AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


   Copyright © Ambiente Diritto.it

 

Il Ripristino Ambientale delle discariche: aspetti e problematiche connessi alla rivegetazione della copertura finale
 

THE ENVIRONMENTAL RESTORATION OF THE LANDFILLS: ASPECTS AND PROBLEMATICS CONNECTED WITH THE FINAL CAPPING RIVEGETATION*
 

Francesco Russo°, Rocco Pandolfo°, Salvatore Masi°





Summary
The environmental insertion of a site for wastes disposal is, for a long time, one of the most delicate aspect for completing the phase of “site restitution to the environment.” The “bad fame”, which enjoys the same concept of landfill, is tied up to the difficulty with which the select zone returns to be reusable by the citizens, with results often not satisfactory.
The choice of the possible reuses of the disposal site is ample more and more, but every of the potential uses ask for a suitable planning of the processes of design, management and closing that immediately keep in mind from of the typical phenomena of the post closing, like settlings and leachate and landfill gas management. Particularly, in Basilicata (Italy) we, generally, choose the environmental rebuilding to preserve the landscape in which the landfills are inserted.
The environmental insertion is, generally, realized through a rivegetation of the final coverage; the choice of the crops is very ample and has to be effected with careful. Different problems are met, which are tied up to the taking root of the vegetation (technical aspect) and to the necessity to give a sense of nature, verifying, for example, what are the local essences useful for the rivegetation.


Sommario
Il problema del reinserimento di un sito per lo smaltimento dei rifiuti nell’ambiente è, da sempre, uno dei più delicati da affrontare per completare la fase di “restituzione del sito all’ambiente”. La “cattiva fama”, di cui gode il concetto stesso di discarica, è in gran parte legata proprio alla difficoltà con cui la zona prescelta può tornare a disposizione della collettività, con risultati spesso non soddisfacenti.
La scelta dei possibili riutilizzi del sito di smaltimento è sempre più ampia, ma ciascuno dei potenziali usi richiede un’adeguata pianificazione dei processi di progettazione, gestione e chiusura che tengano conto da subito dei fenomeni tipici della post chiusura, quali assestamenti, gestione del percolato e del biogas. In particolare, in Basilicata si tende a scegliere la ricomposizione ambientale, con lo scopo di preservare il paesaggio in cui le discariche sono inserite.
Generalmente, il reinserimento ambientale è attuato tramite una rivegetazione della copertura finale; la scelta delle colture è molto ampia e deve essere compiuta con attenzione. Infatti, generalmente, si incontrano diversi problemi sia legati all’attecchimento della vegetazione, e quindi squisitamente tecnici, sia legati all’esigenza di conferire un senso di naturale, verificando, ad esempio, quali siano le essenze autoctone utilizzabili.

Introduzione
La normativa italiana vigente, relativa ai criteri costruttivi delle discariche cita testualmente:
“[…]La copertura superficiale finale deve essere realizzata mediante una struttura multistrato costituita, dall’alto verso il basso, almeno dai seguenti strati:

1. strato superficiale di copertura con spessore pari ad 1 m che favorisca lo sviluppo delle specie vegetali di copertura ai fini del piano di ripristino ambientale e fornisca una protezione adeguata contro l’erosione e di proteggere le barriere sottostanti dalle escursioni termiche […] (DM 36/2003)”

Con il sistema di smaltimento integrato e gerarchizzato adottato dall’Unione Europea, è diventato sempre più ampio il ventaglio di possibili utilizzi per le aree contenenti discariche esaurite. Alcuni degli usi che si possibili sono:

• Ricomposizione ambientale (conservazione della natura, creazione o ricreazione di un habitat, forestazione, parchi);
• Usi agrozootecnici;
• Parchi, aree mussali aperte;
• Ricreazione non attrezzata (per es. percorsi, sentieri, ippica);
• Ricreazione attrezzata (per es. piste sport su due ruote);
• Centri di raccolta e trattamento residui speciali (per es. carcasse di autoveicoli);
• Impianti di smaltimento rifiuti (per es. stazioni di trasferimento, compostaggio, termotrattamento).

Ognuno dei potenziali usi richiede un’adeguata pianificazione dei processi di progettazione, gestione e chiusura che tengano conto da subito dei fenomeni tipici della post chiusura, quali assestamenti, gestione percolato e biogas. In particolare, in Basilicata si tende a scegliere la ricomposizione ambientale, con lo scopo di preservare il paesaggio in cui le discariche sono inserite.

Problemi legati all’attecchimento della vegetazione sulla copertura delle discariche
Favorire la crescita delle specie vegetali sullo strato di copertura delle discariche non è un problema di facile risoluzione, in quanto la scelta del terreno utilizzato dovrebbe tener conto, in generale, anche delle necessità delle piante che andranno poi a colonizzare la copertura finale della discarica. I problemi principali che si possono riscontrare sono riconducibili a tre grandi categorie:

­ stress idrico;
­ ancoraggio;
­ presenza di metano.
Bisogna innanzitutto considerare che il sistema di copertura delle discariche si compone, dal basso verso l’alto, di uno strato di drenaggio del biogas e di rottura capillare di 0,5 m composto principalmente da ghiaia con granulometria compresa fra 16 e 32 mm, di uno strato minerale compattato di 0,5 m o geosintetico con permeabilità 10-11 m/s, di un ulteriore strato di 0,5 m di ghiaia per il drenaggio delle acque meteoriche, ed infine di un solo metro di terreno adibito a supporto per la crescita della vegetazione, di cui la normativa non specifica la composizione.
Analizzando tale sistema, risulta subito evidente che l’unico apporto idrico per lo strato di terreno superficiale è costituito dalle precipitazioni, mentre è del tutto escluso qualsiasi contributo dal sottosuolo per risalita capillare, a causa della presenza dello strato impermeabile e degli strati drenanti sottostanti. La conseguenza di ciò è che la vegetazione potrà facilmente approvvigionarsi d’acqua nei mesi più piovosi, mentre nei mesi estivi non si avrà alcuna riserva sfruttabile immagazzinata in profondità. Escludendo l’utilizzo di un sistema di irrigazione che, soprattutto nel caso di discariche molto estese e poco profonde, implicherebbe dei costi di realizzazione e manutenzione troppo elevati, la sopravvivenza di eventuali specie sarà legata alla sola presenza di acqua stoccata nello strato superficiale di terreno, affidandosi solo alla propria capacità di ritenzione idrica (capacità idrica di campo).




Figura 1. Schema della stratificazione di una discarica per rifiuti non pericolosi


Il secondo problema è legato al cosiddetto ancoraggio, ovvero all’estensione dell’apparato radicale. Un solido apparato radicale, che si estende in profondità, permette alla pianta di svilupparsi anche in altezza e di vincere la forza esercitata dal vento. Tuttavia, nel nostro caso, la crescita dell’apparato radicale è molto limitata, potendo inoltrarsi al massimo per il mezzo metro dello strato di drenaggio delle acque meteoriche, mentre è assolutamente da evitare la penetrazione delle radici nello strato impermeabile, che darebbe origine a fessurazioni e, quindi, infiltrazioni. Con tale limitazione, è difficile aspettarsi la crescita in questi siti di alberi ad alto fusto, ma si può al massimo aspirare all’attecchimento di specie arbustive. Inoltre, la profondità assunta dall’apparato radicale è relazionabile anche alle disponibilità idriche del terreno: la notevole profondità raggiungibile da alcune specie giustifica, infatti, la loro capacità di superare senza grossi danni periodi poco piovosi, purché possano reperire acqua nel sottosuolo. Ciò impedisce quindi di fare ricorso a quelle specie vegetali che possano resistere allo stress idrico solo grazie alla possibilità di approfondire il proprio apparato radicale.
Per ciò che concerne il rischio associato alla presenza di metano, dovuto a possibili fughe di biogas dal sistema di captazione, esso è legato essenzialmente alla tossicità di questo gas nei confronti delle piante che possono assorbirlo attraverso le radici e l’apparato fogliare. Occorrerà quindi scegliere quelle essenze che meno risentono di tali esalazioni.
Per ottenere una rivegetazione efficace, è necessario dunque non solo scegliere un terreno con una composizione tale da conseguire un’elevata capacità di ritenzione idrica e che, nel contempo, costituisca un substrato adeguato alla crescita vegetale, ma anche delle essenze vegetali che abbiano caratteristiche tali da permettere loro di vivere in un ambiente considerabile ostile. Inoltre, è di fondamentale importanza costituire dei campi di prova atti verificare che le scelte fatte, sia delle specie vegetali sia del terreno da utilizzare come strato superficiale, siano effettivamente praticabili oppure sia necessario valutare alternative diverse.

Composizione dello strato di terreno vegetativo
Nella normativa vigente non viene data alcuna indicazione sulla composizione dello strato di terreno da adibirsi a supporto della vegetazione, lasciando quindi la scelta al progettista. Questo, se da un lato consente la ricerca della soluzione ottimale per ogni singolo caso da affrontare, dall’altro non fornisce delle linee guida che possano indirizzare la valutazione della migliore opzione. Bisogna, quindi, stabilire quale possa essere la composizione ottimale per favorire la crescita, della specie prescelta, nelle condizioni sfavorevoli in cui essa si viene a trovare sulla copertura di una discarica.
Al fine di individuare tale composizione, è opportuno analizzare brevemente le caratteristiche di alcune tipologie di terreno utili in questa sede, e la loro propensione ad ospitare organismi vegetali.

Granulometria dei terreni
Dal punto di vista della granulometria si distinguono terreni a scheletro prevalente, sabbiosi, limosi e argillosi.


Tabella 1 – Caratteristiche delle tipologie di terreni

Tipo di
terreno

 Osservazioni

A scheletro prevalente

  • Lo scheletro è un materiale grossolano, derivato dalla disgregazione meccanica delle rocce, che generalmente non apporta un contributo positivo alla fertilità del terreno. Esso, infatti, non è in grado di influenzare direttamente la capacità di trattenuta idrica del suolo e non partecipa ai fenomeni di adsorbimento e di desorbimento degli elementi nutritivi.

  • Il contenuto di scheletro nel terreno può essere assai vario. Con riferimento al peso relativo da esso posseduto, la quantità presente nel terreno può essere così definita: inconsistente, se < 5 %; sensibile, se compreso tra 5 e 20%; abbondante, se compreso tra 20 e 40 %; eccessiva o prevalente, se > 40%.

  • Nei terreni normali, lo scheletro rappresenta un costituente di secondario interesse. Quando tuttavia la sua incidenza percentuale supera determinati valori, riesce ad influenzare sensibilmente le proprietà del substrato pedologico ed il tipo di specie che è possibile insediarvi.

  • I terreni con scheletro prevalente sono caratterizzati da elevata permeabilità, forte aerazione, accentuati processi ossidativi, modesta presenza di humus, debole capacità di trattenuta idrica. Le loro caratteristiche variano, tuttavia, anche in funzione del tipo di scheletro presente (pietre, ciottoli, ghiaia, ghiaino) e del tipo di terra fine.
     

Sabbiosi

  • La sabbia del terreno è costituita da piccoli frammenti di roccia, da singoli minerali di difficile alterazione, da calcari cristallini, ecc.

  • Rispetto alle frazioni a granulometria più sottile, la sabbia possiede una minor superficie esposta e partecipa solo debolmente alle attività chimiche del terreno. Se non si tratta di carbonato di calcio o di frammenti organici, questo materiale è generalmente da considerarsi inerte e quindi può assumere una certa attività solo allorché serva da supporto a particelle colloidali.

  • Nel caso i cui la sabbia superi il 50 – 60% in peso della terra fine del suolo, il terreno è detto sabbioso o leggero o sciolto.

  • I terreni molto sabbiosi possiedono una elevata porosità, sono molto permeabili, soffici ed arieggiati, per cui mineralizzano facilmente la sostanza organica, sono dotati di scarsa capacità di ritenzione idrica e poveri di elementi nutritivi. L’azoto, in modo particolare, viene trasportato in profondità dalle acque di percolazione.
     

Limosi

  • Il limo è formato principalmente da quarzo e da silicati di basi diverse che derivano dall’alterazione chimica della roccia madre, che lo tenevano in soluzione, da frammenti minutissimi di sostanza organica o da residui della disgregazione meccanica delle rocce.

  • Mentre le particelle più grandi di limo possiedono caratteristiche molto simili alla sabbia, quelle a diametro più piccolo assumono proprietà più vicine a quelle dell’argilla e possono cedere elementi nutritivi. Il limo tuttavia non possiede la tendenza a riunirsi in aggregati di particelle per cui i terreni limosi (più dell’80% di limo) si presentano quasi sempre mal strutturati (la struttura di un terreno è costituita dal modo in cui le particelle o gli aggregati di particelle si associano e si dispongono nello spazio e dall’intensità dei legami che li uniscono).

  • La debole stabilità della struttura fa si che allo stato secco formino polvere con grande facilità, mentre quando sono bagnati diventano fangosi. Sono generalmente poveri di elementi nutritivi, di non facile coltivazione, modesta permeabilità e formano spesso una crosta superficiale molto dura.
     

Argillosi

  • Dal punto di vista granulometrico la frazione argillosa non comprende solo i fillosilicati o silicati idrati di alluminio (caolinite, illite, montmorillonite) ma anche altri minerali estremamente diversi come silice, humus, carbonati, solfati e solfuri.

  • Molto spesso i fillosilicati sono rivestiti da stratificazioni di idrossidi di ferro ed alluminio e di sostanza organica che ne modificano soprattutto la capacità adsorbente e la possibilità di rigonfiamento in presenza di acqua.

  • Le dimensioni estremamente ridotte delle particelle argilloidi e la proprietà di liberare ioni evidenziando cariche elettriche negative o positive, conferiscono a questo materiale caratteristiche differenziali nette nei confronti della sabbia. L’argilla è considerata un tipico colloide macellare, capace di circondarsi di un alone di molecole di acqua, di rimanere sospeso nel mezzo liquido fino a che non vengano neutralizzate le cariche elettriche e al contrario di flocculare allorché tali cariche siano neutralizzate da cationi e da colloidi di segno diverso. Come il processo di coagulazione è estremamente importante per la formazione dei grumi strutturali, cos’ la fissazione dei cationi sostiene un ruolo fondamentale nel gioco complesso degli equilibri che regolano le disponibilità nutritive per le piante (adsorbimento, desorbimento, dilavamento, assorbimento da parte dei vegetali).

  • Sono argillosi i terreni che presentano un contenuto di argilla superiore al 40% e le loro caratteristiche fondamentali sono l’alta dotazione di elementi nutritivi, forte coesione delle particelle allo stato secco e notevole plasticità allo stato umido, possibilità di trattenere grandi quantitativi di acqua.


Struttura dei terreni
Oltre alla granulometria, un altro contributo molto importante per definire il comportamento di un terreno è dato dalla struttura, che rappresenta il modo e l’intensità in cui le particelle o gli aggregati di particelle si associano e si dispongono nello spazio. Sotto l’aspetto fisico si deve rilevare che dal tipo di struttura dipendono i rapporti fra la parte solida, la parte liquida e quella gassosa del terreno; ne risultano, di conseguenza, influenzate l’umidità, la temperatura e l’aerazione. Sotto l’aspetto chimico si evidenzia che una miglior aerazione influenza i processi di ossidazione e di riduzione che avvengono nel terreno. Ad essi è legata la trasformazione della sostanza organica e la messa a disposizione di taluni elementi nutritivi. Questi ultimi, del resto, possono essere assorbiti dalle piante, in modo più o meno agevole a seconda della disponibilità idrica.
La fauna e la flora del terreno, infine, ivi comprese anche le piante coltivate, possono trovare nel suolo condizioni di abilità e nutrizione assai diverse, in funzione proprio dell’influenza della struttura sulle proprietà chimiche e fisiche sopra ricordate.
È opportuno però aggiungere che non tutti i terreni risentono allo stesso modo dell’influenza della struttura: alcuni infatti sono molto produttivi solo se presentano uno strato di aggregazione ottimale, mentre altri si comportano diversamente. I primi sono certamente più numerosi e rientrano nella vastissima gamma dei substrati a grana fine. Per essi la formazione di aggregati strutturali riveste la massima importanza, in quanto permettono la creazione di un ambiente nel quale esista un equilibrato rapporto tra macro e micropori, dove la circolazione e l’immagazzinamento di acqua e di aria possano avvenire con relativa facilità e dove le radici possano espandersi liberamente.

Capacità idrica di campo
Granulometria e struttura del terreno influenzano un terzo fattore molto importante: la capacità idrica di campo del terreno. Essa è definibile come l’umidità residua del terreno presente quando l’acqua di percolazione ha raggiunto una velocità talmente bassa da poter essere trascurata; ovvero rappresenta l’acqua sfruttabile dalle piante quando cessa qualsiasi forma di percolazione.
Ai fini della rivegetazione della copertura delle discariche, occorre scegliere un terreno con granulometria e struttura tale da favorire lo sviluppo delle piante e che nel contempo abbia un’alta capacità idrica di campo, per poter far fronte ai periodi di scarsa piovosità.
La soluzione più idonea, in generale, è costituita dalla scelta di un terreno detto “di medio impasto”, formato da sabbia, limo e argilla in proporzioni tali che le caratteristiche fisiche e chimico-fisiche delle singole frazioni non prevalgano l’una sull’altra, ma si completino vicendevolmente. Un substrato del genere può contenere dal 35 al 55 % di sabbia, dal 25 al 45 % di limo, dal 10 al 25 % di argilla ed una frazione trascurabile di scheletro. In esso la compattezza dell’argilla e la natura polverulenta del limo sono compensate dalla incoerenza della sabbia. A seconda delle percentuali delle varie frazioni granulometriche del terreno, varierà la capacità di campo come mostrato in tabella.


Tabella 2 – Valori della capacità idrica di campo al variare della tipologia di terreno

Terreno Sabbia Limo Argilla C.I.C.
  (%) (%) (%) (% vol.)
A 43 41 19 35
B 70 21 9 19
C 58 34 8 25
D 50 31 19 30



Il terreno A, che presenta un contenuto di frazioni a grana fine del 60%, risulta quello con la più alta capacità idrica di campo, mentre nel terreno B, dove si ha il 70% di sabbia, come è logico attendersi, si ha una bassa capacità di ritenzione. Ne scaturisce che un terreno con composizione simile alla A, ben strutturato (ovvero ben aggregato: ciò lo rende soffice e aerato), potrebbe essere idoneo allo scopo prefissato.

Scelta delle specie vegetali
Una volta stabilito che è comunque necessario procedere almeno all’inerbimento della copertura finale delle discariche, ci si pone il problema della scelta delle piante da impiegare a questo scopo. Una essenza vegetale, per essere considerata utilizzabile, deve presentare tre caratteristiche principali:

• resistenza a stress idrico;
• apparato radicale superficiale (profondità massima di 1,5 m);
• resistenza alle esalazioni di metano.

Nella tabella seguente sono indicate le piante con le succitate caratteristiche; da questo elenco vanno poi, ovviamente, selezionate quelle specie che meglio possono adattarsi al clima del sito, con particolare riguardo, ove possibile, a quelle autoctone, così come prescritto dalla normativa.


Tabella 3 – Piante ritenute idonee alla rivegetazione delle discariche

Acacia farnesiana

Colletia

Lavandula angustifolia (lavanda)

Acacia saligna

Convolvulus cneorum

Leucophyllum fructescens

Agave

Cordyline indivisa

Melia azederach

Aloe

Cowania mexicana

Myrsine africana

Anthyllis barba-jovis

Cytisus (ginestra)

Myrtus

Anigozanthos ftavidus

Diospyros kaki

Olea europea (ulivo)

Arbutus unedo (corbezzolo)

Dorycnium hirsutum

Opunzia

Artemisia

Elaeagnus angustifolia

Phillyrea angustifolia

Atriplex halimus

Eucalyptus cinerea

Pistacia lentiscus (lentisco)

Baccahris halimifolia

Ficus carica

Poncirus trifoliate

Ballota pseudodictamnus

Forestiera neo-mexicana

Punica granatum

Brachychiton populneus

Femontodendron californicum

Robinia pseudoacacia

Bupleurum fructicosum

Genista (ginestra)

Rosa

Bursaria spinosa

Grevillea juniperina

Rosmarinus officialis

Capparis spinosa

Grevillea robusta

Salix caprea

Carissa grandiflora

Grevillea rosmarinifolia

Shepherdia argentea

Ceratonia siliqua

Hardenbergia violacea

Spartium junceum (ginestra)

Chamelacium uncinatum

Helichrysum

Teucrium fructicans

Chamaerops humilis

Hesperaloe

Thymus

Cistus

Hippophae rhamnoides

Ulex europaeus

Cneorurn tricoccum

Lagestroemia indica

Vitex agnus-castus

Coleonema pulchrum

 

 


Fra le essenze sopra elencate, alcune si prestano maggiormente ad essere utilizzate in zone prettamente montuose, come in gran parte è la Basilicata.


Tabella 4 - Caratteristiche delle essenze vegetali utilizzate in zone montane

Tipo di essenza

Osservazioni

Salix caprea

Arbusto o alberello collinare e montano che si spinge anche in pianura, diffuso in tutta Italia, tranne che in Sardegna, e che si ritrova nelle radure e negli incolti fino a 1.500 m di quota.
È una pianta pioniera, indifferente al substrato ed è in grado di sopportare lunghi periodi di siccità, mantenendo in equilibrio il bilancio idrico grazie a particolari adattamenti fisiologici. È presente anche in habitat boschivi (alto fino a circa 12 m), ma soprattutto colonizzatore di terreni nuovi o impossibili per altre piante. Dà un legno duro e pesante, abbastanza durevole e di facile lavorazione, che viene utilizzato per cassette da imballaggio, mobilio comune e anche per lavori di intarsio.
 

 

Robinia pseudoacacia

Pianta a portamento arbustivo ed arboreo, di non elevate dimensioni. In Italia la si trova in una fascia altimetrica che va dal livello del mare fino a più di 1.000 m (oltre 1.500 nel sud).
È una specie rustica, con minime esigenze, climaticamente mesofita, ma capaci di sopportare la siccità estiva. Tollerante nei confronti del terreno, lo migliora (si tratta di una leguminosa); esige una luce intensa ma può sopportare, negli stadi giovanili, un parziale aduggiamento. Da molti è ritenuta una pianta infestante in quanto, a causa della sua forza pollonifera, rigetta abbondantemente se ripetutamente tagliata, prendendo il sopravvento sulle specie locali.

 

Spartium junceum

Comunemente detta ginestra, della famiglia delle leguminose, è un arbusto alto 1-2 m sino a 3-4 m.
È una pianta pioniera capace di colonizzare anche le lave dei vulcani. Amante del caldo e del secco, è frugale, vegeta su diversi tipi di terreno, anche quelli salati, può arrivare sino ai 1300-1400 m di altitudine dell’Appennino e sino ai 2000 m dell’Etna. Dopo aver colonizzato e migliorato terreni nudi e degradati, lascia il posto a specie più esigenti che, da sole, non riuscirebbero ad instaurarvisi. La Ginestra odorosa, per le sue caratteristiche di portamento ed ecologiche, viene utilizzata nei rimboschimenti di zone degradate o nude.

 

Lavandula angustifolia

Comunemente detta lavanda, pianta erbacea con odore forte e caratteristico. Legnosa alla base, densamente cespugliosa, alta fino a 70-100 cm.
È una pianta comunissima in Italia, dalla regione mediterranea penetra nelle vallate alpine soleggiate in tutta la fascia calcarea fino a 1.800 m.
 


In conclusione si può affermare che il reinserimento ambientale di una discarica, se è tecnicamente possibile, per assicurare i migliori risultati deve essere previsto già in sede progettuale. In particolare, la scelta del terreno che il progettista sceglie impiegare per implementare il sistema di copertura finale, deve tener conto delle caratteristiche climatiche del sito e delle esigenze delle essenze vegetali prescelte, così da creare da subito le migliori condizioni per una buona riuscita del ripristino ambientale dell’area.

Bibliografia
[1] K.E. Lorber: “A novel approach for the redevelopment of old landfill sites” International Solid Waste Association (ISWA) World Environment Congress and Exhibition, Rome 17 – 21 october 2004;
[2] R.B. Wallace, C.M. Urlich: “Closure of landfills: future land use”, atti del convegno Sardinia ’95, vol. III; S. Margherita di Pula (CA), 1995;
[3] T. Gomiscek, P. Lechner e P. Liebhard: “Revegetation of closed landfills on diverse refuse substrate with fuel plant“, atti del convegno Sardinia ’99, vol. IV; S. Margherita di Pula (CA), 1999;
[4] E. de Fraja Frangipane, G. Andreottola, F. Tatàno: “Terreni contaminati – Identificazione, Normative, Indagini, Trattamento”, C.I.P.A. editore;
[5] M. Manassero: “Sistemi di copertura finale a confronto”, seminario di aggiornamento professionale “Messa in sicurezza e bonifica di vecchie discariche”, Roma 15 giugno 2004;
[6] L. Giardini: “Agronomia generale ambientale e aziendale”, Patron editore, Bologna, 1992, pagg 71-91;

 

________________________

* Referring: -: frusso@unibas.it

° Department of Engineering and Physics of the Environment - University of Basilicata
Campus Macchia Romana – via dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza (Italy)