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Accordi tra comuni ed università per la redazione di uno strumento urbanistico e tutela della concorrenza.
 
 
 
RUGGERO TUMBIOLO*




Il Consiglio di Stato1  ha recentemente sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione interpretativa pregiudiziale: «Se la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31.3.2004, n. 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare l’articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l’articolo 2, l’articolo 28 e l’allegato II categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lo studio e la consulenza tecnico scientifica finalizzata alla redazione degli atti costituenti il Piano di Governo del Territorio comunale così come individuati dalla normativa nazionale e regionale di settore verso un corrispettivo la cui non remuneratività non è manifesta, ove l’amministrazione esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico».


Il punto dirimente della controversia ruota intorno alla conformità all’ordinamento comunitario di un incarico di studio e consulenza tecnico-scientifica finalizzata alla redazione di uno strumento urbanistico generale, affidato in via diretta da un Comune ad un istituto universitario.
Occorre premettere che avanti alla Corte di Giustizia pende un’altra domanda di pronuncia pregiudiziale, che concerne questione se non simile quantomeno connessa: «Se la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31.3.2004, n. 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare l’articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l’articolo 2, l’articolo 28 e l’allegato II categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione, ove l’amministrazione esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico»2.


Sul punto controverso si registrano già alcuni precedenti in giurisprudenza.


Il TAR Lombardia si è già pronunciato in due occasioni3, ritenendo che l’affidamento da parte di un Comune in favore di un istituto universitario di un incarico di studio e consulenza tecnico-scientifica per la redazione di uno strumento urbanistico sia legittimo, in quanto riconducibile ad un accordo tra enti pubblici espressamente ammesso dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990 e comunque rispettoso del diritto comunitario, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione pubblica cui affidare il servizio.


Entrambe le decisione del TAR lombardo sono state appellate avanti al Consiglio di Stato, il quale si è inizialmente pronunciato a favore della conformità dell’accordo all’ordinamento comunitario4  e successivamente, con l’ordinanza richiamata all’inizio di questo commento5, ha sollevato la questione pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia UE.


L’altra domanda di pronuncia pregiudiziale attualmente pendente avanti alla Corte di Giustizia è stata proposta dal Consiglio di Stato6 nel giudizio di appello di alcune decisioni del TAR Puglia7, che avevano, viceversa, ritenuto illegittimo l’affidamento da parte di un’azienda sanitaria locale ad una università dell’incarico per lo studio e la valutazione di vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere ricadenti nel territorio provinciale, omettendo il ricorso a procedure di evidenza pubblica.


Esaminando le ragioni del rinvio alla Corte di Giustizia, secondo il Consiglio di Stato il ricorso al partenariato pubblico-pubblico può profilare il pericolo di contrasto con i principi di concorrenza quando l’amministrazione con cui sia concluso un accordo di collaborazione possa rivestire al tempo stesso la qualità di operatore economico, qualità che dalla Corte di Giustizia è riconosciuta ad ogni ente pubblico che offra servizi sul mercato, indipendentemente dal perseguimento di uno scopo di lucro, dalla dotazione di una organizzazione di impresa o dalla presenza continua sul mercato.


Sembrerebbe, poi, non decisiva, per i giudici di Palazzo Spada, la circostanza che il corrispettivo previsto per l’esecuzione della prestazione non abbia, in ipotesi, carattere remunerativo, servendo essenzialmente a ripianare i costi sostenuti dall’università: la fissazione di un corrispettivo, pur nell’assenza di un sostanziale profitto, non vale a conferire gratuità all’accordo che rimane a titolo oneroso e che, sotto tale profilo, potrebbe rientrare nel campo di applicazione della disciplina comunitaria degli appalti.


Entrambi i profili di dubbio di contrasto con il diritto comunitario si prestano, tuttavia, ad alcuni rilievi.


L’accezione amplificata della nozione di «operatore economico», in modo da ricomprendervi anche gli istituti universitari, è volta a consentire a detti organismi di diritto pubblico di concorrere, al pari delle imprese private, nelle pubbliche gare, ma non sembra diretta ad escludere che gli stessi possano concludere con altre pubbliche amministrazioni accordi diretti per il perseguimento di fini di interesse comune.


Del resto, un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad enti esterni non appartenenti ai propri servizi e può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche8, come nel nostro ordinamento è espressamente consentito dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990.


E giova rammentare che la norma appena citata non prevede l’identità delle competenze, ma solamente lo svolgimento di attività di interesse comune; non avrebbe, infatti, senso richiedere una perfetta sovrapposizione di competenze per potere concludere un accordo ex art. 15 della legge n. 241 del 1990, ma pare sufficiente che una attività sia complementare e sinergica ad un’altra di competenza di altra amministrazione9.


Nella fattispecie che ha dato luogo al rinvio alla Corte di Giustizia questa complementarietà e sinergia tra le funzioni delle pubbliche amministrazioni sembra non contestabile, posto che l’ente universitario espleta i propri compiti istituzionali di ricerca e consulenza (specificatamente indicati negli artt. 66 del d.P.R. n. 382 del 1980 e 6 della legge n. 168 del 1989) propedeutici all’espletamento da parte dell’ente locale della funzione di pianificazione territoriale.


Né può richiamarsi il timore che un’interpretazione restrittiva della nozione di «operatore economico» possa sottrarre alle regole della concorrenza i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici ed organismi che non agiscono in base a preminente scopo di lucro, posto che nella fattispecie si tratta di un accordo che coinvolge unicamente amministrazioni aggiudicatrici.


Non senza dimenticare che, da una parte, il diritto comunitario non impone alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, dall’altra, una cooperazione del genere tra autorità pubbliche non può rimettere in questione la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza, poiché viene salvaguardato il principio della parità di trattamento degli interessati, cosicché nessuna impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti10.


Quanto all’aspetto della remunerazione, non pare decisa la circostanza della onerosità della prestazione ai fini della riconducibilità della fattispecie al campo di applicazione della disciplina comunitaria degli appalti.


La Corte di Giustizia ha osservato che la semplice esistenza, fra due enti pubblici, di un meccanismo di finanziamento riguardante servizi di tal genere non implica che le prestazioni di servizi in questione rappresentino un’aggiudicazione di appalti pubblici che debba essere esaminata alla luce delle norme fondamentali del Trattato11.


Del resto, la possibilità per le università di ottenere una remunerazione e non un semplice rimborso spese, è espressamente prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. c), della legge 168 del 1989, che include, tra le entrate degli atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonché dall’articolo 66 del d.P.R. n. 382 del 1980, che prevede una rigorosa ripartizione dei proventi derivanti dall’attività di ricerca e consulenza espletata in favore di enti pubblici e privati.


Ciò che rileva è la compatibilità delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica, perché si deve pur sempre trattare di contratti/convenzioni consoni ai fini istituzionali dell’Ente; l’attività di ricerca e consulenza, anche se in favore di enti pubblici, deve infatti essere strumentale alle finalità istituzionali dell’Ente, che sono la ricerca e l’insegnamento, nel senso che giova al progresso della ricerca e dell’insegnamento o procaccia risorse economiche da destinare a ricerca e insegnamento12.


* Avvocato in Como
 
———————–
 
Note:
 
1  Ordinanza della V Sezione n. 5207 del 16 settembre 2011.
2  Procedimento n. C-159/11 proposto dal Consiglio di Stato, con ordinanza della V Sezione n. 966 del 15 febbraio 2011.
3 TAR Lombardia, Milano, I Sezione, 10 gennaio 2010, n. 74 e 22 aprile 2010, n. 1123.
4  Consiglio di Stato, V Sezione, 10 settembre 2010, n. 6548, che ha confermato TAR Lombardia, Milano, I Sezione, n. 74 del 2010.
5  Vedi nota 1.
6  Vedi nota 2.
7  TAR Puglia, Lecce, II Sezione, 2 febbraio 2010, nn. 416-417 e 27 aprile 2010, n. 1028.
8  Corte di Giustizia, III Sezione, 22 dicembre 2010, causa n. C-215/09.
9  TAR Liguria, II Sezione, 30 ottobre 2008, n. 1925, in Foro amm. TAR, 2008, 10, 2710.
10 In tal senso: Corte di Giustizia, Grande Sezione, 9 giugno 2009, causa n. C-480/06.
11 Corte di Giustizia, Grande Sezione, 18 dicembre 2007, causa n. C-532/03.
12 Per il principio: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 3 giugno 2011, n. 10, con riferimento alla possibilità da parte di un istituto universitario di costituire una società di engineering.
 

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