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La revisione della Strategia di Lisbona: quali chance per lo Sviluppo Sostenibile?


Ludovico Ferraguto

 


Introduzione

Le grandi sfide comportano, inevitabilmente, grandi rischi. Nel caso della Strategia di Lisbona, la strategia di crescita per il decennio 2000-2010, il rischio forte è quello di ambire ad un mix di risultati di fatto troppo eterogeneo, perdendo di vista la crescita economica ed occupazionale, che ad ogni effetto ne costituisce l’obiettivo cruciale. Questa critica sembra assumere particolare valore se rapportata alla garanzia di un livello elevato di equità sociale e di rispetto dell’ambiente. Con il presente scritto ci proponiamo di evidenziare come questo problema sia reale, specie se si intende lo sviluppo sostenibile in maniera sostanziale e non come una formula abusata e un po’ logora. Cercheremo quindi di valutare quale fosse effettivamente l’ampiezza della dimensione socio-ambientale all’interno dell’originaria Strategia, mettendola a confronto con quella che invece è lo spazio dentro la revisione del 2005. Se cioè la ricerca di migliore coordinamento, di maggiore attenzione per i risultati intermedi, e di un’attenzione particolare per le politiche occupazionali si concili con il perseguimento dello Sviluppo Sostenibile, quale enunciato nel Trattato, ovvero all’interno della strategia presentata dalla Commissione. Ad ogni modo, si tratta di un passaggio fondamentale sia per la competitività che per la sostenibilità. Fallire nell’uno o nell’altro obiettivo rischierebbe di portare con sé conseguenze difficilmente recuperabili.
 


La Strategia di Lisbona

Il momento in cui venne lanciata la strategia di Lisbona si presentava come particolarmente propizio. Archiviato il raggiungimento dell’obiettivo – Euro, con bilanci statali vincolati alle regole del Patto di Stabilità e tassi di inflazione mediamente bassi, era possibile guardare avanti con ottimismo ad un nuovo obiettivo. Questo obiettivo era rappresentato dall’ammodernamento dell’economia europea, con l’abbattimento del tasso di disoccupazione, e la creazione di posti di lavoro altamente qualificati. Un passaggio imprescindibile per raggiungere questi obiettivi era dato dall’attenzione verso le politiche sociali e di pari opportunità fra i diversi strati della popolazione. Quest’ultimo obiettivo costituiva una sorta di pre-requisito, a monte di una sostanziale ristrutturazione del sistema economico, in vista dell’obiettivo del raggiungimento di un tasso di crescita in aumento e di un contesto economico “sano”. Ognuno di questi macro-obiettivi veniva poi frazionato in una serie di interventi settoriali. L’economia dell’innovazione doveva essere incentivata con uno sforzo di digitalizzazione; doveva essere creato uno “spazio europeo della ricerca” (punti 12 e 13); una completa integrazione dei mercati e la creazione di un ambiente favorevole per le PMI (punti 15 e 16). Per quanto riguarda la coesione sociale, erano auspicati interventi immediati nel campo della formazione e della protezione sociale (punti 35 e 36). Per assicurare il coordinamento fra gli Stati Membri nella formulazione delle loro politiche, era la possibilita’ di un meccanismo di coordinamento aperto, che mettesse a disposizione le migliori pratiche e performance in ciascun campo (punto 37). Questa previsione è stata poi esplicitata in un calendario annuale che prendeva avvio in primavera con la dichiarazione da parte di ogni Stato delle proprie priorità di politica economica, per concludersi nell’inverno successivo con la valutazione degli obiettivi raggiunti operata dalla Commissione.
E’ bene notare come nella versione originale della Strategia non fosse stato preso in considerazione l’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Nell’anno successivo il Consiglio di Goteborg avrà il compito di intraprendere il raccordo fra sviluppo economico e sostenibilità.
I tre anni successivi però hanno rivelato una realtà nettamente diversa rispetto a quella prospettata nel 2000/2001. Nella prima metà del decennio, infatti, il PIL dell’area Euro è cresciuto attorno al 2%, mentre a Lisbona si riteneva attendibile una stima di crescita attorno al 3% (Dati Ocse 1996-2003). Largamente incompiute sono state le prospettive di incremento delle produzioni innovative, anche per via della fine dell’ “illusione” relativa alle prospettive dell’economia della conoscenza, mentre scarsi sono stati i risultati conseguiti in materia di promozione della coesione sociale, e, inevitabilmente di occupazione, che non è riuscita a raggiungere quel livello del 67,5% indicato dal Consiglio Europeo di Stoccolma (marzo 2001). Tutti questi elementi sono stati evidenziati alla fine del 2004 dal gruppo di alto livello presieduto dall’ex premier olandese Wim Kok, incaricato dal Consiglio di Bruxelles del marzo precedente di evidenziare le carenze del processo di Lisbona. Il gruppo, tra le altre cose, ha messo in luce un elemento chiave, quello della disparità fra gli Stati Membri nel conseguimento dei risultati. La mancata attuazione del processo di Lisbona ha quindi la sua più profonda causa nella spaccatura esistente all’interno della zona Euro. Ma non solo. Fra le altre cause – al netto di quelle legate al crollo dei consumi e degli investimenti post 11 settembre – anche e soprattutto il crollo della produttività, e la situazione instabile dei bilanci di alcuni paesi, che non hanno permesso di rilanciare con convinzione gli investimenti. Dati tutti questi elementi, il gruppo ha proposto un rilancio degli assi economico e socio-ambientale. Elemento di svolta doveva essere dato da un maggiore coinvolgimento a livello politico, con l’impegno degli Stati e delle istituzioni comunitarie a garantire l’efficacia del processo. E infine, un rinnovato processo di coordinamento. Con la semplificazione degli indicatori ed un maggior ruolo della Commissione in quanto intermediaria fra gli Stati, e agevolatrice dello scambio di best practice.
La Commissione ha ripreso queste raccomandazioni, formulando tre specifici target di miglioramento: migliore definizione delle priorità; maggiore partecipazione; semplificazione e razionalizzazione. Soprattutto a livello organizzativo, si richiedono nuove disposizioni da parte degli Stati, come ad esempio la semplificazione degli indirizzi di massima delle politiche economiche, o la creazione all’interno di ogni Stato di un responsabile di governo competente per l’implementazione di Lisbona. La Commissione, di per sé, si fa garante della promozione presso i singoli Stati membri del processo di Lisbona. Di un certo rilievo è anche il raccordo proposto con il nuovo periodo di programmazione dei Fondi Strutturali (2007/2013), volto a concentrare nei settori di Ricerca e Sviluppo, Innovazione, e sostegno all’occupazione una buona fetta dei contributi strutturali. Soprattutto, la Commissione sembra avere concentrato gli obiettivi di Lisbona entro una cornice di interventi ben definiti, facendo riferimento ad esempio ad impegni già presi (infrastrutture, direttiva REACH), e comunque focalizzando l’attenzione sull’aspetto dell’innovazione e della ricerca, e della complementarità fra i mercati. Uno sguardo all’immediato per risalire la china, dunque.

 

La dimensione dello sviluppo sostenibile

Come detto, inizialmente si trattava di una dimensione non presente. Solo un anno dopo il lancio di Lisbona ci si rese conto che effettivamente una strategia di crescita che non considerasse gli aspetti di tutela ambientale non poteva che essere inevitabilmente considerata monca, e quindi si introdusse anche un impegno da parte de Consiglio Europeo a mettere in conto esigenze di carattere ambientale. Venne infatti sottolineato a Goteborg come le priorità economiche e quelle ambientali potessero andare di pari passo (punti 19 e seguenti). Per tale motivo si diede ampio mandato al Consiglio di formulare una propria strategia per lo sviluppo sostenibile, garantendo inoltre ogni anno la revisione dei progressi. In generale, il Consiglio accolse la proposta di strategia dello sviluppo sostenibile formulata dalla Commissione, compresi i 4 assi principali di azione: salute pubblica, gestione delle risorse naturali, lotta ai cambiamenti climatici, e miglioramento del sistema dei trasporti.
L’errore principale prospettato a Goteborg è stato sicuramente quello di stabilire un orizzonte temporale troppo prolungato. Infatti gli interventi, ed i rispettivi indicatori, prospettati, sono stati essenzialmente tarati sul medio/lungo periodo, senza tenere conto di possibili obiettivi a scadenza immediata. Inoltre, il numero degli obiettivi era abbastanza limitato, e generico.
In realtà, a questo difetto di ottica si è cercato di provvedere due anni dopo, con il Consiglio di Primavera del 2003. In questo Consiglio, venne preso un impegno deciso in favore dello sviluppo sostenibile, presentando le politiche ambientali come un fattore importante di creazione di opportunità di lavoro e di sviluppo. Fondamentale, soprattutto è stata la richiesta di separare gli obiettivi di crescita economica rispetto alla tutela ambientale, a livello generale, e di qualsiasi settore. Ma anche la dettatura di impegni concreti, al Consiglio di creare una “road map” per l’implementazione delle conclusioni di Goteborg (punto 58), e all’Ecofin di impegnarsi attivamente per l’eliminazione di quei sussidi (principalmente i sussidi agricoli) capaci di creare pregiudizio all’ambiente (punto 54). Infine, si cercò di porre una serie di scadenze per l’emanazione di provvedimenti ambientali ancora allo studio (punti 54 e 55).
Si trattava sicuramente di un bel passo in avanti, rispetto alle caute aperture dei precedenti incontri, poiché si stabilivano mosse concrete, e soprattutto si cercava di trovare un equilibrio, nei fatti, tra l’assetto economico e il perseguimento della sostenibilità. Tuttavia, non corrispose poi in concreto un’accelerazione al processo: e il Consiglio di Primavera dell’anno successivo non ribadì l’impegno facendo decadere nella sostanza il piano. Sarà solo nel 2005, che, come convenuto già nella proposta precedente Goteborg, la Commissione provvederà a rivedere la propria strategia per lo sviluppo sostenibile.
La revisione della strategia è ancora in fase di studio, e verrà verosimilmente sottoposta all’attenzione del Consiglio invernale. Tuttavia, sin da ora ne sono chiari gli elementi portanti, contenuti nella comunicazione della Commissione del 9 febbraio scorso, e nella dichiarazione del Consiglio di Primavera, che ne ha seguito le indicazioni. Il principale orientamento è quello che prevede una visione quanto più vasta possibile di ciò che deve essere considerato come rientrante in una nozione di sviluppo sostenibile, evidenziando con ancora maggiore forza quanto gli obiettivi da essa contemplati non debbano essere in contrasto fra di loro. Questo ampliamento deve però trovare uno sbocco necessario nella ridefinizione dei criteri e delle procedure di formulazione delle politiche. Comprendendo i maggiori rischi derivanti dalla non sostenibilità (ne vengono elencati diversi in termini di cambiamento climatico, problemi di salute collettiva, gestione delle risorse naturali) la Commissione individua nel miglioramento del coordinamento, e nello sviluppo di nuovi livelli di valutazione di impatto le chiavi per assicurare una migliore integrazione “orizzontale” (cioè, indipendentemente dal settore di applicazione), per i principi di sostenibilità. Inoltre, si individua nella creazione di livelli di monitoraggio più incisivi la “chiusura” ideale del sistema, che trova un efficace momento di controllo.

 

Conclusioni: quali nuove prospettive per lo sviluppo sostenibile

La partita di Lisbona sembrerebbe quindi essere stata rilanciata con convinzione. Del resto, diventa primario non perdere terreno nei confronti dei grandi concorrenti mondiali, riuscendo a non indietreggiare contemporaneamente sul piano delle conquiste sociali che hanno costituito il “marchio di fabbrica” del modello europeo in questi ultimi decenni. Diventa comunque indispensabile uno sforzo da parte dei singoli Stati membri, perché un orientamento comune in materia di politiche economiche possa essere raggiunto. In questo senso, va salutata con favore l’emanazione da parte della Commissione delle linee guida per le politiche economiche e dell’occupazione nel triennio 2005/2008, coerentemente con gli impegni di Lisbona.
Il punto cruciale sembra essere proprio questo. La strategia di Lisbona non sussiste indipendentemente da una forma di accordo sulle priorità da dare al proprio sviluppo. E lo scontro franco-britannico sulle prospettive finanziare dell’Unione tra il 2007 ed il 2013 lo ha drammaticamente evidenziato. La carenza di un disegno comune, al di là degli incontri, o dell’interscambio di pratiche è il principale limite all’attuazione di questo disegno, si ripete, necessario per fare della nostra area economica un’area competitiva a livello mondiale. E questa carenza vanifica qualsiasi sforzo a livello organizzativo o procedurale.
Passando a conclusioni più attinenti alla tematica di nostro principale interesse, pare evidente che lo “spazio” per lo sviluppo sostenibile sia indissolubilmente legato alla realizzazione di questi obiettivi strategici. In questo senso, è possibile dire che quella dello sviluppo sostenibile è la “cornice” indispensabile di riferimento entro cui intervenire. Ne consegue che gli obiettivi di sostenibilità andranno visti come vincolati, sostanzialmente, rispetto al successo degli elementi portanti di Lisbona: la spinta per ricerca e sviluppo, che riguardi anche le tecnologie ambientali; la creazione di un sistema infrastrutturale più efficiente, con l’ammodernamento della rete ferroviaria tale da permettere lo switch dei trasporti, possono essere considerati obiettivi di sostenibilità a largo raggio. Possiamo considerare pertanto la Strategia di Lisbona come una strategia potenzialmente integrata di considerazioni di sostenibilità.
Il problema però non è di tipo strategico, quanto piuttosto di carattere pratico. Esso riguarda essenzialmente la statuizione delle priorità d’azione, e la garanzia dell’impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti. In altre parole, bisogna fare in modo che le priorità d’intervento e i meccanismi di controllo abbiano già incluso le dimensioni sociale ed ambientale. Le principali carenze del passato sono infatti riscontrabili nella sostanziale irrilevanza ai fini della valutazione dei risultati delle performance di sostenibilità. Come ammesso dalla stessa Commissione, il momento del reporting dev’essere radicalmente ripensato. A partire da un nuovo set di indicatori (emanato dalla Commissione lo scorso 11 marzo), bisogna stabilire procedure per cui l’esame dei risultati di Lisbona non passi esclusivamente dai dati economici, ma avvenga in maniera integrata per tutte le dimensioni.
Altro intervento necessario è quello che dev’essere operato dai singoli Stati. Il contributo al raggiungimento degli obiettivi è demandato naturalmente all’azione di questi ultimi. Una strategia per lo sviluppo sostenibile non può non tenere in considerazione la necessità di creare un livello di coordinamento UE (sulla scorta del metodo aperto di coordinamento) che integri le diverse strategie fornite dai Membri e ne consenta la messa in comune di esperienze. In tal senso è da accogliere con favore la proposta inglese di rilanciare, per il prossimo autunno, la creazione di un Network per lo Sviluppo Sostenibile, che sfrutti il metodo aperto di coordinazione per garantire questo processo.
Il futuro spazio per la tutela della sostenibilità è dipendente quindi da questioni di carattere organizzativo. Da quanto sarà capace la Commissione, nella sua ventura strategia di creare linee d’azione, scadenze, meccanismi di monitoraggio e garantirne l’applicazione congiunta rispetto a quelle più prettamente economiche. E dall’impegno dimostrato da parte degli Stati di tradurre in pratica questi sforzi. Se la cartina di tornasole dev’essere indubbiamente data dall’intersezione fra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, rimane però evidente che la maggiore urgenza sia quella di garantire lo sviluppo economico e la migliore occupazione. E questo potrebbe portare ad un ennesimo differimento nel tempo degli obiettivi di sostenibilità, che tra l’altro diventano raggiungibili compiutamente in un orizzonte temporale medio/lungo. Occorre quindi che le priorità in questo campo siano posizionate in una scala che va dagli obiettivi di breve periodo a quelli di lungo, e relazionati con gli altri obiettivi. Solo in questa maniera si eviterà un pericoloso sdoppiamento, passibile di portare all’accantonamento di quanto prefissato in ambito socio-ambientale.
Avviandoci verso la conclusione, possiamo esprimere un giudizio ed un piccolo interrogativo. Il giudizio è che effettivamente, la partita principale passa per la definizione degli orientamenti di bilancio prossimi venturi. Solo con una forte spinta alle politiche di ricerca, occupazione e infrastrutture sarà possibile rilanciare l’economia europea. Tuttavia l’accordo pare essere ancora ben lontano. E con queste premesse, diventa onestamente difficile pensare che si possa avere un’accelerazione nel processo di integrazione ambientale. L’interrogativo invece riguarda il coinvolgimento di un soggetto che non abbiamo per forza di cose potuto prendere in considerazione. Si tratta del Parlamento Europeo, per cui sostanzialmente non viene designato alcun ruolo, se non meramente consultivo, nella strategia di Lisbona. Nell’ottica di un’integrazione maggiore dei soggetti partner, con il coinvolgimento di partner di vario livello, sarebbe comunque opportuno che una deliberazione di indirizzi di massima passasse attraverso il maggiore organo rappresentativo dell’Unione. Con vantaggi in termini di trasparenza, informazione ed effettiva condivisione degli obiettivi.






Fonti:
• Consiglio Europeo di Lisbona, 22-23 marzo 2000 – Conclusioni della Presidenza
• Consiglio Europeo di Goteborg, 15-16 giugno 2001 – Conclusioni della Presidenza
• Consiglio Europeo di Bruxelles, 20-21 marzo 2003
• “Affrontare la sfida” Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione – Relazione del gruppo di alto livello presieduto da Wim Kok – Novembre 2004
• Working together for growth and jobs – A new start for the Lisbon Strategy
• Consiglio Europeo di Bruxelles, 22-23 marzo 2003 – Conclusioni della Presidenza
• The 2005 review of the EU Sustainable Development Strategy: Initial stocktaking and future orientations (SEC 2005 – 225)
• “Il motore che non gira” Daniel Gros, 11 febbraio 2003 (www.lavoce.info)
• “In un mercato unico, ma senza crescita” Giuseppe Bertola, 11 febbraio 2003 (www.lavoce.info)
• “Revisiting the EU SDS – Creating the conditions for sustainability” IEEP, London 2005