CONVENZIONE DI BERNA.
Ripercussioni sulla tutela penale dei fringillidi nella normativa italiana che disciplina l’attività venatoria.
DAVIDE BRUMANA* e LUCA PELLICIOLI**
Con la pronuncia dello scorso dicembre, la Corte di Cassazione ha comminato la sanzione penale prevista dalla normativa nazionale a tutela delle specie particolarmente protette, per la detenzione di un esemplare di peppola – specie appartenente alla famiglia dei fringillidi (Fringilla montifringilla) – poiché riconducibile tra le specie ricomprese nell’allegato 2 della Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979, detta anche Convenzione di Berna (Cass. pen., Sez. 3, n. 47872, 22.12.2011).
Deve aggiungersi che già in precedenza la S.C., trattando un’ipotesi di attività di caccia in deroga alla disciplina nazionale e comunitaria ai sensi dell’art. 9 della dir. 2009/147/CE, ha ritenuto configurabile la violazione della L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. b) per l’abbattimento di un fringillide (frosone – Coccothraustes coccotrhaustes) in quanto rientrante tra le specie incluse nel menzionato allegato 2 della Convenzione di Berna (Cass. Pen., Sez. 3, n. 23931, 22.06.2010).
Si tratta però di decisioni non scontate e quindi particolarmente rilevanti. Ma procediamo con ordine.
La fauna selvatica, ai fini dell’esercizio venatorio di cui alla medesima L. n. 157/1992, è ricompresa in tre categorie, cui corrisponde un livello di protezione differente: massima protezione con divieto assoluto di caccia, cui corrispondono sanzioni decisamente gravi per le specie particolarmente protette di cui all’art. 2, lett. a), b) e c) e di cui all’art. 30, c. 1, lett. c); protezione ordinaria e divieto di caccia per tutte la altre specie di fauna selvatica che non figurano negli elenchi di cui all’art. 18; protezione ordinaria, e per di più limitata ad alcuni periodi dell’anno, per le specie elencate all’art. 18, che in alcuni periodi di tempo divengono cacciabili, in deroga al divieto generale di caccia che riguarda anche queste specie, ma che trova in riferimento alle stesse dei precisi limiti temporali.
Sempre la stessa L. n. 157 del 1992, all’art. 30, c. 1, lett. b) sanziona, con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, l’abbattimento, la cattura e la detenzione di mammiferi ed uccelli appartenenti alle specie particolarmente protette dettagliatamente elencate nell’art. 2.
Tale ultima disposizione, che individua l’oggetto della tutela assicurato dalla legge alla fauna selvatica, della quale fanno parte le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale, elenca alcune specie ritenute meritevoli, anche sotto il profilo sanzionatorio, di particolare protezione: art. 2, c. 1, lett. a) e b).
Oltre all’elencazione specifica delle singole specie, la disposizione in esame indica, tra le specie particolarmente protette, alla lett. c), tutte quelle altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri indicano come minacciate di estinzione. E tra le convenzioni internazionali in materia rientra la Convenzione di Berna, ratificata dall’Italia con la L. 5.08.1981, n. 503.
Ciò posto, in un quadro che pare chiaro, compare un’anomalia: infatti la L. n. 157/1992 prescrive la sanzione penale dell’ammenda per chi abbatte, cattura o detiene più di cinque fringillidi (art. 30, c. 1, lett. h), mentre, qualora il numero di fringillidi abbattuti, catturati o detenuti sia inferiore alla predetta quantità, all’art. 31, c. 1, lett. h), è prevista la sola sanzione amministrativa.
Ci si trova dinanzi ad un’evidente discrasia legislativa, come detto: infatti, nei casi che ci occupano, la detenzione o l’abbattimento di un solo esemplare appartenente alla famiglia dei fringillidi (peppola e frosone), secondo il tenore letterale della normativa, comporterebbe a carico del trasgressore una pena che può variare da una sanzione penale, quale l’ammenda o l’arresto, ad una sanzione amministrativa.
Quasi certamente tale incongruenza del sistema sanzionatorio in materia venatoria deriva anche dal fatto che al momento dell’entrata in vigore della medesima legge quadro sull’attività venatoria, la peppola, così come il fringuello (Fringilla coelebs), erano gli unici due fringillidi cacciabili, che poi sono stati espunti dall’elenco delle specie cacciabili a seguito dell’emanazione del D.P.C.M. del 22.11.1993.
Senza entrare nel merito della misura afflittiva disposta in concreto dal Collegio giudicante, risulta comunque interessante la definizione del rapporto in cui si pongono le richiamate pronunce rispetto agli istituti tipici del diritto penale, quali il favor rei, nonché il principio di tassatività della sanzione penale, rispetto ai quali crea perplessità l’applicazione di una sanzione penale in luogo di quella amministrativa, sopravvissuta (quanto meno per le specie divenute non cacciabili) a livello letterale.
A prescindere dalle evidenziate criticità, che solo un intervento normativo può superare, va constatato come, con le pronunce in esame, la S.C. abbia manifestato di accordare ai fringillidi la massima tutela penale prevista dall’ordinamento statale, in un’ottica di conservazione sovranazionale dell’avifauna che risponde del resto ai contenuti della disciplina comunitaria e internazionale.
Pare dunque affermarsi un nuovo orientamento giurisprudenziale sul tema, secondo il quale l’abbattimento, la cattura e la detenzione di fringillidi, quali specie elencate nell’allegato 2 della Convenzione di Berna, configura il reato di cui alla L. n. 157/1992, art. 30, lett. b), posto a tutela delle specie di fauna selvatica particolarmente protette.
* Dottore in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bergamo, master II livello in diritto dell’ambiente
** Medico veterinario, Phd in gestione e patologie della fauna selvatica presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di medicina veterinaria