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 Brevi note sull’interpretazione della clausola revisionale in Puglia.   

 

 

LA CLAUSOLA REVISIONALE NEI CONTRATTI DI GESTIONE DEGLI IMPIANTI PER IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI IN PUGLIA.



Brevi note sull’interpretazione.

 

Floriana Gallucci – Luca Vergine

 

 


Con cinque sentenze nn.371, 372, 373, 376, 377 del 05.03.18, il TAR Puglia – sez. di Lecce – ha affrontato e risolto rilevanti questioni in tema di revisione della tariffa di conferimento dei rifiuti. I casi esaminati hanno riguardato l’impugnazione da parte dei Comuni della provincia di Lecce del decreto del Commissario ad acta, Avv. Gianfranco Grandaliano, dell’Agenzia Territoriale della regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti (in sigla, AGER Puglia) che ha determinato l’adeguamento e revisione della tariffa per il conferimento dei rifiuti.

 

L’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti esercita la specifica competenza sulle tariffe ai sensi dell’art. 9, comma 7, lett.a) della L.R. del 20.08.12 n.24, che precisa: “determina le tariffe per l’erogazione dei servizi di competenza, in conformità alla disciplina statale, conformandole ai principi di contenimento e agli eventuali criteri generali fissati dalle autorità nazionali di regolazione settoriale”. Il regime commissariale, al quale oggi, è sottoposta l’agenzia regionale, consente di esprimere i propri atti nella forme del decreto senza alcuna limitazione alle proprie competenze fissate dal citato articolo 9, in quanto – precisa il TAR – “…il commissariamento è stato disposto dal Presidente della Regione Puglia (decreto n.527 del 5 agosto 2016) proprio al fine di consentirne la piena operatività nelle more della costituzione degli organi e, in particolare, di “determinare le tariffe” (punto 2, lettera d, del suddetto decreto)” (sentenza n.376/18).

 

Tale premessa consente di comprendere il quadro delle funzioni dell’Agenzia Regionale attraverso le quali è esercitato il potere di discrezionalità tecnica di determinazione delle tariffe. In particolare, il potere istruttorio, che è alla base del procedimento di revisione del prezzo del servizio, forma le scelte di discrezionalità dell’ente e non necessita di puntuale richiamo motivazionale nel provvedimento conclusivo, trattandosi di atto a contenuto generale, ai sensi dell’art. 3, comma II della L.n.241/90.

 

In questo senso, le decisioni dei Tar si segnalano per l’analisi del requisito motivazionale utilizzato negli atti impugnati ai fini dell’applicazione della clausola di revisione ed adeguamento del prezzo nei contratti di gestione degli impianti per il trattamento dei rifiuti. In particolare, in modo schematico, dalle citate decisioni emergono i seguenti profili:

– gli atti di determinazione della tariffa, ai sensi dell’art. 3, comma II della L.n.241/90, “..rientrano nella categoria degli atti amministrativi generali, in quanto tali caratterizzati da un onere motivazionale quantomeno attenuato…” (sentenza n.377/18). La citata motivazione si incardina in un orientamento pressocchè consolidato secondo il quale “La qualificazione di atto amministrativo generale del provvedimento di determinazione delle tariffe ne fa conseguire, ai sensi del comma 2 dell’art. 3 della L.n.241 del 1990, che l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di supportare l’atto in questione con una compiuta motivazione che risponde ai requisiti di legge in materia e relativa all’esposizione puntuale dei presupposti di fatto e di diritto sulla base dei quali si è in concreto proceduto alla predetta determinazione” (TAR Lazio – sez. Roma, sez. II, 03.03.15 n.3666);

– il principio cd. full cost recovery (totale copertura dei costi di gestione), previsto dall’art. 238 del D. L.vo n.152/06, non consente attraverso il meccanismo della revisione l’adeguamento del prezzo a tutte le voci di gestione dell’impianto. Infatti, l’istituto della revisione è preordinata alla tutela dell’esigenza, propria dell’Amministrazione, di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da alterare il sinallagma contrattuale in modo da far scadere gli standard qualitativi del servizio, “…con la conseguenza che un’eventuale deroga a tale disciplina pattuita dalle parti contraenti deve considerarsi nulla” (così TAR puglia – sez. di Lecce- sez. I, 26.06.14 n.1600). Il TAR, nelle sentenze in commento, ha chiarito come vada interpretato il c.d. full cost recovery: “Il principio della copertura dei costi deve essere inteso in modo solo tendenziale e non assoluto, per non determinare contraddizioni con specifiche modalità di affidamento del servizio (es. la concessione) e non scaricare sulle Amministrazioni anche gli oneri conseguenti a scelte imprenditoriali non efficienti”. Sicchè, la revisione tariffaria non può rappresentare il modo per coprire costi prevedibili al momento del perfezionamento del contratto pubblico ovvero costi derivanti da eventi sfavorevoli all’appaltatore cagionati da scelte imprenditoriali, che producono sopravvenienze economicamente negative. Diversamente opinando, “…ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imporrebbe all’amministrazione ipso facto la revisione del compenso, in palese contrasto con l’art.115 del D. Lgs.n.163/06” (Cons. di Stato, sez. III, 01.04.16 n.1309). Nel quadro della revisione dei prezzi, va considerato anche l’aggiornamento ISTAT che, nel caso di trattamento e conferimento dei rifiuti, non ha un indice specifico calcolato dal citato Istituto di Statistica, al quale non si può supplire con l’applicazione del sotto indice dei Prezzi dei prodotti della produzione industriale, l’indice E 36, avente ad oggetto “Raccolta, trattamento e fornitura di acqua” (si veda il verbale della Conferenza Stato – Citta del 04.05.17 ed il comunicato stampa di ISTAT del 24.01.18 avente ad oggetto “Da maggio nuovi indici sull’andamento del costo dei servizi per la gestione dei rifiuti”);

– è irrilevante la qualificazione del contratto di gestione dell’impianto per il trattamento dei rifiuti urbani per la produzione di combustibile da rifiuto (CDR), quale appalto di servizi, anziché concessione di servizi, ai fini dell’applicazione della clausola di revisione del corrispettivo. La statuizione del TAR scaturisce dal confronto delle parti sull’assunto che solo nell’ipotesi di appalto di servizi sarebbe ammesso l’adeguamento tariffario, ai sensi dell’art.115 del D. Lgs.163/06 (TAR Puglia – sez. Bari, sez. I, 17.06.11 n.919) . Il TAR ha chiarito che non v’è differenza tra le due fattispecie negoziali, in quanto “…a prescindere dalla concreta qualificazione giuridica dell’affidamento in questione, come dimostra l’art.143, comma 8 del Decreto Legislativo n. 163/06 (disciplina applicabile ratione temporis) anche le concessioni sono soggette a riequilibrio in caso di alterazione del sinallagma contrattuale” (sentenza n.371/18).

 

Per completezza va ulteriormente precisato che la revisione prezzi è esclusa solo per quei contratti di affidamento dei servizi nei settori speciali ciò ai sensi dell’art. 217, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (che riproduce l’art. 20 della direttiva 2004/17/CE), a tenore del quale la disciplina dei settori speciali non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli artt. da 208 a 213 o per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno della Comunità (tuttavia, con ordinanza del 12.03.2017 n.1297, il Consiglio di Stato ha rimesso la questione innanzi alla Corte di Giustizia Europea nei seguenti termini: “a) se sia conforme al diritto dell’Unione Europea (in particolare con gli articoli 3, co.3, TUE, artt. 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) ed alla Direttiva n. 17/2004 l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa Direttiva, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità (nel caso di specie, appalto del servizio di pulizia dei locali di una stazione ferroviaria); b) se la Direttiva n. 17/2004 (ove si ritenga che l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali discenda direttamente da essa), sia conforme ai principi dell’Unione Europea (in particolare, agli artt. 3, comma 1 TUE, 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), “per l’ingiustizia, la sproporzionatezza, l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e, pertanto, delle regole di un mercato efficiente”.


In conclusione, il TAR Puglia ha risolto con ragioni ampiamente condivise la questione sulla corretta applicazione della clausola contrattuale di revisione tariffaria, il cui valore applicativo deve considerarsi esteso a tutti i contratti di gestione degli impianti di trattamento dei rifiuti in Puglia, consentendo all’AGER Puglia di poter definire l’adeguamento ed aggiornamento tariffario secondo criteri certi.


***

Pubblicato il 05/03/2018

N. 00371/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01211/2017 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1211 del 2017, proposto da: 
Comune di Lecce, in persona del Sindaco pro-tempore Dott. Carlo Maria Salvemini, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Augusto Imperatore,16; 
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., Consorzio A.T.O. LE/1 in Liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., non costituiti in giudizio; 
Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Lancieri e Luca Vergine, con domicilio eletto presso lo studio Marco Lancieri in Bari, corso Cavour, 124; 
nei confronti di
Progetto Ambiente Provincia di Lecce S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Quinto e Luigi Quinto, con domicilio eletto presso lo studio Pietro Quinto in Lecce, via Giuseppe Garibaldi, 43; 
per l’annullamento
– del decreto n. 53 del 29 giugno 2017, con cui il Commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, ha disposto “adeguamento e revisione tariffa conferimento anni 2010 – 2017” con riguardo all’impianto di produzione di CDR sito in Cavallino;
– di ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale;
nonché per l’accertamento e la declaratoria di nullità e/o della non opponibilità al Comune ricorrente, per quanto di ragione, del contratto 28.04.2006 repertorio n. 8794 Raccolta n. 1315 stipulato tra l’allora Commissario Regionale Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia e il Consorzio Stabile denominato Gestioni Ambientale (COGEAM) cui è succeduta S.r.l. Progetto Ambiente, con particolare riferimento alla clausola di cui punto 7.4.



Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Progetto Ambiente Provincia di Lecce S.r.l. e dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2018 il dott. Mario Gabriele Perpetuini e uditi per le parti l’Avv. Giovanni Pellegrino, in sostituzione di G. L. Pellegrino, l’Avv. L. Vergine, l’Avv. M. Lancieri, e l’Avv. L. Quinto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO
1. Il Comune ricorrente deduce che, con contratto del 28.04.2006 repertorio n.8794, veniva affidata alla COGEAM, alla quale succedeva la Progetto Ambiente Provincia di Lecce S.r.l., il servizio pubblico di gestione del sistema impiantistico complesso per il trattamento dei rifiuti urbani a servizio del bacino di utenza dell’Ambito della Provincia di Lecce per la produzione di combustibile da rifiuto (CDR).
Il servizio è stato attivato nel 2009 e l’impresa concessionaria ha formulato pretesa ai diversi A.T.O. di porre a carico dei Comuni dei rispettivi bacini, un aumento tariffario sia per aggiornamento I.S.T.A.T. (art. 7.3 del contratto del 2006), sia per “adeguamento tariffario” (art. 7.4 del medesimo contratto).
Con riferimento all’aggiornamento tariffario (clausola 7.4 del contratto) con la sentenza n.1525/2014, questo T.A.R. ha riconosciuto alla Società istante l’adeguamento delle tariffe di conferimento dei r.s.u. fino al 2013 (ultimo anno di competenza di quel giudizio), indicando analiticamente la misura dell’incremento per ciascun anno di esercizio.
La sentenza del T.A.R. Puglia – Lecce n. 1525/2014 è stata confermata dal Consiglio di Stato per ben due volte (senza mai essere sospesa nella sua efficacia esecutiva): una in sede ordinaria, con sentenza n. 3622/2015, una in sede di revocazione, con sentenza n. 4419/2016. In entrambi i casi su ricorso dell’A.T.O. Provincia di Lecce.
Con decreto n.6 del 13.01.2017, il Commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, in ottemperanza del giudicato formatosi sulla richiamata sentenza del T.A.R. n.1525/2014, approvava le tariffe di conferimento dell’impianto di Cavallino gestito dalla ditta Progetto Ambiente Provincia di Lecce” per le annualità 2010, 2011, 2012 e I° semestre 2013”.
Con decreto n.14 del 14.02.2017, il medesimo Commissario, ai sensi dell’art. 21 quater della Legge n. 241/1990, sospendeva per 40 giorni l’efficacia e l’esecutività del decreto n.6/2017 “per consentire lo svolgimento dell’attività istruttoria e le verifiche indispensabili per la corretta assunzione della determinazione finale”. Con ulteriore decreto n. 28/2017, la citata sospensione veniva prorogata fino al 31.12.2017.
Con l’impugnato decreto n.53 del 29.06.2017, il Commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti provvedeva alla revisione delle tariffe di conferimento dei r.s.u. dal 2010 al 2017, in applicazione dell’art. 7.3 del contratto, di aggiornamento I.S.T.A.T. e dell’art. 7.4 del contratto, di adeguamento dei costi, precisando che:
– ai fini dell’aggiornamento ISTAT, “per le sole annualità 2010 – 2011 – 2012, resta confermata la revisione ISTAT già calcolata dall’ex Consorzio ATO LE/1 con delibera n.7 del 16.03.12, la cui validità è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n.2729/2014 e dalla sentenza TAR n.594/2017”, mentre per le annualità successive veniva fatta applicazione dell’indice generale ISTAT relativo ai prezzi della produzione dei prodotti industriali, in conformità alla “Nota indicativa sul corretto utilizzo da parte dei Comuni degli indici ISTAT per la revisione dei prezzi nei contratti di servizio relativi al ciclo dei rifiuti”, condivisa nella Conferenza Stato Città del 04.05.2017;
– ai fini dell’adeguamento delle tariffe, per le annualità dal 2010 al 2013, veniva fatta pedissequa applicazione delle risultanze della C.T.U., recepita dalla sentenza n.1525/2014; per le successive annualità 2014 al 2017, venivano utilizzate come criteri di calcolo le risultanze istruttorie del citato accertamento giudiziale, adoperando il valore medio dei costi di adeguamento tariffario per le annualità 2011, 2012 e 2013 come base di calcolo per l’incremento della tariffa di conferimento per le predette annualità;
– con particolare riferimento all’incremento del costo sostenuto dal gestore per la maggiore spesa dovuta al recupero/smaltimento delle scorie provenienti dalla termovalorizzazione dei rifiuti per il periodo 2011 – 2017, veniva fissato il costo di € 6,90, aderente a quello determinato dalla C.T.U. recepita dalla sentenza n.1525/2014.
Con il ricorso in epigrafe il Comune di Lecce chiede l’annullamento, previa sospensione, del decreto n.53 del 29.06.2017 del Commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, avente ad oggetto “Impianto CDR in Cavallino (LE). Adeguamento e revisione tariffa di conferimento 2010 – 2017”, nonché la declaratoria di nullità e/o non opponibilità al Comune ricorrente del contratto del 28.04.2006, repertorio n.8794 Raccolta, 1315 stipulato tra il Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia e Progetto Ambiente Provincia di Lecce (allora A.T.I. COGEAM), con particolare riferimento alla clausola n.7.4.
Si sono costituite in giudizio l’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio Gestione Rifiuti (di seguito Agenzia) e la controinteressata Progetto Ambiente Provincia di Lecce S.r.l. resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
All’udienza pubblica del 20 febbraio 2018, dopo ampia discussione orale e su richiesta di parte, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’eccezione di inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione attiva, sollevata dall’Agenzia resistente e dalla Società Progetto Ambiente, in considerazione dell’infondatezza del ricorso nel merito.
3. In secondo luogo, il Tribunale deve provvedere a delimitare l’oggetto del giudizio qualificando la natura giuridica del provvedimento impugnato.
Partendo dal presupposto dell’efficacia del giudicato formatosi sulla menzionata sentenza n. 1525/2014 nei confronti di tutti i Comuni dell’A.T.O. Provincia di Lecce (essendo stata pronunciata nei confronti e con la partecipazione dell’A.T.O. Provincia di Lecce), deve riconoscersi al decreto n. 53 del 29 giugno 2017 un contenuto plurimo: per una parte, di mera ottemperanza al giudicato nascente dalla sentenza n. 1525/2014, relativamente all’adeguamento della voce CDR per gli anni dal 2010 al primo semestre 2013; per altra parte, di atto amministrativo autonomo relativamente all’aggiornamento ISTAT (anni 2013-2017) ed all’adeguamento riferito ai costi sostenuti dal gestore inerenti lo smaltimento delle scorie (anni 2012-2017) e lo smaltimento del CDR (secondo semestre 2013-2017). In quest’ultima parte può essere oggetto di contestazione nel presente giudizio.
4. Quanto al merito, con un primo motivo di ricorso si lamenta l’eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa; Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione; Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della Legge n° 241/1990 e dei principi in materia di trasparenza e partecipazione procedimentale; Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 16 della L.R. n. 24/2012 come modificata dalla L.R. n. 20/2016.
4.1. Secondo i ricorrenti il provvedimento impugnato si porrebbe in maniera (immotivatamente) contraddittoria rispetto ai precedenti decreti adottati dal medesimo Commissario dell’Agenzia resistente.
Ed infatti con i decreti nn. 14/2017 e 28/2017 l’Agenzia, dopo aver acquisito diffuso parere legale dallo studio legale romano Grimaldi, aveva determinato la sospensione dell’esecuzione dell’ordine che aveva disposto con il decreto n. 6, evidenziando “argomentate perplessità sulla perdurante validità del contratto stipulato con il gestore nel 2006, a seguito dei consistenti adeguamenti tariffari riconosciuti al gestore all’esito del contenzioso amministrativo…” ed evidenziava che alla luce “delle considerazioni che precedono” emerge la “evidente necessità di compiere con urgenza i dovuti approfondimenti sulle rilevanti questioni giuridiche (illiceità e/o illegittimità del rapporto contrattuale e compatibilità con la normativa in tema di Aiuti di Stato)…nell’ambito di una vicenda …suscettibile di generare rilevanti ripercussioni sui bilanci dei Comuni interessati alla luce degli ingenti importi richiesti”.
Con il provvedimento impugnato, senza alcuna istruttoria di merito sull’effettiva sussistenza degli aumenti di costi allegati dall’impresa e sulla loro riferibilità o meno a scelte autonome o ordinari rischi imprenditoriali e semplicemente aderendo alla quantificazione dell’adeguamento di cui alla sentenza T.A.R. n° 1525/2014, il Commissario dell’Agenzia resistente ha stabilito in favore dell’impresa, a carico di tutti Comuni e con valenza anche retroattiva a partire da 2010 e sino al 2017 un plurimo (consistente) aumento tariffario.
4.1.1. Osserva il Collegio che la doverosità di adottare con immediatezza il decreto n. 53 del 29 giugno 2017 discende (tra l’altro) direttamente dalla sentenza di questo T.A.R. n. 1525/2014, esecutiva e non ottemperata, per evitare di perseverare nell’elusione di un giudicato amministrativo.
Il dato fondamentale è, quindi, rappresentato dal carattere cogente ed esecutivo della sentenza predetta, che attendeva di essere ottemperata da oltre tre anni e che da sola giustifica l’adozione dell’atto Commissariale n. 53/2017 nella parte relative alla voce CDR per le annualità 2010-primo semestre 2013.
Si osserva, inoltre, che la tariffa, pur presentando determinate peculiarità, resta comunque un atto amministrativo generale in relazione al quale l’onere motivazionale, se non può considerarsi insussistente, deve comunque essere considerato quantomeno attenuato soprattutto nel caso di specie in cui, come detto, la determinazione dell’adeguamento prende le mosse da una sentenza esecutiva non ottemperata.
In ogni caso, comunque, nel provvedimento impugnato il Commissario dell’Agenzia resistente fa esplicito riferimento ad approfondimenti istruttori compiuti (pur non specificandoli nel loro contenuto).
Non v’era, quindi, necessità di ulteriore motivazione rispetto a quella, resa palese nell’atto stesso.
4.2. Secondo i ricorrenti il provvedimento impugnato dispone un aumento, alla voce “smaltimento scorie”, pari a “6,90 €/t così come determinato all’interno della citata CTU dei consulenti”. Tale determinazione sarebbe illegittima in quanto proprio il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1854/2017 ha precisato che tale incremento di costi non è stato in alcun modo concretamente determinato sulla base di adeguata istruttoria mentre occorrerebbe “determinare, in concreto, se vi sia stato e in che misura un effettivo incremento di costi sostenuti da Progetto Ambiente per smaltire il CDR negli impianti da questa realmente utilizzati”.
4.2.1. La censura non è fondata.
Osserva la Sezione che il provvedimento richiamato dai ricorrenti è stato annullato dal Consiglio di Stato che dopo aver richiamato il ragionamento e le motivazioni contenute nella C.T.U., si è così espresso:
“Si tratta di un percorso logico in astratto apprezzabile e ragionevolmente argomentato, volto a sostanziare l’affermazione circa la sussistenza di maggiori oneri indotti dalle novità normative in materia di scorie, ma che tuttavia non perviene al risultato richiesto dal TAR di determinare, in concreto, se vi sia stato e in che misura un effettivo incremento di costi sostenuti da Progetto Ambiente per smaltire il CDR negli impianti da questa realmente utilizzati”.
Il Consiglio di Stato non ha – quindi – affermato che al gestore non spetta l’adeguamento tariffario per quella voce di costo, ma ha rilevato come quel riconoscimento non fosse stato adeguatamente supportato dalla verifica in concreto “se vi sia stato e in che misura un effettivo incremento di costi sostenuti da Progetto Ambiente per smaltire il CDR negli impianti da questa realmente utilizzati”.
Il nuovo provvedimento di determinazione tariffaria è, però, immune dal vizio rilevato nel precedente contenzioso poiché è in atti la prova che il l’Amministrazione resistente abbia tenuto in considerazione i costi concretamente sostenuti dal gestore per il conferimento del CDR (comprensivo dell’incidenza dello smaltimento delle scorie, non quantificabile separatamente) e che abbia deciso comunque di attenersi alle risultanze della C.T.U. richiamata che, quindi, non viene riprodotta “sic et simpliciter” nel decreto n. 53/2017.
4.3 Il Comune ricorrente torna, poi, sui contestati aumenti per la disciplina sui certificati verdi in relazione ai quali l’atto impugnato attribuirebbe supinamente le somme che il T.A.R. con la sentenza n. 1525/2014 aveva riconosciuto solo per il periodo 2010-2013: e ciò, ha disposto l’atto qui gravato, senza farsi alcun carico della circostanza che quelle somme erano state indicate nella C.T.U. in modo non solo perplesso e confuso ma in via dichiaratamente teorica avendo i Consulenti stessi affermato di non essere riusciti ad effettuare una verifica, in concreto, di eventuali aumenti di costi sopportati dall’impresa.
4.3.1. La censura non può essere condivisa.
Osserva il Collegio che, con il motivo di ricorso in esame, non si nega la sopravvenienza di una modifica normativa rispetto alla data di presentazione dell’offerta che ha inciso sul costo di conferimento/smaltimento del CDR, bensì si contesta l’operato del Commissario dell’Agenzia resistente per aver “attribuito supinamente le contestate somme che il Tar con la sorprendente sentenza n. 1525/14 aveva riconosciuto”.
Sul punto appare doveroso richiamare il giudicato che si è formato sulle sentenze del T.A.R. Puglia – Lecce n. 2069/2012 e n. 1525/2014 e che determina l’inammissibilità o comunque l’infondatezza delle censure.
In ogni caso, la vicenda è stata affrontata dalla sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 3622/2015, che si è occupata delle specifiche censure proposte dall’A.T.O. Provincia di Lecce avverso le risultanze della C.T.U. e del conseguente aumento tariffario riconosciuto da questo T.A.R. con la sentenza n. 1525/2014.
Il Consiglio di Stato ha (condivisibilmente) chiarito che:
“Per quanto riguarda le censure formulate con riguardo all’operato del CTU, su cui si è fondamentalmente basata la sentenza impugnata, si deve preliminarmente osservare che il richiesto adeguamento deriva dall’esistenza di determinati dati oggettivi incontrovertibili, ovvero:
– la riduzione degli incentivi statali;
– l’aumento del costo unitario sostenuto dal gestore per il recupero del CDR rispetto a quanto indicato in offerta;
– le ingenti perdite di bilancio registrate dal concessionario nei vari anni di gestione.
Fatta tale premessa, che conferma ancora di più l’indispensabilità dell’adeguamento, si deve passare all’esame delle singole obiezioni prospettate dall’appellante avverso la citata CTU.
Tali obiezione, per il Collegio sono infondate, in quanto, sinteticamente:
– a pag. 64 della CTU è stato puntualmente e condivisibilmente individuato l’incremento della tariffa di conferimento, a causa delle modifiche normative sopravvenute, per ogni anno a partire dal 2008;
– sulla base degli accertamenti compiuti nella CTU emerge inequivocabilmente quale sia la situazione degli incentivi relativa a ciascuno degli impianti in cui il CDR è stato effettivamente conferito, con la conseguenza che non è corretta l’argomentazione incentrata soltanto sulla tabella di pag. 58 della CTU che darebbe atto che nel 2010 tutti gli impianti presso cui ha conferito Progetto Ambiente godevano appieno degli ecoincentivi;
– per effetto delle modifiche introdotte con la finanziaria del 2007, nessun impianto gode più degli incentivi in misura piena;
– detta tabella, compilata a pag. 58 della CTU, combinando il dato relativo all’avviamento (riportato nella suddetta tabella) con quello relativo alla durata
del CIP 6 (indicato nella CTU in 8 anni) determina la data in cui gli ecoincentivi in misura piena sono cessati;
– nella CTU è stato chiaramente ed incontestabilmente fornito il dato relativo all’incidenza media (in termini di incremento sulla tariffa) derivante dalle modifiche normative sopravvenute;
– la consulenza d’ufficio, in conformità con quanto disposto nell’ordinanza istruttoria di primo grado, è stata trasmessa in una prima bozza ai consulenti di parte per consentire loro di formulare osservazioni; ricevute le osservazioni, la consulenza d’ufficio è stata rivista ed aggiornata recependo le osservazioni ritenute condivisibili; pertanto, le indicazioni definitive e corrette sono pacificamente quelle indicate nella relazione nella sua versione definitiva, vale a dire nella tabella di pag. 58 della CTU;
– l’utilizzazione delle fatture della Progetto Ambiente srl, che contenevano tutti i dati rilevanti (tariffa, destinatario e quantitativo) per estrapolarne gli elementi utili per l’accertamento effettuato in CTU, si deve considerare legittima, atteso che tali documenti, pur trattandosi di atti di parte, erano stati trasmessi all’ATO in periodi di tempo in cui non erano sorte ancora contestazioni tra le parti; inoltre, le stesse fatture non erano mai state confutate dall’ATO, che le aveva ricevute sempre senza obiezioni;
– la relazione di CTU ha determinato la misura dell’incremento tariffario assumendo quale dato di riferimento non l’eliminazione degli incentivi, bensì la loro riduzione, ed ha individuato l’incidenza di tale riduzione sulla tariffa di conferimento;
– non sussistono elementi per ritenere che i dati assunti dal CTU non siano coerenti con i dati reali di mercato; essi, peraltro, sono stati comprovati utilizzando un campione rappresentativo di impianti;
– la riduzione dei ricavi, che deve ritenersi direttamente imputabile alle variazioni normative, ha ragionevolmente influenzato il mercato, determinando un livellamento verso l’alto delle tariffe applicate dagli impianti in grado di bruciare CDR;
– nella tabella della relazione di CTU, a pag. 54, è stato calcolato il valore medio delle variazioni utilizzando esclusivamente gli anni dal 2008 al 2013,
mentre gli anni dal 2004 al 2007, per i quali è stata pure calcolata la misura dell’incremento, non sono stati computati ai fini della determinazione della media;
– il criterio di calcolo utilizzato per la determinazione della media risulta ragionevolmente motivato nella relazione secondo i criteri tecnici ivi indicati;
– la citata tabella di pag. 54 dimostra che il prezzo medio di conferimento è cambiato a partire dal 2007 proprio per effetto della finanziaria che ha ridimensionato gli incentivi; si è infatti passati da un prezzo medio di 36,00 €/t ad un prezzo medio di 80,00 €/t: quindi è evidente che il costo di conferimento è risultato essere molto superiore a quanto indicato in offerta, per effetto delle modifiche normative sopravvenute all’offerta;
– in definitiva, si è legittimamente ritenuto che il costo del conferimento in impianti terzi, quindi in uscita, del CDR prodotto nell’impianto della Progetto Ambiente incide sulla tariffa di conferimento del rifiuto in ingresso e la differenza si giustifica con la differenza di quantitativi tra ingresso ed uscita”. La sentenza, confermata in sede di revocazione dal Consiglio di Stato con decisione n. 4419/2016, conduce a conclusioni in relazione alle quali questo Collegio ritiene di dover aderire.
4.4. Ancora si contesta la determinazione dell’atto gravato con riguardo all’adeguamento ISTAT. E, infatti, se quanto all’indice l’Agenzia resistente ha dovuto tenere conto delle conclusioni del tavolo tecnico tenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione dello stesso Istituto Nazionale di statistica, poi però ha tenuto conto dell’indice solo quando esso si presenta in aumento e non pure quando in diminuzione. Si legge infatti nel provvedimento impugnato che “non si calcolerà alcuna revisione per gli anni 2014, 2015 e 2016 interessati da indici ISTAT negativi”.
4.4.1. La censura non può essere accolta.
Si osserva, a tal proposito, che la clausola di revisione dei prezzi è stata apposta al contratto in questione nell’interesse del gestore al fine di tenere indenne lo stesso dall’aumento dei prezzi dovuto (nel caso in parola) alle variazioni del costo del denaro, e non anche nell’interesse dell’Amministrazione a che le tariffe possano diminuire in caso di indice I.S.T.A.T. negativo (a meno che ciò non sia espressamente previsto dal contratto).
Nel caso di specie, l’eventualità che ad una variazione in negativo degli indici I.S.T.A.T. corrispondesse una correlata diminuzione delle tariffe non è stato previsto nel contratto del 2006 per cui non è possibile che le tariffe possano subire modifiche peggiorative per il gestore.
Peraltro, non può essere trascurato che la revisione prezzi nei contratti pubblici è un istituto che opera su istanza di parte.
4.5. Infine, si contesta anche la violazione di ogni garanzia procedimentale atteso che, intendendo assumere un atto così fortemente incisivo sugli interessi dei Comuni, l’Agenzia ed il suo Commissario avrebbero dovuto coinvolgere le Amministrazioni Comunali nel relativo procedimento prima di assumere l’atto qui gravato.
4.5.1. La censura è infondata.
Rileva in termini risolutivi che la competenza tariffaria è oggi attribuita “ex lege” all’Agenzia Territoriale (art. 9, comma 7, L.R. n. 24 del 20 agosto 2012, come modificata dalla L.R. n. 20/2016), i cui organi, compresi quelli cui parteciperanno a regime gli Enti locali, sono commissariati. Tale circostanza, come è noto, non impedisce all’Agenzia di funzionare ed esercitare le sue funzioni, anche in considerazione del fatto che il commissariamento è stato disposto dal Presidente della Regione Puglia (decreto n. 527 del 5 agosto 2016) proprio al fine di consentirne la piena operatività nelle more della costituzione degli organi e, in particolare, di “determinare le tariffe” (punto 2, lettera d del suddetto decreto).
5. Con il secondo motivo di gravame si lamenta la nullità del contratto con particolare riferimento alla clausola prevista all’art. 7.4.
5.1. Il capitolato prevedeva quale sola ipotesi di incisione sulla tariffa offerta in gara, durante il rapporto, esclusivamente l’ipotesi dell’adeguamento ISTAT, infatti trasfusa all’art. 7.3 del contratto (cfr art. 7 del Capitolato).
Sicché in modo del tutto illegittimo nel contratto del 2006 è stata aggiunta una seconda ipotesi di modifica della tariffa (art. 7.4) recante la possibilità di aumento per ragioni non previste dagli atti di gara.
Per il Comune ricorrente questa sarebbe una clausola affetta da nullità per manifesta contrarietà con l’ordine pubblico connesso a basilari principi dell’evidenza pubblica, venendo ad assegnarsi all’aggiudicatario un vantaggio (aumento della tariffa volto a spostare sull’erario il rischio di impresa) non previsto dagli atti di gara.
5.1.1. Le sentenze del T.A.R. Puglia – Lecce nn. 2069/2012 e 1525/2014 (entrambe confermate dal Consiglio di Stato) hanno accertato la necessità ed il diritto del gestore all’adeguamento tariffario proprio al fine di conservare l’originario equilibrio contrattuale in applicazione di quella clausola contrattuale che perseguiva quello scopo.
L’introduzione della clausola contestata (quale peculiare forma di “revisione prezzi”) si è resa necessaria al fine di gestire evenienze straordinarie, rappresentate dall’ipotesi eccezionale di un cambio di normativa che potesse incidere sui costi di gestione. Cosa che si è poi verificata con riferimento al modo di conferire il CDR prodotto, che ne ha fatto lievitare sensibilmente il costo. La clausola di riequilibrio si è quindi resa indispensabile per tutelare l’interesse pubblico alla corretta gestione del sistema di trattamento dei rifiuti urbani, rispetto al quale il legislatore nazionale, sulla spinta di quello comunitario, è andato ben oltre, giungendo persino ad imporre la copertura obbligatoria dei costi di gestione attraverso le tariffe di conferimento.
La circostanza dell’incremento della tariffa è ascrivibile non già ad una modifica sostanziale del rapporto contemplato dagli atti della propedeutica gara e del contratto del 2006, bensì a circostanze sopravvenute imprevedibili, non imputabili alle parti, che hanno alterato significativamente il sinallagma contrattuale. Anche in mancanza di quella clausola, il gestore avrebbe avuto diritto all’adeguamento della tariffa, sia in applicazione dei meccanismi di riequilibrio previsti dall’ordinamento per tutti i contratti ad esecuzione prolungata (revisione prezzi), sia di quelli specifici per il settore dei rifiuti nel quale vige il principio del c.d. full cost recovery che si sostanzia nella tendenziale copertura dei costi di gestione.
Incidentalmente è il caso di rilevare che il principio della copertura dei costi deve essere inteso in modo tendenziale e non assoluto in quanto, in caso contrario, il principio entrerebbe in conflitto con determinate modalità di affidamento del servizio (es. la concessione) e porterebbe le Amministrazioni ad accollarsi anche scelte imprenditoriali non efficienti.
5.2. Si sostiene, inoltre, che il corrispettivo in favore del concessionario consiste nel “diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati con il presente contratto” (art. 16 del contratto).
Si tratterebbe quindi di una concessione di servizi in quanto è la concessione, a differenza dell’appalto di servizi a caratterizzarsi per il fatto che “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio” (art. 30 d.lgs. 163/2006; art. 164 e ss d.lgs 50/2016).
Così inquadrata la natura giuridica del contratto, sostiene il Comune ricorrente che, come rilevato dalla giurisprudenza civile ed amministrativa, nella concessione di servizi a differenza che nell’appalto, l’assunzione dei rischio di gestione spetta all’affidatario ed è su tali basi che è stata ritenuta inapplicabile alle concessioni l’art. 115 del d.lgs. 163/2006 in materia di adeguamento dei prezzi (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I 17/06/2011 n. 919).
Da quanto precede discende la necessaria nullità, anche sotto tale profilo, per contrasto con fondamentale disciplina di ordine pubblico (la regole della concessione), della previsione contrattuale che vorrebbe sgravare il concessionario proprio del rischio di impresa connesso a possibili aumenti dei costi.
5.2.1. Secondo la società Progetto Ambiente, invece, il contratto per cui è causa non è una concessione di servizi, bensì un appalto di servizi.
In tal senso depongono:
– la procedura di affidamento del contratto, indetta dichiaratamente ai sensi del D. Lgs. n° 157/1995 (che all’epoca disciplinava gli appalti di servizi);
– gli esiti di un contenzioso promosso da Confindustria Puglia avverso gli atti indittivi della procedura in cui si rivendicava la natura di concessione dell’appalto con conseguente applicazione della relativa disciplina. I ricorsi furono respinti dal T.A.R. di Bari e dal Consiglio di Stato (sentenza C.d.S., sez. IV, n. 2808/2005), che esclusero la natura concessoria del contratto;
– ma soprattutto, ed in via dirimente, la decisione della Corte di Giustizia 18 luglio 2007 (C-382/05), Commissione contro Repubblica italiana, che decidendo un caso identico (impianto di trattamento rifiuti realizzato con investimento privato e remunerato attraverso il pagamento di una tariffa da parte del Commissario delegato) ha qualificato il contratto come appalto di servizi e non come concessione di servizio pubblico.
Osserva il Collegio che, in ogni caso, anche a prescindere dalla concreta qualificazione giuridica dell’affidamento in questione, come dimostra l’art. 143, comma 8, del Decreto Lgs. n° 163/2006 (disciplina applicabile ratione temporis), anche le concessioni sono soggette a riequilibrio in caso di alterazione del sinallagma contrattuale.
Per questo motivo appare infondata anche la considerazione secondo la quale con il riconoscimento dell’adeguamento tariffario si viene ad introdurre uno squilibrio nel rapporto contrattuale comportando un aumento di oltre il 40% rispetto alla tariffa originariamente prevista con la conseguenza che tale modifica sostanziale determinerebbe, di fatto, una modifica al contratto originario tanto da potersi parlare di nuovo diverso affidamento tale da richiedere l’espletamento di una nuova procedura di evidenza pubblica.
Il Tribunale rileva, infatti, che il Giudice Amministrativo ha accertato – con sentenze passate in giudicato – esattamente il principio contrario, e cioè che l’adeguamento tariffario si è reso necessario proprio per conservare l’originario equilibrio contrattuale e non modificare il contratto.
5.3. Proseguono i ricorrenti sostenendo che un ulteriore profilo di nullità del contratto e/o della clausola e conseguentemente di illegittimità degli atti impugnati discenderebbe dalla circostanza che l’impugnato decreto commissariale, nello stabilire gli aumenti tariffari di cui si controverte, comporta versamenti erariali in favore di impresa che svolge attività economiche in contrasto con la disciplina in materia di aiuti di Stato e in violazione dell’art. 107 par. 1 del T.F.U.E.
5.3.1. La censura non è fondata, considerato come non sia ipotizzabile un “aiuto di stato” rispetto a somme che devono essere per legge corrisposte al gestore dall’utenza e non dall’Amministrazione.
Inoltre, è la stessa disciplina dell’Unione Europea che prevede gli istituti della revisione dei prezzi e degli adeguamenti tariffari al fine di garantire la continuità del servizio e a tal proposito, se non sembra potersi riconoscere – tout court – il principio della totale copertura dei costi per i motivi dinanzi citati, deve comunque riconoscersi quello della tendenziale copertura degli stessi per evitare che squilibri contrattuali dovuti a sopravvenienze imprevedibili possano determinare l’interruzione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
6. Con il terzo motivo di gravame si lamenta l’illegittima retroattività delle tariffe cosi rideterminate.
6.1. La censura non è fondata, a tal proposito, cosi come controdedotto dalla Società Progetto Ambiente, si rileva che il gestore ha formulato tempestivamente ogni sua richiesta di adeguamento ed aggiornamento (sin dal 2009, anno di avvio del servizio) nei confronti delle Amministrazioni che si sono succedute nel tempo nella competenza a determinare la tariffa.
Per i motivi suesposti il ricorso deve essere respinto.
L’assoluta novità delle questioni trattate e della normativa applicabile rendono opportuna la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Enrico d’Arpe, Presidente
Antonella Lariccia, Referendario
Mario Gabriele Perpetuini, Referendario, Estensore

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