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CORONAVIRUS: NOTA SULLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA PER RISCHIO SANITARIO.

Gian Paolo Dolso

Prime note sulla dichiarazione dello stato di emergenza

1.Come è noto, con provvedimento del Consiglio dei Ministri di data 31 gennaio 2020 è stata deliberata la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili per la durata di mesi sei1. Si tratta di una delle prime occasioni in cui le procedure disegnate dal decreto legislativo n. 1 del 2018 (Codice della protezione civile) hanno trovato concreta attuazione, con riguardo ad un livello di emergenza di rilievo “nazionale”.

La delibera dello stato di emergenza è stata preceduta da alcune ordinanze del Ministro della salute mentre è mancata una dichiarazione dello stato di mobilitazione del Servizio nazionale della protezione civile, pur previsto dal citato D. lgs. n. 1 del 2018 come prodromico alla delibera dello stato di emergenza. Ciò a testimonianza del fatto che la situazione di diffusione del coronavirus, oggetto pure di una dichiarazione di emergenza a livello internazionale, si è andata evolvendo con tempi talmente rapidi da giungere, omisso medio, alla dichiarazione dello stato di emergenza2.

A seguito poi della delibera del Consiglio dei ministri, il Capo del dipartimento della protezione civile ha adottato un’ordinanza avente ad oggetto “primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili3. Stante l’essenzialità e la laconicità della delibera del Consiglio dei ministri, sembra questo l’atto ove cercare le coordinate essenziali per la gestione dell’emergenza. Sono stati poi emanati ulteriori atti successivamente a tale ordinanza, atti che, pur non incidendo sullo statuto della disciplina della situazione di emergenza in atto, risultano nondimeno decisivi per “gestire” la situazione nel suo evolversi. Da una parte sono state adottate alcune ordinanze da parte del Ministro della salute, “di intesa” con i Presidenti di alcune regioni, aventi per lo più ad oggetto per misure assolutamente temporanee volte a contenere la diffusione del virus; dall’altra, è stato dal Governo predisposto un decreto-legge, dal contenuto per vero piuttosto limitato ma assai gravido di conseguenze, soprattutto per gli abitanti di alcuni Comuni del Paese meglio identificati nell’allegato al decreto stesso4.

Pur consapevoli della estrema mutevolezza della situazione, e quindi della possibilità che nel volgere di pochi giorni non solo lo stato di diffusione del virus si modifichi, ma che anche il quadro normativo registri evoluzioni, sembra opportuno soffermarsi su questo primo segmento della fase emergenziale cercando di leggere le norme e i provvedimenti adottati in controluce con il decreto legislativo 1/2018 e, più in generale, con il sistema ordinamentale nel suo complesso.

2.Come si è accennato, la formale dichiarazione dello stato di emergenza non solo è stata preceduta da due ordinanze contingibili e urgenti del Ministro della salute, ma la stessa delibera del Consiglio dei ministri risulta anticipata da una nota dello stesso Ministro, “con cui –si legge nella delibera- il Ministro della salute ha rappresentato la necessità di procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale di cui all’articolo 24 del decreto legislativo n. 1 del 2018”5. E’ noto che l’emergenza in atto riguarda un pericolo per la salute, ma, stando all’art. 24 appena menzionato, la dichiarazione dello stato di emergenza muove da una “valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile” ed è proposta dal Presidente del consiglio dei ministri, semmai su richiesta del presidente della regione interessata. Nell’intestazione della Delibera del Consiglio dei ministri non vi è per vero traccia di una valutazione da parte del Dipartimento della protezione civile. Il presupposto della dichiarazione riposa sulla constatazione, del resto corretta, secondo cui la situazione creatasi, “per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con i mezzi e poteri ordinari”, di modo che, coerentemente, si giunge alla dichiarazione dello stato di emergenza in base all’art. 7, comma 1, lett. c), del citato decreto legislativo 1/2018, che fa riferimento a situazioni di carattere “nazionale6.

Sulla base di queste doverose premesse il provvedimento, anche con riferimento alla tipologia della situazione, si scandisce in tre movimenti: la dichiarazione dello stato di emergenza per mesi sei; l’attribuzione del potere di ordinanza al “Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione di legge e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico”; infine lo stanziamento per l’attuazione dei primi interventi “nel limite di euro 5.000.000” (sic…).

Pacifica la temporaneità del provvedimento, connaturata alla natura stessa delle situazioni di eccezione. Sorvolando sull’entità del primo stanziamento, non a caso già rettificato sulla base del decreto-legge cui ci si soffermerà qui di seguito, va commentata brevemente l’attribuzione al Capo del dipartimento della protezione civile del potere di ordinanza. Si tratta forse di una attribuzione che, da un lato, appare pleonastica, dall’altra carente di alcuni elementi. Andando con ordine, l’incipit dell’art. 25 del D.lgs. 1/2018 recita: “per il coordinamento dell’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale si provvede mediante ordinanze di protezione civile, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza”. Quindi, come si accennava, l’attribuzione di tale potere è già in re ipsa, una volta addivenuti alla dichiarazione dello stato di emergenza su scala nazionale, sulla base del disposto normativo appena richiamato; dall’altra parte la citata disposizione ragiona di “limiti” e “modalità” che dovrebbero essere previste nella dichiarazione di emergenza e di cui, nel caso, vi è solo una labile e discutibile traccia.

I limiti sembra siano quelli consueti delle ordinanze di necessità, per vero declinati in modo riduttivo nella delibera, almeno rispetto a quanto indicato, questa volta in modo forse troppo estensivo, dal decreto 1/2018. Se la delibera ragiona solamente di “rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”, il decreto legislativo allude anche alle “norme dell’Unione europea”, non a caso prese in considerazione, ma con declinazione ancora una volta diversa, dall’Ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile dd. 3 febbraio 2020 che più genericamente allude ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”7. Se è vero che la giurisprudenza costituzionale, in una delle sue prime sentenze, evidenziò il limite del principi generali dell’ordinamento, non è meno vero che nella motivazione della pronuncia, e soprattutto nella giurisprudenza costituzionale immediatamente successiva, tali principi dovevano necessariamente rientrare le norme e i diritti costituzionali, che il potere di ordinanza, per essere compatibile con il volto costituzionale del sistema, non poteva (e non può) travolgere8. Al di là della vischiosità legislativa, che continua a ragionare solamente del rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, un riferimento esplicito al rispetto dei diritti costituzionali non sarebbe stato un fuor d’opera nella delibera dello stato di emergenza in commento. Del resto una previsione esplicita in questo senso sarebbe stata ancora più auspicabile nel contesto decreto 1/2018, oltre che in ogni provvedimento legislativo che al potere di ordinanza di necessità fa riferimento9.

Desta poi qualche stupore l’omesso riferimento, in seno all’ordinanza, all’ordinamento dell’Unione europea. Fermo restando che il riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico, comprensivi dei principi costituzionali, implicitamente contiene il vincolo di cui all’art. 11 e all’art. 117, comma 1, Costituzione, è da osservare che il limite indicato nell’art. 25 del decreto legislativo appare sovradimensionato rispetto allo scopo della norma, che è quello di evitare che le ordinanze in parola stravolgano appunto i principi generali dell’ordinamento. Ritenere che tutte le norme dell’Unione costituiscano un limite al potere di ordinanza non parrebbe in sintonia con le esigenze che tali ordinanze mirano a soddisfare. Ad esempio l’elenco, forse discutibile, di norme del codice degli appalti a cui le ordinanze possono derogare, contenuto nell’Ordinanza n. 630 del Capo del dipartimento della protezione civile, sembra smentire puntualmente il decreto 1/2018 nella misura in cui molte di tali norme sono, come noto, di stretta derivazione comunitaria. Quindi, fermo restando che appare improprio il limite rappresentato da “tutte” le norme dell’Unione europea, poteva anche essere condivisibile il solo riferimento ai principi generali dell’ordinamento, di cui alla delibera dello stato di emergenza, poi peraltro corretto nel senso dell’aggiunta del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Ciò che non si fa apprezzare è il difetto di una linea univoca sul punto, stante la (almeno teorica) serietà delle ricadute giuridiche delle varie opzioni.

Ancora. Il riferimento ai “limiti” potrebbe essere individuato nel contenimento del potere di ordinanza alle fattispecie meglio descritte nelle lettere a) e b) di cui al citato art. 25 del decreto legislativo 1/2018. Ammesso che tale riferimento configuri di fatto uno di quei “limiti” di cui ragiona la norma, sta di fatto che esso svela, da una parte, la incompletezza, verrebbe da dire scontata, della elencazione dei contenuti delle ordinanze, e, dall’altra, interroga sulla logica del riferimento alle prime due lettere del comma in esame. L’indicazione del contenuto delle ordinanze contingibili e urgenti, come di ogni provvedimento che ad una emergenza debba porre rimedio, non può che essere esemplificativo: se così non fosse sarebbero sufficienti i provvedimenti tipizzati dall’ordinamento, in cui appunto le situazione di necessità vengono puntualmente previste dalla norma attributiva del potere10. La presente situazione fattuale non pare in effetti una di quelle che il legislatore del 2018 aveva presente nel descrivere il contenuto delle ordinanze (le lettere a-f del comma 2 dell’art. 25 pare abbiano come sfondo calamità naturali certamente disomogenee rispetto alla situazione in atto).

Al di là di questa considerazione, che peraltro ha il sapore dell’ovvio, resta il fatto che la limitazione alle prime due lettere del comma in esame appare discutibile. Da una parte, infatti, non pare che la situazione necessiti di interventi quali quelli alla lettera b) (“ripristino della funzionalità dei servizi”…); dall’altra parte forse la lettera d) avrebbe potuto, anche con qualche forzatura, comprendere le limitazioni alla circolazione delle persone relative ad una serie di Comuni poi non a caso fatte oggetto di una previsione ad hoc da parte del decreto-legge da ultimo adottato dal Governo11. Se l’art. 25 prescrive l’indicazione delle “modalità” di esercizio del potere di ordinanza, di queste in effetti la deliberazione del Consiglio dei ministri non reca alcuna traccia. Quindi, anche a prescindere dalla formulazione dell’art. 25, che solleva più di qualche dubbio, resta il fatto che la deliberazione dello stato di emergenza non risponde del tutto ai criteri indicati nella norma12.

Ma le incongruenze non finiscono qui. L’art. 25, comma 1 del citato decreto prevede, nel suo incipit, che le ordinanze in parole sono adottate “in deroga ad ogni disposizione vigente”, e nel rispetto “dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Poi soggiunge che sono “emanate acquisita l’intesa delle regioni e Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate”. Sul primo punto, oltre alla già rilevata distonia tra la norma in parola, la formale deliberazione dello stato di emergenza nazionale e la prima ordinanza in materia (la n. 630), con riguardo al rispetto dei vincoli nascenti dall’ordinamento comunitario, va anche osservato che la disposizione in parola prevede che le ordinanze siano adottate, secondo tradizione, in deroga a ogni disposizione vigente. Al riguardo la seconda parte del comma 1 dell’art. 25 precisa che le ordinanze devono “contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare”. Si tratta di una previsione che appare, da una parte, superflua e, dall’altra, non di agevole attuazione. Quando infatti l’ordinanza di necessità ha un contenuto circostanziato, le norme derogate sono (o dovrebbero essere) da essa individuate o comunque facilmente individuabili. E ciò a prescindere dalla ambigua allusione, sempre contenuta nell’art. 25, all’indicazione delle norme “principali” a cui l’ordinanza può derogare. Qualche perplessità desta al riguardo la citata ordinanza n. 630 laddove indica le “deroghe” a norme vigenti. In primo luogo va osservato che il contenuto dell’ordinanza è abbastanza generico, e in parte illustrativo di procedure e di modalità organizzative già previsti dalla legge e che comunque non sembrano postulare l’adozione di una ordinanza di necessità. Ad esempio l’art. 1, che disciplina il coordinamento degli interventi, prevede che il Capo del Dipartimento della protezione civile assicuri il coordinamento degli interventi necessari “avvalendosi del medesimo Dipartimento, delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, nonché dei soggetti attuatori individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici”. Che il Dipartimento in parola abbia funzioni di coordinamento è pacifico alla luce di diverse norme del decreto 1/2018 che proprio sulle funzioni di coordinamento del Presidente del consiglio dei ministri, che agisce appunto attraverso il dipartimento della protezione civile, a più riprese insiste13.

Ancora. E’ lo stesso art. 1 dell’ordinanza a far riferimento a provvedimenti che possono essere adottati. Ad esempio si ragiona di “prosecuzione delle misure urgenti già adottate dal Ministro della salute”, di “ulteriori misure di interdizione al traffico aereo, terrestre e marittimo”, di “rientro delle persone presenti nei paesi a rischio e al rimpatrio assistito di essi”: tutti provvedimenti che non sono adottati con l’ordinanza in oggetto ma che si prevede possano essere (forse) adottati nell’immeditato futuro. Ma, essendo le esigenze dell’emergenza per definizione imprevedibili, ne risulta difficile una loro preventiva elencazione. Di volta in volta il Capo del dipartimento –questo sembra almeno il senso dell’art. 25- dovrebbe (o avrebbe dovuto…) adottare singole ordinanze che rispondano ai requisiti e alle prescrizioni di cui alla stessa norma. Anche il riferimento (di cui all’art. 1, comma 4, dell’ordinanza) ai caratteri di indifferibilità e urgenza e pubblica utilità che i provvedimenti emanati recano con sé rimandano a situazioni che non pare trovino riscontro nel contesto dell’ordinanza e nella natura dell’emergenza in atto14.

Un punto qualificante dell’ordinanza sembra essere poi la nomina del Comitato tecnico scientifico. A parte il fatto che non si vede il motivo di ricorrere ad una ordinanza di necessità e urgenza per un atto sostanzialmente organizzativo come indiscutibilmente è quello in parola, è da osservare che l’art. 13 del decreto legislativo citato elenca le strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile. Si tratta di una norma che avrebbe senz’altro potuto fornire idonea e sufficiente copertura legale per la formazione del predetto comitato tecnico scientifico: la sua previsione con ordinanza di necessità sembra far assumere all’atto un contenuto quanto meno inusuale per tale tipologia di provvedimento, non certo sintonico con il tipico contenuto delle ordinanze di necessità e urgenza15. Ciò è tanto più vero che nelle pieghe del citato decreto legislativo sembra che sia allo stato già prevista la possibilità, eventualmente con la mediazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, della creazione di un organismo di tal fatta. In relazione alle emergenze di carattere nazionale, l’art. 14 del decreto prevede la convocazione del “comitato operativo nazionale della protezione civile”. Non si hanno notizie, almeno da fonti di stampa, di tale convocazione. Ma, a prescindere da questo, la norma che lo prevede appare sufficientemente elastica da consentire la partecipazione a tale comitato operativo dei soggetti che hanno dato luogo al Comitato tecnico previsto dall’ordinanza n. 630. L’art. 14 del decreto prevede che la composizione del comitato possa essere integrata dalla presenza dei “rappresentanti delle componenti di cui all’articolo 4 designati, per le regioni e gli enti locali, dalla Conferenza unificata e delle strutture operative con valenza nazionale di cui all’articolo 13”, che dovrebbero essere individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Se si guarda poi alle strutture operative del servizio nazionale della protezione civile descritte dall’art 13 ci si avvede che, in effetti, il comitato operativo nazionale della protezione civile di cui all’art. 14 avrebbe potuto essere composto in modo tale da soddisfare tutte le esigenze sottese alla creazione del comitato tecnico scientifico previsto dall’ordinanza 630, il che dimostra un uso non ortodosso dello strumento dell’ordinanza di necessità16.

Un ulteriore punto qualificante dell’ordinanza sembra costituito dalle indicazioni delle leggi che possono essere derogate “per la realizzazione delle attività” di cui all’ordinanza in parola. Senza indugiare sul lungo elenco e pur soprassedendo sui dubbi che derivano da un simile drafting, si può osservare che ad ogni buon conto l’art. 3 dell’ordinanza soggiunge che possono essere derogate “leggi ed altre disposizioni regionali strettamente connesse alle attività previste dalla presente ordinanza”. Sembra un po’ paradossale che la deroga a tutte le norme espressamente indicate possa essere de plano attuata, mentre con riguardo alle leggi regionali la deroga debba risultare “strettamente connessa alle attività” previste dall’ordinanza, e quindi oggetto di uno stringente onere di motivazione. Si tratta di un criterio, quello della strumentalità della deroga rispetto alle esigenze da soddisfare, che appare preferibile rispetto alla mera elencazione delle “principali” norme a cui si intende derogare, come recita l’art. 25, comma 1 del decreto, anche se soggiunge poi che la deroga deve essere “specificamente” motivata. In realtà un criterio quale quello enunciato nell’ordinanza 630 per le leggi regionali forse avrebbe potuto essere utilmente impiegato anche per le leggi statali, a tacere del fatto che l’art. 25 non distingue punto tra leggi statali e regionali.

Oltre ad un cospicuo elenco di norme suscettibili di venire derogate, rispetto alle quali difetta per vero quell’onere di “specifica” motivazione di cui ragiona l’art. 25, viene poi indicata una lunga serie di norme del Codice degli appalti che pure posso essere oggetto di deroga e per le quali pure l’onere di specifica motivazione non pare assolto. Al di là del fatto che anche questa previsione pare forse un poco eccentrica rispetto alla tipologia di emergenza che ci occupa, resta l’interrogativo della sua utilità e soprattutto della sua corrispondenza alla ratio del predetto art. 25. L’ordinanza n. 630 non ha infatti un contenuto specifico, puntuale, circostanziato, come forse tali provvedimenti innominati dovrebbero avere, di modo che c’è da dubitare dell’utilità degli elenchi di disposizioni delle norme da derogare. Che poi, alla luce della tipologia di situazione in atto, sia ritenuto decisivo prevedere la possibilità di deroga ad una lunga serie del codice dei contratti pubblici, lascia pire perplessi. In realtà sembrerebbe che la ratio della previsione dell’art. 25 sia quella di disporre che ogni (singola) ordinanza sia corredata dalla indicazione delle specifiche norme di volte in volta derogate, mentre l’ordinanza n. 630 sembra avere un contenuto, in parte generale e in parte organizzativo, che non pare trovare particolare corrispondenza con l’elenco di disposizioni di cui si consente la deroga.

In definitiva, al netto delle perplessità che il sistema congegnato dal Decreto 1/2018 in relazione alla disciplina delle “ordinanze di protezione civile” ingenera, resta il fatto che la prima ordinanza, intestata come ordinanza del “Capo dipartimento della protezione civile” e non “di protezione civile”, come inopinatamente previsto dal decreto, non pare in asse con il quadro disegnato dal Decreto legislativo in parola. In definitiva l’ordinanza n. 630 contiene quattro disposizioni fondamentali: la prima, che riguarda il “coordinamento” degli interventi; la seconda, che ha ad oggetto la costituzione di un “comitato tecnico scientifico”; la terza, che indica le deroghe alle norme di legge e al codice degli appalti che possono essere messe in atto nell’esecuzione delle attività previste dall’ordinanza stessa; un’ultima previsione avente ad oggetto la disciplina delle procedure di approvazione di progetti. Oltre a quanto già osservato supra, resta confermato il fatto che la struttura stessa del provvedimento non è quella tipica dell’ordinanza di necessità e urgenza e comunque non pare del tutto strumentale rispetto alla presente situazione di emergenza, carattere questo che per definizione ordinanze di tale natura debbono possedere. Alcune disposizioni, come osservato, sono di carattere organizzativo; alcune altre preannunciano attività che di fatto poi sono state gestite con provvedimenti diversi dalle ordinanze “di protezione civile” (ad esempio “ulteriori misure di interdizione al traffico aereo, terrestre e marittimo sul territorio nazionale”); ulteriori disposizioni, specie quelle sulle deroghe a norme di legge, sembrerebbero creare un quadro di riferimento, o una base di partenza, per ulteriori atti, nel senso che l’ordinanza n. 630 non sembrerebbe implicare interventi di natura tale da giustificare l’ampia gamma di deroghe testualmente previste; infine alcune disposizioni, come quella di cui all’art 4 (“procedure di approvazione dei progetti”) non paiono di fatto connesse –almeno allo stato- alla tipologia di emergenza in atto e ad essa strumentali.

3.Tutto ciò appare del resto confermato alla luce della catena degli atti di emergenza che hanno fatto seguito all’ordinanza n. 630: in effetti si sono succeduti provvedimenti di autorità diverse e di diversa natura, e non più ordinanze di “protezione civile”. A conferma di un tanto va in primo luogo segnalato il decreto-legge 23 febbraio n. 6 recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologia da COVID-19. Al fine di contenere la diffusione del virus il provvedimento elenca, in via peraltro dichiaratamente esemplificativa, una ampia messe di misure che possono esse adottate nei comuni ove ricorrano le condizioni meglio identificate dallo stesso decreto ad opera delle “autorità compente”17. A fronte di tali molteplici misure, l’art. 2 del decreto stesso prevede che le “autorità competenti” possano adottare anche “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza”, “anche al di fuori ai casi di cui all’articolo 1, comma 1”18. A precisazione di quanto previsto dai primi due articoli, l’art. 3 individua finalmente con chi si identifichi l’autorità competente ad adottare i provvedimenti indicati e quelli che comunque siano ritenuti utili a fronteggiare l’emergenza: si tratta in definitiva del Presidente del Consiglio dei ministri il quale agisce con propri decreti, sentiti, se del caso, uno o più ministri e/o i rappresentanti delle regioni e/o del presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni a seconda dell’estensione territoriale di ciascun provvedimento.

A dimostrazione della estrema difficoltà di prevedere le misure che una situazione di emergenza richiede ed esige, l’art. 2 del citato decreto prevede la possibilità di adottare ulteriori misure di gestione dell’emergenza “al fine di prevenire e contenere la diffusione dell’epidemia”, senza fissare alcun parametro di stretta correlazione tra il fine indicato e i mezzi prescelti per raggiungerlo. Attesa l’estrema puntualità (oltre che l’ampio ventaglio) delle misure adottabili, meglio descritte dall’art. 2 del provvedimento, forse un nesso di funzionalità più stringete tra obiettivi prefissati e misure adottate per perseguirli non sarebbe stato un fuor d’opera. Va inoltre osservato, in relazione ai dpcm da adottare (il primo non a caso coevo al decreto legge), che essi sono adottati “su proposta” del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’Interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i presidenti delle regioni competenti […] ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni”19.

Contestualmente al decreto legge, viene adottato dunque il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede una serie di disposizioni su proposta del Ministro della salute, sentiti i presidenti delle regioni interessate oltre al Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni20. Alcune disposizioni del decreto riguardano, in particolare, specifici comuni delle regioni Lombardia e Veneto; alcune altre norme riguardano invece tutto il territorio nazionale. A prescindere dalle singole disposizioni, in questa sede sembra più interessante svolgere almeno alcune osservazioni di carattere generale sul decreto legge. In primo luogo va notato che molte delle misure di cui si prevede l’adozione nelle aree che abbiano determinate caratteristiche di misure che limitano diverse libertà costituzionali, in particolare quella di circolazione. Alla luce di ciò, e alla luce della riserva di legge, ovviamente assoluta, che presidia tale libertà, considerato che il dpcm è stato adottato contestualmente al decreto-legge, sarebbe stato di certo più conforme al paradigma costituzionale prevedere le misure specificamente dedicate ad alcuni Comuni nel decreto-legge21.

In secondo luogo va poi rilevato che gli atti adottati si discostano in modo sensibile da quella che dovrebbe essere, stando al decreto legislativo 1/2018, la gestione “tipica” delle situazioni emergenziali. Il capo IV di tale decreto (Gestione delle emergenze di rilievo nazionale) prevede come strumento di disciplina “a regime” di tali situazioni le ordinanze di protezione civile di cui all’art. 25, da adottarsi, come ricordato, “in deroga ad ogni disposizione vigente nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato di emergenza”, “acquisita l’intesa delle regioni e Province autonome territorialmente interessate”.

A parte le ricordate ordinanze del Ministro della Salute, che hanno preceduto la dichiarazione dello stato di emergenza, è singolare che i provvedimenti adottati a seguito dell’ordinanza di protezione civile n. 630 non siano in asse con quanto prefigurato nel decreto legislativo 1/2018. Il cambio di rotta si registra con il decreto legge n. 6 del 23 febbraio, adottato dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della Salute. Il medesimo decreto-legge prevede, per la gestione successiva dell’emergenza, l’emanazione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare “su proposta del Ministro della salute”, sentiti ulteriori Ministri meglio indicati nell’art. 3 del decreto e comunque “gli altri Ministri competenti per materia”. Contestualmente al decreto-legge, si procede dunque all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che contiene appunto quelle “disposizioni attuative” del decreto stesso che sopra abbiamo sommariamente descritto. Alla luce del decreto-legge, e dello stesso dpcm, sembra che la proposta del Ministro della salute costituisca una iniziativa necessaria al fine di procedere all’emanazione del dpcm. Attesa la fonte a cui tale prescrizione è consegnata non pare essa sia eludibile, di modo che i dpcm attuativi del decreto-legge non possono prescindere dall’iniziativa ministeriale.

Desta un certo stupore la diversa disciplina della partecipazione delle regioni rispetto a quanto previsto nel decreto 1/2018. Nel decreto-legge da ultimo adottato si prevede che i Presidenti delle Regioni interessate o il Presidente della Conferenza vengano “sentiti”, circostanza che trapela pure dal dpcm coevo al decreto-legge. Fermo restando che si tratta di un approccio del tutto condivisibile, resta il fatto che l’art. 25 del decreto legislativo 1/2018 prevede invece che le ordinanze di protezione civile siano emanate “acquisita l’intesta delle regioni e province autonome territorialmente interessate”. Se le istanze di collaborazione vanno certamente salvaguardate anche in regime di emergenza, la loro declinazione va tuttavia calibrata sulla eccezionalità della situazione da governare, che di norma esige azioni rapide ed unitarie, non farraginose e frammentate. In questa prospettiva è ovvio che una cooperazione declinata in termini di necessaria intesa potrebbe suonare stonata al cospetto delle esigenze da soddisfare, di modo che la previsione del decreto-legge appare senz’altro preferibile22. Resta il fatto che, anche sotto questo profilo, la prassi registra uno scollamento rispetto a quella che è la disciplina generale delle situazioni di emergenza contenuta appunto nel codice della protezione civile. Se poi si fosse seguita la via preferibile, quella dell’adozione delle misure con decreto-legge, anche l’attenuarsi degli strumenti collaborativi sarebbe stata compensata dalla possibilità di impugnare l’atto in via principale da parte delle regioni con tutte le garanzie che tale giudizio porta con sé (non esclusa la richiesta di eventuale sospensione dell’atto).

Va poi osservato, ancora nell’ottica di deviazioni dal modello prefigurato dal decreto legislativo n. 1 del 2018 che, pur a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza e dell’adozione dell’ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile, il Ministro della Salute ha emanato ulteriori ordinanze (rispetto a quelle precedenti la stessa dichiarazione dello stato di emergenza, dd. 15 e 30 gennaio 2019). Si tratta, in particolare, di ordinanze sostanzialmente volte alla sospensione di varie attività e soprattutto dell’attività scolastica in diverse regioni: in particolare Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte, ordinanze praticamente “fotocopia”. Le ordinanze relative alle prime due regioni sono menzionate nel dpcm del 23 febbraio, quelle relative alle altre regioni non vengono menzionate in quanto coeve o successive rispetto al dpcm. Non in tutte le regioni si è seguito questa modalità procedurale, optando per procedure alternative. Ad esempio la regione Liguria ha adottato, in data 23 febbraio, un’ordinanza a firma del presidente della regione, “di concerto con il Ministro della Salute”. Dal canto suo, la provincia autonoma di Bolzano ha adottato, per mano del suo presidente, un’ordinanza che non contiene alcun riferimento a intese o concerti con il Ministro della Salute. Allo stesso modo ha provveduto anche il presidente della provincia di Trento. In senso ancora diverso l’ordinanza del presidente della regione Lazio dd. 26 febbraio 2020 in cui, richiamate anche tutte le ordinanze adottate dal Ministro della Salute e dalle altre regioni e province, si adottano una serie di provvedimenti sentito non il Ministro ma il “comitato tecnico scientifico” istituito dalla citata ordinanza n. 630. Tutto ciò sembra dare la sensazione della mancanza di una regia unitaria, pur se in realtà è da ritenere che anche i provvedimenti sprovvisti di riferimenti ad intese con il Governo o con il Ministro della Salute fossero in realtà avallati dal “centro”. Ciò appare indirettamente dimostrato dalla vicenda dell’ordinanza adottata dalla regione Marche, oggetto poi di impugnativa da parte del Governo davanti al T.A.R. Marche e di poi oggetto di sospensione da parte dello stesso Giudice amministrativo23.

Interessante è anche il “seguito” di queste ordinanze. Allo spirare del termine di vigenza delle ordinanze l’iter si differenzia dando luogo ancora ad una pluralità di soluzioni, anche se non pare del tutto assente una certa unitarietà di regia. Senza entrare troppo nei dettagli, si delineano diversi regimi al ricorrere di diverse situazioni, secondo distinte aree geografiche. Un regime di regole più stringenti è adottato per una serie di Comuni, specificamente individuati, delle regioni Lombardia e Veneto. Un quadro diverso viene delineato nelle regioni ove si registra il maggior numero di casi di infezione, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, a cui si aggiungono le province di Pesaro e Urbino e di Savona. In relazione ad altre province la disciplina è ancora diversificata. Tutto ciò viene regolamentato in modo puntuale e specifico dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dd. 1 marzo 2020 adottato sulla base del più volte citato decreto-legge n. 6. Fermi i dubbi sulla rispetto della riserva di legge, soprattutto quella di cui all’art. 16 Cost., del decreto-legge vengono rispettate le prescrizioni: esso infatti è stato adottato su (come visto necessaria) proposta del Ministro della Salute, sentiti, oltre ai Ministri specificamente indicati nel decreto-legge, altri Ministri competenti per materia, e sentiti i presidenti di diverse regioni interessate, oltre che il presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni24. Se la situazione delle regioni al momento dell’adozione dell’atto più colpite, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna (più alcune province meglio indicate negli allegati al decreto), viene disciplinata direttamente dal dpcm del primo marzo, la situazione in altre regioni rimane incerta e dà luogo ad una pluralità di soluzioni.

In Friuli Venezia Giulia viene adottata un’ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019). Si tratta di un modus procedendi senza dubbio singolare, e che segna una soluzione di continuità rispetto alla pregressa ordinanza riguardante la stessa regione emanata in data 23 febbraio 2020. Tale ordinanza, conformemente a diverse altre sopra ricordate, era stata adottata in verità Ministro della salute, di intesa con i Presidenti di ciascuna delle regioni interessate25. Le ordinanze del resto avevano contenuto del tutto simile. Allo scadere del periodo di vigenza di tali ordinanze, per le regioni Lombardia e Veneto (a cui si è aggiunta l’Emilia Romagna) non si procede più con ordinanza del Ministro della salute, ma con dpcm, su proposta dello stesso Ministro. Nella regione Friuli Venezia Giulia si procede, invece, con ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione, con un contenuto più ristretto rispetto alla disciplina introdotta per le altre tre regioni dal dpcm26. Singolare è che il provvedimento del presidente della regione, pur investendo tutto il comparto della scuola e dell’università, viene adottato senza alcun intervento del Ministro della salute o del Ministro competente per materia e/o del Governo, anche se certamente vi è stata una interlocuzione e/o avallo, di cui peraltro l’ordinanza non reca alcuna traccia. In senso analogo si è mossa la regione Liguria, anche se con motivazioni maggiormente articolate e tenuto conto anche del regime peculiare della provincia di Savona, oggetto di specifica disciplina da parte dell’art. 2 del più volte citato dpcm27. Ancora diversa l’ordinanza del presidente della regione Piemonte che, pure con motivazione meno articolata e con un contenuto più sintetico, dispone in sostanza la sospensione temporanea delle attività scolastiche. A differenza delle due ordinanze prima menzionate, quella della regione Piemonte rivela l’esistenza di un raccordo con il Governo, come si desume dalle premesse del provvedimento stesso ove si fa riferimento ad una previa informativa avente come destinatario il Ministro della Salute, informativa che sembrerebbe implicare un avallo28.

Tale avallo da parte del Governo, anche con riguardo alle ordinanze che non fanno menzione di una attività di formale comunicazione del contenuto delle ordinanze stesse, appare verosimile, anche alla luce dell’acquiescenza dell’Esecutivo rispetto a tali provvedimenti. Diverso è stato, come accennato, al riguardo il destino di una ordinanza, di contenuto simile, emanata il 23 febbraio del 2020 dal Presidente della regione Marche, prontamente impugnata davanti al T.A.R. Marche dal Governo. Residuano alcuni dubbi sia sotto un profilo procedurale che sostanziale. Sul primo aspetto va osservato come il primo blocco di ordinanze risultavano –anche se non tutte in verità- adottate dal Ministro della Salute, di intesa con i presidenti di ciascuna regione. Successivamente poi in relazione ad alcune regioni è intervenuto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri mentre, per altre regioni, provvedimenti in sostanza analoghi a quelli emanati tra il 21 e il 23 febbraio sono stati adottati con ordinanze contingibili e urgenti dei presidenti delle regioni stesse. Si tratta poi, da un punto di vista più sostanziale, di provvedimenti che vanno a incidere su una materia concorrente, l’istruzione, che peraltro è, per lo meno in parte oggetto, di competenza esclusiva dello Stato a mente dell’art. 117, comma 1 lett. n) Cost., che intesta in capo allo Stato il potere di adottare “norme generali sull’istruzione”: stando così le cose un provvedimento adottato dalle regioni senza alcun “coinvolgimento” del Governo appare quanto meno improprio.

4.Da questo punto si può muovere per abbozzare qualche considerazione conclusiva di queste note. Il rapporto tra centro e periferia sembra rivelare la sua fragilità alla prova dell’emergenza. Appare al riguardo problematico l’assetto sotteso al decreto legislativo n. 1 del 2018. Si tratta di un assetto in cui il pendolo oscilla (pericolosamente) tra esigenze di coordinamento e istanze di unitarietà. Si tratta di un profilo fisiologico nei rapporti tra Stato, regioni, ed autonomie locali in genere, ma che rischia di rivelare i propri limiti di fronte alle esigenze dell’emergenza, soprattutto di rilievo nazionale. Prova ne sia il fatto che l’iter di adozione delle ordinanze di protezione civile, paradigma del resto abbandonato dopo l’ordinanza n. 630, ragiona di ordinanze subordinate all’acquisizione dell’intesa con la regione o le province interessate (pretermettendo pure ogni riferimento alla Conferenza Stato Regioni….). Prevedere che, al ricorrere di una emergenza di rilievo nazionale, ogni ordinanza del Governo, emanata dal Capo del dipartimento della protezione civile ex art. 25 del decreto legislativo 1/2018, debba essere necessariamente oggetto di intesa, nel caso da intendersi in senso forte alla luce del tenore letterale del citato decreto, appare disfunzionale rispetto alle esigenze che si intendono soddisfare.

Se l’emergenza è nazionale, i provvedimenti per farvi fronte hanno da essere connotati da irriducibile unitarietà, e quindi preferibilmente adottati dal Governo, se del caso appunto attraverso lo strumento dell’ordinanza di protezione civile. Con ciò non si vuole certo dire che gli strumenti della leale collaborazione non trovino spazio in questi casi, ma essi devono recedere a strumenti informativi. In questa prospettiva le regioni interessate, o la Conferenza Stato Regioni, debbono essere sentite anche al fine di consentire a tali Enti di proporre le modifiche opportune per adattare i provvedimenti di emergenza alle peculiarità dei vari territori29. Questo si traduce in un arricchimento dell’istruttoria che precede l’emanazione di tali atti, arricchimento che cospira a rendere migliore il contenuto dei provvedimenti stessi. Al contrario l’intesa, come declinata dall’art. 25 del citato decreto legislativo, si potrebbe tradurre in uno strumento di pericoloso immobilismo proprio al ricorrere di situazioni che postulano un’azione immediata da parte dello Stato.

Si tratta di un profilo, quello appena toccato, che è forse indice di un problema più generalizzato, che riguarda lo scollamento che si è nella presente situazione palesato tra le previsioni di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018 e la sequela degli atti e dei provvedimenti che hanno scandito l’evolversi dell’emergenza. In altre parole, come sopra si è a più riprese osservato, il disegno apprestato dal legislatore nel citato testo unico, in continuità con la disciplina dettata dalla legge n. 225 del 1992 (Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile), sottende un disegno ambizioso, quello di disciplinare il fenomeno emergenziale sia sotto un profilo statico, di individuazione e di coordinamento delle varie strutture del servizio nazionale di protezione civile, sia sotto un profilo dinamico, di concreta gestione delle situazioni emergenziali. In questo quadro composito si cerca (faticosamente) di far convivere, in un delicato equilibrio, istanze di coordinamento tra le varie componenti, valorizzazione delle regioni e delle comunità locali, esigenze di unitarietà degli interventi (particolarmente vive nelle emergenze di rilievo nazionale). Tutto questo impianto, forse soprattutto sotto un profilo dinamico, non ha retto alla prova della situazione di emergenza in atto. A fronte di una formale dichiarazione dello stato di emergenza, e a seguito di una prima (e ad oggi unica a quanto consta) ordinanza di protezione civile, sagomata sull’art. 25 del decreto legislativo 1 del 2018, hanno ripreso piede gli strumenti tipici dell’emergenza, pur con qualche sovrapposizione tra autorità centrali e periferiche: in particolare il decreto legge e le ordinanze di necessità e urgenza, con un inedito utilizzo dei decreti del presidente del consiglio dei ministri, da ultimo adottati su proposta del Ministro della Salute, come per vero previsto dal citato decreto legge. Resta il fatto che sarebbe stato preferibile, e più rispondente al dettato costituzionale, che le misure contenute nel dpcm, e in parte limitative di diritti costituzionali, fossero state adottate con lo stesso decreto-legge.

Non è certo l’occasione, questa, di indugiare oltre su questa concatenazione di atti, forse anche suggestiva di un contingente equilibrio delle forze politiche di maggioranza, o forse dovuta alle particolarità della situazione che i pubblici poteri sono stati chiamati a fronteggiare. Resta il fatto che si tratta di situazioni, quelle di emergenza, per definizione insuscettibili di essere disciplinate preventivamente in modo compiuto. Ogni situazione esige una risposta, che deve essere differenziata in quanto rispondente ad ogni esigenza che si presenta. In questo quadro le istanze di unitarietà non possono non fare aggio sulla salvaguardia delle autonomie locali, al fine di scongiurare il rischio di sovrapposizioni di poteri o di veri e propri conflitti (come nel caso della regione Marche). Il tentativo di dare un assetto stabile al sistema della protezione civile è senza dubbio da guardare con favore, ma soprattutto per quanto attiene al profilo statico: l’organizzazione del sistema, i raccordi che vengono istituiti, l’individuazione delle componenti del servizio nazionale. Sotto un profilo dinamico, la natura della fonte ove il sistema è disegnato ne rappresenta il limite intrinseco. Essendo la disciplina di rango legislativo è giocoforza che altri atti, di pari grado, possano di volta in volta disegnare scenari diversi, come è accaduto nel nostro caso ad opera del decreto-legge n. 6. Questo esito non fa che ricordarci che lo strumento costituzionale, minimale se si vuole, di gestione delle situazioni di emergenza è stato previsto in Costituzione, ed è rappresentato appunto dallo strumento del decreto-legge30. Che tale strumento sia utilizzato tenendo conto, da una parte, delle esigenze fattuali e, dall’altra, della situazione politica, per fornire la disciplina più rispondente alle esigenze dello stato di emergenza di volta in volta in atto, appare l’iter più corretto sotto un profilo costituzionale e, in definitiva, più funzionale rispetto alla ineludibile esigenza di far fronte alle imprevedibili epifanie che ogni emergenza inescapabilmente porta con sé.

1 Si tratta della Delibera del Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell’art 7, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 1 del 2018 che ragiona di “emergenze di rilievo nazionale”, delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1 febbraio 2020.

2 L’art. 23 del citato D. lgs. n. 1 del 2018 disciplina la dichiarazione dello stato di mobilitazione, effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta de Capo del Dipartimento della Protezione civile, come prodromico alla successiva (ed eventuale) deliberazione dello stato di emergenza in senso proprio, non a caso prevista nel successivo art. 24. Sul piano internazionale, va ricordato che l’Oms (Organizzazione mondale della sanità) ha dichiarato lo stato di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus in data 30 gennaio 2020.

3 Il riferimento è all’ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020, a firma appunto del Capo del Dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli.

4 Per quanto riguarda le ordinanze, esse sono state adottate in riferimento a diverse regioni, tra le altre Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria tra il 21 e il 24 febbraio 2020, e hanno appunto ad oggetto la prescrizione di misure temporanee volte ad evitare la diffusione del virus COVID-19. Il decreto legge di data 22 febbraio 2020 ha ad oggetto, ancora, Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Si tratta di un atto che prevede una serie di misure, da adottare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, fortemente limitative di diversi diritti, anche di rango costituzionale: in primis la libertà di circolazione.

5 La frase virgolettata è tratta proprio dalle premesse della delibera del Consiglio dei ministri di data 31 gennaio 2020.

6 La citazione è ancora tratta dalla delibera del Consiglio dei ministri di data 31 gennaio 2020.

7 Il riferimento è all’art. 3 dell’Ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020 del Capo del dipartimento della protezione civile, recante appunto Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.

8 Il riferimento è alla celebre sentenza n. 8 del 1956 della Corte costituzionale. Sulla stessa linea, e con maggiore articolazione, la successiva sent. n. 26 del 1961 e la n. 4 del 1977. In dottrina, tra gli altri, V. ANGIOLINI, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986, 121 ss. e 141 ss.

9 Come noto, sul punto la Corte costituzionale fu esplicita soprattutto a partire dalla sent. n. 26 del 1961, in cui si affermò chiaramente come fosse da escludere in radice che con le ordinanze prefettizie si potesse “menomare l’esercizio di diritti garantiti in Costituzione”; la possibilità, del resto, di limitare diritti costituzionali, sarebbe –sempre secondo la Corte- “in netto contrasto con l’affermazione che quelle ordinanze debbono essere vincolate ai principi dell’ordinamento giuridico”. Nel caso si trattava delle ordinanze prefettizie di cui all’art. 2 T.U. pubblica sicurezza di cui al R.D . 773 del 1931, ma il discorso è estensibile a tutte le ordinanze contingibili e urgenti. Sul punto, diffusamente, R. CAVALLO PERIN, Potere di ordinanza e principio di legalità, Milano, 1990, 87 ss. e 223 ss.

Non si comprende, a distanza di più di mezzo secolo, il motivo per cui il legislatore non preveda inequivocabilmente il limite del rispetto dei principi e dei diritti costituzionali all’atto di prevedere un potere di ordinanza di necessità in capo a qualsiasi autorità amministrativa.

10 Sul punto già M.S. GIANNINI, Potere di ordinanza e atti necessitati, in Giur. compl. Cass. civ., 1948, 288 ss.

11 Il riferimento è al decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020. In effetti la lettera d) del decreto legislativo n. 1 del 2018 ragiona di “realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo nelle aree colpite dagli avventi calamitosi, strettamente connessi all’evento e finalizzati prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità”. Le modalità di riduzione del rischio, in questa prospettiva, sarebbero rimesse alla valutazione del Capo del dipartimento della protezione civile, “titolare” del potere di ordinanza. Ad ogni modo il decreto-legge appena citato esemplifica le limitazioni a vari diritti, anche se ne attribuisce la traduzione in atti concreti ad altrettanti dpcm. Procedimento, questo, di assai dubbia compatibilità con la riserva di legge di cui all’art. 16, Cost.

12 Il citato art. 25, comma 1, del decreto legislativo in parola prevede poi che le ordinanze siano “emanate acquisita l’intesa delle Regioni e Province autonome territorialmente interessate”. Un doppio ordine di dubbi solleva tale prescrizione: uno formale e uno più sostanziale. Il primo: quid iuris se si tratta di emergenza di livello nazionale? A rigore si dovrebbe procedere all’intesa con tutte le Regioni e Province; di fatto, anche in assenza di una previsione in tal senso, nell’ordinanza 630 si è acquisita l’intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Il secondo dubbio è più sostanziale e riguarda la natura dell’intesa e le conseguenze della sua mancata acquisizione. Se dal tenore letterale della norma l’intesa va in effetti qualificata come forte, appare plausibile ritenere che il potere di ordinanza non possa essere esercitato in assenza di essa. Ma questo tipo di strumento collaborativo, di norma da apprezzare nella cornice dei rapporti, forse troppo spesso conflittuali, tra Stato e Regioni, è compatibile con la gestione di una situazione di emergenza, soprattutto di scala nazionale? Sul punto più di qualche dubbio appare lecito, di modo che sicuramente un coinvolgimento delle autonomie locali sarebbe stato opportuno, ma probabilmente con forme o modalità più consentanee alla tipologia di situazione che deve essere governata.

13 Cfr., ad esempio, art. 5, comma 1, e soprattutto art. 8 del D. lgs. 1 del 2018.

14 Con riguardo interventi meglio descritti nell’art. 1 e, più in generale, a tutti quelli previste dalla stessa ordinanza n. 630, si prevede che essi “sono dichiarati urgenti e indifferibili e di pubblica utilità e, ove occorra, costituiscono variante agli strumenti urbanistici vigenti”: con il che appare in effetti chiaro come tale tipo di prescrizione poco abbia probabilmente a che fare con la tipologia di emergenza in atto.

15 Al riguardo l’art. 13 del D. lgs. n. 1 del 2018 indica, quali strutture operative del servizio nazionale della protezione civile, oltre al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le Forze armate, le Forze di polizia, gli enti e istituti di ricerca di rilievo nazionale, le strutture del Servizio sanitario nazionale e altre componenti ancora.

16 E’ da osservare, al riguardo, che l’art. 13 del D.lgs. n. 1 del 2018, menziona, tra le varie strutture operative del servizio civile, “gli enti e istituti di ricerca di rilievo nazionale”, le “strutture del servizio sanitario nazionale”, e, con previsione massimamente comprensiva, si prevede anche che concorrono alle attività di protezione civile “i collegi professionali e i rispettivi Consiglio nazionali […] e gli enti, gli istituti e le agenzie nazionali che svolgono funzioni in materia di protezione civile e aziende, società e altre organizzazioni pubbliche o private che svolgono funzioni utili per le finalità di protezione civile”.

17 Lo steso art. 1 del decreto-legge n. 6 del 2020 individua i comuni ove tali misure possono essere adottate: si tratta di comuni o aree “in cui risulta positiva almeno una persona e per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’rea già interessata dal contagio” del menzionato virus. Le misure che possono essere adottate sono molto varie: divieto di allontanamento dal comune, divieto di accesso al comune, sospensione di attività della più varia natura e/o sospensione di servizi, chiusura e/o limitazione di attività… Si tratta di misure di cui il Prefetto dovrà assicurare l’attuazione “avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali”, come recita l’art. 2 del decreto.

18 Così appunto dispone l’art. 2 del decreto-legge n. 5 del 2020.

19 Ancora art. 3, decreto-legge n. 6 del 2020.

20 Il riferimento è al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 (Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologia da COVID-19).

21 L’art. 16 Cost., una volta proclamata la libertà di circolazione, prevede che rispetto ad essa possano essere disposte “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza”. Riserva di legge quindi assoluta di carattere “generale”: è noto che si tratta di un istituto che non tollera l’intervento di atti che non siano di rango legislativo, se non per la stretta esecuzione di essi. Stando così le cose la via maestra sarebbe stata quella di riversare nel decreto-legge il contenuto del dpcm.

22 Si osservi al riguardo che l’ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile, al contrario di quanto disposto dal decreto-legge, ma in sintonia da quanto previsto nel decreto legislativo 2/2018, è stata emanata “acquisita l’intesa del presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome”.

23 Non certo edificante la vicenda relativa alla regione Marche: a fronte dell’ordinanza adottata in data 25 febbraio, e di poi oggetto di sospensione da parte del T.A.R. Marche (con ordinanza presidenziale dd. 27 febbraio 2020) su impugnativa governativa, lo stesso presidente della regione adottava una ulteriore ordinanza in data 27 febbraio contenente una serie di misure a scadenza il 29 febbraio. Questo in effetti un esempio di possibili scenari a cui la mancanza di regia unitaria nella gestione di fenomeni emergenziali può dare origine….

24 Si veda al riguardo l’intestazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di data 1 marzo 2020, con effetti sino al giorno 8 marzo 2020.

25 In senso del tutto analogo l’ordinanza del Ministro della Salute, di intesa con i Presidenti delle regioni Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria, sempre di data 23 febbraio 2020.

26 L’ambito di operatività dell’ordinanza del presidente della regione Friuli Venezia Giulia dd. 1 marzo 2020 è limitato al comparto scolastico: stando all’art. 2, comma 2, viene prevista la “sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università: sospensione dei servizi educativi dell’infanzia, delle attività di formazione superiore, dei corsi di formazione professionale, dei master”.

27 Il riferimento è all’ordinanza 2/2020 del presidente della Regione Liguria di data 1 marzo 2020.

28 Si tratta dell’ordinanza di data 2 marzo 2020 a firma del presidente della Regione Piemonte.

29 Che sia questo lo strumento di raccordo appropriato in tali casi lo si desume anche da una risaltente giurisprudenza costituzionale: in termini, e con riguardo ad una emergenza che ha qualche assonanza con quella presente, cfr. Corte cost., sent. n. 37 del 1991, in relazione agli interventi per la prevenzione e lotta contro l’AIDS. Nel caso la Corte censurò la legge in quanto non prevedeva, nel realizzare pur legittime esigenze unitarie, che le regioni e le province fossero, almeno in certe circostanze, sentite.

30 Risulta in tal modo soddisfatta la preferenza, espressa anche dalla risalente dottrina, per una qualche disciplina costituzionale dei fenomeni emergenziali, comunque da preferire rispetto ad una situazione di assoluta assenza di disciplina: in questo senso, ad esempio, G. CAMUS, l’Etat de nécessité en démocrtie, Paris, 1965, 411 ss.


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