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La funzione storica e dogmatica dell’interesse nelle obbligazioni pecuniarie.

 

Gianluca Giorgio

 

 

Sommario:-1. La nozione e l’evoluzione storica dell’istituto.-2. Il riferimento penalistico.-3. Le osservazioni conclusive.

 

 

1.La nozione e l’evoluzione storica dell’istituto.

Una delle questioni più complesse, nei rapporti fra privati, è senza dubbio, quella relativa al concetto di interesse. Quest’ultimo rappresenta, nell’ordinamento giuridico, un valore pecuniario che si calcola sulla base del tempo corrisposto all’adempimento di un vincolo obbligatorio.

Storicamente, è utile non sottovalutare che già tale ciò aveva dato adito i Giuristi romani a diverse soluzioni, rispettose delle comuni regole del vivere per risolvere la questione sulla somma legittima da corrispondere, al contratto di mutuo. Come sappiamo questo è il contratto con il quale una parte trasferisce ad un altra la proprietà di una certa quantità di denaro o di altre cose fungibili ,dietro la promessa non solenne di retsituzione di un’eguale quantità di cose dello stesso genere e qualità (tantusdem)1. Il significato etimologico di tale accordo deriva, dalla locuzione latina mutuus ovvero dare in cambio, mutare

Le XII tavole considerarono tale obbligazione con il disporre il massimo del tasso (fenus unciarum) ad 1/12 sul capitale. Secondo parte della dottrina romanistica questa è una disposizione limitativa sul tasso soglia2. Sul punto, però, esistevano differenti Leges che regolavano l’istituto (Lex Marcia,Leges Liciniae Sextiae, Lex Menenia) e queste oscillavano nel vietarli o nel riconsiderarli. Si dovrà aspettare la riforma giuridica di Giustiniano, il quale ne consentirà la legittimità, nella soglia del 6% ammettendo anche ulteriori varianti3. Come ritiene il Guarino le usurae erano calcolate sulla base dell’ammontare della sors e della durata della sua utilizzazione da parte dell’obligatus4. Tale principio, che ridusse notevolmente la soglia richiesta, fu filtrato, dall’influenza che il Cristianesimo, ha avuto sul Diritto romano, in quanto senza tale intervento, probabilmente saremo arrivati a conclusioni differenti.

Durante il periodo medioevale, il pensiero dei giuristi ed in modo specifico dei canonisti in materia di usurae era chiaro ed univoco. Secondo le ripetute pronunce dei vari Concili ed in modo particolare di quello di Nicea (325 d.C) questa era vietata in quanto si negava il fondamento del lucro sui contratti. Tale impostazione era saldamente ancorate a visioni etiche del diritto. Pertanto in tali casi non si potevano pretendere degli interessi, elevati, da un accordo cosi stipulato.

Giova sul punto però sottolineare, come all’interno della prassi canonica, per motivi di ordine religioso tale divieto era, con maggior fermezza, consacrato in quanto il denaro non era considerato un bene da cui si poteva ottenere un ulteriore guadagno, in quanto questo doveva servire solamente per finalità solidaristiche e sociali. Di conseguenza il denaro era valutato come una res con un valore in se considerato e non maggiore di questo.

Il divieto all’inizio era comminato per i soli ecclesiastici ed in seguito venne esteso anche ai laici. Sul punto, Sant’Alfonso Maria de Liguori, avvocato e moralista, insistendo su tale divieto scrisse:” ratio certa est quia lucrum quod recipitur ex pecunia, totum oritur non ex ipsa pecunia, quae, cum omnino sterilis sit, fructum parere haud potest, sed oritur ex mera industria hominum. nec pro eo quod mea pecunia alteri proderit ob suam industriam, possumus ego ultra sortem, aliquid ab eo exigere 5”. Da ciò il santo napoletano, confermando le posizioni della Chiesa, commina l’usura come un abuso del diritto oltreché un illecito morale. Mentre per ciò che riguarda un moderato interesse, nei contratti, si ribadisce che esso è ammissibile purché considerato, in base alla liceità di tali obbligazioni accessorie e valutato alla luce dei principi di buona fede, equità e giustizia, che devono sottendere ad ogni rapporti giuridico-patrimoniale.

Pertanto, il problema di fondo di tali accessori, ai comuni rapporti contrattuali, era dato non dall’an bensì dal quantum che qualora oltrepassi una data soglia è afferente ad un ipotesi configurante un abuso della posizione giuridica.

Per tornare all’attuale sistema giuridico, per ciò che riguarda il concetto di interesse, di esso ne esistono tre differenti fattispecie che sono: il corrispettivo, il moratorio ed il convenzionale. In tali ipotesi, le obbligazioni così sorte, rappresentano delle forme accessorie ad un’obbligazione civile principale. La forma, per la validità del contratto che li prevede va fatta per forma scritta.

Per ciò che riguarda il tasso soglia, l’articolo1284 c.c stabilisce che:”gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto;altrimenti sono dovuti nella misura legale”. L’attuale determinazione viene decisa, annualmente, con un decreto, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Ad esempio, nel 2016 questa era pari allo 0, 10%6 della somma.

In casi opposti, l’accordo che supera tale soglia, se non scritto o deciso convenzionalmente, secondo la comune dottrina civilistica, è affetto da nullità. Pertanto tale somma non è dovuta. Ciò in quanto l’ordinamento giuridico non nega la naturale fecondità del denaro, però ciò dev’essere iscritto in parametri che non poggiano su un ingiustificato arricchimento. Dunque l’interesse deve avere una funzione che non turba o minaccia il regolare scambio economico- giuridico.

Discorso analogo va fatto per l’anatocismo, ovvero il calcolo dell’interesse sull’interesse. Infatti, ai sensi dell’articolo 1283 c.c su di esso vige un divieto, anche se gli interessi scaduti possono essere richiesti solo:“ dal momento della domanda giudiziale o per effetto di una convezione posteriore alla loro scadenza , sempre che si tratti di interessi per almeno per sei mesi”.

Storicamente, sotto la vigenza dell’Imperatore Giustiniano si vietò l’ingresso dell’anatocismo, all’interno dei rapporti obbligatori che riguardavano la maturazione degli interessi su altri interessi (“usurae usurarum”).Tale dato è presente, come abbiamo visto anche all’interno dell’ordinamento civilistico seppur con le dovute eccezioni.

 

2. Il riferimento penalistico.

Oltre alle citate norme del codice civile, che sistemano la questione dal punto di vista dell’obbligazione cosi sorta, qualora non venisse rispettata la quota prevista dal tasso soglia si potrebbe presentare il reato di usura.

Secondo l’articolo 644 c.p esso si realizza: da parte di Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643 si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità (1)interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000(2).
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario  ”.

Per impostazione tradizionale, la dottrina penalistica inquadrava tale reato, nel campo dell’illecito monolesivo, ritenendo che tale comportamento, offenda, solamente, il patrimonio di un singolo soggetto, però attualmente, parte della stessa configura questo come un reato plurioffensivo in quanto concretizza non solo un’offesa all’autonomia del singolo, bensì anche ai rapporti socio-economici, presenti nella collettività.

Gli elementi del fatto-reato, previsti dalla norma sono due: l’elemento oggettivo dato dall’ipotesi del soggetto che prelevi o direttamente o indirettamente tali somme e quello soggettivo consistente nella consapevolezza di trarre una maggiore utilità dalla somma prestata.

Il reato è inserito nei reati contro il patrimonio in quanto incide sul bene giuridico richiamato, intenso come insieme di potenzialità economiche, tutelate dalla Carta costituzionale, per finalità individuali e sociali. Ed è un reato comune, non essendo richiesta dalla norma, per la commissione dell’illecito, alcuna specifica posizione.

Alla luce di quanto esposto è interessante leggere la pronuncia numero 1995 del 10 luglio 1973 con la quale i Giudici della Suprema Corte di Cassazione osservarono che :”il divieto di ordine pubblico,che proibisce la pattuizione degli interessi in misura usuraria, vige anche , quale motivo di ripetibilità delle relative somme, per quelli che, pur nullamente convenuti, siano stati tuttavia corrisposti dal debitore in presenza degli elementi caratterizzanti l’usura, quali risultano dall’articolo 644 c.p.”. A conferma di tale impostazione, una recente pronuncia del Tribunale di Brindisi del 2017 ribadendo quanto espresso ritiene che :”Si premette che, in applicazione degli artt. 1815 c.c. e 644 c.p., "si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori" (da ultimo, Cass. civ. Sez. I, 09-01-2013, n. 350)”.

 

3. Le osservazioni conclusive

Da quanto premesso, è utile osservare come sia la Giurisprudenza che la Dottrina civilistica hanno, da sempre, inteso dare, alla natura giuridica degli interessi, un valore obbligatorio ma pur sempre rispettoso dei principi solidaristici, espressi nell’articolo 2 del dettato costituzionale. Ciò in quanto, la funzione dell’interesse e del contratto, intendono offrire un vantaggio alla naturale produttività delle attività dei consociati, purché nel pieno rispetto dei principi, espressi dalle finalità etiche, che l’ordinamento giuridico, con tanta sollecitudine, è tenuto a perseguire per il benessere della collettività.

 

 

VINCENZO ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Jovene, Napoli,1994, pg.303

VINCENZO ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Jovene, Napoli,1994, pg.304.

EDORADO VOLTERRA, Istituzioni di diritto romano,Sapienza,, 1980, pg.483.

ANTONIO GUARINO, Diritto privato romano, Jovene, Napoli, 1981, pg.696

SANT’ALFONSO MARIA DE LIGUORI, Theologia Moralis,1748, n.758.

6 Decreto del Ministero dell’economia del 7-12-2016

 

ANTONIO GUARINO, Diritto privato romano, Jovene, Napoli, 1981, pg.696

 

PUBBLICATO SU AMBIENTEDIRITTO.IT  – 26 OTTOBRE 2018 – ANNO XVIII

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