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Politiche di sostenibilità energetica

 

MAURO ALBERTI*

 

 

1 Introduzione


Il lavoro intende fornire un contributo alle recenti ricerche sul tema della sostenibilità, indagando in particolare le esperienze ed i possibili futuri sviluppi nella definizione ed attuazione di politiche orientate ad uno sviluppo sostenibile in campo energetico.
In questa prospettiva vengono esaminate nel dettaglio le recenti iniziative relative allo sviluppo delle fonti rinnovabili nell’ambito dell’Unione Europea, azioni sostenute attraverso strumenti di politica energetico-ambientale che intendono favorire il superamento degli ostacoli (economici, tecnici e di altra natura) che si frappongono alla crescita di queste nuove tecnologie energetiche.

Lo sfruttamento delle energie rinnovabili, promosso in Europa fin dagli anni ’701, è stato, in questi ultimi anni, oggetto di una serie di rinnovate ed importanti iniziative politiche e legislative nell’Unione Europea e negli Stati Membri, in parte riconducibili anche alle politiche ambientali avviate nella prospettiva di favorire uno sviluppo maggiormente sostenibile.
Le fonti rinnovabili consentono, infatti, di ovviare a problemi di inquinamento su scala globale (emissioni gas serra) ed anche regionale-locale (piogge acide, inquinamento atmosferico), contribuiscono alla sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti, diminuendo la dipendenza energetica degli stati nazionali dall’estero2.
Il sostegno a tali fonti di energia, per essere efficace, deve però necessariamente tener conto degli ostacoli che si frappongono alla possibilità di sfruttare il potenziale tecnico disponibile3.
Innanzi tutto vi è la necessità di offrire un sostegno economico a tecnologie non ancora completamente mature e competitive rispetto a quelle tradizionali.
In secondo luogo si pone il problema dell’autorizzazione degli impianti. La collocazione delle centrali (ad esempio eoliche) è un processo complesso poiché implica l’inserimento di nuove infrastrutture nel territorio in modo diffuso e con una pluralità di possibili impatti. Questo processo richiede quindi un diverso approccio al consenso, per superare i conflitti che portano oggi all’impossibilità di collocare gli impianti, più o meno efficacemente promossi, all’interno degli ambiti territoriali individuati ed in tempi compatibili con il decorso tipico degli investimenti produttivi.
Nell’affrontare il problema risulta quindi opportuno, da un lato, cercare di potenziare e di far percepire nella maniera corretta i benefici derivanti dallo sfruttamento dell’energia eolica, e dall’altro accompagnare l’inserimento delle infrastrutture nel territorio con un insieme di soluzioni indirizzate ai diversi aspetti del problema (tecnico, culturale-sociale, economico-produttivo, istituzionale), che siano integrate e coordinate rispetto alla questione fondamentale, che è la compatibilità dell’infrastruttura con l’ambiente ed il territorio interessati.
In riguardo a tali esigenze sarebbe forse opportuna una politica italiana maggiormente dedicata per le fonti rinnovabili che permettesse il consolidamento di un quadro generale di indirizzo e sostegno a tali fonti, sia dal punto di vista economico che dal un punto di vista tecnico-regolamentare, in quanto, in assenza di un indirizzo specifico e distinto, non è facile per i promotori individuare e rapportarsi agli interlocutori adeguati (in parte diversi rispetto al caso delle energie tradizionali) in modo da far loro percepire in maniera corretta, convincendoli a valorizzarle, le caratteristiche che rendono le fonti rinnovabili vantaggiose in particolari contesti (possibilità di soddisfare domande locali contenute garantendo una maggior autonomia energetica4 e un minor impatto ambientale, possibilità di sostenere l’occupazione locale).
Per quanto riguarda invece specificamente il prevedibile conflitto tra l’introduzione (od il potenziamento) delle infrastrutture e la tutela degli interessi coinvolti (esercitata dalle diverse istituzioni preposte), il lavoro intende dimostrare l’opportunità di promuovere alcuni interventi (nelle attività di programmazione dei progetti da parte dei promotori, pianificazione territoriale da parte delle istituzioni, concertazione e certificazione delle modalità e delle tecniche di valutazione e mitigazione degli effetti, strutturazione di tutte le informazioni necessarie al corretto svolgimento delle suddette attività) che possano contribuire a determinare un processo chiaro, certo, omogeneo ed aperto ai diversi soggetti, attraverso cui la compatibilità possa venire valutata ed una decisione conseguente sia presa nella sicurezza di aver considerato correttamente tutte le esigenze in gioco.


 

2 Sviluppo sostenibile ed Energia


2.1 Il concetto di sviluppo sostenibile


2.1.1 Contenuti del concetto di Sviluppo Sostenibile
Il concetto di “sostenibilità” assume nel corso degli ultimi venti anni una crescente importanza nel panorama internazionale, ispirando una pluralità di orientamenti politici all’interno dei diversi Paesi, a cui sottostanno concetti complessi e inconsueti quali quello di “equità inter-generazionale” o idee più semplici e consolidate di assistenza sociale e/o salvaguardia dell’ambiente. Il principio di sviluppo sostenibile, sorto negli anni ’505 in seguito alla crescente drammaticità dei problemi di deterioramento ambientale, si colloca oggi in un contesto che non è (più) prettamente ambientale, ma presuppone un quadro di riferimento più ampio ed organico6. In esso convergono linee evolutive di diversa natura – politica, istituzionale, culturale, scientifica – maturate in ambito internazionale e nei singoli paesi, all’interno delle istituzioni e nei movimenti di opinione, in un intreccio tra scala globale e scala locale che costituisce un elemento strutturale dei nuovi scenari e del nuovo approccio. L’idea di sviluppo sostenibile rappresenta pertanto una formula sintetica che può essere utilizzata in differenti contesti per esprimere diversi contenuti7, cui sottostanno diversi approcci, interpretazioni politiche e strumenti d’analisi.
La definizione più nota, e sulla quale esiste maggiore consenso, di sviluppo sostenibile è quella proposta dal Rapporto Brundtland nel 19878: "uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni".
Molto più importante della definizione, comunque, e molto più complicata, è l’individuazione delle condizioni, dei parametri e dei vincoli che in concreto devono essere considerati nell’accertare la “sostenibilità” di un qualsivoglia sistema sottoposto ad analisi, così come piuttosto complessa, ma altrettanto rilevante risulta l’identificazione dei limiti del sistema stesso9.
Argomenti come “equità inter-generazionale o intra-generazionale” e “sostituibilità delle risorse”, che sono di fondamentale importanza nel quadro teorico dello sviluppo sostenibile, acquistano un significato diverso in relazione al contesto in cui sono adottati e devono poter trovare un’adeguata trasposizione nelle politiche concrete attraverso cui la sostenibilità è perseguita.
Non si vuole in questa sede arguire sui fondamenti teorici degli argomenti suddetti10, piuttosto ci si limita ad osservare come possa essere utile, per portare la discussione su di un piano concreto, riferirsi ad un modello di sviluppo sostenibile che rifletta le reali e complessive interdipendenze esistenti tra sistema economico e ambiente. In tal senso si introduce l’idea di “funzioni ambientali”11 (si veda Figura 1).
Per verificare l’attuale capacità dell’ambiente naturale di supportare le attività umane (funzione “sorgente”) si possono analizzare alcuni dati sulla disponibilità e sui trend di consumo di alcune risorse basilari (es. energia) in diverse aree del pianeta.

 



Figura 1: Il modello di Bilancio dei Materiali

 

Come si può evincere dai dati riportati in Tabella 1, la domanda primaria di energia è prevista in costante crescita nel prossimo ventennio, fino ad aumentare all’incirca del 50% entro il 2020 (rispetto ai valori del 2000). In tal senso non è possibile pensare di mantenere gli attuali livelli di consumo nel mondo occidentale (area OECD) nel tempo (equità intergenerazionale) e poterli soddisfare con le fonti (esauribili) attualmente utilizzate. Ancor meno si può pensare di rendere conseguibili per tutta la popolazione mondiale (equità intragenerazionale) i livelli di consumo della parte di mondo maggiormente sviluppata (come di evince dalla colonna che simula i consumi ipotizzando per tutte le aree un’intensità energetica sui livelli di quella OECD). Riguardo al secondo aspetto vi è poi da aggiungere che la contemporanea forte crescita della domanda pro-capite e/o della popolazione in alcune aree del mondo (OECD, Asia ed in particolare Cina) porterà ad una domanda difficilmente sostenibile nelle modalità attuali. Sia come domanda assoluta, in considerazione della crescente dipendenza energetica dalle fonti fossili (e dai paesi che ne dispongono) che sono esauribili ed hanno un forte impatto sull’ambiente naturale, sia come domanda relativamente al territorio disponibile, in considerazione della necessità di collocare e far funzionare in maniera sicura tutte le infrastrutture necessarie al consumo finale di energia (impianti, reti di trasporto, stoccaggio e distribuzione)12 in aree ad elevata densità di popolazione.

 

Tabella 1: Domanda attuale e futura di energia nel mondo13

 

AREA

Popolazione

(milioni)

Superficie

(migliaia di

Km2)

Densità

(n° ab/Km2)

Domanda

effettiva 2000

assoluta (Mtoe)

e percentuale

Dom. da

procapite

2000

(toe/ab.)

Dom.da

simulata

200014

Dom.da

prevista

2020

(Mtoe)

OECD

1122 34728 32,3 5211 (52,3%) 4,74 5211 5876

Asia

1908 12161 156,9 1196 (12%) 0,59 9044 2546

China

1269 9571 132,6 1136 (11,4%) 0,92 6015 2146

Medio

Oriente

165 5584 29,6 379 (3,8%) 2,30 782 681

Ex URSS

290 22950 12,6 897 (9%) 3,18 1375 1465

Europa

non OECD

58 643 90,2 90 (0,9%) 1,64 275

Africa

795 30243 26,3 548 (5,5%) 0,64 3768 799

America

Latina

416 17820 23,3 508 (5,1%) 1,10 1972 1095

Totale

6023 133700 45 9963 1,65 28442 14800

 

Non è pertanto razionalmente propugnabile l’idea di poter mantenere uno sviluppo (inteso come crescita) nel tempo senza tener conto di quelli che sono i limiti del pianeta, sia come fonte di risorse in lento (forse) ma progressivo esaurimento sia come ricettore dei residui nocivi delle attività antropiche15.
Piuttosto, dal quadro di analisi così impostato, scaturisce la necessità, avendo appurato l’esistenza di effetti negativi delle diverse attività antropiche sulle “funzioni ambientali”, di adoperare vincoli e/o incentivi16 all’utilizzo di determinate risorse e di incorporare tali vincoli in tutte le strutture sociali attraverso cui vengono condotte tali attività (governi, mercati, aziende, agenzie di regolazione, ecc.), al fine di correggere la distribuzione di rischi e costi sia a livello spaziale (entro la medesima generazione) che a livello temporale (tra generazioni successive).
Le conseguenti modalità attraverso cui operare al fine di mantenere intatte le capacità del pianeta di soddisfare i bisogni umani17 possono quindi essere ricondotte essenzialmente a due18:
- una riduzione degli effetti nocivi delle attività umane, realizzata con strumenti di politica ambientale ed attraverso l’innovazione (sostituzione di risorse non rinnovabili con risorse rinnovabili, innovazione nell’uso delle tecnologie ed innovazione nell’utilizzo del territorio);
- una progressiva modifica della struttura del sistema economico, orientata alla dematerializzazione e all’espansione dei settori a basso consumo di risorse.
Lo sviluppo sostenibile come è inteso in questo elaborato si basa pertanto in maniera fondamentale sulle capacità delle diverse istituzioni di sviluppare strategie, innovazioni e servizi orientati a salvaguardare il capitale naturale e ad integrarlo con le altre forme di capitale (artificiale, umano, culturale, sociale) che entrano nel processo di sviluppo in modo che emergano le evidenti complementarietà e le interrelazioni esistenti tra tutti questi patrimoni disponibili19.

 


2.1.2 Politiche (e Istituzioni) per la Sostenibilità


Vari tentativi sono stati condotti nel decennio passato per incorporare il concetto di sostenibilità nell’impostazione e nella pianificazione politica, sia a livello internazionale che all’interno dei singoli Paesi. Gli sforzi compiuti, tuttavia, non hanno portato ai risultati sperati, forse anche perché sono stati spesso fondati su criteri d’azione piuttosto vaghi.
Il primo piano d’azione formale in tema di sviluppo sostenibile risale alla Conferenza di Rio, tenutasi nel Giugno 1992. La Dichiarazione di Rio approfondisce per la prima volta in un contesto istituzionale globale (Nazioni Unite) le problematiche concernenti lo sviluppo sostenibile20.
Successivamente si assiste, perlomeno all’interno delle due principali macro aree del mondo occidentale (Stati Uniti ed Unione Europea) ad una progressiva introduzione del concetto di sviluppo sostenibile tra i principi ispiratori degli indirizzi politici generali. Seppur con differenze non trascurabili nell’impostazione21, nel corso dell’ultimo decennio il principio di sviluppo sostenibile inizia inoltre, in queste due aree del mondo, a determinare piani ed azioni all’interno di quei settori che sono ritenuti più legati al tema della sostenibilità (energia, trasporti, agricoltura). Le politiche per lo sviluppo sostenibile conferiscono quindi inizialmente un nuovo assetto alle tradizionali politiche ambientali, coerente con la necessità di considerare le questioni prioritarie nel loro complesso22.

 


2.1.2.1 Politiche per lo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea


Per quanto riguarda l’Unione Europea (per un approfondimento si veda Allegato B: Sviluppo Sostenibile nell’Unione Europea e negli Stati Membri) ciò che sembra emergere dal lavoro condotto finora a livello comunitario ed all’interno degli Stati Membri sono linee comuni sull’approccio da seguire per improntare una politica di lungo periodo sullo sviluppo sostenibile. Queste linee prevedono il coordinamento “orizzontale” tra diversi ministri per la concezione di un quadro d’azione integrato23, la definizione di orizzonti di riferimento stabili e di modalità di verifica chiare che costituiscano un fondamento per le decisioni da adottare negli anni a seguire, la partecipazione attiva (e non solo in consultazione) di tutte le parti in causa (che si può ottenere solo traducendo i piani generali in piani a livello locale).
Questi temi sono ripresi anche nel recente documento dell’Unione Europea in cui viene definita la strategia per lo sviluppo sostenibile24.
La sostenibilità, concettualmente definita ad un livello molto aggregato, tipicamente globale, viene sempre più declinata in modo da prendere in considerazione i diversi livelli politico/amministrativi (ed in particolare il livello locale25) al fine di adottare azioni efficaci che possano indirizzare concretamente le prassi operative (si vedano ad esempio le leggi sulla Valutazione d’Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica introdotte nell’Unione Europea).


2.1.2.2 Politiche per lo sviluppo sostenibile in Italia


In Italia, benché le politiche in materia ambientale siano state adottate con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi Europei26, la risposta all’invito delle Nazioni Unite (UNCED) in tema di sviluppo sostenibile è piuttosto rapida e alla fine del 1993 viene predisposto il Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile in Attuazione dell’ Agenda 2127.
Tale piano si ispira alle linee guida dell’Unione Europea, che si trovano nel V Programma d’Azione Ambientale28.
In tale piano se da un alto non sono presenti né argomentazioni relative ai criteri ed alle condizioni per il raggiungimento della sostenibilità né una strategia in riferimento a obiettivi specifici di sostenibilità29, dall’altro comincia però ad essere enfatizzata la necessità di integrare le considerazioni di carattere ambientale nelle differenti politiche settoriali (industria, trasporti, energia, agricoltura, turismo) così come la necessità di includere nell’analisi politica i costi e benefici ambientali, sia a livello privato (produttori/consumatori) che a livello pubblico (contabilità nazionale).
Con provvedimento CIPE del 4 maggio 1994, è successivamente istituito un Comitato interministeriale per la sostenibilità composto di rappresentanti di 11 ministeri, con funzioni di verifica e d’informazione sull’attuazione del Piano nazionale.
Un significativo passaggio in relazione a programmi e politiche ufficiali per lo sviluppo sostenibile e per l'Agenda 21 da parte del Ministero dell'Ambiente, sembra compiersi nel maggio del 1998 con l'approvazione del Nuovo Programma per la Protezione dell'Ambiente30 che prevede, tra i vari settori d’intervento, uno riguardante gli strumenti per lo sviluppo sostenibile.
Il 5 agosto 199831, viene istituita nell’ambito dello stesso CIPE una nuova commissione per lo sviluppo sostenibile, incaricata del monitoraggio sull’attuazione delle misure politiche e della valutazione della coerenza dei programmi e degli investimenti con gli obiettivi prefissati.
Più di recente, in seguito alla sottoscrizione dell’accordo sul Protocollo di Kyoto32 ed alla ratifica33 dello stesso da parte del legislatore italiano, si assiste da un lato alla stesura di una “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia”34 e dall’altro alla predisposizione di nuove linee guida per le politiche di riduzione dell’effetto serra35.
In queste linee guida si assume che, fino al 2010, si registri una crescita media annua del PIL del 2%36. Ciò premesso, al fine di programmare la riduzione emissioni di gas ad effetto serra viene costruito uno scenario “tendenziale”, o a legislazione vigente, basato sugli effetti di misure già avviate o “decise”37, ed uno scenario “di riferimento”, che considera gli effetti aggiuntivi di altre misure38, già “individuate” anche a fini diversi da quelli di abbattimento delle emissioni.
Si assume infine che la situazione delle emissioni al 2008-2012 (e al 2005) sia quella derivante dagli effetti prodotti dalle misure dei due sopra citati scenari.
Tenuto conto che l’obiettivo al 2008-2012 è di avere emissioni pari a 487,1 MtCO2, si conclude che è necessario individuare politiche e misure per un’ulteriore riduzione di 41 MtCO2. La situazione attesa la 2008-2012 è sintetizzata in Tabella 2.

 

Tabella 2: Italia - Scenari di emissione di CO2 e obiettivo di riduzione al 2008-2012 (MtCO2)
 

Emissioni con scenario

a legislazione vigente

Emissioni con

scenario di

riferimento (*)

Obiettivo di

emissioni

Ulteriore riduzione necessaria per il

raggiungimento dell'obiettivo

579,8

528,2

487,1

41,1


Per  l’ottenimento dell’ulteriore abbattimento di 41 MtCO2, la delibera individua una serie di opzioni aggiuntive (di cui gran parte riguardanti il settore energetico, ivi incluse le iniziative relative ai meccanismi flessibili39, ed altre peculiari riguardanti il settore agricolo e forestale ), indicando, per ciascun intervento, anche gli investimenti necessari per la realizzazione ed i relativi costi .



2.2 Problematiche generate dal settore energetico


Il settore energetico è senz’altro uno degli ambiti per i quali il concetto di sviluppo sostenibile acquista recentemente un significato particolarmente forte, alla luce delle crescenti preoccupazioni da un lato sull’impatto dei cicli energetici sull’uomo e sull’ambiente e dall’altro sull’affidabilità delle riserve complessive di fonti fossili (petrolio e gas naturale in particolare), a fronte della notevole rilevanza che queste detengono nei consumi energetici mondiali42, e sul peso che le infrastrutture del settore (impianti, reti) possono avere sulla gestione sostenibile del territorio.
Per quanto concerne il primo aspetto, nonostante il settore energetico incida in termini di impatto su tutti i comparti ambientali, le tematiche connesse alle emissioni in atmosfera costituiscono uno degli aspetti più critici. Al settore dell'energia, che rappresenta una delle maggiori sorgenti di emissioni di inquinanti atmosferici e di gas climalteranti43, vengono, infatti, ricondotte alcune fra le più preoccupanti problematiche che affliggono il pianeta al livello globale, regionale e locale: il cambiamento climatico, l'acidificazione e la qualità dell'aria44. Esse sono in varia misura connesse alle emissioni in atmosfera di composti quali anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili diversi dal metano (COVNM), particelle sospese (PST), protossido d'azoto (N2O), metano (CH4). Queste emissioni, esclusa la parte derivante da fenomeni naturali, sono prevalentemente legate all'utilizzo di combustibili fossili quali fonti energetiche in diversi ambiti (trasporti, industria, energia, ecc.).
Per quanto riguarda il secondo aspetto occorre analizzare l’impatto del settore sulle risorse naturali in genere, ed in particolare sulle risorse che maggiormente possono essere soggette ad esaurimento. Occorre quindi considerare il consumo dei combustibili fossili, ma anche l’uso del territorio, che è una parte fondamentale del capitale complessivo investito nelle attività del comparto energetico. Sempre più, soprattutto in Paesi e Regioni caratterizzati da elevate densità abitative il territorio diviene bene prezioso oggetto di possibili usi concorrenti da parte dei cittadini. Le infrastrutture del settore energetico costituiscono uno di questi possibili utilizzi e perciò una giusta attenzione deve essere destinata alla valutazione degli impatti di tali infrastrutture sul sistema economico-ambientale nel suo complesso.

 


2.2.1 Impatti dei cicli energetici sull’uomo e sull’ambiente


2.2.1.1 I cambiamenti climatici
La terza relazione del Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (IPCC, Intergovernamental Panel on Climate Change), pubblicata nel 200145, afferma che appare ormai evidente un’influenza non trascurabile delle attività umane sul clima complessivo.
I dati disponibili indicano, infatti, in modo univoco che le concentrazioni atmosferiche di gas climalteranti, responsabili del cosiddetto "effetto-serra", sono notevolmente aumentate rispetto all'epoca preindustriale e che la temperatura media globale dei bassi strati dell'atmosfera è aumentata, rispetto alla fine del XIX secolo, di un valore medio globale di 0.6 °C, e comunque compreso fra 0.4 e 0.8°C.
Queste tendenze, se confermate nei prossimi anni, lasciano spazio ad ipotesi di aumento del livello dei mari, di maggior frequenza di piene ed inondazioni, di impatti sulle colture agricole e sulla biodiversità.
 


Figura 2: Andamento concentrazioni CO2 e temperatura

 

Fenomeni che sarebbero accompagnati da forti ripercussioni anche nel campo economico e sociale, a causa delle modifiche delle opportunità di sviluppo per i vari paesi del pianeta, soprattutto per quanto riguarda le iniziative economiche, l'occupazione e la distribuzione della ricchezza.
L'intensità di questi impatti presenta tuttora margini di incertezza. La comunità scientifica ha compiuto notevoli progressi nel chiarire i meccanismi che legano le emissioni di gas serra alle concentrazioni di queste sostanze in atmosfera. Non è stato però ancora provato in modo definitivo che l'incremento della temperatura osservato sia effetto dell'aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera.
Esiste in ogni caso un generale consenso sulla necessità e l'urgenza di politiche di riduzione delle emissioni di gas serra: le previsioni di aumento della temperatura media al 2100 variano infatti da 2 a 3.5 °C.


2.2.1.2 L'acidificazione e la qualità dell'aria
Al settore energetico, ed in particolare all'utilizzo di combustibili fossili, è in larga misura attribuibile anche il fenomeno dell'acidificazione, causa di danni all'ecosistema forestale, ai laghi, alle acque sotterranee e di superficie, ai suoli, al patrimonio artistico e culturale ed ai materiali in genere.
I principali inquinanti responsabili di fenomeni di acidificazione sono l'ammoniaca (NH3), gli ossidi di zolfo (SOx) e gli ossidi di azoto (NOx).
Mentre l'ammoniaca si origina prevalentemente da pratiche di tipo agricolo, le altre due classi di composti sono invece strettamente legate all'utilizzo di combustibili fossili, dei quali rappresentano un residuo di combustione.
Tali composti, in seguito a reazioni chimiche in atmosfera, cadono al suolo sotto forma di deposizioni acide, secondo un fenomeno comunemente noto come "piogge acide". Il loro impatto dipende dal tipo di suolo e dalla sua sensibilità a tali deposizioni e si manifesta a livello regionale.
Oltre ad essere coinvolti in fenomeni di inquinamento su grande scala, gli SOx e gli NOx sono anche fra i principali responsabili del problema dell'inquinamento atmosferico nelle aree urbane. Ad esso contribuiscono, oltre a quelli già citati, diverse classi di composti, sia per se stessi sia come precursori di altri inquinanti, tutti correlati con il settore energetico. Tra questi il monossido di carbonio (CO), i composti organici volatili diversi dal metano (COVNM), il particolato totale sospeso (PTS) di cui il PM10 rappresenta una frazione, l'ozono troposferico (O3).

 


2.2.2 Accessibilità delle risorse


2.2.2.1 Risorse energetiche non rinnovabili
Sebbene le risorse di petrolio e di gas naturale non sembrino porre serie limitazioni all’offerta di fonti fossili nei prossimi decenni, esiste tuttavia una questione di disponibilità effettiva di queste nei mercati d’utilizzo. Già in passato eventi traumatici - come le restrizioni d’offerta che si sono registrate in diverse occasioni - hanno infranto le condizioni di equilibrio e creato situazioni di tensione che hanno poi investito l’intero sistema economico . Alla luce di queste considerazioni è perciò quanto mai importante valutare in termini corretti costi e benefici delle diverse tipologie di fonti energetiche (convenzionali vs. rinnovabili)47.

 
2.2.2.2 Uso del territorio
Un altro elemento da considerare, nel valutare gli impatti del comparto dell’energia, è il “consumo” di territorio che la produzione, la distribuzione e l’utilizzo di energia comportano. Le infrastrutture utilizzate (impianti di produzione, reti di distribuzione e stoccaggio, apparecchiature di utilizzo) contribuiscono in misura variabile all’ingombro del suolo, che può avere una serie di destinazioni alternative ed agli annessi problemi di disturbo degli scenari paesaggistici (impatti visivi).
Anche in considerazione di questo aspetto è quindi opportuno analizzare i pro ed i contro dell’utilizzo delle fonti energetiche convenzionali rispetto alle fonti alternative48 (rinnovabili).
Gli elementi da valutare in tal caso sono la superficie di territorio ingombrato in relazione all’energia prodotta (per gli impianti)49 e/o all’energia distribuita/stoccata (per le reti di distribuzione o di stoccaggio) e la qualità e sensibilità dei paesaggi interessati da tali infrastrutture50. In tal senso è opportuno tener conto anche della (ir)reversibilità delle scelte relative alle tecnologie utilizzate ed alla collocazione delle infrastrutture nel territorio51.


3 Le politiche per la sostenibilità energetica


3.1 Sviluppo sostenibile e sostenibilità energetica
E' evidente, in considerazione di quanto appena esposto, che le politiche energetiche rappresentano un nodo fondamentale per il raggiungimento di quegli obiettivi di sostenibilità52 che la comunità internazionale ed i diversi Paesi ritengono di dover perseguire nel prossimo futuro.
Riguardo all’uso delle risorse energetiche, le recenti politiche ambientali adottate in ambito Europeo si possono sostanzialmente ricondurre a due processi:
• Il primo riguarda il tentativo internazionale di giungere a comuni accordi per la riduzione, in tempi e quantità definite, delle emissioni in atmosfera derivate dalla combustione delle fonti energetiche53. A questo proposito, al centro del dibattito mondiale sono state le trattative per la ratifica del Protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra, trattative giunte infine ad un accordo raggiunto con la sottoscrizione nella conferenza di Marrakech (Novembre 2001). Di minore risonanza, ma non certo di importanza secondaria, sono i progressi degli accordi internazionali per la riduzione delle emissioni acide in atmosfera che hanno trovato un momento significativo con la stesura del Protocollo di Göteborg54.
• Il secondo processo, che scaturisce in parte come risposta al primo55, riguarda, all’interno del contesto Europeo, l’introduzione di un indirizzo comune per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la diffusione di pratiche di utilizzo razionale ed efficiente dell'energia, nonché l'incentivo verso un minor consumo di combustibili ad elevato impatto ambientale56.

 


3.2 Accordi internazionali


3.2.1 Il Protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto, redatto ed approvato nel 1997, individua le prime misure per l'attuazione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti Climatici (UN-FCCC), ratificata dall'Italia nel 199457.
Esso stabilisce la riduzione di anidride carbonica (prodotta dall'impiego di combustibili fossili), del metano (derivante dalle discariche e dalla zootecnia), del protossido di azoto (derivante dalle attività agricole e dalle produzioni chimiche) e di tre composti fluorurati impiegati nell'industria ed impegna i paesi industrializzati a ridurre le proprie emissioni, entro il 2012, nella misura complessiva globale del 5.2% rispetto ai livelli del 199058. Dopo l'abbandono del protocollo da parte degli USA nel marzo 2001 ed in seguito alla posizione assunta da un gruppo di paesi, il cosiddetto "umbrella group"59, per evitare il fallimento completo delle trattative nella sezione negoziale di Bonn del luglio 2001, gli obiettivi iniziali sono stati modificati in maniera rilevante (si veda
Allegato C: Obiettivi e metodologie di abbattimento delle emissioni – il Protocollo di Kyoto). Dopo intense trattative, l’accordo sul documento di attuazione è stato finalmente sottoscritto dai 167 Paesi presenti alla conferenza mondiale sul clima, tenutasi a Marrakech (Ottobre-Novembre 2001). In tale sede l’Unione europea ha accolto alcune delle richieste di Russia, Giappone, Australia e Canada e questi Paesi da parte loro hanno accettato il documento di compromesso presentato dalla presidenza marocchina della Conferenza, salvando così di fatto i precedenti quattro anni di trattative60.
 


3.3 Politiche nell’Unione Europea


Sebbene le istituzioni europee esercitino una grande influenza nel settore dell’energia, la politica energetica dell’Unione Europea non dispone di una base giuridica riconosciuta nei Trattati. Nondimeno gli obiettivi di politica energetica verso cui convergono le politiche comunitarie e nazionali sono state già da alcuni anni chiaramente identificate nel Libro Bianco “Una politica dell’energia dell’Unione Europea”61. Con tale documento, l’Unione Europea ha definito tre obiettivi prioritari per la propria politica energetica: 1. sicurezza / diversificazione negli approvvigionamenti; 2. competitività delle fonti; 3. tutela e rispetto dell’ambiente.
Da una parte, il dibattito intorno ai cambiamenti climatici ha rafforzato l’importanza della dimensione ambientale e dello sviluppo sostenibile nella politica energetica comunitaria. Dall’altra, la volatilità dei prezzi petroliferi osservati nell’ultimo decennio ha evidenziato i rischi per l’Unione Europea della sua dipendenza energetica da altri Paesi62.
Le strategie messe in opera a scala europea riguardano le seguenti tematiche:
- sicurezza dell’approvvigionamento e dipendenza energetica;
- apertura del mercato dell’energia63;
- miglioramento dell’efficienza energetica;
- sviluppo delle fonti rinnovabili;
- integrazione degli obiettivi di riduzione dei gas serra nella politica energetica.
Tra le ultime tre politiche citate, mentre le prime due sono state perseguite fin dagli anni 70’ in seguito alle necessità imposte dalla crisi energetica, la terza è senz’altro più recente; nondimeno il problema del cambiamento climatico ha contribuito a dare al risparmio (efficienza negli usi finali) energetico ed allo sviluppo delle fonti rinnovabili una nuova collocazione nel contesto delle politiche energetiche generali. Infatti alle ragioni della sicurezza dell’approvvigionamento e della (minor) dipendenza dall’estero si è aggiunta una forte motivazione di carattere ambientale che rende sempre più imprescindibili queste misure volte a ridurre i consumi e/o le emissioni, variando la natura delle tecnologie utilizzate64.
Prima di passare ad analizzare in dettaglio le tre suddette tematiche (partendo proprio dalle misure volte alla riduzione dei gas serra) è opportuno altresì ricordare che le politiche della Comunità Europea nel settore energetico a partire dagli anni novanta, spingono gli stati membri ad un decentramento delle responsabilità in materia energetico-ambientale65. La Comunità Europea sempre più intende coinvolgere, al di là di quelle che sono le volontà di decentramento all’interno dei singoli stati membri, le autorità regionali e locali nei processi di governo delle politiche energetiche a livello comunitario66, attraverso la creazione di reti di autorità locali che possano dialogare con le istituzioni europee. In tal senso numerosi sono stati e sono i programmi creati in ambito comunitario, mediante significativi contributi finanziari, per favorire una responsabilizzazione degli enti locali come attori delle politiche energetico-ambientali67. Le regioni e gli enti locali divengono pertanto attori istituzionali che sono chiamati a svolgere un ruolo essenziale in tutte le politiche energetiche di seguito introdotte.

 


3.3.1 L’integrazione degli obiettivi di riduzione dei gas serra nella politica energetica europea


Nel contesto del dibattito avviato dalle trattative per il Protocollo di Kyoto, la Commissione Europea ha adottato una serie di misure volte a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra:
- Direttiva 99/296/CE, che modifica la Decisione 93/389/CE, che stabilisce un meccanismo di sorveglianza delle emissioni dei gas serra ;
- “Libro verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all’interno dell’Unione Europea” (COM 2000 – 87) concernente uno dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto69;
- Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento Europeo: “Verso un programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP)”, che descrive le politiche e le misure dell’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra (COM 2000 – 88);
- Misure fiscali destinate alla protezione dell’ambiente. La proposta di Carbon Tax (COM 92 – 226 e COM 95 – 172) ed i tentativi di armonizzazione delle accise sui prodotti energetici sono sfociati nella Direttiva 97/3070, che punta all’armonizzazione e all’avvicinamento delle accise sugli oli minerali71;
- Proposta di direttiva per lo scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra nella Comunità (al Consiglio ed al Parlamento Europeo il 29 ottobre 2001);
- Ratificato il Protocollo di Kyoto con decisione comunitaria n°6871 del 4 Marzo 2002.



3.3.2 Efficienza energetica


Per quanto concerne l’efficienza energetica, l’Unione Europea ha avviato una serie di programmi (SAVE, SAVE II) e di proposte legislative (tra le quali le recenti proposte di direttive in materia di cogenerazione72 e di efficienza energetica negli edifici73) volte a favorire le iniziative (ed a rimuovere gli ostacoli all’investimento) in questo campo74. Sono stati altresì individuate le azione prioritarie da portare a compimento75.

 


3.3.3 Sviluppo fonti di energia rinnovabili


A livello europeo, un nodo importante nella discussione sulle fonti energetiche alternative è rappresentato dal "Libro Bianco sulle energie rinnovabili"76, pubblicato dalla Commissione nel maggio 1998. Tale documento sottolinea l'importanza strategica per i paesi dell'Unione delle fonti energetiche rinnovabili. Esse, in quanto fonti interne, possono contribuire a ridurre la sempre crescente dipendenza dell'UE dalle importazioni e ad aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti; inoltre, possono rappresentare nuovi sbocchi commerciali legati al fabbisogno energetico dei paesi emergenti. La Commissione ripropone l'obiettivo fissato dal precedente Libro Verde77: il raddoppio (dal 6 al 12%)78 del contributo delle fonti rinnovabili al consumo interno lordo di energia entro il 2010.
Oltre ai documenti di politica energetica (Libro Bianco della Comunità Europea sulle fonti rinnovabili e Green Paper79 sulla sicurezza dell’approvvigionamento) che indicano obiettivi di lungo periodo ed ai programmi pluriennali per promuovere le fonti energetiche nella comunità80, nel corso del 2001 nell’Unione Europea è stata introdotta una direttiva specifica che fissa obiettivi quantitativi di sviluppo per le fonti rinnovabili81.
In base ai contenuti nella Direttiva, i Paesi membri possono adottare meccanismi diversi a sostegno delle produzioni di energia dalle fonti rinnovabili, tra cui gli aiuti agli investimenti, esenzioni e riduzioni fiscali, restituzioni di imposta e compensazioni dirette, sul presupposto che il sostegno pubblico possa, nel lungo periodo, renderle competitive rispetto a quelle prodotte con fonti convenzionali.
La Direttiva non suggerisce l'adozione di particolari meccanismi di incentivazione dell'energia da fonti rinnovabili ma prende atto della necessità degli stessi e si pone, come fine ultimo, di monitorarne l'efficacia in modo da, in futuro, armonizzare il sostegno alle fonti rinnovabili in ambito comunitario. La Direttiva è tesa a realizzare nei Paesi membri un modello di accesso al mercato per le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di elettricità, affinché gli stessi possano svolgere un ruolo importante nella produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, migliorando, peraltro, gli sbocchi occupazionali per le aziende del settore.
Tra le fonti rinnovabili non devono essere dimenticati i biocombustibili, in rapporto ai quali recentemente a livello comunitario sono scaturite due proposte82 di direttive per la promozione dell’utilizzo nei trasporti83.

 

3.4 Politiche in Italia


Anche In Italia, nel corso dell’ultimo decennio, si assiste al sorgere di politiche e programmi orientati verso gli obiettivi di sostenibilità definiti a livello di Unione Europea.
Il Piano Energetico Nazionale (PEN, 1988) è il primo documento in cui si possono rinvenire gli obiettivi tuttora ritenuti prioritari in ambito energetico84:
- promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio energetico;
- sviluppo progressivo di fonti di energia rinnovabile.
Il PEN fissa gli obiettivi di introduzione delle fonti rinnovabili, suggerendo l’adozione da parte di tutte le Regioni di Piani d’Azione per la promozione e l’utilizzo di tali fonti sul proprio territorio.
Successivamente la legge n°9/9185 introduce un regime favorevole alla produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili ed assimilate86.
Con il provvedimento n° 6/92, detto anche “CIP 6”, il Comitato Interministeriale Prezzi fissa il termine per la concessione degli incentivi in otto anni dall’entrata in funzione dell’impianto87,88.
La Legge n°10/9189 prescrive l’emanazione di tutta una serie di norme (molte delle quali rimaste non applicate90) in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili91.
Diretta continuazione delle agevolazioni contemplate nella Legge n°10/91 possono essere considerati i benefici fiscali previsti dalla Legge n° 449/97 (che contiene misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), prorogati o ampliati dalle successive leggi finanziarie (n° 448 del 23 Dicembre 1998, n° 488 del 23 Dicembre 1999 e n° 388 del 23 Dicembre 2000)92.
Un’altra misura fiscale che il governo italiano decide di adottare, seguendo l’esempio dei Paesi Scandinavi e dell’Olanda, in collegato con la legge finanziaria n° 488 del 1999, è la Carbon Tax, un’imposta che grava sui combustibili fossili93. La tassazione sull'anidride carbonica viene introdotta al fine di ridurre le emissioni in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto94.
In direzione di una maggiore efficienza del settore energetico nel suo complesso si muove il Decreto Legislativo n°79/9995, che pone le basi per l’effettiva liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica96.
Con il decreto si intende promuovere anche un più ampio contributo delle fonti rinnovabili (già oggetto di altre iniziative in cui vengono gettate le basi per una più forte valorizzazione delle stesse all’interno del quadro energetico globale97) per il soddisfacimento del fabbisogno di elettricità, attraverso l’emanazione delle seguenti principali misure98:
• assicurare la precedenza nel dispacciamento all’elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili;
• obbligare, a decorrere dal 2001, le imprese che producono o importano elettricità da fonti non rinnovabili a immettere in rete, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti nuovi o ripotenziati alimentati da fonti di energia rinnovabili ed entrati in esercizio dopo l’ 1 aprile 199999 (si tratta del cosiddetto meccanismo dei Certificati Verdi100);
• dare la priorità all’uso delle fonti di energia rinnovabili nelle piccole reti isolate;
 

Tabella 3: produzione lorda di elettricità da rinnovabili (situazione e previsioni di sviluppo)101

 

  Situazione 1997 Situazione 2000 Prev. 2002 LB Prev. 2010 LB

Tecnologia

MWe TWh MWe TWh MWe TWh MWe TWh

Idro > 10 MW

13.942 33,47 14.445 36,10 14.300 34,32 15.000 36,0

Idro < 10 MW

2.187 8,12 2.200 8,10 2.400 8,88 3.000 11,1

Geotermia

559 3,90 626 4,70 650 4,78 800 5,9

Eolico

119 0,12 681 1,20 700 1,40 2.500 5,0

Solare

16 0,01 16 0,01 25 0,03 300 0,3

Biomasse. biogas e rifiuti

281 0,82 685 1,90 730 4,03 3.100 17,8

Totale

17.104 46,44 18,653 52,01 18.805 53,44 24.700 76,1

 

Recentemente, dopo la definizione di altre misure volte alla sostenibilità energetica (ed in particolare all’efficienza negli usi finali102), si assiste ad una forte accelerazione delle politiche in seguito alla ratifica del protocollo di Kyoto da parte del parlamento. La legge di ratifica (L. 120/2002), insieme allo schema di delibera CIPE (Ottobre 2002, per la “Revisione delle linee guida politiche e delle misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”) ed al disegno di legge per “la riforma ed il riordino del settore energetico103”) recentemente presentato al parlamento impostano il nuovo quadro delle politiche energetiche italiane.
In particolare, laddove lo schema di delibera stabilisce un obiettivo di livello massimo di emissioni (di CO2, per il periodo 2008-2012) per l’industria energetica104, il ddl impone (al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive ed il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge) di provvedere ad individuare, per il periodo 2003-2010, soglie decrescenti nel tempo di emissione specifica di anidride carbonica, consentite ai soggetti produttori105. In tal modo si viene a determinare indirettamente dal lato dell’offerta una spinta ad aumentare il ricorso alle energie rinnovabili e ad impostare programmi per l’efficienza energetica (nella produzione). Questa spinta si aggiunge alla misura diretta (prevista dall’art. 22 del ddl) di incremento della quota obbligatoria di energia elettrica da fonti rinnovabili (aumento progressivo annuale del 0,35%)106.
È opportuno infine ricordare che anche in Italia si è assistito negli ultimi anni ad un processo di decentramento dell’autorità in materia energetica107. Il Decreto Legislativo 112/98 di attuazione della Legge 59/97 imprime una significativa modifica al modello ordinamentale complessivo delle competenze dello Stato italiano. Esso prevede la conservazione allo Stato delle funzioni di definizione degli obiettivi e delle linee di politica energetica nazionale e dei relativi atti di indirizzo e coordinamento per la programmazione108. Alle Regioni ed ai Comuni109 sono delegate le funzioni amministrative in tema di energia, che non siano riservate specificatamente allo Stato110.
In seguito al decentramento di funzioni verso le autorità periferiche (in materia di energia, ambiente e supporto alle imprese), sono altresì individuate le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle Regioni e agli Enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi111, spostamento inteso a garantire concretamente i mezzi necessari per attuare interventi nei settori di cui gli enti hanno acquisito nuova responsabilità politica. In seguito a questi trasferimenti, in questi ultimi anni si sta assistendo a numerose iniziative volte a promuovere programmi a livello regionale e locale (es. finanziamento ai programmi regionali sulla carbon tax, programmi per l’utilizzo di fonti rinnovabili, decreti per l’adozione di interventi per l’efficienza energetica).
In seguito la legge costituzionale n. 3/2001, recante modifiche al titolo V della parte II della costituzione, ha innovato l’assetto delle competenze tra centro e periferia, inserendo, tra le altre, anche “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” tra le materie a legislazione concorrente112 (tra Stato e Regioni).
Più recentemente l’art. 6 del DDL Energia (per “la riforma ed il riordino del settore energetico”) si impegna a delimitare le funzioni amministrative statali113, generali e specifiche per i settori elettrico114 e del gas.



3.5 Fonti rinnovabili e sviluppo sostenibile


Come si può evincere dall’analisi fin qui condotta sulle politiche volte alla sostenibilità energetica, le fonti rinnovabili occupano un ruolo fondamentale nel quadro delineato. Esse costituiscono uno strumento importante (unico sul lato dell’offerta di fonti endogene, secondo il Libro Verde UE115) per coniugare i diversi obiettivi oramai accettati e condivisi all’interno dell’Unione Europea e degli Stati Membri: aumento della sicurezza degli approvvigionamenti, diminuzione della dipendenza da paesi stranieri, protezione e salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili diviene pertanto fondamentale116 nella ricerca di modelli di sviluppo energetico compatibili con i discorsi di sviluppo sostenibile.
Conseguentemente devono essere pensate opportune misure per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di un nuovo settore, ostacoli che presentano risvolti non solo tecnologici, ma anche socio-economici ed ambientali.
Le energie rinnovabili si fondano su impianti piccoli, diffusi e non riescono, quindi, in riferimento alle taglie unitarie tipiche di impianto, a generare le forti economie di scala che si ottengono mediante le tecnologie tradizionali117. Per questo motivo gli elevati investimenti in conto capitale esigono necessariamente la certezza di flussi in entrata stabili e più elevati, ovvero di durata maggiore, rispetto alle tecnologie convenzionali.
Alla luce di questa situazione di svantaggio è estremamente importante che le fonti rinnovabili possano godere di un quadro (economico) di supporto allo sviluppo che assicuri ad esse la possibilità di competere con le fonti tradizionali attraverso progetti attrattivi e finanziariamente praticabili. Inoltre, per le citate peculiarità in termini di tipologia e taglia di impianto, di condizioni di funzionamento e di diffusione sul territorio, esse abbisognano di particolare attenzione nell’ambito delle politiche di governo del mercato dell’energia, di accesso alle reti (e al servizio di dispacciamento118) e di meccanismi autorizzativi.
Ai vincoli considerati finora, che si ricollegano in parte anche alla complessità tipica dell’evoluzione di nuovi cicli tecnologici, se ne affiancano altri, di natura “socio-ambientale” connessi agli interessi che potrebbero essere coinvolti dai cambiamenti: gli interessi economici delle imprese attive nei settori delle energie convenzionali e degli addetti che lavorano in questi settori, gli interessi (economici e non119) di residenti e non residenti per le aree territoriali (e per le risorse ambientali in esse comprese) che potrebbero essere sede di futuri impianti a fonte rinnovabile.
In un quadro di questo tipo ci si trova quindi di fronte ad una situazione di competizione (ma anche cooperazione120) tra più attori (imprese, sistemi paese, entità territoriali) e su più fronti:

■ nella capacità di sfruttamento delle risorse (tecnologie di utilizzo delle fonti convenzionali e non convenzionali, risorse finanziarie);
■  nella capacità di utilizzo dell’ambiente e del territorio in tutte le sue funzioni (tecniche di pianificazione/zonizzazione, tecniche/criteri di valutazione delle alternative di utilizzo, tecnologie di “costruzione”);
■  nella capacità di uso efficiente delle risorse.

Il quadro è oltretutto reso ancor più complicato dalla presenza di elementi quali regimi di monopolio in taluni Paesi, sussidi ad energie mature ed altre barriere all’entrata121 di nuove opzioni, diversa maturità dei cicli tecnologici delle varie fonti, esternalità, asimmetrie informative122.
Il quadro di supporto deve pertanto prendere in considerazione tutte le possibili barriere allo sviluppo delle fonti rinnovabili, ed impostare una politica unitaria e coordinata per attuare una serie di interventi riconducibili ad alcune categorie comuni:
- Politici: creazione e definizione delle motivazioni per il supporto alle iniziative necessarie allo sviluppo delle fonti rinnovabili;
- Tecnologici: impulso alle fasi di ricerca, sviluppo e dimostrazione della fattibilità;
- Legislativi: creazione di un quadro giuridico e di legislazioni appropriati, a livello Europeo e nazionale, che supportino lo sviluppo delle fonti rinnovabili;
- Finanziari e/o fiscali: definizione di schemi di finanziamento utili al conseguimento di benefici monetari a lungo termine, ovvero introduzione di correzioni al sistema fiscale per tenere conto delle diseconomie (esternalità ambientali) legate all’utilizzo delle fonti convenzionali;
- Regolamentari/Amministrativi: semplificazione dell’accesso dell’output (energia elettrica, calore) da fonti rinnovabili alle infrastrutture (reti) esistenti e all’utente finale; attuazione delle procedure a livello regionale e locale per il supporto operativo ai progetti inerenti le fonti rinnovabili (nel rispetto degli interessi locali legittimi);
- Informativi: creazione di consapevolezza della potenzialità delle fonti rinnovabili (ad esempio in termini di ricadute positive sull’occupazione).


Bibliografia


Documentazione:
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→ Barra L., Pirazzi L., Arena A., Energia eolica. Aspetti tecnici, ambientali e socio-economici, ed. ENEA, 2000
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→ ENEA, Rapporto Energia e Ambiente, 2001.
→ Faber T. et al., Promotion strategies for electricity from renewable energy sources in EU countries, edited by Haas R., Joint Report by the cluster “Green Electricity” co-financed under the 5th framework programme of the European Commission, 2000.
→ Faucheux, S.; O’Connor, M.; Van der Straaten, J., Sustainable Development: Concepts, Rationalities and Strategies, Kluwer Academic Publishers, The Netherlands, 1998
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→ Kyoto Club, “L’industria italiana di tecnologie per le fonti rinnovabili di energia: posizionamento tecnologico e di mercato, prospettive di politiche di incentivazione mirate – Parte I, Cap. 2, Analisi critica degli scenari di crescita delle fonti rinnovabili”, Settembre 2002.
→ Larrue C., The political (Un)feasibility of Environmental Economic Instruments, in Dente B. “Environmental Policy in search of New Instruments”, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 1995.
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→ Pearce D.W., Markandya A., Barbier E., Progetto per un'economia verde, Il Mulino, Bologna, 1991.
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→ Wolsink M., Institutional Capacity for Spatial Implementation of Renewable Energy, AME - Department of Geography and Planning, University of Amsterdam, 2001.
→ OECD/IEA, World Energy Outlook 2002.


Legislazione italiana in materia di fonti rinnovabili:
- Legge 9/91.
- Legge 10/91.
- Decreto lgs 504/95.
- Provvedimento Cip 6/92.
- Decreti Minindustria 19 luglio 1996 e 24 febbraio 1997.
- Legge 448/98, art. 8, comma 10, lett.f.
- Delibera Cipe 19 novembre 1998.
- Delibera Cipe 6 agosto 1999.
- Decreto legislativo 79/99.
- Decreto MICA 11 novembre 1999.
- Legge 133/99, art. 10, comma 5.
- Legge 133/99, art. 10, comma 7.
- Delibera autorità 224/00.
- Decreto legislativo 164/00.
- Legge 342/00, art. 60, comma 1.
- Decreto MINAMB 20 luglio 2000.
- Programma comune polarizzato.
- Programmi MINAMB-Regione Lombardia.
- Programma MINAMB per grandi comuni.
- Programma MINAMB tetti fotovoltaici.
- Legge finanziaria 2001, art. 109.
- Legge finanziaria 2001, art. 110.
- Legge finanziaria 2001, art. 111.
- Legge finanziaria 2001, art. 21.
- Legge finanziaria 2001, art. 22.
- Legge finanziaria 2001, art. 27.
- Legge finanziaria 2001, art. 29.
- Decreti ministeriali 24 aprile 2001.
 

Siti Internet
→  http://www.un.org/esa/sustdev
→  http://www.oecd.org/env/index.htm
→  http://esl.jrc.it/envind/
→  http://europa.eu.int/comm/energy/ index_en.html
→  http://europa.eu.int/comm/energy_transport/atlas/htmlu/windrtdf.html
→  http://www.bmu.de/english/fset1024.php
→  http://gp.fmg.uva.nl/ame/research/institutions/windpower.html



4 ALLEGATI


4.1 Allegato A: Il vertice di Johannesburg 2002
Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo sostenibile tenutosi a Johannesburg ha visto l’approvazione di un piano di attuazione sullo sviluppo sostenibile, composto da 10 capitoli e da 148 paragrafi.
Di seguito sono indicati i principali contenuti del Piano.


PRINCIPI
• Conferma del principio 15 della Dichiarazione di Rio: Approccio precauzionale
• Conferma del principio 7 della Dichiarazione di Rio: Responsabilità comuni ma differenziate tra Paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo


OBIETTIVI E SCADENZE
Diritti umani - Promozione e rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che assumono il ruolo di criterio essenziale nelle strategie per la riduzione della povertà, la protezione della salute, la conservazione e gestione delle risorse naturali.
Promozione dell'accesso delle donne, sulla base di un principio di uguaglianza, a tutti i processi decisionali, ed eliminazione delle forme di discriminazione e violenza contro le donne.
Impegno ad adottare misure immediate ed efficaci per eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, ed adottare strategie per l'eliminazione di tutte le forme di lavoro minorile contrarie agli standard internazionali.
Riconoscimento degli standard e dei principi stabiliti dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) per la protezione dei diritti dei lavoratori.
Lotta alla povertà - Conferma dell'obiettivo della "Dichiarazione del Millennio" di dimezzare entro il 2015 il numero di persone con un reddito inferiore ad 1 US $.
Protezione della salute - Promozione e rafforzamento dei programmi e delle misure per assicurare la diffusione e l'accesso ai servizi di assistenza sanitaria di base.
Riduzione di due terzi, entro il 2015 rispetto ai dati del 2000, la mortalità infantile al disotto di 5 anni.
Ridurre di tre quarti, entro il 2015 rispetto ai dati del 2000, la mortalità da parto. Ridurre del 25% entro il 2005 nei paesi maggiormente colpiti ed entro il 2010 globalmente, il numero dei malati di AIDS di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Eliminazione del piombo dalle benzine, dalle vernici e da tutte le possibili sorgenti di contaminazione, per prevenire le malattie connesse all'inquinamento da piombo.
Acqua potabile - Dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno accesso all'acqua potabile e purificata.
Adottare entro il 2005 i piani per la gestione integrata ed efficiente delle risorse idriche;
Sostanze chimiche - Impegno per l'entrata in vigore, entro il 2004, della Convenzione delle Nazioni Unite per l'eliminazione delle sostanze organiche persistenti (POPs) e in particolare per l'eliminazione dei pesticidi.
Perseguire l'obiettivo di eliminare le produzioni e gli usi delle altre sostanze chimiche pericolose per l'ambiente e per la salute entro il 2020 (minimizzare gli impatti).
Biodiversità - riduzione significativa della perdita di biodiversità entro il 2010.
Protezione degli oceani e pesca - Promozione della applicazione dell'"approccio ecosistemico" per la protezione della biodiversità marina.
Adottare le strategie e le misure necessarie per la generalizzare le pratiche della pesca sostenibile entro il 2012.
Avviare dal 2004 una regolare attività di monitoraggio e valutazione dello stato dell'ambiente marino.
Energia - Aumento significativo della quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e promozione delle tecnologie a basso impatto ambientale.
Progressiva eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili che hanno effetti negativi sull'ambiente.
Monitoraggio e coordinamento delle iniziative per la promozione delle fonti rinnovabili.
Impegno volontario dei paesi dell'Unione Europea, e di altri paesi, per aumentare la quota di energia rinnovabile nella produzione mondiale di energia.
Cambiamenti Climatici - Conferma degli obiettivi della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, e in particolare della stabilizzazione, a livelli non pericolosi per l'equilibrio del clima, della concentrazione in atmosfera di anidride carbonica e degli altri gas-serra.
Appello ai paesi che non hanno ancora ratificato il Protocollo di Kyoto, per la ratifica in tempi brevi.


MODELLI SOSTENIBILI DI PRODUZIONE E CONSUMO
• Promuovere lo sviluppo di programmi quadro decennali per la realizzazione di iniziative finalizzate alla modificazione dei modelli di consumo e di produzione non sostenibili;
• Individuare politiche, misure e meccanismi finanziari per sostenere i modelli di consumo e produzione sostenibili;
• Promuovere e diffondere procedure di valutazione di impatto ambientale e di "ciclo di vita" dei prodotti, anche al fine di incentivare quelli più favorevoli per l'ambiente.


FINANZIAMENTI
• Istituzione di un fondo mondiale per la solidarietà a carattere volontario.
• Conferma degli obiettivi sull'Aiuto pubblico allo sviluppo (ODA) concordati a Monterrey.
• Riduzione del debito dei paesi in via di sviluppo attraverso la cancellazione o alleggerimento (debt relief e debt cancellation) e rafforzamento dell'iniziativa a favore dei paesi poveri fortemente indebitati (heavily indebited poor countries - HIPC).
• Utilizzo dei "debt swaps" per riconvertire il debito in attività a sostegno dello sviluppo sostenibile.
• Conferma dell'impegno per il rifinanziamento della Global Environmental Facility, e impegno volontario integrativo dell'Unione Europea per un ulteriore finanziamento di 80 milioni di Euro.


COMMERCIO
• Avvio della riforma del sistema dei sussidi al commercio internazionale, che hanno effetti negativi sull'ambiente, ovvero riduzione delle facilitazioni commerciali per i prodotti che non favoriscono lo sviluppo sostenibile.
• Coordinamento tra Organizzazione Mondiale del Commercio e Accordi Ambientali Multilaterali per favorire la promozione nei mercati internazionali dei processi e dei prodotti "sostenibili".

GOVERNANCE
• Assicurare la promozione della trasparenza e dell'efficienza delle forme di governo e della gestione delle risorse, anche attraverso la realizzazione di infrastrutture per l'accesso alla informazione (E-government)
• Adozione delle strategie nazionali per l'attuazione dell'Agenda 21, entro il 2005.


PARTNERSHIPS (progetti in cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, con la partecipazione di imprese private, istituti finanziari, associazioni non governative, agenzie delle Nazioni Unite)
• Avvio dei progetti inseriti nella lista accettata dalle Nazioni Unite, e monitoraggio sulla loro attuazione.
• I 562 progetti ammessi fanno riferimento a 12 aree di intervento:
o Riduzione della povertà;
o Promozione di modelli sostenibili di produzione e consumo;
o Conservazione e gestione delle risorse naturali e della biodiversità;
o Promozione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica;
o Purificazione delle acque e gestione intergrata del ciclo idrico;
o Protezione ed estensione delle foreste;
o Governance in un sistema globalizzato;
o Promozione della salute;
o Sviluppo sostenibile nelle piccole isole;
o Sviluppo sostenibile nell'Africa;
o Trasferimento ai paesi in via di sviluppo di competenze e tecnologie innovative per consolidare le capacità di gestione e governo delle risorse;
o Supporto alla realizzazione di modelli di commercio compatibili con le Convenzioni e i Protocolli internazionali.

Le risorse finanziarie messe a disposizione per l'avvio dei progetti ammontano a circa 1500 milioni di Euro. I progetti sono predisposti in modo tale da rappresentare un volano per un "ciclo" di investimenti aggiuntivi.



4.2 Allegato B: Sviluppo Sostenibile nell’Unione Europea e negli Stati Membri


I. Evoluzione delle politiche di sviluppo sostenibile nell’Unione Europea
Benché il concetto di sostenibilità venga citato anche nel Trattato di Maastricht (febbraio 1992: promuovere "una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente") e nel Quinto Programma d’Azione Ambientale123, all’interno dell’Unione Europea si comincia a parlare più a fondo di sviluppo sostenibile nel corso delle negoziazioni che portano alla firma del Trattato di Amsterdam (1997)124, nel quale l’obiettivo dello sviluppo sostenibile viene a collocarsi tra le leggi fondamentali dell’Unione. Successivamente, in seguito ad un iniziativa svedese, nel corso di un summit in Lussemburgo (’97) i capi degli Stati Membri stabiliscono che la Commissione dovrà elaborare una strategia per attuare concretamente i propositi individuati in tema di sviluppo sostenibile. Le fondamenta della strategia vengono posate nel corso del summit dell’Unione Europea di Cardiff (’98), in cui è deciso che ogni Consiglio dei Ministri sarà responsabile per la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile nel proprio campo d’azione125.
Una valutazione e revisione completa del lavoro effettuato nei diversi settori viene poi condotta durante il summit di Helsinki (’99), in cui i Consigli dei Ministri126 presentano una prima relazione sugli obiettivi di carattere ambientale considerati prioritari nei rispettivi settori. Durante questo incontro viene inoltre sollecitata la stesura di una strategia dell’Unione sullo sviluppo sostenibile, che la Commissione prepara e presenta infine nel corso del Consiglio Europeo di Goteborg (Giugno 2001). La strategia, adottata nel corso del summit, oltre a proporre una serie di intenzioni e raccomandazioni, prevede obiettivi e linee d’azione in ambiti particolarmente significativi (cambiamento climatico, salute pubblica, risorse naturali, sistemi di trasporto e gestione del territorio) e introduce un processo di attuazione e contestuale revisione delle azioni. Questo processo127 si fonda su una relazione annuale di sintesi (Synthesis Report) dei progressi compiuti, analizzati in base ad una serie di indicatori di performance individuati ed anche in relazione allo stato di integrazione128 delle tematiche ambientali nei diversi settori d’azione che, da Cardiff in poi, procede in parallelo e a supporto delle politiche per lo sviluppo sostenibile.
Questo impianto strategico, ancora poco consolidato, e poco chiaro nei principi d’attuazione, nasce con l’obiettivo di contribuire a stimolare una serie di attività a livello operativo (programmi, direttive) e agevolare gli Stati Membri ad adottare a loro volta indirizzi chiari, realizzabili e verificabili in tema di sviluppo sostenibile.


II. Approccio dei diversi Stati Membri
La carenza di progressi concreti nelle sedi comunitarie ha aperto ampi spazi in Europa alle autonome iniziative degli Stati e dei movimenti di opinione. A partire dalla metà degli anni ’90, nella maggior parte degli Stati dell’Unione sono stati predisposti piani o avviate politiche di sviluppo sostenibile, con percorsi diversi ma anche con significative convergenze. Alcuni governi hanno adottato veri e propri piani; altri, pur in assenza di un documento formale, hanno avviato impegnativi percorsi istituzionali. In generale, qualunque sia la strada scelta, i paesi più attivi risultano quelli del Centro-Nord; più indietro i paesi mediterranei.
Ad una valutazione di massima, le singole iniziative riflettono, oltre al diverso grado di adesione agli indirizzi di sviluppo sostenibile, le caratteristiche, i punti di forza e le carenze dei sistemi nazionali, più che gli orientamenti delle maggioranze parlamentari. Molto pragmatico l’approccio seguito dai paesi del Centro-Nord, con differenziazioni legate alle diverse culture politiche nazionali. Così, se in Gran Bretagna si privilegia l’esperimento di una "finanziaria verde" puntando soprattutto alla concretezza delle misure fiscali di tipo ecologico, in Olanda e nei paesi scandinavi si enfatizzano obiettivi ecologici di forte caratterizzazione etica, come lo "Spazio ambientale". In Germania ed Austria vengono prefigurati cambiamenti strutturali di lungo periodo, come l’obiettivo del Fattore 10 nel processo di dematerializzazione. La Germania in particolare è il paese in cui il dibattito appare più elevato e approfondito, con una notevole produzione di testi scientifici e divulgativi che rappresentano gran parte della bibliografia internazionale in materia. Da segnalare anche il diretto impegno del Parlamento federale nell’elaborazione degli indirizzi di sostenibilità, tradotti poi dal Governo in programmi operativi.
Grande interesse rivestono le questioni relative alla qualità dei processi istituzionali attivati e all’acquisizione del consenso. In molti casi sono state avviate azioni importanti di studio e confronto che hanno coinvolto le istituzioni, le organizzazioni scientifiche, i portatori d’interessi. In Olanda ci si è impegnati molto nel promuovere sinergie tra i diversi attori, dalle ONG che hanno avuto un ruolo di spinta, alle imprese, con le quali il governo ha definito più di cento accordi volontari; il metodo scelto è di fissare obiettivi a lunga scadenza, lasciando alle imprese la libertà di scegliere le strategie più opportune. Questi processi ampi di confronto e di costruzione del consenso presentano in genere una potenzialità positiva per le future realizzazioni, che deve essere però tradotta in pratica al di là degli specifici documenti di piano.
Lo stesso vale per il rapporto tra tali documenti e la concreta attività di governo. In Gran Bretagna la formalizzazione del piano, molto recente (1999), è stata contestuale all’avvio di una riforma fiscale in senso ecologico. In Danimarca, Svezia e Finlandia i documenti di sviluppo sostenibile s’inseriscono in una tradizione consolidata di programmazione e costituiscono perciò di fatto, più che elementi di svolta e novità, un potenziamento e una migliore finalizzazione delle politiche e degli strumenti esistenti. In Belgio è stato adottato un piano formale, istituendo le strutture per la progettazione di esso e per la consultazione sistematica degli attori sociali; inoltre sono state avviate iniziative rilevanti di politica dei prodotti – con l’impegno prioritario dell’amministrazione pubblica -, di estensione della tassazione ambientale, di incentivi per la diffusione di tecnologie pulite. Per questi paesi, dunque, e in genere per tutti quelli del Centro-Nord, la consistenza e la durata nel tempo delle azioni intraprese contano più del testo formale del piano. Altra caratteristica da mettere in rilievo è il ruolo attivo esercitato dagli enti locali.
Per quanto riguarda il Centro-Sud, decisamente indietro la Grecia e il Portogallo (e in parte anche la Spagna). Questi ultimi paesi presentano peraltro qualche ritardo anche nel processo di istituzionalizzazione delle tradizionali politiche ambientali. La Francia ha predisposto un documento d’intenti di carattere molto generale. Per i paesi meno attrezzati pesano comunque, più che i ritardi, anche la debolezza dei contesti nazionali – istituzionali e sociali – rispetto ai cambiamenti richiesti dagli orientamenti di sviluppo sostenibile. Sicché, anche nei pochi casi di positiva iniziativa, si avvertono rischi di astrattezza o di forzature di tipo illuministico che ne compromettono l’efficacia. Il problema di definire procedure precise da applicare ai processi decisionali, per integrare nelle politiche di governo gli obiettivi di sostenibilità, si pone con particolare urgenza per questa fascia di paesi, di cui l’Italia fa oggettivamente parte.


Tabella 4: Strategie di Sviluppo Sostenibile nei Paesi dell'Unione Europea
 

Stato

Adozione piano strategico

Principali contenuti del Piano

Valutazione linee d'attuazione

Austria

Piano sviluppato (2002)

 

 

Belgio

Piano federale (per periodo 2000-

2004) adottato nel 200

Tre dimensioni dello SS: economico, sociale,

ambientale + sette temi tratti da Agenda 21 (di cui 6 a

carattere ambientale)

Struttura d'attuazione debole; limitata integrazione

delle tre dimensioni

Danimarca

Strategia adottata (2001); piano

in fase di revisione

Focus su: crescita economica e tutela dell'ambiente

attraverso analisi costo-efficacia

Particolare attenzione i meccanismi di

coordinamento delle politiche settoriali

Finlandia

Programma sviluppato e adottato

(1998). Valutazione

dell'attuazione in corso

Obiettivi breve e lungo termine, linee guida per azioni in

sei settori. Tre dimensioni valutate, enfasi soprattutto su

aspetti ecologici

-

Francia

Strategia nazionale definita

(gennaio 2002)

Tre dimensioni dello SS: economico, sociale,

ambientale

Assenza target specifici

Germania

Strategia nazionale definita

(aprile 2002; prima versione

dicembre 2001)

I tre elementi dello SS sono integrati in quattro azioni

chiave.

Temi principali energia e cambiamento climatico,

mobilità, agricoltura, cibo, protezione dei consumatori.

Approfondita analisi dello stato ambientale

Mancanza di strumenti politici forti, della

dimensione internazionale e della considerazione

degli aspetti di efficienza

Grecia

Piano non disponibile

-

-

Italia

Strategia adottata (agosto 2002)

Programma ambientale in linea con il 6° Programma

azione europeo. Dimensione ambientale da integrare

nelle politiche economiche e finanziarie

Indicatori, obiettivi e scadenze.

Possibile debolezza dell'impatto politico effettivo

Irlanda

Strategia definita (1997)

Tre dimensioni valutate, enfasi soprattutto su aspetti

ecologici

Approfondita analisi obiettivi

Mancanza scadenze, impegni concreti e

integrazione con altri documenti di politica

Olanda

Strategia esplorativa definita

(dicembre 2001), revisione in

corso attraverso consultazione

da parte del governo

Tre dimensioni valutate, numero ristretto di tematiche

selezionate: biodiversità, clima (energia e mobilità),

 popolazione, gestione delle risorse idriche, economia

della conoscenza

Approfondita analisi delle necessità di superare

attuali modelli di sviluppo.

Mancanza di concrete proposte di azione

Portogallo

Piano non disponibila

-

-

Spagna

Strategia definita (agosto 2002)

Dimensioni economiche e sociali incluse, ambientale no

(nella bozza valutata)

-

Svezia

Piano d'azione definito (1997),

revisione per Johannesburg

Piano focalizzato su dimensione ambientale, revisione

anche su dimensioni economica e sociale

-

Regno Unito

Strategia definita (maggio 1999)

Piano focalizzato su dimensione ambientale, revisione

in corso per comprendere dimensione economica e

sociale

Sviluppo indicatori per misurazione progressi,

 integrazione SS in obiettivi settoriali

Ricorso a strumenti esistenti, poche nuove azioni

 

 

4.3 Allegato C: Obiettivi e metodologie di abbattimento delle emissioni – il Protocollo di Kyoto


Tabella 5: Obiettivi del Protocollo di Kyoto per i diversi Stati – Emissioni di CO2
 

Stati

Obiettivi129

(percentuale del

periodo 2008-2012

rispetto al periodo

base, anno 1990)

Stati

Obiettivi (percentuale

del periodo 2008-

2012 rispetto al

periodo base, anno

1990)

AUSTRALIA

108

LUSSEMBURGO

92

AUSTRIA

92

MONACO

92

BELGIO

92

NORVEGIA

101

BULGARIA*

92

NUOVA ZELANDA

100

CANADA

94

PAESI BASSI

92

CROAZIA*

95

POLONIA*

94

DANIMARCA

92

PORTOGALLO

92

ESTONIA*

92

REGNO UNITO130

92

FEDERAZIONE

RUSSA*

100

REPUBBLICA

CECA*

92

FINLANDIA

92

ROMANIA

92

FRANCIA

92

SLOVACCHIA

92

GERMANIA

92

SLOVENIA

92

GIAPPONE

94

SPAGNA

92

GRECIA

92

SVEZIA

92

IRLANDA

92

SVIZZERA

92

ISLANDA

110

UCRAINA*

100

ITALIA

92

UNGHERIA*

94

LETTONIA*

92

UNIONE EUROPEA

92

LIECHTENSTEIN

92

USA

93

LITUANIA*

92

 

 

*Paesi in fase di transizione verso un economia di mercato.



Le revisioni dopo i vertici di Bonn e Marrakech
SINK: i cosiddetti sink (assorbitori) di anidride carbonica sono previsti come mezzo o strumento possibile per l'attuazione degli impegni di riduzione delle "emissioni nette" di gas serra.
Prima di Bonn: l'UE intendeva introdurre l'uso dei sink solo per la parte riguardante la forestazione, riforestazione ed afforestazione (escludendo quindi l'uso del suolo ed i cambiamenti dell'uso del suolo) e limitatamente ad una quota delle azioni di riduzione delle emissioni nette condotte in ambito nazionale o al più in cooperazione tra paesi dell'Annesso 1 (paesi industrializzati). Il ricorso ai sink doveva essere comunque escluso, per il primo periodo di attuazione del Protocollo, dal "meccanismo di sviluppo pulito" (cooperazione con i paesi in via di sviluppo) e doveva in ogni caso rispettare il principio di supplementarietà (almeno il 50% degli impegni dovevano essere attuati in ambito nazionale ed il resto in cooperazione internazionale).USA e paesi detti dell'"umbrella group" (Australia, Canada, Giappone e Nuova Zelanda) erano contrari a questi vincoli.
Dopo Bonn e Marrakech: non ci sono più vincoli di principio per un ampio utilizzo dei sink sia in ambito nazionale che internazionale, salvo il fatto che i crediti derivanti possono essere riconosciuti fino ad un certo limite per le attività di gestione forestale, ma senza alcun limite per la gestione del suolo.
A Marrakech (novembre 2001) una apposita decisione ha dato larghe concessioni alla Russia per l'uso dei sink. Inoltre, sono state definite regole su come si conteggiano emissioni ed assorbimenti.
MECCANISMI FLESSIBILI: sono previsti alcuni meccanismi di cooperazione internazionale sia all'interno dei paesi dell'Annesso B (paesi industrializzati), sia tra paesi dell'Annesso B e paesi in esso non inclusi (paesi in via di sviluppo). I meccanismi sono di tre tipi:
Joint implementation: cooperazione all'interno di paesi sviluppati.
Emission trading: commercio delle emissioni tra paesi sviluppati.
Clean development mechanism: cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.
→  Prima di Bonn: le regole e le procedure dei meccanismi flessibili sono state oggetto di diverse discussioni, ruotate attorno alla:
- "Supplementarietà", cioè quanti e quali impegni attuare in ambito nazionale e nell'ambito dei paesi dell'Annesso I e quanto e quali impegni attuare tra paesi dell'Annesso I e paesi dell'Annesso II: la UE aveva posta come vincolo il 50% in termini di azioni domestiche da attuare in ambito nazionale.
- Regolamentazione e definizione della tipologia di progetti da realizzare attraverso il clean development mechanism: l'UE chiedeva che fosse data priorità a progetti riguardanti le energie rinnovabili e l'uso efficiente dell'energia, mentre fossero esclusi progetti riguardanti il nucleare e l'idroelettrico, oltre naturalmente ad escludere progetti di riforestazione e di sink in genere.
- Regolamentazione della emission trading: l'UE chiedeva che venissero esclusi dal commercio delle emissioni le quote di hot air, cioè le quote di riduzione non riferibili ad azioni concrete di riduzione delle emissioni, ma determinate da altri fattori come la recessione economica.
Su questi punti i paesi dell'umbrella group chiedevano solo indicazioni generali e comunque regole semplici per non compromettere l'uso complessivo di questi meccanismi (senza vincoli di supplementarietà, di hot air, ed estesi in ogni caso anche al nucleare ed ai sink).
→  Dopo Bonn e Marrakech: cadono i vincoli precedenti richiesti dall'UE e vengono sostituiti da raccomandazioni o esortazioni, di cui le principali sono:
- I meccanismi flessibili devono essere supplementari alle azioni domestiche che, comunque, devono costituire un significativo contributo per ridurre le emissioni.
- L'energia nucleare viene esclusa come possibilità di generare crediti per la riduzione delle emissioni nell'attuazione dei meccanismi flessibili, ma può essere utilizzata come azione domestica.
- Il 2% dei crediti derivanti dai progetti attuati attraverso il clean development mechanism vengono destinati ad alimentare uno speciale fondo, il Kyoto Adaptation Fund, per aiutare i paesi poveri più vulnerabili ai cambiamenti climatici.
RISORSE FINANZIARIE: sull'argomento delle risorse finanziarie i paesi in via di sviluppo chiedevano:
Risorse finanziarie disponibili per coprire i danni e, comunque, le conseguenze ambientali e socioeconomiche negative derivanti da cambiamenti climatici (ed in particolare dall'acutizzarsi degli eventi estremi e dell'innalzamento del livello del mare) nei paesi in via di sviluppo e nei paesi delle piccole isole.
Finanziamenti dei trasferimento di tecnologie innovative ed ecocompatibili nei paesi in via di sviluppo, comprese le azioni di capacity building.
Il finanziamento di progetti ed interventi per l'adattamento ai cambiamenti climatici sia del territorio, che delle strutture socioeconomiche dei paesi in via di sviluppo.
A Marrakech sono state definite le regole per l'uso dei meccanismi flessibili ed è stato istituito un Executive Board per il Clean Development Mechanism con compiti di supervisione, gestione e controllo.
→  Prima di Bonn: l'argomento delle risorse finanziarie era stato più volte discusso ma non aveva trovato alcuna soluzione.
Dopo Bonn e Marrakech: sono stati istituiti tre fondi specifici:
- Un fondo denominato Climate Change Fund per promuovere l'adattamento soprattutto nel campo dell'energia, dei trasporti, dell'industria e dell'agricoltura, nel campo della gestione forestale e della gestione dei rifiuti. Sono previsti, tra l'altro, anche aiuti ai paesi in via di sviluppo la cui economia è basata sulla produzione di petrolio affinché diversifichino la loro economia.
- Un fondo denominato Least-developed Countries Fund per lo sviluppo sostenibile dei paesi poveri da essere gestito in ambito GEF della World Bank.
- Un fondo denominato Kyoto Adaptation Fund per finanziare specifici progetti o programmi di adattamento mirai, con riferimento particolare ai problemi di vulnerabilità ai cambiamenti climatici degli Stati delle piccole isole e dei paesi più poveri.
A parte questo ultimo fondo, sono state date solo indicazioni generali su come alimentare gli altri due fondi. Tuttavia, l'UE, il Canada, la Nuova Zelanda, la Svizzera, la Norvegia e l'Islanda hanno promesso un contributo di 410 milioni all'anno a partire dal 2005, con una revisione del finanziamento nel 2008. Non necessariamente tale contributo verrà versato sui fondi sopraddetti, ma potrebbero anche essere destinati tramite accordi bilaterali ai paesi che ne avranno bisogno e ne usufruiranno.
COMPLIANCE: per compliance si intende tutto il sistema di verifiche e controlli della corretta attuazione degli impegni assunti, comprese le sanzioni per gli inadempienti. I principali problemi da risolvere erano:
Se e come deve essere fatto il differente sistema di controlli e sanzioni per i paesi dell'Annesso B del Protocollo ed i paesi del non-annesso B, dal momento che il Protocollo di Kyoto diventerà esecutivo per i soli paesi industrializzati, coinvolgendo solo indirettamente gli altri tramite il clean development mechanism.
Quali devono essere le conseguenze per gli inadempienti, cioè il tipo, la natura e la durata delle sanzioni, nonché l'uso dei fondi derivanti da sanzioni economiche.
Come rendere operativo tutto il sistema di compliance che, per essere veramente efficace, prefigurerebbe una Autorità internazionale e sovranazionale autorizzata a violare il principio di sovranità nazionale.
Come è composta questa Autorità sovranazionale per i controlli e le sanzioni e come si scelgono i membri candidati a farne parte.
→  Prima di Bonn: l'argomento era stato ampiamente dibattuto ed erano emerse posizioni molto divergenti fra UE e paesi dell'umbrella group. Non si era trovato alcun accordo.
→  Dopo Bonn e Marrakech: sono state risolte alcune questioni di base e molti argomenti sono stati approfonditi nella sessione di Marrakech. E' stato istituito uno speciale Compliance Committee, costituito da 20 membri, con il compito di sorvegliare e controllare l'attuazione degli impegni e colpire gli inadempienti con opportune sanzioni.
A Marrakech è stato approvato anche il regolamento per le verifiche ed i controlli e si è convenuto, inoltre, che le penalità siano fondamentalmente le seguenti:
- Una penalizzazione per gli inadempienti sulle loro quote di emissioni: le emissioni in eccesso rispetto alla quota stabilita nel primo periodo di impegni (al 2012) saranno dedotte dai permessi o dai crediti di emissioni per il periodo successivo.
- Una penalizzazione aggiuntiva agli inadempienti in termini di una sanzione pari al 30% del valore delle emissioni in eccesso, sanzione da considerare come risarcimento dei danni causati all'ambiente.
Tali penalizzazioni non sono, per ora, "legalmente vincolanti", ma lo saranno dopo l'entrata in vigore del Protocollo.

__________________

* Ingegnere, diplomato MEMA prima edizione. Rif. maualberti@libero.it

 

1 In corrispondenza della crisi energetica.
2 Come abbiamo già rilevato, le strategie energetiche dell’Unione Europea considerano le energie rinnovabili come un percorso obbligato per motivi di maggior tutela dell’ambiente, maggior sicurezza e minor dipendenza energetica da paesi extra UE.
3 Come già ricordato in precedenza, innanzitutto, le energie rinnovabili presentano costi d’investimento unitari particolarmente elevati rispetto alle fonti tradizionali, costi che rappresentano oltretutto una parte determinante della spesa totale sostenuta dalle imprese, che non possono quindi praticare prezzi competitivi nei mercati in cui vendono l’energia.
In secondo luogo le energie rinnovabili si caratterizzano per la necessità di strutture piccole, diffuse ed ad impatto locale, richiedendo quindi un diverso approccio al consenso (più partecipato e condiviso) per consentire la collocazione degli impianti nel territorio in tempi compatibili con il decorso tipico degli investimenti produttivi.
Infine, alcune energie rinnovabili (solare, eolico, piccolo idroelettrico) non sono facilmente inseribili nel quadro strutturale (tecnologico ed organizzativo) di soddisfacimento della domanda, poiché non facilmente programmabili, per ovvi motivi legati alla variabilità meteorologica (ad esempio regime dei venti). Esse presentano un “debito di potenza”, in quanto devono essere “garantite” da impianti convenzionali che entrino in funzione quando diminuisce la produzione ottenibile da esse e devono essere agevolate nell’accesso alla rete ed al servizio di dispacciamento.
4 Inserendosi, ad esempio, nella rete di distribuzione senza transitare dalle reti di trasporto nazionale.
5 Si veda “Kapp K.W.: The Social Cost of Private Enterprise”, ripubblicato nel 1971 (Schocken Paperback ed. New York). Il libro tratta gli argomenti dell’inquinamento atmosferico, dell’inquinamento delle acque, della perdita di biodiversità, dell’esaurimento delle fonti di energia e delle altre risorse non-rinnovabili, dell’erosione, della deforestazione e degli sviluppi sociali insostenibili come, ad esempio, le crescenti disparità di reddito.
6 Come testimoniano le quattro dimensioni attraverso cui esso è analizzato in Agenda 21: economica, sociale, ambientale ed istituzionale.
7 La definizione di sviluppo sostenibile che, presumibilmente, esplicita meglio tale coesistenza di aspetti, nonché i diversi contenuti, è quella data da Pearce, Barbier e Markandya (1990): “We take development to be a vector of desirable social objectives, and elements may include: increase in real income per capita; improvements in health and nutritional status; educational achievement; access to resources; a ‘fairer’ distribution of income; increases in basic freedoms. … sustainable development is then a situation in which the development vector increases monotonically over time”. Sui diversi aspetti per i quali può aver senso parlare di sostenibilità si vedano anche Wagle 1993, Peet 1992, Faucheux et al. 1998.
8 WCED 1987, Our common future, Oxford University Press, (“The Bruntland Report”).
9 Sistema aperto o chiuso, sistema nazionale o globale, stock di risorse od intero eco-sistema. I metodi di valutazione (e la scala temporale da prendere in considerazione) sono, infatti, strettamente dipendenti dall’ampiezza del sistema considerato.
10 Sul tema dell’equità inter-generazionale si vedano Beckerman (1994) e Dasgupta (1994).
11 Le funzioni che l’ambiente naturale esplica nel garantire lo svolgimento della vita umana: a) come fonte di risorse (rinnovabili e non); b) come substrato che assimila i prodotti di scarto (emissioni e rifiuti) derivanti dalle attività umane; c) come origine di altri intrinseci benefici per l’uomo (es.senso di appagamento estetico, spirituale, ecc.). Il concetto riassume in sé la nozione di deterioramento ambientale ed esternalità (tipica dell’Economia Ambientale) e quella di utilizzo e scarsità delle risorse (tipica dell’Economia delle Risorse Naturali).
12 I conflitti che si verificano in relazione all’apertura di nuovi impianti ed alla collocazione di nuove infrastrutture testimoniano il problema della “scarsità del territorio” in rapporto agli usi (materiali o meno) concorrenti che se ne possono fare.
13 Fonte “World Energy Outlook”, International Energy Agency, 2002.
14 Ipotizzando un’intensità uguale a quella dell’area OECD anche per tutte le altre aree del mondo.
15 La cosiddetta capacità di carico (carrying capacity) del pianeta.
16 Si sottolinea come le azioni intraprese allo scopo di porre rimedio ai costi esterni non implicano necessariamente il raggiungimento della sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile non è di per sé coerente con un approccio convenzionale costi-benefici all’uso intertemporale delle risorse, dal momento che quest’ultimo nega ogni scelta in seguito alla quale i benefici netti positivi ottenuti nel periodo corrente possano essere “sacrificati” per ottenere benefici più elevati (e comparabili con quelli attuali) in futuro e viceversa. Mentre l’approccio neoclassico mantiene efficienza ed equità come idee separate, l’approccio allo sviluppo sostenibile cerca di integrarle in maniera gerarchica; in questi diversi principi risiede la differenza tra politiche ambientali classiche e politiche per la sostenibilità, anche se nella pratica è riscontrabile una certa convergenza dei due orientamenti (soprattutto nella direzione di una maggior efficienza).
17 Una posizione intermedia (non radicale, ma neanche eccessivamente conservativa) all’interno del dibattito sui diversi criteri di sostenibilità (sulle divergenze tra proponenti dello stato stazionario e proponenti di una crescita continua si veda Carley and Christie 1992, p. 42), ci sembra quella basata sul principio che può essere definito come stato economico sostenibile, ovvero una situazione in cui il reddito reale pro-capite aumenta (non diminuisce) nel tempo e tale livello non è minacciato dall'effetto di ritorno derivante dall'impatto biofisico (inquinamento, problemi d’esaurimento delle risorse) o dall'impatto sociale (disgregazione sociale, Costanza, 1990).
18 Una terza opzione, nei paesi in via di sviluppo, consiste nello spezzare il legame tra basso reddito pro-capite e alta popolazione (Costanza, 1990). Affinché ciò avvenga all’interno dell’attuale modello economico (modello del valore), occorre fare in modo che sempre più i termini di riferimento economici (prezzi) di ogni attività riflettano anche gli impatti che nel lungo periodo si possono generare sulle capacità ricettive (problema delle esternalità) e sulle capacità rigenerative (problema della scarsità delle risorse) dell’ambiente. Oggi questo accade raramente (Tietenberg, 2000).
19 Il concetto di sviluppo sostenibile qui riportato enfatizza la complementarietà sistemica esistente tra le diverse forme di capitale mentre la teoria economica (neo)classica si muove nella stessa direzione (ad esempio con la recente enfasi posta sui concetti di capitale intellettuale e sociale) tranne che per quanto riguarda il capitale naturale. In tal modo mentre quest’ultima sostiene un approccio di mercato, regolato, competitivo e basato sui diritti di proprietà, la scienza della sostenibilità guarda anche all’intervento pubblico (dall’alto, es. strumenti di controllo, tassazione ambientale e istruzione/formazione dei diversi attori) ed alle azioni che scaturiscono dalle diverse componenti sociali (dal basso, ad es. pratiche di approvvigionamento, concertazione, etichette ecologiche e certificazione ambientale). Ciò significa anche impostare o suggerire programmi di educazione e formazione ai diversi livelli (statale, locale) che permettano di gettare le basi per politiche integrate condivise da tutti gli attori ed a tutti i livelli.
20 Essa ha originato cinque documenti formali: cambiamenti climatici, biodiversità, foreste, “Rio Declaration on Environment and Development” e “Agenda 21”. Nella Dichiarazione, che consiste di un preambolo e di 27 principi, vengono date indicazioni volte a promuovere “un più sano ed efficiente rapporto tra uomo e ambiente”.
In particolare, la Dichiarazione di Rio incorpora nei suoi principi, sinteticamente, l’intero spettro di approcci ed argomenti rilevanti in relazione all’ambiente e alla sostenibilità: l’equità intra-generazionale ed inter-generazionale; i bisogni del mondo povero; la revisione stili di vita e le politiche demografiche; la cooperazione tra stati; il principio precauzionale; la responsabilità civile e la compensazione dei danni ambientali; il principio “chi inquina paga”; l’uso della legislazione ambientale e degli standard; la valutazione d’impatto ambientale (United Nations, Rio Declaration on Environment and Development, 1992). Non sono però chiariti i criteri su cui costruire le politiche volte alla sostenibilità, piuttosto si imposta (o si cerca d’impostare) una serie di principi strumentali al raggiungimento di obiettivi ancora poco definiti. Alcuni di tali principi riguardano i seguenti aspetti: mitigazione degli inquinamenti, produzione normativa, istituzionalizzazione della questione ambientale, spesa pubblica per l’ambiente, sensibilità popolare per il tema. Ad ogni modo il documento principale che scaturisce dalla Conferenza di Rio (Agenda 21) non sorge con la pretesa di costituire un riferimento normativo, ma piuttosto una dichiarazione di intenti e di principi generali conformemente ai quali piani d’azione devono essere elaborati all’interno dei vari Paesi aderenti.
Recentemente, con il vertice di Johannesburg, si è proceduto all’aggiornamento dell’agenda politica internazionale in tema di sviluppo sostenibile. Anche in quest’ultima occasione, però, stante la significativa varietà di punti di vista e situazioni rappresentate, non si è andati oltre la definizione di alcuni linee politiche e d’azione generali (si veda Allegato A: Il vertice di Johannesburg 2002).
21 Si veda ad esempio il concetto di “No regret policy” (politica di non pentimento), che il governo degli Stati Uniti invoca per impedire che vengano bloccate attività per le quali non vi è certezza dell’eventuale danno che esse possono provocare (non ci si vuole pentire insomma di aver bloccato attività che si sono rivelate innocue), mentre in Europa viene invocato per impedire lo svolgimento di tali attività (non ci si vuol pentire di aver fatto qualcosa che si è poi rivelato dannoso).
22 Una spinta decisiva in questo senso è stato l’emergere del problema del cambiamento climatico (si veda paragrafo 2.2.1.1), che ha spinto verso analisi degli scenari e politiche trasversali ai diversi settori (energia, industria, trasporti, agricoltura) alla ricerca di una maggiore efficacia.
23 In molti casi ciò è stato ottenuto con la creazione di una apposita commissione governativa per lo sviluppo sostenibile (Gran Bretagna, Italia).
24 COM(2001)264 final (COMMUNICATION FROM THE COMMISSION), “A Sustainable Europe for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development”:
- Obiettivi principali e misure specifiche: “…occorre un'azione coerente in molte politiche diverse… limitare il cambiamento climatico e potenziare l'uso dell'energia pulita… affrontare le minacce per la salute pubblica… gestire le risorse naturali in maniera più responsabile … migliorare il sistema dei trasporti e la gestione dell'uso del territorio”;
- Proposte e raccomandazioni intersettoriali: "… far sì che le varie politiche si rafforzino a vicenda e non vadano invece in direzioni opposte …";
- Misure per attuare la strategia e valutarne i progressi: "… Lo sviluppo sostenibile è, per sua natura, un obiettivo a lungo termine …dei riesami periodici intermedi consentiranno all'Unione di adeguare la strategia ai cambiamenti …"
25 Dalla ratifica della Carta di Aalborg (maggio 1994), in particolare, si assiste ad un crescente protagonismo della scala locale. L’attenzione è centrata sulle politiche locali e sul ruolo prioritario svolto dalle autorità di governo locale nella costruzione di una sensibilità “ecologica”, in grado di sostenere l’attuazione di pratiche e azioni di sostenibilità urbana. Anche nell’Unione Europea la tendenza è quella di spostare le decisioni ad un livello che sia il più vicino possibile ai soggetti interessati (sussidiarietà). Le autorità locali sono riconosciute come: le più vicine ai problemi; le più vicine alla popolazione; le più vicine alle possibili soluzioni.
26 L’istituzione di un ministero dedicato, a parte alcuni tentativi privi di seguito (nel 1973 viene nominato un ministro per l’ambiente senza portafoglio, le cui funzioni sono trasferite l’anno dopo al Ministero per i beni culturali; nel 1979 viene istituito un "Comitato interministeriale per la protezione dell’ambiente", con risultati insignificanti), si concretizza solo nel 1983 quando viene nominato un Ministro per l’ecologia senza portafoglio e poi nel 1986 quando è istituito il Ministero dell’ambiente. L’istituzione di un’agenzia tecnica per l’ambiente risale al 1994, a seguito di un’iniziativa referendaria e poi parlamentare.
27 Delib. CIPE, 28.12.1993, Approvazione del Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile in attuazione dell'Agenda 21, Suppl. GU n. 47 del 26.02.1994.
28 Il V° Programma d'Azione Ambientale 1993-2000 "Verso uno Sviluppo Sostenibile" dell'Unione Europea, riconosce la necessità di sviluppare approcci "dal basso” che prevedano il coinvolgimento attivo del più ampio numero di attori istituzionali, sociali, economici e culturali nel perseguire uno sviluppo sostenibile.
29 Non sono inoltre definite le azioni necessarie al superamento delle carenze di tipo conoscitivo e metodologico, all’integrazione delle politiche, alla corresponsabilizzazione dei diversi attori.
30 D.M. 28.05.1998. D.M. GAB/DEC/780/98.
31 Delibera Cipe Agosto ’98.
32 Marrakech, Novembre 2001.
33 Legge n°120/2002. Nella legge è scritto (art. 2): “…In attesa e in preparazione delle decisioni e delle norme che saranno adottate dall’Unione europea in materia di politiche e misure comuni e coordinate di attuazione del Protocollo di Kyoto, al fine di individuare le politiche e le misure nazionali che consentano di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni con il minor costo, entro il 30 settembre 2002 il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, presenta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) un piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento…”. La legge prevede, inoltre, che sia sottoposto al CIPE una relazione contenente anche lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE 137/1998, con l’individuazione delle politiche e delle misure finalizzate a: raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell’efficienza energetica e un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili; aumento degli assorbimenti di CO2 conseguente ad attività di uso del suolo (sinks) e forestali, conformemente a quanto consentito dal protocollo di Kyoto; piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (Joint Implementation, JI), e con quelli in via di sviluppo (Clean Development Mechanism, CDM); accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione nel sistema energetico dell’idrogeno, di impianti eolici, fotovoltaici, a biomasse, a rifiuti solidi urbani e a biogas, nonché di impianti per l’utilizzazione del solare termico.
34 Delibera Cipe Agosto 2002 – Strategia nazionale di sviluppo sostenibile. Vengono individuati obiettivi in quattro aree prioritarie: clima, natura e biodiversità, qualità dell’ambiente e della vita negli ambienti urbani, uso sostenibile e gestione delle risorse naturali e dei rifiuti. Per ognuna delle quattro aree prioritarie vengono indicati obiettivi e azioni, derivanti dagli impegni internazionali che l'Italia ha sottoscritto e gli impegni nazionali che si è data, corredati da una serie di indicatori di sviluppo sostenibile in grado di misurarne il raggiungimento. Tra gli strumenti d'azione, la Strategia prevede l'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, a partire dalla valutazione ambientale di piani e programmi; l'integrazione del fattore ambientale nei mercati, con la riforma fiscale ecologica nell'ambito della riforma fiscale generale, la considerazione delle estemalità ambientali e la revisione sistematica dei sussidi esistenti; il rafforzamento dei meccanismi di consapevolezza e partecipazione dei cittadini; lo sviluppo dei processi di Agenda 21 locale; l'integrazione dei meccanismi di contabilità ambientale nella contabilità nazionale. Il documento si conclude con la necessità di prevedere meccanismi di verifica del raggiungimento degli obiettivi. In linea con queste indicazioni, il CIPE ha deciso il rafforzamento della sua Commissione dedicata allo Sviluppo Sostenibile, e l'istituzione di un Forum per lo Sviluppo Sostenibile.
35 Schema di Delibera Cipe – Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra, Novembre 2002.
36 Con il fabbisogno energetico che sale da 185 Mtep a circa 200 Mtep e, in particolare, i consumi elettrici che passano da 298 TWh a 364 TWh.
37 Tra cui: completamento dei programmi attuativi del CIP 6/92; obbligo della quota minima di energia elettrica da nuovi impianti utilizzanti fonti rinnovabili come da articolo 11 del decreto legislativo 79/1999; DPCM 4 agosto 1999 che definisce le modalità di dismissione di circa 15 mila MW ENEL, con l’obbligo di conversione a ciclo combinato di impianti ad olio esistenti per circa 10 mila MW; riconversione a carbone della centrale ENEL di Torre Valdaliga Nord e a orimulsion della centrale ENEL di Porto Tolle; decreti del Ministero dell’Industria del 24 aprile 2001 sul risparmio energetico negli usi finali; attuazione della normativa ambientale del DPR 203/88 e delle collegate linee guida del ’90; attuazione della legge 449/97, riguardante la deducibilità del 41% delle spese di ristrutturazione degli edifici, inclusi gli impianti basati sull’uso di energia rinnovabile; esenzione dell’accisa per 300.000 t/anno di biodiesel come da art. 21 legge 388/00.
38 Tra cui: realizzazione di nuovi impianti a ciclo combinato e di nuove linee di importazione dall’estero di gas ed elettricità; ulteriore crescita delle energie rinnovabili, sia attraverso la realizzazione e gestione efficiente di filiere industriali integrate a livello nazionale, sia attraverso l’acquisizione di “certificati verdi” e “crediti di carbonio” nei paesi terzi; attuazione della direttiva europea 2001/77/CE che individua un obiettivo di produzione nazionale di energia elettrica da fonti rinnovabili pari a 75 TWh entro il 2010; realizzazione di opere infrastrutturali, che hanno effetti sul trasferimento del trasporto delle persone e delle merci dalla gomma alla ferrovia e al cabotaggio; promozione della produzione e utilizzazione di veicoli e carburanti a minor emissioni; ottimizzazione dei sistemi di trasporto privato; riduzione dei consumi energetici negli usi civili e nel terziario; generazione di “crediti di carbonio” attraverso progetti nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM (stimati pari a circa 12 MtCO2).
39 Al fine di assicurare la promozione ed il coordinamento dei progetti la delibera prevede anche l’istituzione presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, con successiva norma di natura regolamentare, dello “sportello italiano per i meccanismi di JI e CDM” (si veda nonché di quello “per il mercato dei permessi e lo scambio delle quote di emissione” che serviranno a rendere operative le normative internazionali in tema di meccanismi flessibili
40 Nell’ambito della problematica dei sinks (bacini di assorbimento di carbonio) verranno realizzati anche l’Inventario Forestale Nazionale del Carbonio (al fine di avviare la procedura di revisione del limite all’utilizzo dei crediti derivanti dalla gestione forestale assegnato all’Italia) e il Registro Nazionale dei Serbatoi di carbonio agro-forestali (al fine di certificare i flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazione, riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione dei suoli agricoli e pascoli e rivegetazione).
41 Tra tali opzioni sarà successivamente effettuato una selezione, a cura del Comitato interministeriale istituito dalla delibera stessa, che sarà poi presentata al Ministro dell’ambiente e da questi, di concerto con i Ministri interessati, al CIPE. Il criterio prioritario di selezione è di raggiungere il migliore obiettivo con il minor costo, tenendo anche conto delle esperienze effettuate con i programmi pilota della legge120/02.
42 La centralità delle fonti fossili nei sistemi energetici nazionali stimola tentativi di accordi sopranazionali tesi a governare, in parte, l’evoluzione dei sistemi energetici, (Rapporto Energia e Ambiente ENEA, 2001)
43 All’uso complessivo di fonti energetiche (industrie energetiche, industria manifatturiera e costruzioni, trasporti, civile, agricoltura, altro) era dovuto l’ 82,7% (452, 3 Mt su un totale di 546,8 Mt) delle emissioni di CO2 in Italia nell’anno 2000.
44 In particolare le prime due problematiche presentano caratteristiche molto simili: sono fenomeni complessi e caratterizzati da elevata incertezza; sono duraturi; hanno natura globale (trans-frontaliera); sono fenomeni potenzialmente irreversibili; sono effetti non desiderati di attività economiche largamente diffuse; richiedono sostanziali investimenti di risorse nel presente per osteggiare l’eventualità di importanti cambiamenti ambientali in futuro.
45 Nella Sessione Plenaria d’approvazione definitiva del "Terzo Rapporto IPCC" (Wembley, 23-29 settembre 2001), l'IPCC, ha posto l’accento, tra l'altro, sui seguenti aspetti: “Le emissioni globali di CO2 sono attualmente circa il doppio delle capacità naturali del pianeta di assorbirle e, pertanto, sarebbe necessaria già da subito una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di almeno il 50%; inoltre, se l'andamento futuro delle emissioni continuerà ad essere come quello attuale, le riduzioni richieste sarebbero circa il 60% al 2010 e di circa l'80% al 2030. Dopo la stabilizzazione in atmosfera delle concentrazioni di CO2 (molto ritardata rispetto alla stabilizzazione delle emissioni) e degli altri gas serra (raggiungibile nel giro di alcuni decenni dalla stabilizzazione delle emissioni), la temperatura continuerà a crescere ugualmente e si stabilizzerà con un ritardo valutato in 70 anni o poco più. E' necessario rallentare il più possibile i cambiamenti climatici (agire sulle cause) per avere tempo sufficiente all'adattamento (agire sugli effetti). Più efficace è l'azione sulle cause, più facile ed effettiva sarà l'azione sugli effetti”.
46 La tragedia dell’11 settembre 2001 ripropone i temi della sicurezza complessiva, inclusa quella energetica, anche se ne sposta il fuoco. Da un lato, infatti, l’attuale teatro di guerra limitrofo ad un’area (quella del Mar Caspio e delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale) estremamente rilevante per i giacimenti petrolio e di gas naturale, sede ottimale di oleodotti e gasdotti per l’avvio di queste risorse verso sbocchi accessibili al mercato mondiale. Dall’altro lato, gli attentati terroristici hanno riproposto il tema delle grandi infrastrutture energetiche, dalle raffinerie agli oleodotti e gasdotti, alle linee di trasmissione elettriche, alle installazioni di generazione convenzionali e, soprattutto, nucleari, vulnerabili ad attacchi con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche. Il paradigma economico che ne ha regolato la taglia andrà allora incrociato con la necessità (e il costo) di garantirne anche la sicurezza. Si avvicina, forse, l’orizzonte temporale per la fattibilità dei sistemi di generazione distribuita, che richiedono infrastrutture di dimensione più ridotte ed aumentano, per questa via, il livello di sicurezza complessivo dei sistemi energetici.
47 Ad esempio correggendo il tasso di interesse adottato nella valutazione degli investimenti con la componente di rischio effettivo (volatilità del prezzo del petrolio).
48 Suolo ad uso agricolo, forestale, insediativo, industriale, ecc.
49 Ad esempio gli impianti eolici presentano tipicamente un basso consumo del suolo in rapporto all’energia prodotta.
50 Le centrali termoelettriche convenzionali possono generalmente essere posizionate in punti ottimali (non sensibili da un punto di vista paesaggistico-ambientale) anche lontani dal punto di prelievo del combustibile, mentre le centrali a fonte rinnovabile devono necessariamente essere collocate in corrispondenza della fonte stessa (siti ventosi, siti esposti al sole, siti in prossimità di fiumi o di sorgenti di calore sotterranee)
51 Alcuni impianti possono essere più o meno facilmente riconvertiti; le reti di distribuzione possono essere utilizzate fino ad un certo livello di carico, dopodiché sono necessari interventi di potenziamento. In teoria un utilizzo orientato al lungo periodo delle fonti rinnovabili (unitamente ad uno sviluppo coerente delle infrastrutture) potrebbe consentire una maggior razionalizzazione (almeno) delle infrastrutture per la produzione dell’energia (o anche dell’intero sistema di infrastrutture, se la modalità di generazione distribuita diverrà realmente preponderante in futuro) a livello europeo e nazionale, essendo in tal modo possibile sfruttare le risorse peculiari regionali e locali e quindi compensare le ulteriori necessità a livello nazionale o europeo secondo considerazioni di efficienza e di equità sul territorio.
52 In questa sede si parla di sostenibilità, in ambito energetico, facendo riferimento ad obiettivi di politica energetica (si vedano ad esempio più avanti gli obiettivi più volte richiamati nei testi legislativi dell’Unione Europea) che hanno il duplice scopo di evitare l’esaurimento delle risorse energetiche naturali ed evitare alterazioni irreversibili della capacità ricettiva (assorbimento ed assimilazione dei vari tipi di emissione) dell’ecosistema.
53 A livello internazionale è stato trattato anche il tema delle energie rinnovabili. Si vedano in particolare le raccomandazioni contenute nella relazione della G8 Task Force, dalle quali emergono scenari possibili per uno sviluppo delle fonti rinnovabili quale elemento chiave nel contenimento delle emissioni di gas serra nel prossimo futuro. Si tratta però in tal caso di consigli e proposte, utili per ottenere maggior impegno a livello planetario (coinvolgendo OCSE e IEA), ma che pongono nessun obbligo concreto per l’introduzione di energie rinnovabili.
54 Stilato nella città svedese il 30 novembre 1999, il “Protocol to abate Acidification, Eutrophication and Ground-level Ozone” ha per obiettivo la riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), ammoniaca (NH3) e composti organici volatili (COV), le cui concentrazioni in atmosfera sono causa di danni alla salute e dell'acidificazione dell'aria, responsabile del fenomeno delle "piogge acide". Esso impone ai firmatari tetti massimi di emissione delle sostanze sopra citate e livelli massimi di emissione per specifiche fonti. All’epoca della stesura il protocollo ipotizzava che, limitando l'analisi all'UE, una volta reso operativo, le aree con livelli di acidificazione superiori alla norma si sarebbero ridotte dai 93 milioni di ettari del 1990 ai 15 milioni del 2010, mentre quelle caratterizzate da eccessiva eutrofizzazione sarebbero passate da 165 a 108 milioni di ettari. Inoltre si stimava una riduzione del 50% del numero di giorni con un livello di ozono troposferico eccessivo. A tale accordo hanno aderito tra il 1999 ed il 2000 31 paesi, quali i membri dell'UE, gli USA, il Canada ed alcune economie "in transizione", escluse Russia ed Ucraina.
55 Le politiche europee in materia energetica hanno come obiettivi generali la riduzione dei gas serra e la diversificazione e sicurezza delle fonti di approvvigionamento.
56 Ad esempio attraverso l'introduzione di misure fiscali che penalizzano le fonti combustibili che rilasciano maggiori quantità di carbonio (Carbon Tax).
57 Legge n°65/1994, concernente la “stabilizzazione delle concentrazioni in atmosfera di gas ad effetto serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane al sistema climatico”
58 Per il raggiungimento di questi obiettivi i paesi possono servirsi di diversi strumenti che intervengono sui livelli di emissioni di gas a livello locale-nazionale oppure transnazionale, i cosiddetti meccanismi flessibili. I meccanismi sono di tre tipi: Joint Implementation: cooperazione all'interno di paesi sviluppati; Emission Trading: commercio delle emissioni tra paesi sviluppati; Clean Development Mechanism: cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.
59 Gruppo di paesi che, in alcune negoziazioni sul cambiamento climatico, ha operato come un unico blocco. Ne fanno parte gli USA, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Norvegia, l’Islanda, la Federazione Russa e l’Ucraina.
60 Per entrare in vigore il protocollo deve essere però ratificato da almeno 55 dei Paesi responsabili del 55 per cento delle emissioni di anidride carbonica rilevate nel 1990, condizione che, alla luce della recente conferenza di Johannesburg (Settembre 2002), non sembra più irrealizzabile, essendosi raggiunto l’accordo con Cina (che ha anche ratificato l’accordo il 30/08/2002) e Federazione Russa. Quest’ultima, insieme a Canada, Giappone e Nuova Zelanda, deve ancora provvedere a ratificare l’accordo.
61 G.U.C.E. 1996, C224.
62 Questa dipendenza energetica è in aumento e questa tendenza si rafforzerà con l’allargamento dell’Unione Europea.
63 Anche la liberalizzazione introdotta nel comparto energetico mira di per sé ad una maggior efficienza del settore nel suo complesso.
64 Il miglioramento dell’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili sono divenuti elementi ancora più rilevanti per il significativo contributo alla diminuzione dei gas ad effetto serra. Ad esempio un primo obiettivo proposto dalla Commissione Europea – COM (97) 514 – è stato quello di realizzare il 18% della produzione elettrica totale tramite impianti di cogenerazione, che utilizzino sia gas naturale sia fonti rinnovabili ed in particolare biomasse, consentendo di evitare emissioni di CO2 per un ammontare di 65 mln di tonnellate/anno.
65 In ambito comunitario, infatti, si ritengono validi i seguenti principi: i problemi energetico-ambientali implicano soluzioni locali (rifiuti, traffico, sviluppo e localizzazione di impianti energetici, sensibilizzazione ed informazione); la valorizzazione delle risorse energetiche locali e la vicinanza agli utenti finali (famiglie, imprese, collettività) suggeriscono funzioni di decentramento; le realtà territoriali locali hanno la responsabilità nonché il diritto/dovere di azioni bottom-up per creare condizioni di sviluppo sostenibile (Rapporto Energia ed Ambiente 2001, ENEA ).
66 Hans Pluckel (Chef de Bureau at Regio Randstad), Towards a green multilevel functioning EU, in The Commission’s WHITE PAPER ON GOVERNANCE: WHAT’S IN FOR THE ENVIRONMENT, Conference organised by the European Commission, Brussels December 2001.
67 In tal senso anche i recenti programmi per la razionalizzazione nell’utilizzo dell’energia (SAVE e SAVE II) e per la promozione dell’utilizzo di energie prodotte da fonti rinnovabili (ALTENER), hanno coinvolto il livello locali, attraverso la creazione di specifiche agenzie locali per l’energia, come ulteriori attori che possono favorire un corretto impegno ed intervento a livello locale.
68 Essa impone agli Stati membri di comunicare i loro piani nazionali relativi alla diminuzione delle emissioni alla Commissione, che sottometterà rapporti periodici al Parlamento Europeo.
69 Il libro verde è rivolto in particolare al settore delle grandi installazioni energetiche ed industriali.
70 Cosiddetta “Direttiva Monti”.
71 Essendo falliti i tentativi di introdurre una tassa in base a motivazioni di natura ambientale si è pensato di introdurla rifacendosi a considerazioni di armonizzazione del mercato interno.
72 Proposta di direttiva COM(2002)415, testo finale.
73 Proposta di direttiva COM(2001)226, testo finale.
74 I principali ostacoli individuati sono: scarsa internalizzazione dei costi esterni dell’energia, vincoli istituzionali e giuridici, assenza di informazioni ai consumatori e agli industriali, barriere tecniche e finanziarie.
75 Secondo un’indagine della Commissione (COM -2000/247, 26 Aprile 2000) tali azioni dovrebbero essere: edifici ad alto rendimento energetico; efficienza energetica nel settore dei trasporti; rendimento energetico degli elettrodomestici e delle altre apparecchiature; etichettature dei prodotti energeticamente efficaci; promozione delle diagnosi energetiche nell’industria e nel terziario; ricorso agli accordi negoziati con le industrie e agli accordi a lungo termine in materia di rendimenti minimi; aumento della diffusione dell’informazione; finanziamento da parte di terzi, contratti con garanzia del risultato ed altre forme di finanziamento; efficienza energetica nel settore dell’elettricità e del gas e nella produzione combinata di calore ed elettricità (CHP detta anche “Cogenerazione”) – COM (97) 514.
76 Libro Bianco – COM (97) 599 – “Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili. Libro bianco per una strategia e un piano d’azione della Comunità”, 26/11/97.
77 Libro Verde (Energia per il futuro: le fonti di energia rinnovabili).
78 Ma per quanto riguarda l’energia elettrica tale misura prevede il passaggio dal 14% al 22% del consumo.
79 COM(2000) 769 final del 29.11.2000 GREEN PAPER Towards a European strategy for the security of energy supply.
80 La Decisione N. 646/2000/CE istituisce un programma pluriennale di sostegno delle fonti energetiche rinnovabili (Programma ALTENER) avente i seguenti obiettivi:
creare le condizioni giuridiche, socioeconomiche e amministrative necessarie all'attuazione di un piano di azione comunitario per le fonti energetiche rinnovabili;
incoraggiare gli investimenti pubblici e privati nella produzione e nell'utilizzazione di energia da fonti rinnovabili.
Sono inoltre state introdotte altre iniziative quali “Renewable Energy Partnerships”, tra la Commissione da una parte e le autorità pubbliche, le industrie e le associazioni dall’altra, per incoraggiare ed incrementare l’impegno visibile da parte di questi attori e la “Campaign for Take-Off (CTO)”, per dare l’avvio all’attuazione della strategia introdotta con il Libro Bianco, attuazione che si prevede possa raggiungere i risultati prefissi entro il 2003.
81 Direttiva 2001/77/CE sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili nell’Unione Europea. Essa fissa il tasso di penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica nel 2010 al 22%. Ogni paese dovrà impegnarsi in misura diversa a raggiungere tale obiettivo comune (vedi allegato D).
82 Esse si originano dal Libro verde della Commissione europea “Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico”, con il quale si prospetta l’obiettivo si sostituire, entro il 2020, il 20% del petrolio impiegato nei trasporti stradali con combustibili alternativi, attenuando in tal modo sia la dipendenza energetica, sia l’impatto ambientale.
83 La prima proposta di direttiva prevede che gli Stati membri provvedano affinché una percentuale indicativa minima di biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili sia immessa nei rispettivi mercati. La proposta di direttiva fissa, come valori di riferimento di detta percentuale indicativa, il 2% al 2005 e il 5,75% al 2010 della benzina e del gasolio usati nei trasporti. La seconda proposta mira a modificare il quadro comunitario delle accise sugli oli minerali - mediante emendamenti alla direttiva 92/81/CEE - onde consentire l’applicazione di aliquote ridotte sulle miscele contenenti biocombustibili (in misura proporzionale al contenuto di biocombustibili stessi) senza alcuna autorizzazione preventiva degli organi dell’Unione.
84 Un terzo principio ispiratore del Piano è l’adozione di norme per autoproduttori che anticipa forse l’odierno dibattito sulla produzione distribuita di energia come sistema di sviluppo sostenibile.
85 Legge °9/9 Gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del nuovo Piano Energetico Nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali”.
86 Vengono innanzitutto introdotte una parziale liberalizzazione nonché la previsione che la produzione di energia da fonti rinnovabili non è soggetta ad autorizzazione. L’articolo 22 inoltre introduce incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili o assimilate e in particolare da impianti combinati di energia e calore. I prezzi relativi alla cessione, alla produzione per conto dell’ENEL, al vettoriamento ed i parametri relativi allo scambio verranno poi fissati dal Comitato Interministeriale Prezzi con il provvedimento n. 6 dell’aprile 1992.
87 Allo scadere del termine il prezzo di cessione rientra nei criteri del costo evitato.
88 Nello stesso provvedimento il CIP stabilisce le condizioni di efficienza energetica necessarie per ottenere l’assimilabilità alle fonti rinnovabili, calcolata attraverso un indice energetico che premia le soluzioni a più alo rendimento elettrico.
89 Legge n°10/9 Gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del Piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”.
90 Uno dei più significativi decreti d’attuazione è il D.P.R. 26 Agosto 1993 n° 412 “Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’articolo 4/IV della Legge 9 Gennaio 1991, n° 10”, poi modificato ed integrato dal D.P.R. 21 Dicembre 1999, n° 551 “Regolamento recante modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica 26 Agosto 1993, n° 412, in materia di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia”
91 In particolare, nel Titolo I, l’art. 5 prescrive alle Regioni (e Province autonome) la predisposizione di piani energetici regionali relativi all’uso delle fonti rinnovabili. Gli artt. 8, 10 e 13 delegano alle Regioni (e Province autonome) il sostegno contributivo in conto capitale per l’utilizzo delle fonti rinnovabili in edilizia e agricoltura e per il contenimento dei consumi energetici nei settori industriale, artigianale e terziario. L’art. 19 introduce la figura professionale del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia per i soggetti che operano nei settori industriale, civile, terziario e dei trasporti, ovvero l’Energy Manager. Il Titolo II tratta delle norme e tecniche per il contenimento del consumo di energia negli edifici.
92 Agevolazioni tributarie e sull’IVA per interventi effettuati e miranti al conseguimento del risparmio energetico e all’adozione di impianti basati sull’impiego di fonti rinnovabili.
93 In linea teorica gli obiettivi che questa misura intenderebbe raggiungere sono: 1) favorire l’uso di combustibili che emettono meno anidride carbonica, 2) promuovere iniziative volte ad aumentare l’efficienza energetica, 3) favorire l’uso di fonti rinnovabili.
94 La Carbon Tax è in sintonia con una eventuale riforma “verde” dell’intero sistema fiscale, in quanto aumenta il prezzo delle fonti di energia più inquinanti, internalizzando i costi esterni associati alle emissioni di gas serra (riducendo il loro consumo e spingendo verso la sostituzione con energia proveniente da fonti meno inquinanti). L’obiettivo è pertanto la variazione del mix di combustibili e non la raccolta di gettito (l’imposta può essere stabilita in modo da essere neutrale rispetto al gettito; vengono cioè ridotte altre tasse, tipicamente oneri sociali, in modo da non aumentare il carico fiscale complessivo per le imprese e/o i cittadini). Essa può altresì generare positive ricadute sull’occupazione (attraverso lo sgravio del costo del lavoro ed i nuovi investimenti sollecitati dalla necessità di maggiore efficienza energetica). Per evitare che l'introduzione della tassa rechi troppi danni alle imprese nazionali, possono essere previste eccezioni di cui possono godere alcune industrie (come quelle ad alta intensità energetica o per le quali sia molto elevata la competizione internazionale). Nel ddl di riordino del settore energetico, peraltro, è prevista (articolo 21) una modifica in materia di carbon tax. La legge tenderebbe a congelare ai livelli attuali il gettito derivante dalla carbon tax (eliminando quindi i previsti incrementi nel tempo) mantenendone inalterata la destinazione; evitare distorsioni del mercato; incentivare, a parità di emissioni in atmosfera, l'utilizzo di una fonte di ampia disponibilità e stabilità di prezzo a tutto vantaggio della sicurezza degli approvvigionamenti; introdurre, in sostituzione della carbon tax, un sistema di tassazione evoluta ed in linea con l'evoluzione del mercato, che stimola verso comportamenti virtuosi i produttori (che si devono adeguare alle soglie di emissione decrescenti nel tempo), anche attraverso la diversificazione delle fonti utilizzate consentendo tuttavia ai soggetti che rispettano i limiti imposti di non dover pagare la tassa o addirittura beneficiare della vendita dei diritti di emissione tramite l'istituzione dell'apposito mercato.
95 Decreto Legislativo 16 Marzo 1999, n°79 “Attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica” (detto anche “Decreto Bersani”).
96 Un analogo passo si compie per il settore del gas naturale con il Decreto Legislativo 23 Maggio 2000, n° 164 “Attuazione della direttiva 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’art. 41 della Legge 17 Maggio 1999, n° 144” (detto anche “Decreto Letta”).
97 Tra di esse sono da ricordare il Libro Verde elaborato dall’ENEA nell’ambito del processo organizzativo della Conferenza Nazionale Energia e Ambiente e soprattutto il “Libro Bianco per la valorizzazione energetica delle Fonti Rinnovabili” elaborato dal Ministero dell’Industria d’intesa con i Ministri dell’Ambiente, per le Politiche Agricole, dei Lavori Pubblici, delle Finanze e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e sentita la Conferenza Unificata per i rapporti tra Stato, Regioni, Province Autonome e Autonomie Locali (approvato dal CIPE con delibera n° 126 del 6 Agosto 1999). Il Libro Bianco individua, per ciascuna fonte rinnovabile, gli obiettivi che devono essere conseguiti per ottenere le riduzioni di emissioni di gas serra attribuiti alle fonti rinnovabili dalla delibera Cipe ‘98 (“Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”), indicando altresì le strategie e gli strumenti necessari allo scopo. La redazione di tale documento di indirizzo, inoltre, dà corso e attuazione, a livello nazionale, al Libro Bianco comunitario sulle rinnovabili (Com(97) 599 def. del 26-11-1997: "Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili - Libro Bianco per una strategia e un piano d'azione della Comunità"; in esso si sostiene che "il ruolo degli Stati membri nell'attuazione del piano d'azione - del Libro Bianco comunitario - è cruciale. Essi devono decidere i loro obiettivi specifici nell'ambito del quadro più generale ed elaborare le proprie strategie nazionali per conseguirli").
98 Altre misure riguardano il rinnovo delle concessioni idroelettriche, subordinato a programmi di aumento di energia prodotta o di potenza installata ed i termini temporali per la decorrenza delle incentivazioni previste dal provvedimento Cip 6/92.
99 La quota è inizialmente fissata al 2% e l’obbligo si applica alle importazioni e produzioni di energia elettrica, al netto della cogenerazione, degli autoconsumi di centrale e delle esportazioni, eccedenti i 100 GWh. I produttori non devono obbligatoriamente produrre in proprio la quantità necessaria al raggiungimento della percentuale indicata, ma possono acquistare, in tutto o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti (certificati verdi) anche da altri produttori. Per gli inadempienti sono stabilite sanzioni consistenti nella limitazione alla partecipazione al mercato dell’elettricità.Il meccanismo viene ulteriormente sviluppato nel D.M. 11 Novembre 1999 – “ Direttive per l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1,2,3 dell’articolo 11 del Decreto Legislativo 16 Marzo 1999, n°79”.
100 Anche gli impianti autorizzati sotto il regime Cip 6/92 ed entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999 hanno diritto ai certificati verdi, i quali, però, sono di proprietà del Gestore della rete: questi li immette sul mercato a un prezzo determinato in base alla differenza tra l’onere di acquisto dell’elettricità Cip 6/92 (quando viene riconosciuta anche la quota incentivante) e i proventi della vendita della medesima elettricità.
101 Libro Bianco.
102 Per quanto attiene agli obiettivi di efficienza e risparmio energetici, due decreti ministeriali (24 Aprile 2001) stabiliscono gli obiettivi di risparmio energetico negli usi finali che, nel periodo 2002-2006, debbono essere obbligatoriamente conseguiti dai distributori di elettricità e gas naturale, dando attuazione a quanto previsto nell’art. 9 del D.lgs 79/99 e all’art.16 del D.lgs 164/00. Nei provvedimenti si stabilisce che, a partire dal 2002, i distributori di energia elettrica e gas (l’obbligo si applica ai distributori con più di 100.000 clienti idonei) dovranno dimostrare alla fine dell'anno di aver conseguito risparmi energetici pari alle quote fissate dai Ministeri dell'Ambiente e delle Attività Produttive. La garanzia di tali guadagni di efficienza è rappresentata dai "Titoli di Efficienza Energetica" (TEE), emessi dall'Autorità per l'Energia elettrica ed il Gas a fronte di miglioramenti negli usi finali in progetti qualificati per l'emissione. Per facilitare il conseguimento degli obiettivi stabiliti, i decreti permettono che i TEE siano oggetto di contrattazione, determinando la formazione di un mercato dei titoli di efficienza simile a quello dei certificati verdi. L’entità degli obiettivi, ambiziosa ma realistica e con tempi di ritorno degli investimenti contenuti, dovrebbe consentire di ottenere una riduzione delle emissioni di 7,5 Mt CO2 nel 2006, valore che potrebbe crescere fino a 10 Mt CO2 nel 2010.
103 Il ddl presenta un intero capo in un certo senso dedicato alla sostenibilità energetica (“Capo V - Misure per la diversificazione delle fonti energetiche a tutela della sicurezza e dell’ambiente”).
104 Si veda, nello schema, la tabella 5 (Livelli Massimi di emissioni di GHG al 2005 e per il periodo 2008-2012) in cui compare ad esempio il valore obiettivo di 124,1 Mt CO2 eq. (periodo 2008-2012) per il settore termoelettrico, che è il maggior responsabile delle emissioni.
105 I livelli sono definiti per gli “esercenti officine di produzione di energia elettrica, anche alimentate da fonti energetiche rinnovabili, per il rispetto della percentuale di riduzione delle emissioni di anidride carbonica prevista in ottemperanza agli impegni sottoscritti nel protocollo di Kyoto”. L’attuazione deve anche portare a “stabilire le modalità per l'organizzazione di un mercato per il commercio dei diritti di emissione di anidride carbonica”.
106 Il disegno di legge parla anche di obiettivi generali, come “perseguire il miglioramento della sostenibilità ambientale dell'energia, anche in termini di uso razionale delle risorse territoriali, ed il rispetto degli impegni assunti a livello internazionale, in particolare in termini di emissioni di gas ad effetto serra e di incremento dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili assicurando il ricorso equilibrato a ciascuna di esse. La promozione dell'uso delle energie rinnovabili deve avvenire, anche attraverso il sistema complessivo delle incentivazioni, assicurando un equilibrato ricorso alle fonti stesse, assegnando la preferenza a quelle di minore impatto ambientale e territoriale”.
107 Processo avviato con la Legge n° 59/97 (“Bassanini”).
108 L’energia rimane quindi materia di competenza dello Stato, cui competono anche le funzioni amministrative che assecondano esigenze di politica unitaria e hanno interesse di carattere nazionale o sovra-regionale; alle regioni e agli enti locali vengono assegnate funzioni con criterio residuale ed in base al principio di sussidiarietà (alle regioni espressamente il controllo di quasi tutte le forme di incentivazione ed il coordinamento dell’attività degli enti locali in relazione al contenimento dei consumi di energia degli edifici).
109 A livello comunale viene in particolare istituito uno sportello unico con funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi.
110 Tra cui ad esempio le funzioni amministrative concernenti la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MWt, le reti per il trasporto con tensioni superiore a 150 kV, l’emanazione di norme tecniche relative alla realizzazione di elettrodotti e il rilascio di concessioni per l’esercizio delle attività elettriche).
111 Si veda ad esempio D.P.C.M. 12 Ottobre 2000 relativo alle funzioni in materia di energia, miniere e risorse geotermiche.
112 Allo Stato è riservato il compito di dettare i principi fondamentali, mentre le Regioni hanno la potestà legislativa per tutto quanto non fa riferimento alla determinazione dei suddetti principi. Per quanto riguarda le competenze amministrative il nuovo testo dell’art 117 della costituzione attribuisce potestà regolamentare alle regioni (salvo i casi di competenza esclusiva statale), mentre a Comuni, Province e Città Metropolitane riserva quella sulle funzioni loro attribuite (quelle fondamentali, attribuite con legge dello stato). L’art 118 dispone inoltre che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
113 Tra queste “la fissazione degli obiettivi minimi nazionali in materia di fonti rinnovabili e di risparmio energetico, sentita la Conferenza unificata” e “la definizione, d'intesa con la Conferenza unificata, dei principi generali per la articolazione territoriale degli obiettivi minimi nazionali in materia di fonti rinnovabili e risparmio energetico”.
114 Tra cui “l’adozione di indirizzi e di misure per salvaguardare la sicurezza e l’economicità degli approvvigionamenti per i clienti vincolati, nonché garantendo la diversificazione delle fonti energetiche, anche con l’utilizzazione delle energie rinnovabili e dell’energia prodotta mediante cogenerazione” e “la quantificazione dell’obbligo, a carico di produttori ed importatori, di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota prodotta da fonti rinnovabili, e le regole generali per la commercializzazione dei “certificati verdi”.
115 UE Green Paper “Towards a European strategy for the security of energy supply”.
116 Insieme all’efficienza negli usi finali, che permette di ottenere i tre obiettivi suddetti dal lato della domanda ed è, proprio in ragione di ciò, spesso trattata, nelle politiche adottate, insieme alle fonti rinnovabili in quanto la diminuzione dei consumi (della domanda) consente di raggiungere più facilmente anche gli obiettivi (non assoluti, ma relativi proprio ai consumi totali) di penetrazione delle fonti rinnovabili.
117 Con l’eccezione dei grandi impianti idroelettrici.
118 La produzione ottenibile con talune fonti energetiche rinnovabili non è facilmente programmabile, per ovvi motivi legati alla variabilità meteorologica (ad esempio regime dei venti), pertanto gli impianti e le infrastrutture non sono facilmente inseribili nel quadro strutturale (tecnologico e di coordinamento) di soddisfacimento della domanda. Esse presentano un “debito di potenza”, in quanto devono essere “garantite” da impianti convenzionali che entrino in funzione quando diminuisce la produzione ottenibile da esse.
119 Vi sono anche interessi di natura diversa rispetto al comune utilizzo di una risorsa (valore ricreativo, simbolico, ecc.).
120 Conviene cooperare laddove si riesca poi ad imporre un proprio standard come norma (standard di diritto, es. proposta di quadro comunitario sui regimi di sostegno) o prassi (standard di fatto, es. metodologia di certificazione che acquista credibilità tale da divenire l’unica utilizzata).
121 Gli stessi complessi processi di ottenimento delle autorizzazioni costituiscono una forte barriera all’entrata.
122 Le esternalità (costi non contabilizzati) introducono una non corretta ripartizione dei costi (chi sostiene i costi dell’azione volta all’efficienza non ne ottiene tutti i benefici); la presenza di asimmetria informativa induce gli attori (imprese, utenti) a non investire in ricerca nuove opzioni tecnologiche e/o di metodi di utilizzo più efficienti.
123 Il Quinto programma d’azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile ("Per uno sviluppo durevole e sostenibile", COM (92) 23, Bruxelles, maggio 1992 ma formalmente deliberato nel 1993) contiene sostanziali novità di approccio rispetto ai precedenti programmi ambientali dell’Unione: esso si presenta come lo strumento di attuazione in ambito comunitario dell’Agenda 21 e costituisce il quadro unitario di riferimento per le politiche degli Stati membri. Di particolare rilievo gli indirizzi relativi all’integrazione delle politiche, all’ampliamento degli strumenti di governo (economici, volontari, informativi), alla condivisione delle responsabilità ed alla sussidiarietà, all’internalizzazione dei costi esterni, alla riforma fiscale in senso ecologico, ai conti/satellite ambientali da affiancare alla contabilità nazionale, all’individuazione dei settori d’intervento e delle tematiche ambientali prioritarie.
124 Negli anni che precedono il trattato, peraltro, l’Unione Europea viene criticata per non aver mantenuto gli impegni in tema di sostenibilità assunti durante la Conferenza di Rio.
125 Strategie per la transizione vengono in seguito definite in diversi settori: agricoltura, energia, trasporti, mercato interno, attività estrattive ed industria, cooperazione allo sviluppo, cooperazione economica e finanziaria, pesca, affari trasversali (in cui sono responsabili i Ministri degli Affari Esteri)
126 Nei settori trasporti, energia, agricoltura, attività estrattive ed industria, mercato interno, cooperazione allo sviluppo.
127 Purtroppo, pur appena nato, questo processo di attuazione della strategia non si è contraddistinto per coerenza ed efficacia (la relazione di sintesi del 2002 non menziona alcuno degli indicatori proposti e non fissa, tra le priorità, alcun obiettivo ambientale - neppure gli obiettivi collegati a Kyoto; inoltre nella sua predisposizione sono stati completamente trascurati i requisiti di trasparenza e partecipazione di associazioni esterne alla Commissione), lasciando intravedere anche in questo caso la difficoltà che permane nei tentativi di rendere attuabile nella concreta prassi politica, pur di lungo periodo, ogni proponimento connesso allo sviluppo sostenibile.
128 L’Unione Europea conferisce all’integrazione degli aspetti ambientali in tutte le politiche di governo il massimo rilievo formale, traducendola in un vero e proprio obbligo giuridico, fin dal Trattato di Amsterdam (articolo 6 del testo consolidato).
129 Obiettivi di riduzione o di limitazione quantificata delle emissioni.
130 Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord.

 

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