orizzontale dei dati input, discontinui, per trasformarli in un insieme continuo di dati. In particolare, il primo pre-elabora le analisi meteorologiche (provenienti, nella fattispecie, dal centro inglese ECMWF) salvando i risultati in un formato intermedio che fungerà da input per Regridder, il cui scopo è quello di uniformare tali dati agli output del Terrain mediante interpolazione orizzontale.
Interp provvede all’interpolazione verticale dei dati, dai livelli di pressione ai livelli di tipo sigma, dove sigma è la coordinata verticale adimensionale di tipo terrain-following, ovvero i livelli verticali più bassi della griglia (e quindi più vicini alla superficie terrestre) seguono l’andamento terrestre mentre quelli più alti tendono ad approssimare le superfici isobariche. centrazioni dei gas e degli aerosol e ai flussi radiativi. L’ultimo software interessato dal flusso di dati è MM5, che integra nel tempo le equazioni di bilancio della quantità di moto, materia ed energia, a partire dalle condizioni iniziali ed al contorno ricostruite dai moduli precedenti, in modo da avere una previsione dello stato dinamico e termodinamico dell’atmosfera.
Nell’utilizzare il modello MM5, con tutte le sue componenti, molte sono le possibilità di definizione delle caratteristiche applicative dei singoli moduli; ad esempio, nel programma Terrain viene definita la distribuzione spaziale delle categorie di uso del suolo (tipo di vegetazione, deserto, urbano, acqua, ghiaccio, etc.), utilizzando i dati dell’USGS. Questi dati sono basati su venticinque categorie; a ciascuna cella della griglia è assegnata la categoria dominante e questa determina le varie proprietà della superficie come albedo, altezza di rugosità, emissività ad onda lunga, capacità termica e contenuto d’acqua. In particolare, la relazione esistente tra le tipologie di uso del suolo e le relative caratteristiche, è definita mediante l’attribuzione di un indice. Viene valutato, infatti, il numero totale di dati M, che riguarda la cella di coordinate [i,j] della griglia ed il numero mi di dati con indice di categoria i per quella cella. Per ogni punto di griglia [i,j] vengono calcolate le percentuali per le N categorie considerate:
 


 

Ad ogni cella viene poi assegnata la categoria di uso del suolo con percentuale maggiore. Se M = 0 vuol dire che nessun dato ricade nella cella [i,j] e ciò accade quando la risoluzione della griglia è maggiore di quella relativa ai dati (in questo caso, l’indice associato a tale cella è quello del punto più vicino).
Il sistema modellistico può scegliere tra diverse proiezioni cartografiche: Lambert Conforme, Polare Stereografica, Mercatore. La proiezione qui utilizzata è la Lambert Conforme, più adatta per simulazioni a medie latitudini. Le direzioni x ed y del modello non corrispondono alle direzioni geografiche Est-Ovest e Nord-Sud, pertanto Terrain provvede al calcolo dell’angolo di rotazione di ciascuna cella della griglia rispetto al nord geografico. Questi dati saranno poi utilizzati dai programmi di pre e post-processing.

La griglia orizzontale utilizzata dal modello è di tipo Arakawa B, in cui le variabili scalari (T, q, etc.) sono definite al centro di ogni cella di griglia mentre le componenti u e v della velocità sono collocate agli angoli di ciascuna cella. I programmi di pre-processing effettuano le interpolazioni necessarie ad assicurare la consistenza con la griglia.
Per quanto riguarda la griglia verticale, tutte le variabili sopra citate sono definite al centro di ogni strato verticale della griglia, mentre la componente verticale della velocità è definita sui livelli sigma.

Un’ulteriore possibilità del modello MM5 è quella di consentire l’utilizzazione del nesting, ovvero la possibilità di annidare più griglie l’una nell’altra allo scopo di aumentarne la risoluzione restringendo il campo di applicazione. La griglia più esterna è a peggiore risoluzione (detta coarse) ed in essa vengono inserite una o più griglie a risoluzione migliore (dette griglie figlie), relative all’area in cui è richiesto maggiore dettaglio I rapporti tra le griglie figlie e la griglia madre possono essere di due differenti tipi: one way e two way. Nel nesting two way la griglia annidata riceve un input dalla griglia madre attraverso i bordi esterni e poi, a differenza del one way, i valori delle variabili della griglia annidata sono utilizzati per correggere i valori delle corrispondenti variabili della griglia madre nelle aree di sovrapposizione (feedback).
Oltre che delle condizioni iniziali, il modello necessita della definizione delle condizioni ai contorni laterali. Bisogna infatti definire su tutti e quattro i contorni le componenti orizzontali del vento, la pressione, l’umidità e la temperatura.
In sintesi l’MM5 richiede come dati di input:

• Topografia e Categorie di uso del suolo;
• Dati osservati (se disponibili);
• Dati atmosferici riferiti a: vento, temperatura, umidità relativa, geopotenziale, livelli di pressione (superficie, 1000, 850, 700, 500, 400, 300, 250, 200, 150, 100 mb).


Il modello di qualità dell’aria CAMx

Il CAMx (Comprehensive Air quality Model with eXtension) è un modello fotochimico euleriano di dispersione di inquinanti gassosi e di materiale particolato su scale che vanno dall’urbano al globale.

Il sistema è:
computazionalmente efficiente;
facile da usare;
disponibile pubblicamente, ovvero qualsiasi utente può accedere al codice sorgente e modificarlo;
flessibile nel definire la struttura di griglia verticale ed orizzontale e ciò permette al Camx di adattarsi alla griglia del modello meteorologico che gli fornirà una parte dei dati di input;
• consente l’utilizzo della tecnica di nesting di tipo two way (come l’Mm5) in modo da avere una migliore definizione delle variabili di griglia;
• offre l’opportunità agli utenti di introdurre o di rimuovere arbitrariamente griglie innestate (flexi-nesting);
• consente l’utilizzo di più processori (parallel processing) per computer con memoria condivisa, utilizzando l’OpenMP, comportando una riduzione dei tempi di esecuzione;
• simula l’emissione, la dispersione, le reazioni chimiche, la rimozione di inquinanti nella bassa troposfera, risolvendo l’equazione di continuità per ogni specie chimica, su un sistema di griglie innestate tridimensionali.


L’equazione di continuità euleriana descrive la dipendenza temporale delle concentrazioni medie delle specie in ogni volume di cella della griglia come somma di tutti i processi fisici e chimici che operano su quel volume.


L’equazione di continuità non è altro che l’espressione differenziale del bilancio di massa dell’i-esima specie chimica in termini euleriani. Il CAMx risolve, dunque, un sistema di equazioni differenziali di ordine N. Il sistema viene risolto su di una griglia che discretizza la regione spaziale di interesse. Ma per la risoluzione dell’equazione di continuità è necessario conoscere lo stato iniziale dell’atmosfera (le condizioni iniziali) ed imporre le condizioni al contorno, ovvero definire le concentrazioni delle specie nelle immediate prossimità del dominio considerato e come queste influenzano i flussi entranti. Inoltre, il calcolo dell’equazione necessita di alcuni parametri fisici e chimici, che vengono forniti come dati di input al modello. Questi sono, da un lato, dati di velocità del vento, temperatura, pressione, geopotenziale, umidità relativa, contenuto di acqua sotto forma di nuvole e pioggia e coefficiente di diffusione verticale, dall’altro, i dati emissivi degli inquinanti considerati, distribuiti per ciascuna cella della griglia.
La prima classe di dati (i parametri fisici) rappresenta l’output del modello meteorologico (MM5), mentre la seconda (i dati di emissione) proviene, nella fattispecie, dal centro europeo EMEP, al quale ogni anno pervengono le stime delle emissioni nazionali totali, suddivise per settore, di ogni paese aderente al programma. I dati disponibili dall’EMEP sono catalogati in funzione della categoria emissiva (CO, CH4, VOC, NOx, SOx, PMtot, PM10, PM2.5, NH3, metalli pesanti), dell’anno, della localizzazione spaziale (basata sull’uso della griglia EMEP).


Per quel che riguarda le variabili meteorologiche, invece, esse sono necessarie perché da queste dipendono direttamente i fenomeni del trasporto e della diffusione ed indirettamente la reattività, agendo, esse, sui valori delle costanti di fotolisi.


Dai dati di albedo superficiale, colonna di ozono, altezza dalla superficie del mare, declinazione e angolo solare zenitale, vengono calcolate le velocità delle costanti fotochimiche mediante il modello TUV, utilizzato come preprocessore.
Infatti, il CAMx fa riferimento ad una tabella di “look-up” in cui sono forniti i valori delle costanti al variare delle cinque variabili sopra elencate; i valori di queste ultime sono riportati come indici interi indicanti la classe di appartenenza (10 classi per l’angolo solare zenitale, 11 per le altezze, 5 per il valore della colonna di ozono, 5 per il valore di superficie e 3 per il valore della torbidità).
Anche i dati provenienti dall’MM5 e dal centro EMEP devono essere rielaborati da programmi di pre-processing prima di poter essere utilizzati dal CAMx, così da adattarsi ai nuovi parametri del modello. Infatti, per quel che riguarda i dati di uso del suolo, l’MM5 utilizza 25 categorie di uso del suolo mentre il CAMx ne considera soltanto 11; inoltre, mentre nell’MM5 ad ogni cella del dominio è associato un solo indice indicante la categoria dominante in quella cella, nel CAMx ad ogni cella sono associati tutti gli indici delle categorie di uso del suolo, ciascuno con un suo valore percentuale, in modo tale da indicare la presenza di ogni categoria nelle opportune proporzioni. Queste differenze richiedono, dunque, una rielaborazione consistente nella definizione di una relazione tra le categorie del CAMx e le categorie dell’MM5, ed una “rimappatura” dei dati di uso del suolo per ottenere le percentuali di ogni categoria per ogni cella.
Operazioni di pre-processing vengono adoperate anche per l’interpolazione dei dati meteorologici; infatti l’MM5 usa una griglia Arakawa-B, mentre il CAMx una griglia Arakawa-C; inoltre l’organizzazione in memoria degli array è differente: mentre per l’MM5 si procede per colonna, nel CAMx per riga.
Per quanto riguarda i dati di emissione, questi si trovano su una griglia che è differente da quella MM5-CAMx. Quindi, anche in questo caso, va effettuata una rimappatura dei dati al fine di uniformarli ai nuovi parametri di griglia.
I meccanismi chimici del CAMx tra i quali è possibile scegliere sono 5, di cui 4 sono basati sull’approccio Carbon Bond (CBM-IV), mentre uno solo sull’approccio SAPRC-99; tali meccanismi si differenziano in base al tipo di processo preso in considerazione e dunque in base al numero di specie chimiche e di reazioni considerate. Data la numerosità dei composti chimici in fase gassosa presenti in atmosfera e delle reazioni chimiche che li coinvolgono, non è possibile utilizzare un meccanismo chimico dettagliato all’interno di un modello atmosferico. Per questo motivo si ricorre a meccanismi condensati delle specie organiche.
La procedura di ‘lumping’ per il CBM-IV è basata su un approccio “Lamped structure”, mentre quella del SAPRC-99 su un approccio “Lamped species”.
Nel primo le specie organiche sono riaggregate in funzione dei gruppi funzionali presenti nella molecola. È quindi evidente che questo tipo di lumping perde le informazioni sulla lunghezza originale della catena carboniosa nella specie di interesse. In compenso, però, il tempo di esecuzione è ridotto, dato che il numero di gruppi funzionali è limitato.


Nel secondo approccio, invece, una specie viene utilizzata per rappresentare molecole organiche di reattività simile.




Modifiche apportate

L’obiettivo di questo lavoro è quello di simulare la cinetica del materiale particellato in atmosfera. A tal fine è stato adoperato il meccanismo chimico SAPRC-99, ritenuto più adatto ad essere inserito in un modello per la formazione di aerosol atmosferici. Infatti, per quanto riguarda le specie organiche, un aspetto importante del meccanismo chimico in fase gassosa, quando lo si voglia introdurre in un modello per aerosol, è la modalità di lumping. Questo aspetto, infatti, assume notevole importanza nella produzione di aerosol organici secondari (SOA). I SOA vengono prodotti da composti organici molto grossi, ossia con molti atomi di carbonio. Per questo motivo i composti con al massimo cinque atomi di carbonio, che quindi non producono SOA in maniera significativa, devono essere trattati separatamente, mentre quelli aventi un numero maggiore di atomi di carbonio, devono essere raggruppati in classi con rendimenti simili in merito alla produzione di aerosol [13]. Per questo motivo il meccanismo chimico in fase gassosa CB-IV sembra poco adatto per la simulazione di SOA (in tale meccanismo, infatti, la specie lumped perde la memoria della lunghezza della catena carboniosa della specie da cui deriva).
Invece, per quanto riguarda le specie inorganiche, quasi tutti i meccanismi utilizzano le stesse specie (NO, NO2, NO3, N2O5, O3, OH, HO2, HONO, HNO3, HNO4, H2O2, CO).
A tali specie, però, devono essere obbligatoriamente aggiunti ammoniaca e biossido di zolfo quando il meccanismo chimico in fase gassosa viene introdotto in un modello per la formazione di aerosol.
In questo lavoro è stato adattato il meccanismo numero 5, basato sul SAPRC-99, estendendone le reazioni per la simulazione del particolato. È stata considerata sia la chimica aerosolica organica che inorganica con le relative reazioni per la formazione del materiale particellato. Sono stati quindi aggiunti, alle specie gassose considerate dal SAPRC-99, i precursori degli aerosol organici secondari (SOA), ossia i gas condensabili (CG), raggruppati in quattro classi in base alla volatilità relativa. Inoltre, sono stati introdotti anche NH3 ed HCl in quanto precursori del particolato inorganico; ciò ha richiesto ovviamente anche l’aggiunta delle reazioni che avvengono a carico di tali specie, le rese di queste reazioni ed i parametri chimico-fisici (costanti di reazione, dipendenza dalla temperatura, etc.).
 

Nel CAMx la composizione chimica della fase aerosolica inorganica è calcolata attraverso il modulo termodinamico ISORROPIA.
Per il partizionamento dei gas organici condensabili (CG1-CG4) ad aerosol organici secondari (SOA) viene utilizzato il modulo SOAP.




Caratteristiche delle simulazioni

Il periodo considerato intercorre tra l’1/6/2001 ed il 31/10/2001, ciò ha consentito di caratterizzare completamente il periodo estivo e di soffermare quindi l’attenzione sulle trasformazioni fotochimiche alla base della formazione dell’ozono; infatti, i dati di output provenienti dall’elaborazione del CAMx, rappresentano i valori di concentrazione di ozono in base ai quali si è valutata l’influenza del materiale particellato.
Mediante il confronto tra i risultati delle simulazioni (confronto effettuato sui valori di concentrazione di ozono), per entrambi i domini, ed i valori osservati, è stato possibile valutare la consistenza delle modifiche apportate e le prestazioni del modello così aggiornato.
L’area d’interesse di tali simulazioni è l’Europa (dominio spaziale), discretizzata mediante due griglie innestate (con un rapporto di nesting di 2:1) in modalità two-way, uniformi lungo le direzioni x ed y. La proiezione cartografica qui utilizzata è la Lambert Conforme.
La prima griglia, più esterna, interessa tutto il dominio in esame, la seconda, invece, è centrata sull’Italia; in particolare, l’estensione orizzontale del primo dominio è di circa 4212*4293 km2, con una risoluzione per ogni cella di 81*81 km2, mentre il secondo dominio interessa un’area di 1404*1323 km2, ad una risoluzione di 27*27 km2.
I dati delle griglie sono stati ricostruiti mediante il software TERRAIN a partire dai valori di DTM e di land-use dell’USGS. Lungo la direzione verticale si è utilizzata una maglia “stirata” (terrain following coordinate system) di 25 livelli sigma. La maglia risulta essere più fitta nei pressi della superficie del suolo, per garantire una migliore valutazione dei gradienti caratteristici degli strati bassi vicini alla superficie, poi va gradualmente diradandosi fino al livello più alto del dominio (l’altezza varia da punto a punto in base all’elevazione del suolo).
Le condizioni iniziali e le condizioni al contorno per le variabili meteorologiche sono state calcolate mediante i programmi di pre-processing, a partire dalle analisi fornite dal centro meteorologico europeo ECMWF (European Center for Medium Range Weather Forecasts).
L’applicazione di un modello di qualità dell’aria richiede come input, oltre alle variabili meteorologiche, i dati emissivi. Questi, nella fattispecie, sono forniti dall’EMEP (Co-operative programme for monitoring and evaluation of the long-range transmission of air pollutants Europe) e si riferiscono a CO, NOx, SOx e VOC (composti organici volatili) relativi all’anno 2001, espressi in tonnellate/anno e riferiti ai centri cella della griglia EMEP. In realtà, i dati EMEP si riferiscono solo alle emissioni di origine antropica, per cui, a queste sono state associate le emissioni biogeniche, lì dove il contributo di quest’ultime non era trascurabile, ovvero nel caso dei VOC. Le emissioni biogeniche sono state calcolate a partire dai dati di biomassa ed i fattori di emissione.
Entrambi i tipi di dati (meteorologici ed emissivi), sono stati poi rimappati, come già descritto precedentemente, avendo gli uni una differente classificazione ed associazione delle categorie di uso del suolo rispetto al CAMx ed essendo, gli altri, riferiti ad una griglia diversa da quella usata per la simulazione della dispersione degli inquinanti. In particolare, per quanto riguarda i dati emissivi, per la prima griglia (Europa) le emissioni di ciascuna cella EMEP sono state riallocate rispetto alle celle della griglia MM5 in proporzione all’intersezione della superficie in comune; per la seconda griglia (Italia) le emissioni sono state riallocate in proporzione alla popolazione dei comuni italiani.
Per l’integrazione numerica delle equazioni di bilancio di massa, le concentrazioni, sia quelle all’altezza del livello verticale massimo sia quelle laterali, sono state considerate invarianti nel tempo e nello spazio, e sono stati utilizzati valori standard consistenti con i valori di fondo tipici di condizioni non inquinate. Le condizioni iniziali sono state poste uguali a quelle laterali.
 


Figura 3 1. Emissioni NOx (tonn/anno)-Dominio1



Figura 3-2. Emissioni NOx (tonn/anno)-Dominio2




Descrizione dei risultati
 

I risultati delle simulazioni effettuate rappresentano la dispersione degli inquinanti nell’area considerata. A titolo di esempio, viene di seguito riportata la visualizzazione dei risultati relativi al 2 maggio 2001 e rappresentanti la distribuzione di ozono sull’area europea (dominio più esterno):

 


Figura 4-1. Concentrazione di ozono (ppb) alle 9:00 UTC

 



Figura 4 2. Concentrazione di ozono (ppb) alle 12:00 UTC



Dalle figure sopra riportate si evince l’evoluzione qualitativa diurna dell’ozono: durante le prime ore del giorno la concentrazione va aumentando fino a raggiungere un valore massimo nelle prime ore del pomeriggio, poi diminuisce raggiungendo il minimo (20-30 ppb) nel periodo notturno, in accordo con i processi chimici che avvengono a carico dell’ozono. Si noti anche che, come atteso, le maggiori concentrazioni di ozono si hanno sull’area mediterranea, a causa della maggiore attività fotochimica, ed in prossimità delle principali aree urbane e/o industrializzate, per l’emissione dei precursori dell’ozono. A causa della non elevata risoluzione spaziale del dominio considerato, le “plume” che dovrebbero originarsi dalle aree urbane non sono ben distinguibili.
Il problema è stato affrontato mediante un approccio di nesting (two-way), utilizzando un secondo dominio sull’area italiana così da catturare meglio i picchi urbani di ozono.

 


Figura 5 1 Concentrazione di ozono (ppb) alle 9:00 UTC

 



Figura 5 2. Concentrazione di ozono (ppb) alle 12:00 UTC




Analisi dei risultati

Una valutazione quantitativa delle capacità predittive del modello è stata ottenuta paragonando le concentrazioni orarie simulate di ozono con quelle misurate dalla rete di monitoraggio EMEP.
L’applicazione del modello CAMx per la simulazione della qualità dell’aria nella regione europea, permette di simulare la concentrazione degli inquinanti atmosferici in corrispondenza delle stazioni di misura.
Ogni dato può essere visto come la realizzazione di un processo spazio-temporale, la cui dinamica è influenzata da molteplici fattori.
In questo lavoro, la valutazione delle capacità predittive del modello è stata effettuata mediante diversi indici. Più precisamente sono stati calcolati:

1. Bias medio dei valori massimi giornalieri:


N indica il numero di stazioni di misura; il bias è stato calcolato solo per quelle stazioni con almeno il 25% di valori validi; la funzione max( ▪i ) indica il massimo giornaliero della stazione i-esima mediato su tutti i giorni di simulazione.

2. Bias medio normalizzato dei valori massimi giornalieri:


Rappresenta la frazione percentuale del bias medio. Si noti che il bias, normalizzato o meno, può nascondere eventuali discrepanze e, per questo, le informazioni da esso fornite devono essere complementari alla stima dell’errore in senso assoluto.

3. Errore medio dei valori massimi giornalieri:


a cui è stato associato, come nel caso precedente, l’errore medio frazionario.

4. Errore medio frazionario dei valori massimi giornalieri:


5. Radice dell’errore quadratico medio dei valori massimi giornalieri:


Accanto a queste informazioni riguardanti la capacità del modello di catturare l’ampiezza delle oscillazioni della concentrazione di ozono, è importante calcolare anche la differenza temporale fra i due massimi, che può essere paragonata ad un errore di fase.

6. Differenza temporale media dei valori massimi giornalieri.


dove la funzione Tmax restituisce il tempo, in ore, in cui si è registrata la massima concentrazione oraria del giorno.
La distribuzione spaziale del bias è messa in evidenza in Fig. 6, da dove si evince che il modello sottostima la concentrazione media nella regione nord-occidentale del dominio e la sovrastima leggermente nella regione mediterranea.
 


Figura 6. Distribuzione spaziale del BIAS sulla regione europea



Allo scopo di misurare quantitativamente le prestazioni del modello, si è scelto di effettuare un’analisi spettrale dei dati simulati e di confrontarne i risultati con quelli ottenuti dall’analisi spettrale dei dati osservati.
E’ stato adoperato il filtro (KZ) come metodo di separazione delle serie temporali in fluttuazioni caratterizzanti le scale temporali desiderate. Esso, infatti, è costituito da una semplice struttura e riesce a preservare l’informazione anche quando applicato a dati di carattere ambientale non equamente spaziati, ossia, in presenza di dati mancanti.
Il filtro KZ è un filtro a media mobile; è caratterizzato da due parametri: l’ampiezza della finestra della media mobile (ovvero i punti considerati dalla media), m, e il numero di applicazioni del filtro, k. La media mobile può essere espressa come:





dove X(t) è la serie temporale originale al tempo t. La serie Yt può essere filtrata una seconda volta dall’applicazione, e così via fino a m volte. Agendo sui valori di k e m si possono modulare le proprietà spettrali del filtro.
Il filtro KZ è un filtro passa-basso: le serie temporali filtrate contengono fluttuazioni a bassa frequenza mentre la differenza tra le serie temporali originali e quelle filtrate (residue) contiene le alte frequenze del segnale. Un filtro passa-banda è creato prendendo la differenza tra due serie temporali filtrate.


 


Figura 7 Spettro di potenza dei dati osservati (linea nera) e simulati (linea rossa) della stazione AT0033



L’analisi della varianza uno dei metodi di valutazione delle prestazioni del modello. Per esaminare il contributo relativo delle differenti componenti temporali all’intero processo, le varianze di ogni componente (per i dati osservati e simulati) sono state calcolate e divise per la somma delle varianze di tutte le componenti. Questo consente di comparare l’importanza relativa di differenti processi dinamici sull’intero processo per entrambi i tipi di dati.
Per quanto riguarda la distribuzione della varianza delle serie temporali dei dati osservati, la maggior parte di essa è associata alla componente diurna ed intra-diurna (a maggiori frequenze), mentre una frazione meno rilevante è assegnata alla componente sinottica (6.7%) e di linea di base (20%). Il modello riesce a riprodurre all’incirca la stessa distribuzione della varianza, anche se la varianza della componente diurna viene sovrastimata a scapito di quella della linea di base.
È anche interessante vedere come si distribuisce spazialmente l’errore nella valutazione delle diverse componenti. Osservando il bias medio delle componenti ‘BL’., ‘SY’, ‘DU’ e ‘ID’ sulla regione europea, a titolo esemplificativo in Figura 8 è mostrata la componente ‘BL’; si può notare che le discrepanze del modello, in media, sono dovute soprattutto ad un’errata valutazione della linea di base; al contrario, le altre componenti mostrano un errore praticamente trascurabile, essendo il bias sempre inferiore a 1 ppb.

 


Figura 8 Distribuzione spaziale del BIAS della componente ‘BL’ sulla regione europea




Conclusioni

In sintesi, il confronto tra i contributi della varianza totale da parte delle componenti individuali, consente di valutare l’abilità del modello nel prevedere correttamente l’ammontare di energia presente su differenti scale temporali. Poiché le fluttuazioni di tali scale sono associate a differenti processi fisici, il confronto appena descritto fornisce informazioni utili sull’abilità del modello nel catturare questi processi, informazioni che non sarebbero state ben quantificate senza l’utilizzo della decomposizione spettrale delle serie temporali.
Le prestazioni ottenute consentono di affermare le ottime capacità simulative complessive del sistema modellistico così modificato.

 

* gennarobuonauro@tiscali.it

 

Pubblicato su www.ambientediritto.it il 10/12/2005