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 AGRICOLTURA, CRISI ALIMENTARE E MODELLO COOPERATIVO: BREVI RIFLESSIONI

 
MARIAGRAZIA ALABRESE
 
 
L’incubo della bolla speculativa dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari esploso negli anni 2007-2008 ed innescato, tra le altre cose, da una forte contrazione produttiva, proprio mentre sui mercati mondiali esplodeva la domanda dei Paesi emergenti, non può essere purtroppo considerato acqua passata. Le vicende climatiche sempre più repentine e drammatiche che portano alluvioni e sommergono d’acqua i terreni coltivati o stringono le campagne di molti Paesi del mondo nella morsa della siccità, fanno rivivere le stesse preoccupazioni con sempre maggiore frequenza.
 
Dall’immediato dopoguerra, come è noto, i mercati delle materie prime agricole sono stati caratterizzati per un lungo periodo da prezzi stagnanti e declinanti. Dopo la seconda guerra mondiale, d’altra parte, le politiche agricole nazionali e regionali sono state generalmente rivolte all’incremento della produzione dei prodotti primari al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Si può ricordare una sola eccezione in questo trend,quella degli anni settanta in seguito alla crisi delle produzioni agricole dei maggiori Paesi produttori di commodities dovuta a vicende climatiche negative e al cosiddetto «shock petrolifero» che causò l’aumento dei prezzi degli input produttivi.
 
Nei primi anni settanta, dunque, una successione e una coincidenza di eventi[1] hanno portato ad un calo drastico delle produzioni di commodities. Ai raccolti molto scarsi si sommò la circostanza che il Canada e gli Stati Uniti avevano ritirato diversi terreni agricoli dalla produzione nell’ambito del programma di ‘set-aside’ volto gestione delle eccedenze alimentari. La situazione fu aggravata quando anche la Russia, uno dei maggiori produttori mondiali di grano, fu costretta ad importarlo. Tutto questo portò ad un aumento considerevole dei prezzi e alla riduzione delle riserve alimentari in tutto il mondo. Nello stesso tempo, come si è fatto cenno sopra, i paesi produttori di petrolio riuniti nell’OPEC fissarono il prezzo del petrolio a livelli senza precedenti, fatto che ebbe l’effetto immediato di innalzare i costi dei fertilizzanti e dei trasporti. La combinazione di tutti questi eventi creò una situazione molto grave, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo caratterizzati dai noti deficit alimentari, peggiorata dal contestuale taglio degli aiuti alimentari proveniente dai Paesi sviluppati.   
 
La situazione internazionale evidenziava, dunque, l’urgenza di una profonda discussione sulle politiche agricole e alimentari dei governi mondiali. Nel 1974 si celebrò per la prima volta a Roma, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, una Conferenza mondiale sulla sicurezza alimentare.  
 
Recentemente abbiamo preso piena coscienza che il mondo – anche quello che ha sempre avuto cibo abbondante e a basso costo – è entrato in quella che è stata definita «l’era della nuova scarsità»[2]. Anche per le economie avanzate dunque si pone all’ordine del giorno il tema della sicurezza degli approvvigionamenti che sembrava essere stato cancellato per sempre.
 
È evidente a tutti che si tratta di uno scenario assai complesso impossibile da ricomporre interamente nello spazio di alcune pagine, anche perché questa sarebbe probabilmente la strada per non comprenderlo appieno.
 
È necessario tuttavia menzionare qui alcune questioni: quella della governance alimentare, ad esempio, che a livello della comunità internazionale pare si sia mostrata finora insufficiente. Abbiamo tutti bene in mente la priorità accordata al tema della sicurezza alimentare, solo per citare gli ultimi eventi, nel G8 USA, nel G8 dell’Aquila del 2009 e in occasione di Expo 2015, quando è stata formulata la Carta di Milano, documento di cittadinanza globale. Non si può neppure tacere, però, che già durante il Vertice mondiale dell’Alimentazione del 1996 i capi di Stato avevano preso il solenne impegno di dimezzare in vent’anni il numero delle persone che soffrono la fame, poi reiterato, anche se con alcune varianti, nei Millenium Development Goals,e infine reso ancora più assoluto con la previsione di eliminazione della fame entro il 2030 dai Sustainable Development Goals approvati nel settembre 2015. Bene, il fatto che gli ultimi rapporti FAO ci dicano che ancora 800 milioni di persone la sera vanno a letto affamate induce a pensare che il raggiungimento di questo obiettivo sia cosa do non facile portata, e mette in evidenza, tra le altre, la questione delle politiche di gestione delle risorse alimentari.
 
I motivi del probabile fallimento fino qui dell’obiettivo della lotta alla fame sono ricondotti dalle stesse Nazioni Unite ai picchi dei prezzi alimentari registrati negli ultimi anni, anche se non tutti gli economisti agrari sono d’accordo sul reale impatto dell’impennata dei prezzi sulle possibilità di accesso al cibo, mentre i politologi discutono sulle conseguenze di questi fenomeni sulla stabilità sociale e politica. Non solo le cosiddette rivolte del pane con cui hanno avuto inizio le primavere arabe dei Paesi mediterranei, ma anche il rapporto pubblicato dall’Oxfam nel settembre 2012[3], ci dicono come il calo delle rese e il rapido aumento dei prezzi alimentari creino instabilità politica, ondate migratorie e violenze sociali soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
 
I paesi meno sviluppati, infatti, sono quelli che soffrono maggiormente l’insicurezza alimentare. Ciò anche perché, secondo le teorie economiche “convenzionali”, hanno economie agricole poco produttive: viene in rilievo a questo proposito il nesso tra agricoltura, fame e povertà e la dibattuta questione se un aumento della produzione agricola mondiale – con le conseguenze anche in termini di impatto ambientale che esso potrebbe avere – sia davvero l’unica via per migliorare la sicurezza alimentare di alcune aree del mondo.
 
L’Agricultural Outlook 2012-2021 dell’OCSE e della FAO sostiene di sì: secondo il Rapporto, per ridurre l’insicurezza alimentare, la produzione agricola dovrebbe aumentare del 60% nei prossimi 40 anni.
 
Da un altro punto di vista, sempre a sottolineare il nesso tra agricoltura e sicurezza alimentare il World Development Report “Agriculture for Development” – World Bank (2008) evidenziava come la crescita di PIL proveniente dall’agricoltura abbia una efficacia nella riduzione della povertà almeno doppia rispetto alla crescita che origina da altri settori economici. In questo quadro gli investimenti nelle piccole aziende mostrerebbero migliori risultati in termini di         riduzione della povertà e di crescita. Anche nel documento della Commissione Europea COM (2010) 127 Un quadro strategico dell’UE per aiutare i PVS ad affrontare i problemi della sicurezza alimentare, l’agricoltura (in particolare di piccola scala) è posta al centro delle politiche e strategie per migliorare la sicurezza alimentare.
 
Così, consapevoli dell’importanza strategica dell’agricoltura e, conseguentemente, del controllo dei suoli fertili, soggetti istituzionali e non, hanno iniziato la corsa all’accaparramento di grandi superfici coltivabili in altri paesi e continenti, dando luogo a quel fenomeno che da alcuni anni viene definito land grabbing.
 
La competizione nell’uso dei suoli, innescata anche dalle politiche incentivanti le fonti energetiche rinnovabili, secondo alcuni non fa che esacerbare la situazione. Alla concorrenza food-feed (alimento-mangime), imputabile alla modificazione degli stili alimentari, che vedono una maggiore richiesta di proteine animali nelle aree emergenti del pianeta, si è aggiunto un terzo “competitor”: gli agrocarburanti[4], definiti addirittura nel 2007 «crimine contro l’umanità» da Jean Ziegler, l’allora UN Special Rapporteur sul diritto al cibo.
 
In realtà, le bioenergie non si possono condannare tout court, così come le acquisizioni di terra da parte di compagnie straniere per alcuni possono avere degli aspetti positivi. Nell’un caso, infatti, il Partenariato Globale delle Bioenergie evidenzia i benefici economici, sociali e ambientali sia per i Paesi poveri che per quelli sviluppati, purché la produzione di queste fonti energetiche sia sostenibile e ben pianificata. Nell’altro caso, le Linee Guida della Fao sulla gestione responsabile della terra ammettono che determinati tipi di accordi, se correttamente indirizzati, potrebbero contribuire ad un forte incremento degli “investimenti diretti” in agricoltura nei paesi in via di sviluppo.
 
Quindi è sempre una questione di regole. Regole che dovrebbero seguire e attuare Politiche agricole e alimentari che ormai non possono più avere il respiro del breve-medio termine o essere elaborate a livello nazionale o, al più, regionale.    
 
Dinanzi a questo quadro, è opportuno, infine, attribuire attenzione al modello della cooperazione agricola, al quale è stata intitolata, tra l’altro, la Giornata mondiale dell’alimentazione di qualche anno fa, che rappresenta nel mondo uno strumento importante contro la povertà e la fame. Si trattava in quell’occasione del tema “Le cooperative agricole nutrono il mondo”, che si ampliava, come spiegato dalla FAO, ad indicare “qualsiasi impresa di proprietà dei soci condotta in base a principi democratici”. Si tratta di un argomento la cui importanza è testimoniata anche dalla decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di designare il 2012 come “Anno Internazionale delle Cooperative” al fine di celebrare questo “modello commerciale dotato di coscienza sociale”.
 
Nel discorso che si conduce sulla food security, d’altra parte, quello della cooperazione rappresenta uno strumento in grado di svolgere un ruolo importante per l’avanzamento verso la sicurezza alimentare a livello globale e per il miglioramento delle condizioni di vita attraverso, per esempio, l’accesso al microcredito.
 
Inoltre, nel diritto agrario il tema della «agricoltura di gruppo» è un tema storico e all’associativismo si è sempre chiesto di superare il problema della frammentazione agricola e della conseguente asimmetria nei rapporti di forza contrattuale, solitamente sbilanciati a favore dei settori a monte (si pensi ai produttori di input per l’agricoltura) e a valle (ci si riferisce alle imprese della trasformazione o della distribuzione).
 
Nel quadro delle varie forme di esercizio collettivo dell’agricoltura, la centralità delle cooperative è un dato indiscusso fin da quando, nel 1970, qualcuno la definiva come “l’associazione per i più poveri e sprovveduti, l’organizzazione per difendersi” (Agostini-Saccomandi, 1970).
 
Non si può a questo punto lasciarsi sfuggire l’occasione di chiudere queste brevi riflessioni ricordando il famoso proverbio africano, che ci sembra particolarmente appropriato e connesso al tema della cooperazione, che recita “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano vai con gli altri”.
 
 


[1] Su questo, tra gli altri, per una ricostruzione molto approfondita dell’evoluzione del tema della food security dal 1945 ai primi anni 2000, si veda D. J.  Shaw, World Food Security. A History since 1945, Palgrave Macmillan, 2007.
[2] P. De Castro, Corsa alla terra. Cibo e agricoltura nell’era della nuova scarsità, Donzelli Editore, Roma, 2a ed., 2012.
[3] Rapporto di ricerca Oxfam, Clima estremo, prezzi estremi, settembre 2012, reperibile su http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2012/09/Clima-Estremo-Prezzi-Estremi ITA_rapporto_oxfam_sept2012.pdf, che rivela per la prima volta in che modo gli eventi climatici estremi come siccità e alluvioni possono incrementare nel prossimo futuro i prezzi del cibo.
[4] Su questo cfr. F. Adornato, Farina o benzina?, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, 1, 2008.
 
 
Pubblicato su AmbienteDiritto.it  – 22 Dicembre 2016 –
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