AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


 Copyright ©  Ambiente Diritto.it

 

 

Le potenzialità di sviluppo del risparmio energetico e delle fonti di energia rinnovabile: il teleriscaldamento a biomassa

 

Potentialities and development of energy saving and renewable energy sources: biomass district heating

 

ALESSADRA D'ETTORRE*

 

 

Abstract

The liberalization of electric power and gas markets is causing a change both in energy utilization and in suitability of the various sources to develop energy demand. Within this dynamic context, general objectives of environmental protection and efficient resource utilization have to be safeguarded, holding in due consideration both requirements of supplies safety and answers for the challenge of climate change. These obligations (established by Kyoto’s Protocol) can be fulfilled througha strengthening of biomass district heating technology; but this objective requires a considerable public and economic commitment for its achievement. This paper, after providing a brief “excursus” of European, National and Regional policies, critically analyses the district heating and biomass market, in order to identify difficulties to overcome for developing such technology, which is able to pursue environmental advantages combined with energy efficiency.

Keywords:  biomass district heating, energy saving potential.

 


Introduzione


Il sistema energetico e l’ambiente
Il settore energetico rappresenta una delle maggiori sorgenti di emissioni di inquinanti atmosferici e gas climalteranti, in particolare anidride carbonica, provocati dalla combustione di combustibili fossili. Per comprendere il fenomeno del cambiamento climatico, risulta utile esplicitare la stretta relazione tra consumi energetici e relative emissioni di anidride carbonica.
Il consumo interno lordo di energia dipende fortemente da fonti fossili per una quota pari a circa il 90%. Cosicché, tra gli anni, in particolar modo, 1990-2000 ad un aumento del consumo interno lordo è corrisposto un aumento delle emissioni di anidride carbonica. Questa relazione evidenzia due fenomeni:

1. la dipendenza dell’Italia dai combustibili fossili rimane, nel periodo considerato, sempre rilevante;
2. l’aumento dell’impiego del gas naturale, che ha un coefficiente di emissione per unità di energia inferiore a quello del carbone e del petrolio, non è stato sufficiente ad arrestare la crescita delle emissioni di CO2

Da una prima analisi si delinea un collegamento strutturale tra il sistema energetico e il tema dei cambiamenti climatici, che costituisce una delle maggiori preoccupazioni ambientali a livello mondiale e uno dei punti di maggiore rilevanza nell’agenda dei governi nazionali e delle competenti agenzie internazionali.
Combattere il cambiamento climatico rappresenta uno dei principali impegni della strategia comunitaria per uno sviluppo sostenibile al fine di raggiungere un livello qualitativo e quantitativo di sviluppo economico, e quindi di consumo energetico, compatibile con il mantenimento di un adeguato standard di qualità ambientale e di utilizzo delle risorse naturali. In conseguenza, l’impegno europeo per fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico planetario dovuto all’effetto serra si è articolato su due fronti: riduzione dei consumi energetici attraverso nuove tecniche e tecnologie più efficienti e sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili.
All’interno di questo quadro, il settore civile riveste un ruolo cruciale. Nel nostro Paese, i consumi complessivi di energia nei settori residenziale e terziario costituiscono infatti una significativa quota del totale nazionale (circa il 30% nel 2000) e il 41% dei consumi finali totali (e quindi delle emissioni) nell’Unione Europea.
Il residenziale assorbe, rispetto al terziario, una quota predominante dei consumi del settore civile, sempre superiore al 70% del totale. Negli edifici residenziali, l’energia consumata serve prevalentemente per riscaldare gli ambienti (68%) e per produrre acqua calda sanitaria (12%). Negli edifici del terziario è sempre il riscaldamento degli ambienti il maggior responsabile dei consumi, seguito dalla illuminazione artificiale. Considerando le fonti energetiche, nel 1999 la domanda di energia per riscaldamento nel residenziale è stata soddisfatta dal gas naturale per il 66,2%, dai prodotti petroliferi (GPL, gasolio, olio combustibile) per il 26,5% e dall’energia elettrica e combustibili solidi (carbone) per il rimanente 7,3%1.

Consumi energetici nel settore residenziale per funzione d’uso (quota %) in Italia

 

 



Fonte: elaborazione ENEA di dati del Ministero delle Attività Produttive

Considerando una forte incidenza dei sistemi di riscaldamento sui consumi energetici, si intravedono ottime potenzialità di miglioramento dell’efficienza energetica, in cui i sistemi di riscaldamento urbano (d’ora in poi “teleriscaldamento”) rappresentano un’importante opportunità di utilizzo razionale dell’energia e un doveroso contributo al contenimento della spesa energetica, alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e al controllo dell’inquinamento locale.

La politica energetico–ambientale dell’Unione Europea
I diversi tentativi di giungere ad una strategia comune di riduzione delle emissioni dei gas serra si sono conclusi nel 1997 con l’approvazione del Protocollo di Kyoto, il quale impegna i Paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione dell’Est europeo a ridurre, nel quinquennio 2008-2012, le emissioni dei principali gas serra nella misura complessiva globale del 5,2% rispetto ai livelli del 19902.
Gli obiettivi di riduzione sono diversi per i vari paesi: - 8% per l’Europa, in cui l’Italia deve contribuire con una diminuzione del 6,5%. L’obiettivo fissato dal Protocollo è stato ripartito tra gli Stati membri nell’ambito di un accordo di condivisione degli oneri (burden sharing), che fissa obiettivi di emissione per ciascuno Stato membro3 in modo direttamente proporzionale ai livelli pro-capite di emissioni e al grado di sviluppo di ciascun paese.
Il rispetto degli impegni di Kyoto comporta una notevole trasformazione del sistema energetico nazionale. Sebbene il sistema italiano sia caratterizzato da una bassa intensità energetica e, quindi, da bassi livelli di consumo totale di energia e di emissioni per unità di PIL4, esso risulta meno efficiente dal lato delle emissioni totali di gas serra, sia per le caratteristiche della produzione di energia, sia per il mancato ricorso al nucleare (a differenza di altri paesi che annoverano l’energia nucleare nella definizione dei propri obiettivi di riduzione delle emissioni). Di conseguenza, il raggiungimento della riduzione del 6,5% dovrà cercarsi nella riduzione delle emissioni più che in quella dell’intensità energetica, sia nella fase di consumo che in quella della produzione.
Gli obiettivi verso cui dovranno convergere le politiche comunitarie e nazionali sono state identificate nel Libro Bianco “Una politica dell’energia dell’Unione Europea” (G.U.C.E. 1996, C224). Con tale documento, l’Unione Europea ha definito tre obiettivi per la propria politica energetica:

1. la sicurezza negli approvvigionamenti, anche tramite la diversificazione;
2. la competitività delle fonti;
3. la tutela e il rispetto dell’ambiente.

Congruentemente con i suddetti obiettivi, le azioni strategiche messe in opera a scala europea riguardano:
» l’integrazione degli obiettivi di riduzione dei gas serra nella politica energetica ;
» il miglioramento dell’efficienza energetica;
» lo sviluppo delle fonti rinnovabili;
» l’apertura del mercato dell’energia.

Queste linee d’azione sono state recepite dal quadro normativo nazionale ed avviate ad un’ulteriore evoluzione nella direzione di maggiori poteri e responsabilità della Regione a seguito della variazione del Titolo V della Costituzione.

Le politiche energetico-ambientali regionali e locali
Il quadro delle competenze regionali in campo energetico è in profonda trasformazione. Gli elementi caratterizzanti sono riconducibili al decentramento amministrativo in una logica di trasferimento di attività pianificatorie dal centro alla periferia al fine di promuovere una maggiore efficienza istituzionale. Allo stato attuale, dunque, le funzioni di pianificazione, promozione e amministrazione competono in ampia misura a Regioni ed Enti Locali, in seguito al processo di decentramento amministrativo e decisionale avvenuto con il Decreto Legislativo 112/98, in attuazione della legge n. 59 del 1997 nota come “Legge Bassanini”. Il D.Lgs 112/98, oltre a trasferire le competenze dallo Stato alle Regioni, prevede il trasferimento e l’amministrazione delle risorse finanziarie necessarie alle Regioni, tenute a favorire il coinvolgimento delle comunità locali, mentre il Governo è impegnato a reperire risorse, anche comunitarie, per dare attuazione a quest’ultima disposizione.
La politica energetica trova, nel livello locale, la sede idonea per fornire le occasioni, le opportunità e i presupposti per gli operatori e per proporre soluzioni innovative in quegli ambiti in cui è possibile rivendicare maggiore discrezionalità, sulla base di oggettive considerazioni di migliore efficienza dell’intervento locale nell’allocazione delle risorse disponibili per la collettività. Si considerano i seguenti elementi di valutazione: le specificità territoriali, la localizzazione e la realizzazione degli interventi, la vicinanza agli utenti finali, il consenso sociale, l’aggregazione di domanda e offerta di energia, il censimento e la valorizzazione delle risorse sfruttabili, l’integrazione orizzontale tra le diverse politiche settoriali. Infatti, sia che si parli di sviluppo delle fonti rinnovabili che di uso razionale dell’energia, la sede più appropriata per il disegno di una politica di sostegno appare quella locale. Ciò risulta abbastanza chiaro sia per le risorse rinnovabili che presentano un carattere di forte sito-specificità (e la cui disponibilità può essere differente, in termini sia quantitativi che qualitativi, da regione a regione), sia per l’uso razionale dell’energia, soprattutto nel settore civile, che risente dei fattori territoriali (condizioni climatiche, densità abitativa, ecc.) richiedendo, così, particolari soluzioni tecnologiche. Nella fattispecie, è quindi del tutto legittimo prevedere che misure di sostegno locale possano avere una maggiore efficacia allocativa rispetto a provvedimenti presi a livello centrale. È questa la logica a cui deve ispirarsi l’intervento pubblico in un’ ottica di decentramento decisionale e amministrativo rispetto all’azione pubblica centrale5.
Le risorse finanziarie, anche comunitarie, necessarie per il finanziamento a livello regionale degli interventi per l’uso razionale dell’energia e delle fonti rinnovabili, sono rese disponibili alle Regioni ed Enti locali che provvedono all’erogazione dei contributi attraverso procedure di gara. Le Regioni sostengono finanziariamente i progetti selezionati in relazione alla disponibilità di bilancio, la quale dipende da:
- i fondi trasferiti dallo stato;
- i fondi autonomi regionali;
- i fondi strutturali dell’Unione Europea per aiuti a finalità regionale;
- i fondi comunitari;
- gli accordi di programma.
In tale contesto, gli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica possono incontrare le tradizionali barriere per l’avvio degli stessi, quali la carenza di risorse finanziarie da destinare alla realizzazione dei progetti. Ciò conferma la validità dell’impegno a creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti mediante la promozione dell’uso di strumenti tecnico-finanziari innovativi tra cui il Third Party Financing (Finanziamento Tramite Terzi, FTT)6.



Il teleriscaldamento e le sue potenzialità
Il teleriscaldamento urbano, ossia il riscaldamento urbano tramite reti, si presenta una tecnologia dotata di notevoli caratteristiche energetico–ambientali per raggiungere il risparmio energetico nella climatizzazione ambientale e ridurre le emissioni inquinanti a livello locale. La centrale di teleriscaldamento può utilizzare tecnologie cogenerative e/o fonti rinnovabili; in ogni caso, viene realizzato un risparmio di fonti fossili d’energia. Infatti, se si utilizza il metano in modo cogenerativo, l’input primario è una fonte fossile, ma complessivamente la maggiore efficienza della cogenerazione porta ad utilizzarne un quantitativo minore. Se l’input della centrale di produzione è una fonte rinnovabile, come la biomassa, si ha totale sostituzione delle fonti fossili.
In generale, un sistema di teleriscaldamento si compone di vari elementi, e principalmente:
• una o più centrali termiche, ove viene prodotto (in modo semplice o combinato) il calore;
• di una rete di trasporto e di distribuzione, che permette di servire contemporaneamente più edifici;
• di un complesso di sottocentrali, una per ogni utenza o gruppo di utenze.
Il trasporto del calore, dalla centrale ai punti di consegna presso i singoli edifici della città (riscaldamento urbano) o del quartiere (riscaldamento di quartiere), avviene mediante un fluido vettore, l’acqua calda o surriscaldata, posta in circolazione entro condotte interrate, posate sotto le sedi stradali. In ciascun edificio la caldaia pre-esistente (di tipo condominiale o unifamiliare) viene disattivata e sostituita da un semplice scambiatore di calore, a mezzo del quale l’energia termica è ceduta all’impianto di distribuzione interna dell’edificio, che rimane inalterato.
Una prima evidente differenza tra un convenzionale sistema di riscaldamento (centralizzato o individuale) di edificio e il sistema di teleriscaldamento urbano è raffigurata dal vettore energetico distribuito. Nella prima tipologia di sistema, esso assume la forma della materia prima (combustibile) dalla quale, attraverso un processo diretto di trasformazione presso la sede dell’utente, si ricava il “prodotto finito” (il calore). Nel caso del teleriscaldamento, invece, si procede alla distribuzione del calore, ossia del “prodotto finito” senza nessuna necessità d’intervento dell’utente. Quest’ultimo usufruisce di un servizio finale nel settore della climatizzazione degli edifici, mentre la scelta e la manipolazione dei combustibili sono attività gestite dagli operatori industriali, sotto il controllo degli organi pubblici.
Le tariffe del “servizio calore” sono posizionate per offrire all’utenza un risparmio economico rispetto alle soluzioni tradizionali. Il teleriscaldamento consente risparmi medi annui per l’utente sulla bolletta energetica del 10-15% rispetto al gasolio o nel caso venga bruciata biomassa da rifiuti. Oltre i vantaggi economici, l’utente può godere di maggiore sicurezza connessa all’assenza di caldaie e fiamme libere, minimizzando il rischio di incendi, essendo il pericolo maggiore da affrontare la rottura di uno tubo dello scambiatore con conseguente fuoriuscita di acqua calda.
Il teleriscaldamento è dunque un’attività di produzione e distribuzione di energia che si esaurisce esclusivamente a livello locale. Con questo sistema, è possibile estendere il servizio calore ad intere e diverse aree urbane, rendendolo un vero e proprio servizio pubblico locale al pari di altri servizi a rete quali l’acquedotto o la rete elettrica cittadina e, quindi, a disposizione di tutti i cittadini privati e del complesso delle attività industriali, commerciali e terziarie che occupano l’area raggiunta dalla rete. Peraltro, ciò che lo differenzia è riscontrabile nell’estensione della rete, le cui dimensioni possono essere molto variabili, con estremi compresi tra un piccolo quartiere e una intera città. Condizione primaria per un progetto di teleriscaldamento è la presenza di un centro urbano di discrete dimensioni in prossimità della centrale di produzione, a causa degli ingenti costi della rete di distribuzione (si stima che il suo costo incida sull’investimento complessivo tra il 50% e l’80%). Il calore non permette trasferimenti troppo lunghi cosicché l’approvvigionamento deve avvenire necessariamente da fonti (ossia impianti di media/piccola taglia) situate in prossimità dell’utenza potenziale. Il limite dimensionale della rete diviene, così, un’ulteriore fattore di dissonanza con le diffuse e capillari reti di distribuzione del metano. Infatti non esistono, e non risulta conveniente realizzare, reti di trasporto del calore al di fuori dei centri urbani, che consentano il vettoriamento dell’energia termica a grande distanza e siano paragonabili alle reti di trasporto del gas ad alta pressione e dell’energia elettrica su lunga distanza e con dimensioni sovraregionali.
La criticità del dato dimensionale e della qualità dell’utenza servita comporta conseguenze nella corretta valutazione degli effetti energetico - economici di un progetto. Il teleriscaldamento si ritiene concretamente attivabile nelle zone in cui vi è la convenienza ad impiantare un sistema in relazione al rapporto positivo tra utilizzo complessivo del calore da parte dell’utenza e costo di impianti e di gestione di un sistema di teleriscaldamento. Un importante elemento per l’affermazione del teleriscaldamento consta nella concentrazione della domanda (alta densità di consumi energetici, zone di sviluppo industriale, artigianale e terziario) la quale, se al contrario si presentasse molto frammentata, costituirebbe una barriera rilevante alla diffusione della tecnologia.
In questo contesto, di particolare interesse è il rapporto tra il metano e il teleriscaldamento. Molte città dimostrano come sia possibile la coesistenza dei due vettori energetici e delle due tipologie di reti, grazie alle politiche di coordinamento dei servizi pubblici. Si viene così a realizzare una “gestione integrata delle energie” sul territorio assegnando ad ogni vettore il ruolo che gli compete nell’ambito di un sistema ottimale. Nel quadro di armonizzazione e sinergia con le strutture distributive del gas, il teleriscaldamento si pone così in una posizione di complementarietà con il metano, purché le due fonti energetiche siano gestite in modo coordinato7.
Nonostante i suoi limiti dimensionali, “l’acquedotto caldo” si è imposto come una infrastruttura capace di apportare notevoli vantaggi ambientali in quanto contribuisce al disinquinamento delle aree urbane (cioè proprio in quelle aree a maggiore criticità ambientale), in relazione alla riduzione della quantità di diversi combustibili impiegati, ma anche capace di offrire un contenuto economico a risorse energetiche locali di non facile valorizzazione, quali le risorse rinnovabili (biomassa legnosa, rifiuti solidi urbani, geotermia a bassa entalpia), che vengono utilizzate come fonti primarie nella produzione del calore.
I vantaggi, in primis quelli ambientali, che si deducono dalla riduzione del consumo di fonti fossili d’energia, grazie al sistema di teleriscaldamento, si possono riassumere in:
indipendenza energetica: il risparmio energetico conseguibile dall’ Italia con il teleriscaldamento, soprattutto nel caso di biomassa da rifuti, potrebbe svolgere un importante ruolo nell’attuazione di una razionale politica nell’uso delle fonti energetiche e nel perseguimento degli obiettivi di politica energetica nazionale, tesi a ridurre l’attuale dipendenza energetica dalle fonti fossili e ad attuare la diversificazione dell’approvvigionamento, l’utilizzo di risorse endogene, la salvaguardia ambientale.
razionalizzazione della produzione e del consumo dell’energia termica: il settore dei consumi termici degli edifici è contraddistinto da basse efficienze nell’utilizzo dell’energia e rappresenta un grande potenziale di risparmio energetico. Nel caso del teleriscaldamento non si può in alcun modo prescindere dalla modalità di produzione del calore erogato alla rete stessa; i vantaggi sono sostanzialmente legati alla possibilità di ottenere elevati rendimenti dell’impianto di generazione, con il controllo della combustione e la manutenzione affidati a personale specializzato, ottimizzando le risorse nel processo di conversione dell’energia. Una sola fonte di emissione è più facilmente controllabile e può essere agevolmente sottoposta ad interventi migliorativi con il progredire della tecnologia di abbattimento degli inquinanti, contribuendo alla riduzione delle emissioni inquinanti a livello locale;
servizio finale per l’utente: l’attenzione crescente verso le esigenze del cittadino, che desidera il miglior confort ambientale, si traduce nell’offerta del servizio calore e non del combustibile che necessita di un ulteriore trasformazione tramite caldaie. I costi evitati per gli utenti includono l’acquisto e la manutenzione delle caldaie, nonché la maggiore disponibilità di spazi utili. Il vantaggio economico per l’utente va valutato, infatti, sul ciclo di vita delle apparecchiature considerando tutti i costi (acquisto, esercizio, manutenzione).

Esperienze internazionali
Il teleriscaldamento non è una scoperta tecnologica, ma si presenta come una tecnologia consolidata. L’esperienza acquisita, l’aumento di efficienza degli impianti di produzione, il miglioramento dei materiali, della strumentazione di controllo e dei sistemi automatici di supervisione contribuiscono a ridurre i costi di gestione, aumentare l’affidabilità e l’accettabilità sociale. In America, in Giappone e nei Paesi del Centro-Nord Europa, si è registrata una diffusione capillare del fluido termico, che nei suoi principi generali è conosciuto dall’inizio del Novecento, mentre in Cina il servizio in questione incomincia ad avere un forte impulso nei nuovi agglomerati civili.
A livello internazionale si osserva che le fonti energetiche maggiormente utilizzate nel teleriscaldamento urbano sono il carbone in Danimarca, Finlandia, Germania, e il gas naturale in Olanda ed Austria. L’utilizzo dell’olio combustibile è in diminuzione, mentre è considerevole l’impiego di rifiuti urbani in Svizzera, Francia, Danimarca, accanto all’uso di biomassa legnosa predominante in Austria.

Panorama italiano: le cause del ritardo
In Italia, il fenomeno è assai più recente e risale al 1971 con un progetto implementato a Brescia. A questo sono seguiti gli impianti in centri sia di grandi che di medio-piccole dimensioni situati nelle regioni centro-settentrionali della penisola. Attualmente sono una trentina i centri che vantano questo servizio, tra cui Milano con sei reti esercite dall’AEM s.p.a., società che opera nel campo del teleriscaldamento dal 1992.
A differenza di altri paesi europei, la situazione italiana mostra una scarsa diffusione delle reti a causa sia di scelte politiche sia di particolari condizioni locali, climatiche e di approvvigionamento del calore, che giustificano la sua realizzazione in particolari zone territoriali. I motivi del ritardo si possono riassumere in: vincoli urbanistico-territoriali, limiti dimensionali della rete, clima abbastanza mite, l’esistenza di fonti di produzione del calore, la diffusa penetrazione del gas, l’aggregazione della domanda in un bacino d’utenza con caratteristiche termiche simili tali da raggiungere la massa critica di fabbisogno termico, ecc.
Nella tabella sottostante è sintetizzata la distribuzione territoriale degli impianti di teleriscaldamento in Italia, con aggregazione a livello regionale.

Tabella e grafico – Volumetria edilizia collegata a reti di teleriscaldamento per regione (anno 2002)

 

REGIONE

VOLUMETRIA

TELERISCALDATA

Mm3

%

Lombardia

57,6

43,5

Piemonte

32,2

24,3

Emilia Romagna

21,7

16,4

Veneto

10,4

7,8

rentino A.A.

4,5

3,4

Liguria

2,5

1,9

Lazio

2,2

1,7

Toscana

0,9

0,7

Marche

0,4

0,3

Totale

132,4

100

 

 

 

 

Fonte: AIRU 2002.

Le novità intervenute, in termini di nuove reti entrate in esercizio, non hanno modificato, ma anzi confermato, la situazione ormai consolidata da anni: le reti sono concentrate nell’Italia settentrionale e la quasi totalità della volumetria teleriscaldata (circa 122 milioni di m³, pari al 92% della volumetria totale) è localizzata nelle cinque regioni settentrionali: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Trentino Alto Adige.
Nelle regioni centrali e soprattutto meridionali dell’Italia, il fattore critico per lo sviluppo del teleriscaldamento è costituito invece dalle condizioni climatiche, che rendono problematica l’utilizzazione economicamente efficiente degli impianti, con la sola eccezione dei grandissimi agglomerati urbani, in cui l’effetto della densità edilizia può compensare in parte la bassa utilizzazione delle reti. Si consideri inoltre che il mercato dell’energia del settore civile è rimasto sin dalla sua nascita nelle mani dei fornitori di combustibile e qualunque tentativo d’innovazione si scontra con la radicata e diffusa presenza dei loro interessi, che difficilmente si identificano nella riduzione dei consumi. Le innovazioni si scontrano, poi, con gli interessi o le abitudini di altre categorie, come quella dei costruttori edili, dei produttori di impianti, degli amministratori di condominio e non da ultimo, con la cultura degli utenti-consumatori. Quest’ultima categoria è generalmente impreparata e caratterizzata da una ormai radicata cultura dello spreco e dei comportamenti “comodi” ma irrazionali. Di fatto, le realizzazioni concrete sono state quasi tutte frutto dell’iniziativa di alcune amministrazioni locali e di imprese pubbliche già presenti sul territorio e operanti nel settore dei servizi pubblici a rete.
In Italia, il mix di fonti di energia primaria, utilizzato nei sistemi di riscaldamento urbano, fa riscontrare nel 2002 una quota consistente del gas naturale (circa il 57%), ponendosi come fonte principale, seguita dall’incenerimento di RSU (20%), dal carbone (11%) e dall’olio combustibile (9%). Le altre fonti rinnovabili rimangono ancora marginali, attestate attorno all’3%8.


Il mercato della biomassa
Il riscaldamento urbano consente di perseguire numerose finalità:
1. utilizzare tutte le fonti energetiche disponibili, integrandole efficacemente;
2. valorizzare risorse di cui il territorio dispone, attribuendone una valenza economica;
3. realizzare un’efficiente combinazione tra lo sfruttamento di fonti di energia rinnovabili e il risparmio energetico.
Risorse di interesse prioritario per gli usi energetici sono le biomasse disponibili come sottoprodotto o scarto sia della produzione agricola e forestale sia dell’industria del legno. Quest’ultima tipologia si dimostra la fonte principale per gli attuali progetti in essere, aventi migliori condizioni di costo, facilità e garanzia di approvvigionamento. L’elevato costo della raccolta e del trasporto rappresenta, invece, il fattore discriminante per valutare la pratica disponibilità della biomassa di scarto dispersa nel terreno forestale ed agricolo, scontrandosi, però, con gli alti rischi di incendi boschivi correlati alla manutenzione e raccolta.
La biomassa utilizzabile a fini energetici può essere suddivisa in più categorie a seconda della provenienza e delle caratteristiche tecniche del materiale d’origine:
» prodotto principale o secondario della sistemazione delle aree forestali: pezzi di legna allo stato naturale, corteccia, tondelli, minuzzoli, ceppi, ramaglia e pigne;
» scarto della lavorazione dell’industria di lavorazione e di trasformazione del legno e delle attività di segherie in cui si suole distinguere tra:
  - legna allo stato naturale, non in pezzi, derivante dalla prima fase di lavorazione delle segherie (corteccia, ritagli tritati, segatura);
  - resti di legno della seconda fase di lavorazione proveniente da piccole o grandi industrie del legno, ossia falegnamerie, carpenterie e fabbriche di mobili (ritagli di pannelli truciolati, trucioli e polveri di legno, trucioli da pialla, resti di legno mescolato con legno allo stato naturale);
» prodotti legnosi a fine ciclo di consumo ossia legno usato, e non trattato con sostanze protettive, derivante dalla demolizione di edifici, mobili o imballaggi (travi, pavimenti, rivestimenti, porte, tavoli, casse, ecc.) con recupero energetico molto limitato;
» residui di potatura del verde urbano derivanti dalle attività di manutenzione del verde presenti nei centri urbani e lungo le strade extraurbane o in zone dedite all’agricoltura;
» colture a rapido accrescimento formate da piante coltivate con tecniche agronomiche speciali appositamente per fornire legna a fini energetici.
Caratteristica fondamentale di quest’ultima fonte di approvvigionamento è l’economicità degli aspetti colturali. Rispetto al caso della legna di scarto, l’economicità è garantita dall’applicazione estensiva di metodi meccanizzati che permettono di abbattere i costi di raccolta delle piante. Inoltre, mentre il patrimonio boschivo è per lo più ubicato in zone montuose o di non facile accesso, queste colture sono messe in opera in zone accessibili o pianeggianti. Il principio di queste colture è la capacità di rigenerazione delle piante, una volta tagliate, nell’arco di un anno. La raccolta della biomassa può avvenire con ciclo annuale o ogni due anni a seconda della fertilità del terreno. Il costo dell’impianto è sostenuto solo al primo anno, mentre per gli anni successivi ci si deve limitare ad una manutenzione ridotta.
Dal punto di vista agricolo, la produzione di biomassa può, in alcune aree del nostro paese, essere un’alternativa economicamente valida anche in virtù degli incentivi economici alla coltivazione di biomassa a ciclo breve e medio (short rotation forest) offerti dalla Comunità Europea e dalla “Misura h (2.8)” del Piano di Sviluppo Rurale (PRS)9 della Regione Lombardia con la finalità di favorire l’imboschimento delle superfici agricole. A questi contributi hanno avuto accesso gli agricoltori situati in zona Lomellina, in provincia di Pavia, per la conversione di risaie in colture arboree, a causa della concorrenza del riso a basso costo proveniente dall’Asia
La scelta del cippato di pioppo proveniente da apposite colture a rapido accrescimento ha mostrato, però, le prime incertezze sull’approvvigionamento della materia prima a causa delle carenze e dell’instabilità della filiera produttiva, ancora in fase prematura per garantire la certezza nella disponibilità del combustibile. Inoltre, data la novità di questo tipo di approvvigionamento, manca un vero e proprio mercato di sbocco e la formulazione del prezzo avviene sulla base di singole contrattazioni.
La realizzazione degli impianti suddetti ha messo in evidenza le criticità della risorsa biomassa, che vengono di seguito analizzate e delle quali è opportuno tenere in considerazione per la fattibilità dei progetti. In particolare:
a) La filiera legna-energia presenta lunghezza e complessità, con fasi che incidono sui costi d’approvvigionamento del combustibile e sulla realizzazione dell’impianto di combustione. Una volta identificato il bacino della risorsa primaria è necessario: accordarsi con i fornitori (operatori di settori diversi); organizzare il trasporto e il coordinamento della fornitura; provvedere allo stoccaggio della biomassa, ed in seguito allo smaltimento delle ceneri, alla scelta del sito, al controllo delle emissioni da camino, alla manutenzione dell’impianto, ossia fasi che incidono sui costi d’approvvigionamento della biomassa e sulla realizzazione dell’impianto di combustione. La mancata disponibilità di una sola di queste attività compromette la realizzazione dell’intero progetto.
b) La biomassa ha usi concorrenti a quelli energetici che possono incidere sulla quantità utilizzabile e sul suo prezzo.
c) Il consumo di biomassa da parte di impianti di taglia superiore a 10 MW potrebbero richiedere l’approvvigionamento della risorsa da bacini diversificati in qualità e provenienza, mettendo a rischio gli obiettivi di sfruttamento di risorse locali e a basso impatto ambientale, conseguenza delle emissioni legate al trasporto.
d) La legna mal si presta per impianti di grande potenza a causa del suo ridotto potere calorifico10 (2.500-4.500 kcal/kg), che lo rende un combustibile povero e necessita di masse maggiori per la produzione di un quantitativo di energia termica pari a quella prodotta dagli altri combustibili (gasolio, metano).
e) La biomassa utilizzata come combustibile non può essere considerata una commodity scambiata in grandi quantità su mercati (di solito internazionali per i combustibili non rinnovabili). Non esistono perciò valori conosciuti con buona approssimazione a cui fare riferimento, soprattutto a livello nazionale, essendo mercati che trovano una loro sede a livello regionale o locale.

La creazione di un efficiente mercato della legna da ardere può adempiere a due importanti funzioni:
1. la mediazione tra domanda e offerta come collegamento tra produttore e consumatore al fine di favorire lo scambio di informazioni, servizi e merci;
2. la formazione dei livelli del prezzo.
Tra i produttori, che rappresentano l’offerta si possono individuare i seguenti soggetti:
-  proprietari di boschi;
-  aziende forestali pubbliche;
- commercianti del settore privato;
- artigiani ed industrie della lavorazione del legno.
Se si considera il settore dei trucioli e del cippato (legna sminuzzata) si rileva la presenza di un’offerta potenziale legata tanto a figure tipiche del mercato della legna quanto a figure che non rientrano nella definizione classica di produttori, quali:
- falegnamerie, carpenterie e segherie;
- imprese di utilizzazione forestale e di manutenzione del verde;
- consorzi per la raccolta di materiale in legno giunto alla fine del suo ciclo di utilizzo.
Il lato della domanda comprende sia soggetti privati (imprese che gestiscono impianti per la produzione di calore, privati cittadini) che commercianti di combustibile legnoso.
Se non in casi eccezionali, non si verifica una sostanziale uguaglianza tra la domanda e l’offerta di legna dal punto di vista cronologico, quantitativo, qualitativo e regionale. Nella domanda giocano un ruolo gli impianti per la produzione di calore, il tipo di deposito e il capitale a disposizione. Le differenze regionali tra domanda e offerta di legna risultano dalla posizione geografica dei boschi, dalla posizione dell’industria della lavorazione del legno, dalla disposizione degli insediamenti e delle relative centrali a combustione. E’ comunque possibile ovviare alle divergenza tra domanda e offerta rifornendosi da fornitori differenti o, qualora non sia possibile, creando depositi di combustibile.
Per quanto riguarda la formazione del livello dei prezzi, quest’ultimo è un elemento di difficile valutazione a causa del difficile incontro tra domanda e offerta, per cui non è facile indicare il livello dei prezzi per ogni singola tipologia. Per tipologie comunemente commercializzate, quali la legna in pezzi, gli scarti di segheria ed il tondame derivato dai lavori forestali è possibile far riferimento al prezzo di mercato attualmente pagato. Infatti, gli scarti dell’industria del legno possono trovare una qualche valorizzazione economica presso produttori di pannelli truciolari e cartiere, mentre per altre realtà (residui della gestione dei boschi, scarti della gestione del verde) non è possibile rifarsi a valori standard ma è necessario valutare con attenzione la realtà indagata ed elaborare un’ipotesi di costo.
 

 



Dall’esperienza una lezione conclusiva
Le indicazioni che si possono trarre per lo sviluppo del teleriscaldamento a biomassa nel mercato nazionale e per una maggiore penetrazione sono, in prima analisi, riconducibili all’eliminazione degli ostacoli esistenti a monte della catena produttiva di energia, ossia l’assenza di garanzia sull’approvvigionamento del combustibile nel corso degli anni di funzionamento degli impianti e la sua disponibilità limitata. La fattibilità di un progetto di produzione di energia termica a partire da un combustibile non “pronto all’uso” può essere minata dall’incertezza insita nella filiera produttiva della biomassa. Ed è quanto è accaduto a molti nuovi operatori nel campo della biomassa in Italia che hanno offerto la propria disponibilità a realizzare l’impianto senza aver affrontato gli aspetti logistici con la dovuta attenzione.
Fondamentale, in tal senso, è l’adozione di un approccio secondo logiche di filiera che parte dal settore primario agroforestale con indagini preliminari circa la reale disponibilità della biomassa, per poi proseguire nella messa a punto di una filiera d’approvvigionamento sempre più efficiente e competitiva nel tempo attraverso un maggior coinvolgimento delle amministrazioni e dei rappresentanti del mondo agricolo e forestale con il settore dell’energia.
L’effettiva e costante disponibilità in loco della risorsa biomassa e l’esistenza di centri urbani che consentano una adeguata aggregazione della domanda di calore situata vicino all’area di approvvigionamento sono, quindi, le premesse per l’identificazione di un progetto di teleriscaldamento alimentato a biomassa capace di conseguire reali benefici ambientali, energetici ed economici e concreta efficienza energetica.
Il punto di partenza dell’analisi di fattibilità di un progetto riguardante l’installazione di impianti siffatti è rappresentato dalla vicinanza dei potenziali fornitori di combustibile (per minimizzare i costi di trasporto) all’impianto stesso e, quindi, dei possibili acquirenti di calore, ovvero gli utenti del teleriscaldamento. Questo elemento costituisce la base di partenza per la ricerca della possibile ubicazione dell’impianto, la definizione della potenza dello stesso e la pianificazione della catena di approvvigionamento della biomassa.
La rimozione degli ostacoli alla diffusione di queste tecnologie proviene dalla messa a disposizione di un’informazione corretta sulle questioni ambientali e tecniche relative agli impianti nei confronti dei produttori, dei rappresentanti del mondo della biomassa (agricoltori, forestali, industriali del legno), degli amministratori locali e del pubblico in generale, cercando un maggior coinvolgimento degli imprenditori privati per gli investimenti in queste tecnologie. È impossibile, quindi, prevedere una diffusione del teleriscaldamento alimentato a biomassa senza aver creato delle condizioni favorevoli alla sistemazione di tutti i tasselli della filiera. A tal fine è importante sollecitare gli investitori ad affrontare da subito gli aspetti legati al consenso locale ed alla fornitura del combustibile, che solo una volta risolti possono rappresentare dei requisiti validi per realizzare l’investimento11.
La decisione di investire passa quindi per un giudizio di convenienza attesa degli investimenti e per una valutazione del rischio complessivo (tecnico, finanziario, normativo) associato ai medesimi. Se le valutazioni esclusivamente economiche possono condurre a giudizi negativi di fattibilità dei progetti di teleriscaldamento a biomassa, non si devono tuttavia escludere gran parte delle motivazioni socio-ambientali che sono alla base dell’iniziativa e riconducibili, in primis, alla promozione e allo sviluppo di tecnologie produttive a basso impatto ambientale che permettano di ridurre le emissioni di gas climalteranti, nel rispetto dell’obiettivo post Kyoto, e di fornire lo stesso servizio utile con minori consumi di energia. Qualora tali motivazioni prevalessero rispetto a quelle puramente economiche, potrebbe essere utile intervenire con l’adozione di politiche pubbliche di sostegno adeguate per stimolare l’offerta ad esempio tramite strumenti incentivanti quali i contributi in conto capitale.
Queste forme d’incentivi, diffusi nel nostro Paese, hanno svelato anche in altre occasioni due tipi di rischi: il ritardo dei fondi o, al contrario, l’attribuzione dei fondi ad iniziative che si rivelino poco produttive o che non vengono portate a termine, rivelando l’inefficacia di un simile strumento di sostegno nel raggiungimento dell’obiettivo che si era proposto e provocando un ulteriore ritardo nell’avvio di progetti di questa natura. In questo contesto, le risorse economiche sono impiegate per promuovere interventi infrastrutturali di base e dedicate al perseguimento di condizioni economiche migliori dei soggetti interessati allo sviluppo di attività innovative. A tal punto va considerato il requisito della fattibilità finanziaria effettiva, in quanto il sostegno pubblico sul versante finanziario ai progetti dipende dalle disponibilità di bilancio statale e regionale.12
L’insieme eterogeneo degli strumenti di sostegno viene ricondotto spesso alla categoria degli “incentivi” con i quali s’intende, nel suo significato generale, “modificare la convenienza economica relativa di una tecnologia, rispetto alle altre concorrenti, per l’investitore privato”13. Si ritiene comunque che quando le soluzioni tecnologiche possano considerarsi mature, ma le fonti necessitano di un sostegno per poter essere competitive e di uno strumento correttivo del mercato, lo strumento da privilegiare sia il riconoscimento di un incentivo alla produzione che garantisca, in generale, una proporzionalità delle risorse finanziarie ai benefici ambientali e cercasse di stimolare una realizzazione e una gestione attenta dei progetti. Accanto a questi incentivi, l’affermazione di strumenti di mercato, come i certificati bianchi, introdotti dai due Decreti Ministeriali 20 Luglio 200414, possono divenire un valido strumento per coinvolgere diversi operatori nella realizzazione di impianti destinati all’efficienza energetica e per creare un sistema alternativo ai contributi diretti.
La politica pubblica di sostegno all’uso razionale dell’energia e alle fonti rinnovabili s’inserisce in una logica di superamento di alcune diffidenze o resistenze verso tecnologie innovative che ancora risultano di incerta affermazione, consentendo di superare la logica del breve periodo, tipica dell’investitore privato. In quale misura i decreti suddetti avranno effetto sulla diffusione delle biomasse associato al teleriscaldamento dipenderà soprattutto dalle Regioni, le quali possono individuare le modalità di conseguimento della riduzione dei consumi più efficaci rispetto ai propri contesti territoriali, attivando finanziamenti e agendo sui fondi a loro disposizione nell’ottica di coordinamento degli strumenti d’incentivazione a disposizione, così come ripreso dal Libro bianco per la valorizzazione delle fonti rinnovabili: “È tuttavia opportuno che la fase iniziale di applicazione del meccanismo d’incentivazione indiretta sia accompagnata dalla temporanea presenza dei più convenzionali meccanismi d’incentivazione diretta, in modo da consentire un passaggio graduale ed efficace dal vecchio al nuovo sistema….È bene infine rimarcare, che anche nella fase di transizione, l’incentivazione diretta faccia ricorso preferenzialmente a meccanismi idonei a stimolare il consapevole coinvolgimento del beneficiario: …l’incentivazione in conto capitale deve esser limitata a iniziative di valenza dimostrativa, che comunque siano orientate a creare le condizioni per un graduale passaggio al sistema dell’incentivazione indiretta”15.
 

 

____________________
(*) RIf.: alessandradettorre@yahoo.it.

1 ENEA, Rapporto Energia e Ambiente 2001.
2 Resta escluso da vincoli quasi un terzo delle emissioni, per lo più provenienti dai Paesi in via di sviluppo, nei quali si prevede un rapido incremento nei prossimi decenni, da attribuire alla fase di crescita economica che tali Stati stanno attraversando. Per informazioni più esaustive sul Protocollo di Kyoto e sull’aggiornamento sullo stato delle negoziazioni, consultare il sito: http://www.unfccc.int.
3 Decisione 2002/358/CE del Consiglio del 25 aprile 2002.
4 Il consumo procapite di energia è dell’ordine di 2,7 tep/anno, contro un valore medio europeo di 4,8 tep/anno.
5 IRER, Gullì F., Analisi, prospettive e linee di razionalizzazione del sistema energetico lombardo come fattore di sviluppo locale, 2002
6 Si tratta di una soluzione tecnico-finanziaria (o modalità di finanziamento), assimilabile all’out-sourcing nel settore energetico, che prevede la fornitura globale, da parte di società esterne denominate ESCO (Energy Service Companies), dei servizi di diagnosi, installazione, gestione, manutenzione e finanziamento necessari alla realizzazione di interventi tecnologici, da cui derivi un risparmio economico sufficiente a consentire l’ammortamento dell’investimento iniziale e il pagamento dei servizi finanziari erogati.
7 AIRU, Annuario 2003.
8 Dati elaborati da AIRU 2002.
9 L’Unione Europea ha varato numerose iniziative per il congelamento delle produzioni alimentari a favore di colture no-food, ossia per la conversione di terreno agrario in bosco (Reg. CEE 2078/92 e 2080/92). La Regione Lombardia ha inserito nel PRS (Piano di Sviluppo Rurale) 2000-2006 la misura h (2.8) “Imboschimento delle superfici agricole” che attribuisce contributi per l’imboschimento di superfici agricole perseguendo l’azione di realizzazione di boschi e di impianti di arboricoltura da legno già intrapresa nel periodo 1993-1999 in merito alla politica agricola comunitaria.
10 Il potere calorifico indica la quantità di calore sviluppata nella reazione di combustione. Il legno, anche in condizioni ideali date dall’assenza di acqua, presenta il potere calorifico minore pari a più della metà rispetto a quello del gasolio (10.200 P.C.I.).
11 De Paoli, Lorenzoni (a cura di) “Economia e politica delle fonti rinnovabili e della cogenerazione” Milano, 1999.
12 La legge n.10 del 1991 ha innovato il corpus normativo in materia di uso razionale dell’energia in generale e soprattutto prevedeva un decentramento delle funzioni di programmazione del sistema energetico delegando alle Regioni la concessione ed erogazione dei contributi in conto capitale per le varie iniziative di uso razionale dell’energia, ivi inclusi gli impianti di teleriscaldamento, da attribuire ai vari settori produttivi secondo quanto stabilito dagli artt. 8, 10 e 13. Si è assistito ad una movimentazione di risorse statali gestite a livello regionale, secondo il metodo di richieste annuali di fondi con annessa documentazione delle domande di finanziamento pervenute e istruite positivamente che le Regioni dovevano inoltrare al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato - M.I.C.A. (ora diventato MAP- Ministero delle attività produttive). Nonostante il ridotto o mancato finanziamento per gli anni successivi al 1991, nel periodo di attuazione sono stati finanziati 1.492 interventi inerenti il contenimento dei consumi energetici e il sostegno alle fonti rinnovabili nei vari settori. Per la realizzazione degli impianti di teleriscaldamento i contributi potevano arrivare fino al 50% del costo (art.11). Cosicché essi rientrano nella cifra di 94 miliardi circa di aiuti elargiti, permettendo di coprire una quota degli investimenti totali che si aggiravano intorno ai 270 miliardi di lire. In generale, gli incentivi della legge in questione, inizialmente da erogare in tre anni, sono stati ritenuti poco efficaci nel suscitare iniziative sia per la limitatezza dei fondi messi a disposizione (ripetuti tagli e slittamenti degli stanziamenti disposti dalle leggi finanziarie), sia per l’incapacità di esaminare celermente le domande ed erogare tempestivamente i fondi per l’avvio e la prosecuzione dei lavori infrastrutturali.
13 Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio, Kyoto Club “L’industria italiana di tecnologie per le fonti rinnovabili di energia: posizionamento tecnologico e di mercato, prospettive di poltiche di incentivazione mirate”,2002.
14 S’inseriscono nel processo di progressiva liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica e del gas avviato dai Decreti Legislativi n. 79/99 e n. 164/2000, nei quali si prevede che il perseguimento dell’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili rientrano tra gli obblighi connessi al servizio di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale. I due decreti ministeriali definiscono un quadro normativo e di incentivi innovativo e rappresentano il primo intervento organico deciso in Italia a favore di un’attenta gestione della domanda di energia inquadrata su regole di mercato. In tale ambito, i distributori devono rispettare i propri obiettivi specifici obbligatori di risparmio di energia primaria, realizzando sia progetti di risparmio rivolti alla riduzione dei consumi finali della forma di energia distribuita (gas naturale o energia elettrica), sia progetti che, pur potendo comportare un aumento dei consumi della forma di energia distribuita (ovvero non vi è un risparmio di energia finale), realizzano un risparmio di energia primaria. In particolare, il decreto ministeriale inerente il settore del gas prevede interventi e misure per lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, in quanto tale settore non può avvalersi di meccanismi di promozione delle fonti rinnovabili di energia, a differenza del settore dell’energia elettrica. Per ulteriori ragguagli si rimanda a D.M: 20 luglio 2004 – efficienza e risparmio energetico, di A. Sileo, A Di Martino in Ambientediritto.it.
15 CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), Libro Bianco per la valorizzazione delle fonti rinnovabili, Roma, 1999.