IL CREDITO D’IMPOSTA PER INVESTITORI ESTERNI E PER PRODUTTORI NEL SETTORE CINEAUDIOVISIVO ED IL SILENZIO-ASSENSO
di
Gaetano Armao
Avvocato-docente di diritto amministrativo nell’Università di Palermo
1. La complessa procedura per la concessione dei crediti d’imposta alle imprese non appartenenti al settore cinematografico e audiovisivo che eseguono apporti a favore della produzione di opere cinematografiche, come noto, é disciplinata dall’art. 3 del decreto Ministro per i beni e le attivitá culturali (d’ora in poi MIBACT) 21 gennaio 2010, recante "“Disposizioni applicative dei crediti d’imposta concessi alle imprese non appartenenti al settore cineaudiovisivo e alle imprese di distribuzione ed esercizio cinematografico per attività di produzione e distribuzione di opere cinematografiche".
Giova ricordare che il richiamato decreto disciplina l’attuazione dell’art.1, comma 325 e comma 327, lett. b), n. 1, 2 e 3, e lett. c), n. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che ha introdotto specifiche modalità di concessione di agevolazioni fiscali, in particolare riconoscendo ai soggetti di cui all’art. 73 del T.U.I.R. ed ai titolari di reddito di impresa, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, non appartenenti al settore cineaudiovisivo, come definiti nell’articolo 1, comma 2, del decreto stesso, un credito d’imposta per gli apporti in denaro eseguiti per la produzione di opere cinematografiche di nazionalità italiana, e secondo le modalità indicate al già citato articolo 3.
In ossequio a quanto previsto dalla richiamata normativa che disciplina l’incentivo fiscale é stabilito specificatamente che, in esito ad un’articolato procedimento ed effettuate le valutazioni sul merito culturale dell’opera, il MIBACT è preliminarmente chiamato a determinare il credito d’imposta spettante ai proponenti.
Per questa manifestazione di volontà della p.a. si prevede: sia la forma espressa (determinazione comunicata mediante raccomandata con ricevuta di ritorno), che quella silenziosa, ed infatti, "in caso di mancata comunicazione, il credito d’imposta si intende spettante nella misura indicata nella istanza" di ammissione al beneficio in questione.
Avuto riguardo invece all’utilizzabilità del credito d’imposta, che segue la determinazione di cui si è appena detto, essa può ritenersi ammessa "dalla data di ricezione della comunicazione con la quale il Ministero …. indica la misura del credito loro spettante", in alternativa, nell’ipotesi in cui difetti la comunicazione da parte dell’amministrazione procedente, si prevede una tipica ipotesi di silenzio-assenso: "decorsi sessanta giorni dalla data di ricezione dell’istanza".
In altre parole la disciplina ha trattato, ed in termini paralleli, sia le ipotesi nelle quali la competente Direzione generale del cinema provveda con atto formale che quelle nelle quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda ed il provvedimento formale (di determinazione dell’importo del credito e di utilizzabilità) é sostituito ad ogni effetto da siffatta formazione della volontà amministrativa tipizzata dalla norma in esame.
Ad ulteriore conferma della indubbia presenza nel caso in esame della fattispecie del silenzio-assenso giunge poi quanto previsto dal successivo sesto comma del medesimo art.3 del decreto giusta il quale il credito d’imposta decade "qualora al film cui gli apporti sono correlati non vengano riconosciuti i requisiti di eleggibilità culturale ai sensi dell’art. 1 del presente decreto, ovvero non vengano soddisfatti gli altri requisiti previsti. In tal caso, si provvede anche al recupero del beneficio eventualmente già fruito".
In sede regolativa si é così previsto uno strumento straordinario ed ex-post rispetto all’ammissione al beneficio finanziario, evidentemente per far fronte alle ipotesi di formazione della volontà amministrativa mediante silenzio-assenso.
Va poi ricordato, in termini ancor più dettagliati e tenuto conto anche delle determinazioni interne che il rispetto dei termini per provvedere sono puntualmente richiamati per il MIBACT, nel caso di specie al n. 7 (Determinazione dell’importo del credito d’imposta per i titolari di reddito d’impresa, diversi dai produttori cinematografici, che eseguano apporti per la produzione di film-Art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244, comma 327 e ss.), é confermata la durata di sessanta giorni mentre quelli di durata superiore sono rinvenibili nel d.P.C.M. 18 novembre 2010, n. 231 "Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attivita’ culturali aventi durata superiore a novanta giorni".
Ovviamente, in entrambi i casi, restano impregiudicati gli adempimenti nei confronti dell’Agenzia delle entrate di cui al comma quarto dell’articolo in esame i quali, giova ricordarlo, sono prescritti "a pena di decadenza" (e sui quali si veda la risoluzione di detta Agenzia del 18 agosto 2010, N. 85/E).
2. Con talune note recenti il MIBACT ha inteso denegare il perfezionamento del silenzio-assenso nonostante l’esplioto richiamo che ne bene fatto in sede regolativa.
In tal senso, al fine di inquadrare puntualmente la fattispecie in esame, giova precisare che con alcune lettere rivolte alle imprese di produzione ed agli investitori esterni la Direzione generale Cinema del predetto Ministero, sulla scorta dell’intervenuta entrata in vigore della l. n. 208 del 2015 (c.d. legge di stabilita per il 2016) e della prevista revisione dei decreti attuativi e delle circolarti interpretative del MIBACT, ha richiesto la presentazione di una dichiarazione sottoscritta dalle parti interessate e rilasciata "ai sensi del d.P.R. 445/2000, attestante l’assenza di patti collaterali tesi a modificare le condizioni economiche degli accordi con l’investitore esterno, così come formalizzati nel contratto già trasmesso".
Appare utile rilevare, per le finalità che ci occupano, che la nota prevedeva espressamente che "la domanda è sospesa in attesa dei chiarimenti richiesti".
Giova sin da adesso sottolineare che:
a) la sospensione operata dall’amministrazione procedente é finalizzata all’ottenimento dei chiarimenti richiesti,
b) l’amministrazione non interrompe il procedimento ma si limita a sospenderlo, evidentemente intendendo riferirsi alle previsioni in materia della l. n. 241 del 1990 e s.m.i. di cui si dirà in seguito,
c) la nota é sottoscritta dal Direttore generale che evidentemente assume la responsabilità del procedimento amministrativo, in linea con le determinazioni interne.
Nelle procedure sottopostemi le imprese interessate hanno tempestivamente prodotto la documentazione ed i chiarimenti richiesti, con ciò evidentemente determinando la cessazione del periodo di sospensione e la conseguente riattivazione dei termini procedimentali. In detta risposta é stato peraltro puntualmente precisato dagli istanti il riferimento ai principi di tempestività e non aggravamento dell’azione amministrativa ed ai termini di conclusione del procedimento amministrativo in questione sanciti, oltre che dalla normativa di riferimento, dall’art. 2 della l. n. 241 del 1990 e s.m.i. e dai decreti applicativi del MIBACT.
Va poi ricordato che con successiva nota, ancora una volta di identico tenore inviata a più imprese istanti per l’ottenimento del beneficio fiscale in argomento, la medesima Direzione generale Cinema ha invitato le imprese a "chiarire il meccanismo di restituzione dell’apporto investito dal soggetto esterno, alla luce delle caratteristiche essenziali del contratto di associazione in partecipazione previsto dall’art. 2549 c.c.", ed in taluni casi richiedendo altresì la produzione di una dichiarazione sostitutiva attestante l’assenza "di patti collaterali tesi a modificare le c o dizioni economiche degli accordi con l’investitore esterno, cosi come formalizzati nel contratto già trasmesso".
Anche in questo caso giova sottolineare il tenore della nota ministeriale che:
a) non procede, questa volta (e molto probabilmente nella consapevolezza del divieto di legge di cui si dirà) ad una nuova sospensione dei termini procedimentali,
b) si limita a richiedere un chiarimento sul funzionamento di un meccanismo finanziario.
Anche a questa nota é stato offerto tempestivamente il necessario riscontro da parte delle imprese interessate, anche di tipo documentale.
Con ulteriore comunicazione, inviata via posta elettronica certificata, le imprese istanti hanno comunicato all’amministrazione procedente l’avvenuto decorso del termine di sessanta giorni stabilito dal citato art. 3 del d.m. 21 gennaio 2010 "i fini della compensazione del credito d’imposta".
Infine, le note da ultimo ricordate della menzionata Direzione generale l’Amministrazione si é sostanzialmente rigettato il contenuto del riscontro ricevuto, precisando che la documentazione é ancora all’esame della stessa e che per l’utilizzazione del credito d’imposta "é necessario attendere il nulla osta della suddetta amministrazione".
Ne discende che la determinazione amministrativa ha un contenuto doppiamente negativo in quanto:
a) assume che il termine di sospensione non sia ancora spirato;
b) denega l’avvenuto perfezionamento del silenzio-assenso previsto dalla citata normativa.
Alla stregua della richiamata disciplina in materia e dello svolgimento della serie procedimentale (comunicazione preventiva/istanza finale/richiesta di integrazione documentale con sospensione/riscontro con cessazione della sospensione/richiesta ulteriore senza sospensione, riscontro, comunicazione sul silenzio) deve pertanto ritenersi si sia configurata la fattispecie silenziosa sull’istanza di utilizzazione del credito d’imposta in questione.
3.1. Al fine di meglio inquadrare la complessa questione sembra tuttavia opportuno ricondurre la fattispecie ai più ampi canoni che presiedono allo svolgimento dell’azione amministrativa. Ciò al fine di confortare e suffragare ulteriormente la conclusione appena raggiunta.
L’istituto del silenzio-assenso trova applicazione nelle fattispecie nelle quali la normativa attribuisce all’inerzia dell’amministrazione pubblica il valore di provvedimento di accoglimento dell’istanza presentata dal privato, con la conseguenza che il silenzio serbato dalla p.a. costituisce rimedio all’inerzia protrattasi oltre un certo termine, consentendo di conseguire quanto richiesto con l’stanza introduttiva del procedimento.
Il decorso del termine massimo per provvedere da parte della p.a., nelle differenti ipotesi di mancata tipizzazione del silenzio, offre all’istante, invece, la possibilità di impugnare detto comportamento di fronte al giudice amministrativo nelle forme di rito.
Come puntualmente osservato dal Consiglio di Stato in un recentissimo parere, il meccanismo del silenzio-assenso stigmatizza l’inerzia dell’amministrazione coinvolta, ancorché non fisiologica, tanto da ricollegarvi la più grave delle “sanzioni” o il più efficace dei rimedi: "la definitiva perdita del potere di dissentire e di impedire la conclusione del procedimento".
È su tali basi che viene individuata, in tal guisa, il triplice fondamento del nuovo silenzio-assenso
– eurounitario, individuato nel “principio della tacita autorizzazione” (ovvero la regola del silenzio-assenso) introdotto dalla cd. direttiva Bolkestein (considerando 43; art. 13, par. 4);
– costituzionale, rinvenibile nel principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., inteso nell’ottica di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico;
– sistematico, con riferimento al principio di trasparenza (anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost.) che ormai, specie dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, informa l’intera attività amministrativa come principio generale (Consiglio di Stato, Ad. Comm. spec., 23 giugno 2016, n. 1640 – ndr in calce per esteso)
Come noto, giusta l’art. 2 della l. n. 241 del 1990 e s.m.i., viene fissato, in via generale, un termine massimo di conclusione dei procedimenti amministrativi. Termine che deve intendersi sostituito da quelli di volta in volta previsti – come nella fattispecie in esame – dalla normativa del settore cinematografico e audiovisivo.
Avuto riguardo all’interesse a corrispondere a peculiari esigenze istruttorie incompatibili con il decorso di detti termini, ma tuttavia salvaguardando il principi di efficienza della p.a. e di certezza della durata dei procedimenti amministrativi, il settimo comma dell’art, 2 della citata legge generale sul procedimento sancisce che "possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2".
Invero sembra utile ricordare che l’istituto del silenzio-assenso costituisce, adesso in termini generali, la forma più pregnante del silenzio-significativo della p.a. in considerazione dell’ampia previsione contenuta nell’art. 20 della legge della già ricordata l. n. 241 del 1990 e s.m.i.
Giusta la disposizione richiamata, infatti, e salva l’applicazione della dichiarazione di inizio attività, "nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.”
Da quanto esposto consegue poi che, pur permanendo in capo all’amministrazione procedente la facoltà di chiedere più volte l’integrazione documentale, la sospensione del termine opererà una sola volta.
Va osservato, per completezza, che resta ovviamente impregiudicato, anche nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione procedente equivalga a provvedimento di accoglimento della domanda – come nella indubbia fattispecie in esame – l’esercizio del potere di autotutela da parte di quest’ultima.
Ed infatti, a norma del terzo comma del citato art. 20, é stabilito che "nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies".
3.2. Il delineato contesto normativo da ultimo richiamato é stato peraltro oggetto di una copiosa giurisprudenza che ne ha confermato, se non addirittura rafforzato, la portata vincolante e precettiva sull’azione amministrativa avuto riguardo al rispetto dei tempi ed alla doverositá del provvedere.
In particolare la giurisprudenza in tema di integrazioni istruttorie se ha precisato che deve sempre ammettersi che possano essere chieste integrazioni istruttorie necessarie, anche in assenza di una esplicita previsione di legge (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 dicembre 2000, n. 7044; Consiglio di Stato, sez. VI, 14 febbraio 1996, n. 209; Consiglio di Stato, sez. VI, 16 marzo 1995, n. 279), ha parimenti precisato che in ogni caso il termine di conclusione del procedimento amministrativo, in presenza di un termine espresso e, peraltro, accompagnato dalla previsione della fattispecie del silenzio-assenso, "deve ritenersi perentorio", sicché "una richiesta di integrazione documentale tardiva non è idonea a determinare l’interruzione del termine" (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 21 giugno 2006, n. 7822).
Ed ancora, in materia analoga (procedura per l’installazione di un impianto di telefonia mobile di cui all’art. 87, comma 9, d.lgs. 259/2003), i giudici amministrativi hanno precisato che il decorso del termine stabilito dalla norma: "dalla presentazione dell’istanza e la mancanza di un provvedimento di diniego comunicato entro detto termine comportano la formazione del silenzio-assenso sulla relativa istanza, che costituisce titolo abilitativo….,con conseguente illegittimità dei successivi provvedimenti adottati, rimuovibili in sede di autotutela, nel rispetto dei requisiti formali e sostanziali previsti per l’esercizio del suddetto potere, senza che alla formazione del silenzio-assenso di cui si tratta ostino le disposizioni di cui all’articolo 20 comma 4, legge 7 agosto 1990 n. 241, stante il principio di specialità vigente nel nostro ordinamento giuridico"(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 8 ottobre 2013, n. 8681).
Con la conseguenza che l’eventuale "sospensione della procedura di esame dell’istanza ….. finisce per risolversi in un illegittimo arresto sine die del procedimento, in contrasto con le esigenze di speditezza" del settore".
In particolare, sempre riferendosi all’arresto giurisprudenziale appena richiamato, in base all’art. 87 del d. lgs. n. 25 del 2003 e s.m.i. analogamente alla normativa sulla quale opera il MIBACT nella fattispecie in esame, la giurisprusenza ha statuito che "non esiste un potere di sospensione del procedimento in capo all’ente che ha soltanto la facoltà di interrompere il decorso del termine di formazione del silenzio-assenso, richiedendo chiarimenti o documentazione all’interessato" ed il termine massimo di durata del procedimento "riprende a decorrere dal momento dell’avvenuta integrazione documentale", né un potere di sospensione del procedimento ampliativo può trovare fondamento in norme generali, militando anzi il principio di cui all’articolo 2 della legge 241/1990 e succ. mod. in senso esattamente contrario (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. VII, 23 febbraio 2012, n. 987).
In tal senso si é parimenti previsto che "dal combinato disposto degli art. 7, comma 2, e 21 quater della l. n. 241/1990 ne deriva che, in astratto, deve riconoscersi la titolarità, in capo all’ amministrazione, di un potere di sospensione del procedimento, che, tuttavia, non consente la determinazione di effetti sospensivi immotivati o sine die e, pur circondato dai necessari presupposti delle "gravi ragioni" necessarie per la sua emanazione e del "tempo strettamente necessario" entro il quale il provvedimento di sospensione può essere disposto, questo riveste un carattere pur sempre eccezionale, atteso che un potere generalizzato di sospensione dell’efficacia degli atti amministrativi compete – ovviamente in presenza di altri presupposti – unicamente al g.a. in sede di tutela cautelare (nella fattispecie, l’adozione della censurata sospensione veniva considerata legittima nei limiti del tempo strettamente necessario all’esame delle possibili interferenze dell’intervento edilizio privato con un’opera di viabilità pubblica, esistendo un progetto definitivo dal quale, come concordemente sostenuto dalle parti, sarebbero emersi profili di incompatibilità dell’intervento edilizio in questione, donde l’insussistenza di ragioni che impediscano all’ amministrazione di concludere il procedimento avviato dalla ricorrente con un provvedimento espresso di sospensione come peraltro imposto dall’art. 2 della l. n. 241/1990)" (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 25 luglio 2014, n. 326).
Ed in senso analogo si muove, altresì, la dottrina in materia.
In tale prospettiva é stata ampiamente sottolineato che la tempestività dell’azione amministrativa si configura alla stregua di un carattere di doverosità (M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995; G. MORBIDELLI, Il tempo del procedimento, in V. CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, 259 ss.).
Doverositá che deve essere intesa non solo come obbligo per la p.a. di emettere un provvedimento espresso, ma anche quale obbligo di adottarlo in tempi certi. In tal guisa la doverositá costituisce la peculiare declinazione del principio di legalità, in quanto investe non soltanto la legalità “negativa”, quale strumento indispensabile al cittadino per arginare un esercizio del potere arbitrario, ma anche quella “positiva”, quale affermazione in positivo dell’obbligo di esercitare quel potere e di esercitarlo in tempo utile per il cittadino-compartecipe della funzione pubblica (M. A. SANDULLI, Il procedimento amministrativo e la semplificazione, in www.ius-publicum.com).
Può quindi affermarsi che nelle serie procedimentali nelle quali siano decorsi i termini previsti dall’ordinamento e non siano tempestivamente giunte manifestazioni di volontà dell’amministrazione di denegare l’accesso al beneficio da parte degli aventi diritto l’ammissione alle agevolazioni fiscali in questione relative al cineaudiovisivo deve ritenersi assoggettata al silenzio-assenso e che tale formazione tipizzata della decisione amministrativa si sia indubbiamente perfezionata.
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Numero 01640/2016 e data 13/07/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016
NUMERO AFFARE 01017/2016
OGGETTO:
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Ufficio legislativo.
Quesito su alcuni problemi applicativi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124.
LA COMMISSIONE SPECIALE
Vista la nota prot. n. 207/16/UL/P in data 31 maggio 2016, con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul quesito in oggetto, concernente l’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 80 del 17 giugno 2016, che ha istituito la Commissione speciale per l’esame del quesito in oggetto;
Considerato che nell’adunanza del 23 giugno 2016, presenti anche i Presidenti aggiunti Luigi Carbone e Marco Lipari, la Commissione speciale ha esaminato gli atti e udito i relatori Consiglieri Gerardo Mastrandrea e Roberto Giovagnoli;
Premesso e considerato.
1. La richiesta di parere.
Con nota del 31 maggio 2016, prot. n. 207/16/UL/P., l’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha trasmesso a questo Consiglio di Stato un articolato quesito su alcuni problemi applicativi dell’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’art. 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124. La norma così recita:
“1. Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente. Il termine è interrotto qualora l’amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini.
2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi.”
Il quesito solleva alcuni dubbi interpretativi che riguardano:
l’ambito di applicazione soggettivo del nuovo istituto;
l’ambito di applicazione oggettivo;
i rapporti con la conferenza di servizi;
le modalità di formazione del silenzio-assenso e l’esercizio del potere di autotutela dopo la formazione del silenzio-assenso (prima e dopo l’adozione del provvedimento finale).
Più nel dettaglio, le questioni sottoposte al vaglio consultivo di questo Consiglio di Stato possono essere così sintetizzate.
1.1 Per quanto riguarda l’ambito di applicazione soggettivo, il Dipartimento per la funzione pubblica pone quattro distinte questioni.
1.1.1 Sotto un primo profilo, si sostiene che l’articolo 17-bis sia applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le regioni e gli enti locali. Deporrebbero a favore di tale conclusione i seguenti argomenti: a) la formulazione della disposizione, che parla appunto di “amministrazioni pubbliche” (e non solo statali); b) l’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che legittima l’intervento legislativo statale in questa materia, demandando alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni; c) l’art. 29, comma 2-ter, della stessa legge n. 241 del 1990, in base al quale attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione le disposizioni concernenti, fra l’altro, il silenzio-assenso, senza distinguere tra il silenzio-assenso nei confronti dei privati (già previsto) e quello tra amministrazioni (di nuova introduzione); d) il parallelismo tra il nuovo istituto del silenzio-assenso e la conferenza dei servizi, pacificamente applicabile anche alle regioni e agli enti locali.
1.1.2 Nell’ambito delle amministrazioni, secondo il Dipartimento della funzione pubblica, la disposizione sarebbe poi applicabile a tutti gli organi, sia politici che amministrativi. A tale conclusione condurrebbe tra l’altro il meccanismo di composizione dei conflitti, incentrato sul Consiglio dei Ministri e sul Presidente del Consiglio dei Ministri, disciplinato dal comma 2-bis dell’articolo 17-bis.
1.1.3 Sempre con riferimento all’ambito di applicazione soggettivo, il Dipartimento ritiene il nuovo istituto applicabile anche alle Autorità amministrative indipendenti, anch’esse riconducibili nella categoria delle pubbliche amministrazioni. Si esclude, infatti, che il meccanismo di coordinamento in esame possa ledere la loro indipendenza, in presenza di disposizioni legislative che impongono alle autorità stesse di partecipare a procedimenti di altre amministrazioni o di coinvolgerle nei propri. Da qui la conclusione secondo cui la disposizione sarebbe applicabile sia ai procedimenti in cui sono coinvolte autorità amministrative indipendenti insieme con altre amministrazioni, sia a quelli in cui sono coinvolte diverse autorità indipendenti (con l’unica eccezione nel caso in cui la norma preveda un diverso meccanismo di coordinamento, come nel caso dell’art. 5, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 58 del 1998, in ordine ai rapporti tra Banca d’Italia e Commissione Nazionale per le Società e la Borsa).
1.1.4 Per quanto riguarda la nozione di “gestori di beni e servizi pubblici”, ai quali la disposizione fa riferimento, in assenza di un’unica definizione legislativa dei servizi pubblici, la nota del Dipartimento della Funzione Pubblica osserva che la nozione dovrebbe essere interpretata nello stesso modo in cui la giurisprudenza la interpreta con riferimento all’articolo 23 della legge n. 241 del 1990, che utilizza un’analoga espressione rispetto alla disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
L’Ufficio legislativo si chiede, tuttavia, se la disposizione sia applicabile ai soli provvedimenti nei quali i suddetti gestori devono rendere un assenso, concerto, nulla osta, ovvero anche a quelli avviati dai gestori stessi. Sotto tale profilo, la nota osserva che, sebbene la lettera della legge potrebbe indurre a una interpretazione restrittiva, la ratio della norma sembrerebbe, invece, avvalorare la diversa conclusione secondo cui il meccanismo debba operare anche per i casi in cui i suddetti gestori operano nello svolgimento di un’attività pubblicistica (come la gestione delle reti utilizzate per l’erogazione dei servizi) e l’assenso, concerto, nulla osta debba essere reso da altre amministrazioni ai suddetti gestori (per esempio gli assensi delle amministrazioni statali o locali, necessari ai gestori per gli interventi sulle suddette reti).
1.2 Per quanto riguarda l’ambito di applicazione oggettivo, il quesito pone cinque distinte questioni.
1.2.1 Il Dipartimento rileva anzitutto che, non prevedendo la norma delimitazioni, essa dovrebbe applicarsi a qualsiasi procedimento amministrativo, ivi compresi quelli – espressamente contemplati – volti all’emanazione di atti normativi.
1.2.2 Sempre con riferimento all’ambito di applicazione oggettivo, di particolare rilievo è l’ulteriore questione sollevata, concernente l’applicabilità del nuovo istituto alle amministrazioni preposte alla tutela dei beni culturali e della salute dei cittadini.
In relazione a tale profilo, la richiesta di parere osserva che, poiché il comma 3 del nuovo articolo 17-bis contempla espressamente per le amministrazioni preposte alla tutela di tali interessi uno speciale regime in ordine ai termini, non dovrebbero esserci dubbi sull’applicabilità dell’istituto ai relativi procedimenti.
Non deporrebbe in senso contrario la giurisprudenza costituzionale in materia di silenzio-assenso (segnatamente le sentenze n. 151 del 1986 e n. 196 del 2004), con particolare riferimento agli interessi “sensibili”. Infatti, da un lato, il silenzio-assenso opera in questo caso non a favore di un privato, ma a favore di una pubblica amministrazione, che dovrà poi comunque farsi carico del bilanciamento degli interessi rilevanti; dall’altro, dei relativi interessi il legislatore si è fatto carico stabilendo un termine più lungo per la formazione del silenzio-assenso, e facendo salvi i diversi termini previsti dalle norme speciali. A quest’ultimo riguardo si precisa che sono fatti salvi non solo i termini più lunghi di novanta giorni, ma anche quelli più brevi (come quelli previsti per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in base all’art. 146, comma 8, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e al decreto del presidente della Repubblica n. 139 del 2010).
Né ostacoli all’interpretazione prospettata potrebbero derivare dal diritto europeo, atteso che delle ipotesi in cui quest’ultimo esclude il silenzio-assenso (soprattutto in materia ambientale) il legislatore si è fatto carico espressamente nel comma 4 dell’articolo 17-bis (precisando, peraltro, che alla genericità della relativa previsione si potrà porre rimedio in sede di esercizio della delega di cui all’articolo 5 della stessa legge n. 124).
1.2.3 Per quanto riguarda il rapporto tra il nuovo istituto e quelli disciplinati dagli articoli 16 e 17 della stessa legge n. 241 del 1990, la richiesta di parere osserva che, dato che la disposizione fa riferimento agli “assensi, concerti o nulla osta comunque denominati”, e non essendo stati modificati i suddetti articoli 16 e 17, sembra potersi ritenere che l’àmbito di applicazione della nuova disposizione siano le dichiarazioni di volontà e non quelle di giudizio. La disposizione, quindi, sarebbe applicabile non solo nelle ipotesi in cui la norma da applicare qualifica l’atto dell’Amministrazione come assenso, concerto o nulla osta, ma anche quando la norma utilizza termini come “intesa”, “accordo”, o “approvazione”, nonché in presenza di pareri vincolanti, che, al di là della loro denominazione, attribuiscono di fatto all’autorità consultata un potere di co-decisione.
1.2.4 Sulla base di questa premessa, valorizzando il parallelismo tra il nuovo articolo 17-bis, relativo alle dichiarazioni di volontà, e il precedente articolo 16, relativo alle dichiarazioni di giudizio, la richiesta di parere mostra altresì di condividere la tesi secondo cui anche l’articolo 16 si applicherebbe non solo ai procedimenti volti all’adozione di provvedimenti amministrativi puntuali, ma anche quelli volti all’adozione di atti normativi, da esso non espressamente menzionati né esclusi.
1.2.5 Vengono poi considerati i procedimenti a iniziativa di parte che si svolgono presso una certa amministrazione competente a ricevere la domanda del privato, ma rispetto ai quali la competenza “sostanziale” appartiene ad altra amministrazione: il caso più evidente è quello dei procedimenti in materia di edilizia o di avvio di attività produttive che si svolgono presso uno sportello unico, il quale acquisisce le determinazioni delle amministrazioni interessate.
Secondo la richiesta di parere, anche in questo caso la formulazione letterale della disposizione deporrebbe a favore dell’applicabilità dell’istituto ai rapporti tra lo sportello unico e le amministrazioni interessate, consentendo di superare i dubbi (o gli argomenti ostativi) derivanti dal fatto che in questi procedimenti le amministrazioni alle quali viene presentata l’istanza svolgono soltanto un ruolo di mediazione tra il privato e l’amministrazione sostanzialmente competente, con la conseguenza che l’applicazione del nuovo istituto a queste ipotesi introdurrebbe, di fatto, una ipotesi di silenzio-assenso nei rapporti tra privati.
1.3 Per quanto riguarda i rapporti tra il nuovo silenzio-assenso e la conferenza di servizi obbligatoria di cui all’articolo 14, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990, la richiesta di parere osserva che il modo più semplice per regolare i rapporti tra i due istituti sembra essere quello di applicare il silenzio-assenso di cui all’articolo 17-bis nei casi in cui l’amministrazione procedente debba acquisire l’assenso di una sola amministrazione e di applicare la conferenza di servizi nei casi in cui debba acquisire l’assenso di più amministrazioni.
Si dà atto, tuttavia, che in senso contrario rispetto a tale soluzione potrebbe deporre la considerazione che il ricorso alla conferenza di servizi costituisce una procedura più lunga e complessa del silenzio-assenso e, in presenza di provvedimenti di contenuto semplice e con poche amministrazioni coinvolte (si pensi ai decreti che un ministro deve adottare di concerto con altri due ministri), potrebbe essere preferibile chiedere contemporaneamente l’assenso alle diverse amministrazioni e far operare eventualmente il silenzio-assenso. D’altra parte, se si considera il modo in cui la conferenza di servizi sarebbe disciplinata dallo schema di decreto legislativo da emanare in attuazione della delega di cui all’articolo 2 della legge n. 124 del 2015 (sul quale questo Consiglio di Stato ha già espresso il parere n. 890 del 7 aprile 2016), nel quesito si osserva che la conferenza “semplificata” costituisce una procedura affatto diversa, e molto più rapida, di quella della tradizionale conferenza di servizi, e che in essa opera il meccanismo del silenzio-assenso, che può operare anche in termini molto brevi.
In altre parole, secondo la nota dell’Ufficio legislativo, nella conferenza “semplificata” non si avrebbe altro che l’invio dello schema di provvedimento alle amministrazioni concertanti, con la fissazione di un termine per le osservazioni e proposte di modifica, decorso il quale opererebbe il silenzio-assenso. Se è così, conclude sul punto la richiesta di parere, l’alternativa tra silenzio-assenso e conferenza di servizi sarebbe più apparente che reale, non essendovi una differenza sostanziale tra le due ipotesi, e ciò varrebbe sia per le ipotesi di conferenza istruttoria, di cui all’articolo 14, comma 1, della legge n. 241, sia per quelle di conferenza decisoria, di cui all’articolo 14, comma 2.
1.4 Per quanto riguarda il meccanismo di formazione del silenzio-assenso, il quesito pone tre distinte questioni.
1.4.1 Innanzitutto, si manifesta l’esigenza di chiarire come l’istituto operi quando il provvedimento debba essere sottoscritto sia dall’autorità procedente, sia da quella concertante (come nel caso di un decreto adottato da un ministro, su proposta di un altro).
In queste ipotesi, il problema che si pone è stabilire se lo schema di provvedimento consista nel testo già sottoscritto dall’amministrazione procedente, o se sia sufficiente l’invio formale del testo sul quale si chiede l’assenso dell’amministrazione concertante, in vista delle successive sottoscrizioni di un testo condiviso.
Secondo la nota dell’Ufficio, diverse considerazioni deporrebbero a favore delle seconda soluzione: l’uso della parola “schema”; il fatto che le amministrazioni esprimono normalmente il concerto su un testo non ancora sottoscritto; i rilevanti problemi pratici che sorgerebbero se il funzionamento di un meccanismo, che serve a rimediare all’inerzia dell’amministrazione, fosse rimesso proprio all’attività della stessa amministrazione: la quale a quel punto sarebbe l’unica depositaria del provvedimento sottoscritto e, quindi, potrebbe frustrare l’obiettivo perseguito dal legislatore semplicemente perpetuando la propria inerzia, senza procedere alla sottoscrizione e senza restituire l’atto firmato.
Da qui la suggerita conclusione che l’autorità procedente possa inviare, di regola in via digitale, uno schema di provvedimento non sottoscritto e, decorso il termine per il silenzio-assenso, possa procedere alla sua sottoscrizione.
1.4.2 A questo punto viene posto l’ulteriore problema della necessità della sottoscrizione dell’autorità concertante.
In relazione a tale profilo, l’Ufficio prospetta la seguente alternativa: si potrebbe ritenere, da un lato, che la sottoscrizione è comunque necessaria in quanto forma di assunzione di responsabilità per il contenuto dell’atto; dall’altro, che essa non è più necessaria, altrimenti il silenzio-assenso sarebbe di fatto inoperante. Ove si propendesse per la seconda ipotesi, l’amministrazione procedente, accertata la formazione del silenzio-assenso, dovrebbe dare conto nelle premesse o in calce al provvedimento dell’invio dello schema di provvedimento e del decorso del termine per il silenzio-assenso.
1.4.3 La richiesta di parere pone, infine, la questione del potere di autotutela dell’autorità che non ha reso l’assenso, concerto o nulla osta e nei confronti della quale, quindi, ha operato il silenzio-assenso.
Secondo l’Ufficio, la questione dovrebbe essere affrontata distintamente con riferimento alla fase compresa tra la formazione del silenzio-assenso e l’adozione del provvedimento finale, nella quale si può ammettere la possibilità di far venire meno gli effetti del silenzio-assenso e la fase successiva alla stessa adozione, nella quale dovrebbe prevalere il principio del contrarius actus.
2. L’utilità del ricorso ai quesiti nella fase attuativa delle riforma.
Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate, questa Commissione speciale ritiene opportuno evidenziare che si tratta di una richiesta consultiva di particolare rilievo, non solo perché tocca punti cruciali destinati a condizionare la concreta operatività del nuovo istituto del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni, ma anche perché rappresenta il primo quesito che investe la fase attuativa della c.d. riforma Madia di cui alla legge n. 124 del 2015.
A tale riguardo, non si può che sottolineare l’efficacia del metodo di procedere con richieste di quesiti sul funzionamento pratico delle riforme. Ciò conferma, da un lato, l’importanza cruciale della fase attuativa delle riforme introdotte dalla legge n. 124 del 2015 e dai successivi decreti attuativi, anche rispetto alla emanazione dei relativi decreti attuativi, dall’altro, l’utilità che possono rivestire le funzioni consultive del Consiglio di Stato concepite come sostegno in progress riferito a una policy, a un progetto istituzionale, piuttosto che esclusivamente a singoli provvedimenti individuati.
Già in occasione del parere sul primo dei decreti attuativi della l. n. 124 – il n. 515 del 24 febbraio 2016, reso sul c.d. decreto trasparenza – questo Consiglio insisteva sulla necessità di “guardare oltre l’atto normativo”, poiché il buon esito di una riforma amministrativa è strettamente condizionato dalla relativa fase attuativa, e sottolineava l’utilità dello strumento costituito dalla proposizione di quesiti al Consiglio di Stato sulle concrete modalità attuative dei nuovi istituti.
Si suggeriva, in particolare, l’attivazione di una costante interlocuzione istituzionale con il Consiglio di Stato proprio attraverso un ricorso sistematico al flessibile strumento dei quesiti.
Ciò anche in considerazione del fatto che il ricorso alle funzioni consultive anche nella c.d. fase attuativa delle riforme è in grado di ridurre gli oneri di comprensione, interpretazione, pratica applicazione, da parte di tutti i destinatari, con particolare riferimento ai cittadini e alle imprese, perseguendo in tal modo il meritorio risultato di prevenire il contenzioso.
A tale scopo soccorre anche la complementarietà, stabilita dalla Costituzione, delle funzioni consultive con quelle giurisdizionali: le problematiche affrontate chiamano direttamente in causa anche la giurisdizione, e in particolare la giurisdizione amministrativa, che è attraversata dai problemi affrontati dalla riforma, poiché è chiamata in ultima istanza a risolvere le questioni che l’azione dell’amministrazione non è stata in grado di risolvere.
Ciò spiega la scelta del Presidente del Consiglio di Stato, peraltro confermata anche in questa occasione, di costituire una Commissione speciale per integrare la Sezione consultiva per gli atti normativi con altri magistrati in servizio presso l’Istituto, assicurando al contempo una visione unitaria di tutti i provvedimenti attuativi della riforma e la specializzazione dei magistrati coinvolti.
La richiesta di parere in oggetto conferma, quindi, la consapevolezza da parte del Governo della rilevanza cruciale della fase attuativa delle riforme e l’utilità che, in questo contesto, può svolgere la funzione consultiva del Consiglio di Stato.
In questa prospettiva, sarebbe auspicabile che il Dipartimento della funzione pubblica, in occasione della presentazione di quesiti di ampia latitudine e di portata trasversale, illustrasse con la massima chiarezza e con ogni opportuno dettaglio anche le posizioni e le iniziative assunte dalle altre amministrazioni (statali e non) nell’attuazione delle importanti riforme riconducibili all’impianto della legge n. 124 del 2015. Basterebbe indicare ad esempio, con riferimento al tema specifico dell’applicazione dell’articolo 17-bis, la circolare interpretativa adottata in data 10 novembre 2015 dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che ha affrontato alcune delle problematiche esposte nella richiesta di parere.
3. Il nuovo istituto del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni: un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra amministrazioni pubbliche.
L’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (introdotto dall’art. 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124) ha previsto e disciplinato, come istituto di applicazione generale, il “silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche”.
Prima di procedere all’esame delle singole questioni, la Commissione speciale ritiene opportuno identificare la portata sistematica e il valore di principio dell’istituto in esame: da ciò discendono importanti conseguenze sul piano esegetico, che conferiscono una unitarietà di visione alle molteplici questioni applicative sollevate dal quesito in oggetto.
3.1 Questo Consiglio di Stato ritiene che l’art. 17-bis rivesta – nei rapporti tra amministrazioni pubbliche – una portata generale analoga a quella del nuovo articolo 21-nonies nei rapporti tra amministrazioni e privati.
Come affermato nel parere n. 839 del 30 marzo 2016, in materia di SCIA, l’art. 21-nonies, nel fissare un termine finale generale per l’adozione di atti di autotutela (e, nel caso della SCIA, di atti repressivi, inibitori o conformativi), ha introdotto un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione: nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza, il legislatore ha fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, al fine di consolidare le situazioni soggettive dei privati.
A tale nuova regola generale, che riforma i rapporti ‘esterni’ dell’amministrazione con i privati, corrisponde – introdotta ad opera dell’art. 17-bis – una seconda regola generale, che pervade i rapporti ‘interni’ tra amministrazioni: quella, appunto, del silenzio-assenso ‘endoprocedimentale’.
Anche in questo caso, il Consiglio di Stato ritiene si possa parlare di un ‘nuovo paradigma’: in tutti i casi in cui il procedimento amministrativo è destinato a concludersi con una decisione ‘pluristrutturata’ (nel senso che la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra Amministrazione), il silenzio dell’Amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l’effetto di precludere l’adozione del provvedimento finale ma è, al contrario, equiparato ope legis a un atto di assenso e consente all’Amministrazione procedente l’adozione del provvedimento conclusivo.
La portata generale di tale nuovo paradigma fornisce una importante indicazione sul piano applicativo dell’art. 17-bis, poiché ne consente una interpretazione estensiva, quale che sia l’amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (cfr. infra, i punti successivi).
3.2 Ad avviso di questa Commissione speciale, l’istituto in esame completa un’evoluzione normativa che ha progressivamente fluidificato l’azione amministrativa, neutralizzando gli effetti negativi e paralizzanti del silenzio amministrativo, dapprima nei rapporti con i privati (art. 3, comma 6-ter del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 marzo 2005, n. 80 che ha riscritto l’art. 20 della legge n. 241 del 1990, generalizzando la regola del silenzio assenso) e ora anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni.
Il nuovo strumento di semplificazione conferma la natura “patologica” e la valenza fortemente negativa che connota il silenzio amministrativo, sia che esso venga in rilievo nei rapporti verticali (tra amministrazione e cittadino), sia che maturi nell’ambito di un rapporto orizzontale con un’altra Amministrazione co-decidente.
Sarebbe, infatti, fuorviante ritenere che la generalizzazione del silenzio-assenso, ora estesa anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni, presupponga, da parte del legislatore, una sorta di accettazione dell’inerzia amministrativa, quasi che essa fosse un fenomeno fisiologico ed ineliminabile che viene ‘normalizzato’, degradando l’obbligo di provvedere in un mero onere di provvedere.
Al contrario, il meccanismo del silenzio-assenso si basa su una contrarietà di fondo del legislatore nei confronti dell’inerzia amministrativa, che viene stigmatizzata al punto tale da ricollegare al silenzio dell’Amministrazione interpellata la più grave delle “sanzioni” o il più efficace dei “rimedi”, che si traduce, attraverso l’equiparazione del silenzio all’assenso, nella perdita del potere di dissentire e di impedire la conclusione del procedimento.
3.3. In quest’ottica, il nuovo istituto del silenzio-assenso trova un triplice fondamento, di natura rispettivamente eurounitaria, costituzionale e sistematica.
3.3.1 Sotto il profilo del diritto eurounitario, fermo restando quanto sarà detto più avanti, con riguardo ai limiti oggettivi del silenzio assenso previsti dall’ultimo comma dell’art. 17-bis, il riferimento è alla direttiva 2006/123/CE sui “Servizi nel mercato interno” (c.d. direttiva Bolkestein) che, al fine di prevenire gli effetti negativi sul mercato derivanti dall’incertezza giuridica, anche sotto il profilo dell’incertezza temporale, delle procedure amministrative, opera nella duplice direzione di limitare il regime della previa autorizzazione amministrativa ai casi in cui essa è indispensabile e di introdurre il “principio della tacita autorizzazione” (ovvero la regola del silenzio-assenso) “da parte delle autorità competenti allo scadere di un termine determinato” (considerando 43; art. 13, par. 4, della direttiva).
Pur tenendo conto della peculiarità del micro-sistema della direttiva Bolkestein 2006/123, condizionata dalla esigenza politica di favorire determinati settori della concorrenza, e pur nella consapevolezza che per gli interessi “sensibili” il diritto della UE sembra spesso confermare il principio della necessaria determinazione espressa (cfr. sul punto l’ultimo comma dell’articolo 17-bis), si tratta, tuttavia, di un riferimento normativo significativo, perché dimostra come anche in àmbito europeo sia sempre più avvertita l’esigenza di introdurre rimedi semplificanti per neutralizzare gli effetti negativi dell’inerzia dell’Amministrazione.
3.3.2 Sotto il profilo costituzionale, il fondamento del meccanismo di semplificazione deve rinvenirsi nel principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., letto ‘in un’ottica moderna’, che tenga conto dell’esigenza di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico rispetto a qualsiasi forma di mero dirigismo burocratico.
Pur essendo, nel caso di specie, al cospetto di rapporti orizzontali tra amministrazioni, e non essendoci, quindi – a differenza di quello che accade rispetto al silenzio-assenso di cui all’articolo 20 – un coinvolgimento diretto dei diritti del privato, ciò nonostante il nuovo istituto, prevenendo gli effetti preclusivi dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni, concorre comunque all’obiettivo di favorire la tempestiva conclusione dei procedimenti amministrativi e dunque, sotto tale profilo, all’attuazione del valore costituzionale del buon andamento dell’azione amministrativa.
Soccorre, sotto tale profilo, anche la qualificazione, desumibile dalla stessa giurisprudenza costituzionale, dell’attività amministrativa come “prestazione” diretta a soddisfare diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.), il cui livello essenziale può essere unitariamente predeterminato dallo Stato mediante la previsione di adeguati meccanismi di semplificazione.
Nella logica del ‘primato dei diritti’, i meccanismi di semplificazione dell’azione amministrativa non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico, ma al contrario come strumenti funzionali ad assicurare una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e per i singoli privati. Essi trovano, quindi, un fondamento nel principio del buon andamento dell’azione amministrativa, che postula anche l’efficienza e la tempestività di quest’ultima.
3.3.3 Sotto il profilo sistematico, infine, il riferimento è al principio di trasparenza (anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost.) che, specie dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, ormai informa come principio generale l’intera attività amministrativa.
L’Amministrazione trasparente è un’Amministrazione che, ancor prima di rendere ostensibili ai cittadini dati e documenti, evita qualsiasi forma di opacità o di ambiguità, assumendo decisioni espresse.
Il silenzio è, invece, antinomico alla trasparenza, perché rappresenta un comportamento “opaco” e non ostensibile.
L’introduzione di rimedi di semplificazione dissuasivi e stigmatizzanti il silenzio contribuisce, quindi, anche a dare piena attuazione al principio di trasparenza dell’azione amministrativa: l’arresto del procedimento non può più avvenire con un comportamento per definizione “opaco”, quale è l’inerzia; al contrario, le perplessità di un’amministrazione sull’iter procedimentale devono diventare espresse. In questo contesto merita di essere ancora richiamato il parere reso da questo Consiglio di Stato sul cd. decreto trasparenza (24 febbraio 2016, n. 515) nella parte in cui – in relazione all’accesso civico (il “FOIA” – Freedom of information act) – effettua un attento parallelismo tra il silenzio-rigetto nell’accesso (stigmatizzato) e il silenzio accoglimento (considerato invece come utile strumento di semplificazione), pur tenendo conto della differenza dei rapporti tra PA e privato e quelli “orizzontali” tra amministrazioni.
3.4 Giova, peraltro, evidenziare che l’art. 17-bis prevede due meccanismi di semplificazione tra loro collegati:
– da un lato, incide sui tempi dell’azione amministrativa, prevedendo un termine unico di trenta giorni (destinato a prevalere, tranne il caso delle Amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili di cui al comma 3, sui diversi termini previsti dalle vigenti disposizioni) entro il quale l’Amministrazione co-decidente rende l’assenso;
– dall’altro, in un’ottica di stigmatizzazione dell’inerzia, equipara il silenzio all’assenso, consentendo all’Amministrazione procedente di adottare il provvedimento finale.
4. Ambito di applicazione soggettivo.
Applicabilità a Regioni ed enti locali.
Si può ora procedere all’esame delle singole questioni sollevate nella richiesta di quesito.
Per quanto riguarda la delimitazione dell’àmbito di applicazione soggettivo e segnatamente l’applicabilità del nuovo istituto anche a Regioni ed enti locali, la Commissione speciale condivide la tesi positiva, pur richiamando l’attenzione dell’amministrazione riferente in ordine alla opportunità di intensificare, in attuazione del principio di leale collaborazione, ogni forma di coordinamento istituzionale diretto a garantire l’omogenea applicazione delle nuove regole di semplificazione, nel rispetto dell’autonomia organizzativa delle Regioni e degli enti locali.
Al proposito, la richiesta di parere non indica se su questo tema – così delicato sotto il profilo dell’equilibrio tra i diversi livelli di Governo – la Presidenza del Consiglio abbia effettuato apposite consultazioni o abbia rilevato altre criticità.
La Commissione osserva peraltro che, a quanto consta, nessuna Regione ha proposto ricorso alla Corte costituzionale per denunciare l’ipotetico contrasto tra l’art. 17-bis e le competenze regionali: il dato è particolarmente significativo, perché altre disposizioni della legge n. 124 formano oggetto, invece, di ricorsi proposti dalle Regioni.
In ogni caso, risultano convincenti gli argomenti invocati a sostegno di tale conclusione nella richiesta di parere.
Sul piano costituzionale, per giustificare la potestà legislativa statale, risulta appropriato il riferimento al livello essenziale delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (Corte cost., sentenza n. 322 del 2009 e sentenze n. 328 del 2006; n. 285 e n. 120 del 2005), e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n.10 del 2010 e n. 134 del 2006).
Si tratta quindi, come la Corte costituzionale ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (Corte cost., sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).
La Corte costituzionale, del resto, con riferimento ad altri interventi di semplificazione dell’attività amministrativa, ha già evidenziato che l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati (cfr. Corte cost., sentenza n. 164 del 2012).
Nel senso dell’applicabilità della nuova norma alle Regioni, depone poi anche la formulazione dell’art. 29, comma 2-ter della stessa legge 241, che fa generico riferimento al “silenzio- assenso”, senza distinguere tra quello nei confronti dei privati (ex art. 20, l. 241/90) e quello tra amministrazioni, di nuova introduzione. Ai sensi di tale norma: “Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.”.
Pur se tale comma è stato aggiunto dall’art. 10, comma 1, lett. b), della legge n. 69 del 2009, e poi così modificato dall’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010), e quindi prima dell’inserimento dell’art. 17-bis, si riconosce che gli obiettivi di semplificazione e accelerazione a cui mira la disposizione sono gli stessi a cui tendono il silenzio-assenso nei confronti dei privati e la conferenza dei servizi, menzionati al suddetto comma 2-ter.
Anche il parallelismo con l’istituto della conferenza dei servizi (su cui ci si soffermerà in seguito), pacificamente applicabile alle regioni, offre ulteriore argomento a sostegno di tale assunto.
Per concludere sul punto, è necessario spendere una breve riflessione sulla posizione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Le norme di riferimento sono in questo caso rappresentate dall’art. 29, comma 2-quinquies, della legge n. 241 del 1990 e dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
La prima disposizione si limita a prevedere che “le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione”.
L’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 stabilisce, a sua volta, che le previsioni del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione “si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.
Di fronte a questo (scarno) quadro normativo ci si può chiedere se il limite dei livelli essenziali delle prestazioni possa essere invocato per giustificare l’intervento del legislatore statale. I dubbi nascono dal fatto che gli statuti speciali non lo contemplano espressamente e che nell’ordinamento costituzionale precedente non era imposto alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome.
La conclusione negativa, tuttavia, sembra trovare un insormontabile ostacolo nella considerazione che, in fondo, il limite del livello essenziale delle prestazioni può considerarsi un’applicazione dello stesso principio di uguaglianza di tutti i consociati di fronte ai poteri pubblici, il che dovrebbe escludere che i meccanismi di semplificazione del procedimento, comunque funzionali al perseguimento del principio del buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), anche quando, come nel caso di specie, riguardano in prima battuta i rapporti orizzontali tra amministrazioni, e solo indirettamente il rapporto verticale con il cittadino, possano arrestarsi di fronte al territorio di una Regione a statuto speciale o di una Provincia autonoma.
La tesi favorevole ad estendere l’applicazione del nuovo istituto di semplificazione può trovare ulteriori argomenti di sostegno nella possibilità di invocare gli altri limiti previsti negli statuti speciali a carico della stessa potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, quale, in particolare, quello delle grandi riforme socio-economiche o dei princìpi generali dell’ordinamento.
La soluzione estensiva sembra, del resto, trovare il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto applicabile il limite stabilito dall’art. 117, secondo comma, lettera m), anche alle Regioni (e alle Province) ad autonomia differenziata. Merita di essere richiamata in tale direzione la sentenza n. 203 del 2012, in cui si afferma espressamente che il parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., “postula tutele necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale e tale risultato non può essere assicurato dalla Regione, ancorché ad autonomia differenziata, la cui potestà legislativa è pur sempre circoscritta all’àmbito territoriale dell’ente (nelle cui competenze legislative, peraltro, non risulta presente una materia riconducibile a quella prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.)”.
Applicabilità agli organi politici.
Risulta condivisibile anche la tesi favorevole all’applicazione del silenzio-assenso agli organi politici.
La Commissione speciale ritiene che la norma si applichi agli organi politici sia quando essi adottano atti amministrativi o normativi, sia quando sono chiamati ad esprimere concerti, assensi o nulla osta comunque denominati nell’àmbito di procedimenti per l’adozione di atti amministrativi o normativi di competenza di altre Amministrazioni.
Depone in tal senso, oltre alla considerazione che è prevista la competenza del Consiglio dei Ministri e del Presidente del Consiglio per la risoluzione dei conflitti, la stessa formulazione letterale dell’art. 17-bis.
Il testo della disposizione fa riferimento, in senso ampio, ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti normativi o amministrativi che prevedano l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche.
Secondo il dato testuale, ciò che rileva è, quindi, la natura dell’atto da adottare (amministrativo o normativo), non la natura dell’organo (amministrativo o politico) titolare della competenza “interna” nell’ambito della pubblica Amministrazione che di volta in volta viene in considerazione.
Del resto, il Ministro (o altro organo politico di altra amministrazione) è, comunque, un organo di una Pubblica amministrazione.
Non vi sono, pertanto, ragioni per escludere l’applicazione della disposizione nei casi in cui la competenza all’adozione dell’atto normativo o amministrativo spetti all’organo politico, oppure l’organo politico sia chiamato ad esprimere l’assenso.
È appena il caso di ricordare, poi, che il meccanismo di cui all’art. 17-bis riguarda esclusivamente i procedimenti diretti all’adozione di atti amministrativi e normativi subprimari, mentre non può applicarsi a decisioni di carattere non amministrativo e a connotazione “politica” in senso stretto.
In linea di principio, alla luce delle considerazioni svolte nel punto 4.1. a favore della tesi dell’applicabilità dell’art. 17-bis a Regioni ed enti locali, sembrano rientrare nel campo di applicazione soggettivo anche gli organi politici regionali, pur con le cautele imposte, in questo caso, dalla necessità di verificare l’esistenza di norme speciali statutarie incompatibili con il nuovo strumento di semplificazione.
Applicabilità alle Autorità indipendenti.
Anche con riferimento alle Autorità indipendenti, risulta preferibile la soluzione favorevole all’applicazione del nuovo meccanismo di semplificazione, conforme all’ampio tenore letterale della disposizione.
Non emergono ragioni di incompatibilità con la particolare autonomia di cui godono le autorità indipendenti e, del resto, una diversa conclusione risulterebbe in contrasto con la natura amministrativa ormai ad esse pacificamente riconosciuta.
La nuova disposizione risulta applicabile alle Autorità indipendenti sia nella parte in cui prevede il termine di trenta giorni per rendere (o ricevere) l’assenso, sia nella parte in cui prevede il silenzio-assenso in caso di inerzia.
In un’ottica de jurecondendo, si può segnalare l’opportunità di prevedere a favore delle Autorità indipendenti una deroga analoga a quella contemplata dal comma 3 per le Amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, le quali, pur essendo comunque sottoposte alla regola del silenzio assenso, beneficiano di un termine più lungo (quello già stabilito dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni) rispetto ai trenta giorni previsti in via generale.
Rimangono comunque salve, in base al principio di specialità, le previsioni contenute in disposizioni speciali che prevedano una disciplina incompatibile con quella del silenzio assenso.
Applicabilità ai gestori di beni e servizi pubblici.
Appare preferibile la tesi secondo cui la norma si applica ai gestori di beni e servizi pubblici anche quando siano titolari del procedimento (e debbano acquisire l’assenso di altre amministrazioni) e non solo quando siano chiamati a dare l’assenso nell’àmbito di procedimenti di altre Amministrazioni.
Appare dirimente a favore di tale conclusione il riferimento alla nozione (di matrice comunitaria ed ormai accolta dalla prevalente giurisprudenza) “oggettiva” e “funzionale” di pubblica Amministrazione, in virtù della quale si considera pubblica amministrazione ogni soggetto che, a prescindere dalla veste formale-soggettiva, sia tenuto ad osservare, nello svolgimento di determinate attività o funzioni, i princìpi del procedimento amministrativo.
Il gestore, pertanto, negli ambiti e nei limiti in cui la sua attività è procedimentalizzata, va considerato pubblica amministrazione (cfr. in tal senso, art. 7, comma 2, del codice del processo amministrativo che, sia pure testualmente ai soli fini di delimitare il campo di applicazione del c.p.a., recepisce questa nozione di pubblica amministrazione: “Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei princìpi del procedimento”).
Tale nozione ampia di pubblica amministrazione trova, peraltro, riscontro, nella stessa legge n. 241 del 1990, in diverse disposizioni che contribuiscono a delimitarne il campo di applicazione.
Viene in rilievo, in primo luogo, l’articolo 1, comma 1-ter, secondo cui “I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei princìpi di cui al comma 1”
È significativo evidenziare che il comma 1 richiama, oltre ai “princìpi dell’ordinamento comunitario”, “i criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge”. Le considerazioni svolte nel par. 3.3.3. sui rapporti tra il silenzio-assenso ex articolo 17-bis e il principio di trasparenza consentono allora di ritenere che il nuovo istituto sia applicabile, ai sensi dell’articolo 1, comma 1-ter, anche ai soggetti privati preposti all’esercizio di una attività amministrativa.
In secondo luogo, va richiamato l’articolo 29, comma 1, che prevede espressamente l’applicabilità della legge n. 241 del 1990 (in tutte le sue disposizioni, non solo nei princìpi) anche “alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”.
Infine, con specifico riferimento all’àmbito di applicazione soggettivo della disciplina del diritto di accesso, l’articolo 22, comma 1, lettera e), chiarisce che per “pubblica amministrazione” si intendono “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”. E sempre rispetto al diritto di accesso, l’articolo 23, espressamente equipara “pubbliche amministrazioni” e “gestori di servizi pubblici”.
Ci si può chiedere, inoltre, se l’art. 17-bis, considerata l’ampiezza della sua formulazione letterale (che fa riferimento alle “pubbliche amministrazioni”, senza ulteriori specificazioni) sia applicabile anche alle società in house, quando esse siano titolari di procedimenti amministrativi.
La tesi favorevole risulta anche in questo caso avvalorata, oltre che dalla già richiamata nozione oggettiva e funzionale di pubblica Amministrazione, dall’ulteriore considerazione che, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale, la società in house, nonostante la veste formale privatistica e la distinta personalità giuridica, si atteggia, nella sostanza, alla stregua di un organo o di un ufficio dell’ente pubblico partecipante, privo di autonoma soggettività
Proprio l’assenza di un rapporto di alterità soggettiva con l’ente pubblico di riferimento induce, quindi, a ritenere che anche la società in house possa essere considerata una “pubblica amministrazione” ai fini dell’applicazione dell’articolo 17-bis.
Ambito di applicazione oggettivo.
Applicabilità agli atti normativi
La norma si applica anche ai procedimenti diretti all’emanazione di atti normativi in virtù di un espresso dato testuale: il primo periodo del comma 1 contiene un esplicito riferimento ai procedimenti per l’adozione degli atti normativi.
Se non vi fosse stato questo riferimento testuale agli atti normativi, la tesi estensiva, sostenuta nella richiesta di parere (i procedimenti amministrativi includono anche quelli normativi) avrebbe trovato un ostacolo difficilmente superabile nella ontologica diversità, sotto il profilo sostanziale, tra la natura dell’atto amministrativo e quella dell’atto normativo, per il quale valgono, anche a livello procedimentale, regole diverse da quelle applicabili agli atti amministrativi.
Con riferimento agli atti amministrativi, va, invece, evidenziato che – alla stregua del paradigma generale illustrato retro, al punto 3 – il silenzio assenso “orizzontale” previsto dall’art. 17-bis opera, nei rapporti tra Amministrazioni co-decidenti, quale che sia la natura del provvedimento finale che conclude il procedimento, non potendosi sotto tale profilo accogliere la tesi che, prospettando un parallelismo con l’ambito applicativo dell’art. 20 concernente il silenzio assenso nei rapporti tra privati, circoscrive l’operatività del nuovo istituto agli atti che appartengono alla categoria dell’autorizzazione, ovvero che rimuovono un limite all’esercizio di un preesistente diritto.
La nuova disposizione, al contrario, si applica a ogni procedimento (anche eventualmente a impulso d’ufficio) che preveda al suo interno una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione, senza che rilevi la natura del provvedimento finale nei rapporti verticali con il privato destinatario degli effetti dello stesso.
Con riguardo all’attività normativa del Governo statale, va peraltro segnalata l’opportunità di coordinare in modo chiaro ed efficiente la disciplina generale contenuta nell’art. 17-bis con la normativa della legge n. 400 del 1988 e con la disciplina regolamentare riguardante l’attività del Consiglio dei Ministri, incentrata essenzialmente sui princìpi dell’effetto devolutivo del silenzio, sul ruolo propulsivo della Presidenza del Consiglio e sulla collegialità della decisione finale.
Applicabilità a procedimenti relativi a interessi pubblici primari.
La formulazione testuale del comma 3 consente di accogliere la tesi favorevole all’applicabilità del meccanismo di semplificazione anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali e la salute dei cittadini. Sul punto la formulazione letterale del comma 3 è chiara e non lascia spazio a dubbi interpretativi: le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso (quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni), scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso.
La giurisprudenza costituzionale richiamata nella richiesta di parere, del resto, non ha sancito un principio di insuperabile incompatibilità tra silenzio assenso e interessi pubblici sensibili, limitandosi ad esaminare la questione con riferimento ai rapporti tra legislazione regionale e legislazione statale. La Corte costituzionale ha, in altri termini, ritenuto preclusa alla legislazione regionale la possibilità di introdurre ipotesi di silenzio assenso (ulteriori rispetto a quelle previste dalla legislazione statale) in procedimenti diretti alla tutela di interessi sensibili. Al contrario, le richiamate sentenze della Corte costituzionale non sembrano di per sé impedire alla potestà legislativa statale la previsione di casi di silenzio assenso anche in materie sensibili.
In relazione al profilo temporale va, peraltro, evidenziato che la locuzione “termine diverso” adoperata dalla legge autorizza la conclusione per cui, in materia di interessi sensibili, restano in vigore e prevalgono non solo le norme che prevedono termini più lunghi (rispetto al termine di novanta giorni), ma anche quelle che prevedono termini speciali più brevi.
L’applicazione della norma agli atti di tutela degli interessi sensibili dovrà, invece, essere esclusa laddove la relativa richiesta non provenga dall’Amministrazione procedente, ma dal privato destinatario finale dell’atto. In tal caso, venendo in rilievo un rapporto verticale, troverà applicazione l’art. 20 della legge n. 241 del 1990 (che esclude dal suo campo di applicazione gli interessi sensibili). Come si evidenzierà nel prosieguo, in caso di richiesta presentata dal privato, l’applicazione dell’art. 17-bis è esclusa senza che rilevi la circostanza che la richiesta sia presenta direttamente dal privato o da questi per il tramite dello sportello unico.
Diverso è il caso in cui il silenzio assenso è escluso in virtù di disposizioni eurounitarie. Il principio di primazia del diritto dell’Unione Europea in tali casi impone – a prescindere, peraltro, dalla natura “sensibile” o “primaria” dell’interesse pubblico tutelato – l’applicazione del silenzio assenso che risulti incompatibile con puntuali disposizioni comunitarie che prevedono l’assenso espresso.
Sotto tale profilo, si evidenzia, tuttavia, che il comma 4 dell’art. 17-bis, laddove esclude l’applicazione dei precedenti commi “nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi”, risulta, da una parte, superflua, dall’altra, incompleta.
Sia pur giustificata dall’esigenza di assicurare (con una previsione di chiusura) la compatibilità comunitaria del nuovo meccanismo di semplificazione, la disposizione è scarsamente utile in quanto l’inapplicabilità della norma nazionale in presenza di disposizioni eurounitarie contrastanti già si impone in ragione del principio di primazia del diritto dell’Unione europea e non richiede previsioni espresse da parte del legislatore nazionale.
D’altro canto, va precisato che il limite all’applicabilità della norma derivante da un eventuale contrasto con il diritto dell’Unione Europea va inteso in senso ampio, risultando, ad esempio, ostativa all’applicazione della norma anche la sua contrarietà con le sentenze rese dalla Corte di Giustizia. Occorre, a tal proposito, ricordare che le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di Giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate: la decisione della Corte resa in sede di rinvio pregiudiziale, dunque, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto (in tal senso, è costante la giurisprudenza comunitaria: cfr. Corte Giust., 3 febbraio 1977, in causa C-52/76, Benedetti c. Munari F.lli sas, in Racc. 1977, 163, e 5 marzo 1986, in causa 69/85, Wünsche Handelgesellschaft Gmbh& Co. c. Repubblica Federale della Germania, in Racc., 1986, 947). Ai fini che qui interessano, anche il contrasto con una sentenza della Corte di giustizia determina l’obbligo di disapplicare la norma.
Rapporto con gli artt. 16 e 17 legge n. 241/1990.
Il coordinamento del silenzio assenso introdotto dall’art. 17-bis con i meccanismi di semplificazione previsto dagli artt. 16 e 17 è, in effetti, particolarmente problematico.
In linea di massima, gli artt. 16 e 17 fanno riferimento ad atti di altre amministrazioni da acquisire (al di là del nomen iuris) nella fase istruttoria, mentre l’art. 17-bis fa riferimento ad atti da acquisire nella fase decisoria, dopo che l’istruttoria si è chiusa. Il comma 1 prevede, infatti, che all’Amministrazione che deve esprimere l’assenso venga inviato uno schema di provvedimento, corredato dalla relativa documentazione.
Il riferimento allo schema di provvedimento implica che si sia già chiusa la fase istruttoria, dovendosi ritenere che siano proprio le risultanze dell’istruttoria a consentire all’Amministrazione procedente l’elaborazione dello schema di decisione sul quale l’Amministrazione interpellata esprimerà il proprio assenso.
L’art. 17-bis è, quindi, destinato ad applicarsi solo ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen iuris, abbia valenza co-decisoria. In base a tali considerazioni, deve, allora, ritenersi che la disposizione sia applicabile anche ai pareri vincolanti, e non, invece, a quelli puramente consultivi (non vincolanti) che rimangono assoggettati alla diversa disciplina di cui agli artt. 16 e 17 della legge n. 241 del 1990.
Gli interessi sensibili, quindi, restano pienamente tutelati nella fase istruttoria, non potendo la decisione finale essere assunta senza che tali interessi siano stati ritualmente acquisiti al procedimento, tramite l’obbligatorio parere o l’obbligatoria valutazione tecnica di competenza dell’Amministrazione preposta alla loro cura: la legge n. 124, infatti, non è intervenuta sulla vigenza del comma 3 dell’art. 16 (fermo restando ovviamente anche il relativo regime di responsabilità disciplinare, civile e penale in caso di ingiustificata omissione, da parte dell’amministrazione competente, di un’attività dovuta).
Quanto alla successiva fase decisoria, anche nei casi in cui opera il silenzio-assenso, l’interesse sensibile dovrà comunque essere oggetto di valutazione, comparazione e bilanciamento da parte dell’amministrazione procedente.
Non applicabilità agli atti che attengono alla c.d. fase costitutiva dell’efficacia: il “bollino” della Ragioneria generale dello Stato.
L’applicabilità della norma ai soli casi di atti che hanno natura co-decisoria esclude, per ragioni analoghe a quelle appena esposte con riferimento agli atti della fase istruttoria, che il silenzio-assenso possa sostituire atti che si collocano in un momento successivo a quello della decisione, riguardando, questi, la fase costitutiva dell’efficacia del provvedimento.
Non si applica, ad esempio, al c.d. ‘bollino’ della Ragioneria Generale dello Stato, previsto dall’art. 17, comma 10, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (che ha novato la fonte dell’analoga norma già contenuta nell’art. 11-ter, comma 6-bis, della legge 5 agosto 1978, n. 468), ai sensi del quale: “Le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti della spesa espressamente autorizzata nei relativi provvedimenti legislativi. Con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, è accertato l’avvenuto raggiungimento dei predetti limiti di spesa. Le disposizioni recanti espresse autorizzazioni di spesa cessano di avere efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto per l’anno in corso alla medesima data”.
Il c.d. ‘bollino’ è, infatti, un atto con funzione di controllo, che si colloca dopo l’esaurimento della fase decisoria ed è necessario per l’integrazione dell’efficacia di provvedimenti già adottati.
È il caso di precisare, invece, che il silenzio-assenso si applica agli atti di assenso, comunque denominati, di competenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nelle ipotesi in cui esso svolga una funzione co-decisoria, ed in questi casi la formazione del silenzio-assenso non è preclusa dalla eventuale mancanza dell’apposizione del bollino da parte della Ragioneria, stante appunto l’autonomia e la diversità tra i due sub-procedimenti (assenso del MEF e “bollinatura” della Ragioneria generale dello Stato).
Si tratta, in particolare, degli atti di assenso di cui all’art. 3 del regolamento del Consiglio dei Ministri (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993 che disciplina il Regolamento interno del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 novembre 1993, n. 268, come modificato dal D.P.C.M. 20 marzo 2002 e dall’art. 1, D.P.C.M. 7 settembre 2007).
A diverse conclusioni si deve pervenire con riguardo al cosiddetto ‘bollino comunitario’, ossia alla più recente previsione del regolamento di funzionamento del Consiglio dei Ministri, secondo cui tutti gli atti normativi devono essere preceduti dall’attestazione della loro conformità alla disciplina dell’Unione europea.
Tale ‘assenso’, infatti, si colloca nella fase istruttoria del procedimento e, per quanto rilevante, non sembra possa sottrarsi alla disciplina generale dell’art. 17-bis.
La non applicabilità dell’art. 16 ai procedimenti normativi.
La già richiamata ontologica differenza che esiste tra atti normativi ed atti amministrativi esclude, come principio generale, che le disposizioni dettate dalla legge n. 241 del 1990 si applichino, salvo che sia diversamente ed espressamente previsto nel corpo delle singole disposizioni, ai procedimenti normativi, da sempre sottoposti a regole differenti.
La tesi del parallelismo tra art. 16 e art. 17-bis per desumerne l’applicabilità anche del primo ai procedimenti normativi non appare, dunque, persuasiva, in assenza di una esplicita disposizione di legge.
Non applicabilità ai procedimenti ad iniziativa di parte che si svolgono presso un’amministrazione competente a ricevere la domanda del privato ma rispetto ai quali la competenza sostanziale è di altra amministrazione.
Con riferimento ai procedimenti ad iniziativa di parte che si svolgono presso un’amministrazione competente a ricevere la domanda del privato, ma rispetto ai quali la competenza sostanziale è di altra amministrazione, gli argomenti sostenuti nella richiesta di quesito a favore della tesi ampliativa non appaiono convincenti.
L’art. 17-bis si applica ai procedimenti con fase decisoria pluristrutturata. La disposizione richiede, quindi, che le due Amministrazioni (quella titolare del procedimento e quella interpellata) condividano la funzione decisoria, nel senso che entrambe devono essere titolari di una funzione decisoria sostanziale.
Nei casi in cui un’Amministrazione ha un ruolo meramente formale (raccoglie e trasmette l’istanza all’Amministrazione unica decidente), la decisione risulta monostrutturata. In questo caso, infatti, come osserva la richiesta di parere, non essendoci un’amministrazione co-decidente, il vero beneficiario del silenzio assenso sarebbe il privato, avendosi, quindi, un’ipotesi silenzio assenso nei rapporti (non endoprocedimentali, ma) con i privati.
Peraltro, considerato che il silenzio assenso nei rapporti con i privati è ormai la regola, tranne i casi espressamente sottratti in base al comma 4 dell’art. 20, la tesi sostenuta nella richiesta di quesito avrebbe come effetto pratico soltanto quello di determinare un ‘implicito’ silenzio assenso in quei casi in cui l’art. 20 lo esclude espressamente.
Si avrebbe così, in via interpretativa, la tacita abrogazione di norme espresse (escludenti il silenzio assenso), per di più poste a tutela di interessi pubblici primari.
L’argomento, invocato nella richiesta di parere, della equivalenza, tra l’art. 17-bis e l’art. 20, nella tutela riservata agli interessi pubblici primari non è convincente, perché, mentre l’art. 20, comma 4, prevede, ove vengano in rilievo interessi primari, l’esclusione del silenzio assenso, l’art. 17-bis si limita a prevedere un allungamento dei termini (o, meglio a far salvi i termini di settore), ferma restando, però, allo scadere del termine speciale o allungato, l’operatività del silenzio-assenso.
Deve, quindi, escludersi che il nuovo silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni possa operare nei casi in cui l’atto di assenso sia chiesto da un’altra pubblica amministrazione non nel proprio interesse, ma nell’interesse del privato (destinatario finale dell’atto) che abbia presentato la relativa domanda tramite lo sportello unico.
Non incide sull’applicabilità del nuovo istituto la circostanza, del tutto irrilevante, che l’istanza il privato la presenti direttamente o per il tramite di un’Amministrazione che si limita ad un ruolo di mera intermediazione, senza essere coinvolta, in qualità di autorità co-decidente, nel relativo procedimento.
Resta comunque fermo, anche in questo caso, il regime di responsabilità disciplinare, civile e penale in caso di ingiustificata omissione, da parte dell’amministrazione competente, di un’attività dovuta.
Rapporti con la conferenza di servizi.
La tesi secondo cui l’art. 17-bis trova applicazione nel caso in cui l’Amministrazione procedente debba acquisire l’assenso di una sola Amministrazione, mentre nel caso di assensi da parte di più Amministrazioni opera la conferenza di servizi, rappresenta, in effetti, quella che fornisce il criterio più semplice per la risoluzione dell’apparente sovrapposizione normativa.
In alternativa, per estendere l’àmbito applicativo dell’art. 17-bis in modo che appaia, comunque, compatibile con il suo tenore letterale, si potrebbe sostenere che il silenzio assenso di cui all’art. 17-bis opera sempre (anche nel caso in cui siano previsti assensi di più amministrazioni) e, se si forma, previene la necessità di convocare la conferenza di servizi. Quest’ultima andrebbe convocata, quindi, nei casi in cui il silenzio assenso non si è formato a causa del dissenso espresso dalle Amministrazioni interpellate, e avrebbe lo scopo di superare quel dissenso nell’àmbito della conferenza appositamente convocata.
La tesi sostenuta nella richiesta di parere, volta a evidenziare la tendenziale identità tra il meccanismo dell’art. 17-bis e la conferenza semplificata asincrona, come sarebbe disciplinata dallo schema di decreto legislativo da emanare in attuazione della delega di cui all’art. 2 della legge n. 124 del 2015, pur essendo in linea di principio condivisibile, trova, tuttavia, un ostacolo nella diversa disciplina dei meccanismi per il superamento dei “contrasti”, rispettivamente disciplinata dal comma 2 dell’art. 17-bis e dall’art. 14-quinquies dello schema di decreto legislativo.
Pur essendo in entrambi i casi la decisione finale affidata al Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, la disciplina della conferenza di servizi si caratterizza per una maggiore complessità, offrendo maggiori garanzie procedimentali, anche al fine di attuare il principio di leale collaborazione tra le diverse Amministrazioni coinvolte.
Le problematiche dell’art. 17-bis, comma 2, secondo periodo.
Proprio in relazione a tale aspetto, si ritiene opportuno segnalare –de jure condendo – che la disciplina del superamento del disaccordo prevista dall’art. 17-bis, comma 2, secondo periodo, oltre a presentare le segnalate difficoltà di coordinamento con la corrispondente disciplina della conferenza di servizi, solleva ulteriori perplessità.
In primo luogo, non risulta appropriata la sedes materiae prescelta per l’introduzione di tale norma: essa, infatti, disciplina un meccanismo sostitutivo che presuppone il dissenso espresso, che, dunque, non si applica per definizione nelle ipotesi di silenzio assenso che costituiscono l’oggetto specifico dell’art. 17-bis.
In secondo luogo, il riferimento testuale alle “modifiche da apportare allo schema del provvedimento” presenta elementi di ambiguità, perché non tiene conto dell’eventualità che il Presidente del Consiglio possa risolvere il conflitto senza modificare lo schema del provvedimento, ma recependo integralmente la posizione dell’Amministrazione procedente. La norma, quindi, avrebbe dovuto specificare (e, in tal senso, va comunque interpretata) che le modifiche da apportare al provvedimento sono solo “eventuali”, dovendosi riconoscere la possibilità che il conflitto sia risolto senza apportare modifiche.
Formazione del silenzio assenso e firma del provvedimento.
Per quanto riguarda la firma del provvedimento, appaiono condivisibili le conclusioni sostenute nella richiesta di quesito, nel senso che è sufficiente, da parte dell’Amministrazione procedente, l’invio formale del testo non ancora sottoscritto, in vista della successiva eventuale sottoscrizione di un testo condiviso (nell’ipotesi in cui l’Amministrazione interpellata esprima un assenso espresso).
Nel caso in cui l’Amministrazione interpellata rimanga silente, il provvedimento potrà essere sottoscritto soltanto dall’Amministrazione procedente, dando atto, nelle premesse o in calce al provvedimento, dell’invio dello schema di provvedimento e del decorso del termine per il silenzio assenso.
Ciò non impedisce all’amministrazione rimasta inerte nel termine stabilito di procedere, spontaneamente, alla sottoscrizione del provvedimento: tale firma esprime, nella sostanza, un assenso esplicito, il quale, seppure tardivo, non è né illegittimo né inutiliter datum, poiché contribuisce alla stabilità e certezza dell’atto stesso.
È il caso di sottolineare che, anche in caso di unica firma dell’atto, questo resta comunque imputabile altresì all’amministrazione rimasta formalmente inerte.
Ciò chiarito, questa Commissione speciale deve farsi carico di un problema generale posto dal silenzio assenso, ancorché non indicato tra i quesiti proposti dall’amministrazione riferente.
Si tratta di stabilire se una volta ottenuto l’assenso per silentium, l’atto non sia esposto al rischio della illegittimità per difetto di motivazione o per carenza di istruttoria e se tali potenziali lacune possano essere colmate dall’intervento surrogatorio dell’amministrazione procedente.
Al riguardo, la Commissione ritiene che l’art. 17-bis – come, in generale, tutte le disposizioni che prevedono il silenzio assenso – legittimi l’espressione della volontà provvedimentale anche attraverso l’inerzia prolungata per un determinato termine.
In tal caso, dunque, la motivazione esplicita non è più richiesta come elemento strutturale dell’atto.
In linea empirica, del resto, la motivazione può considerarsi insita nell’adesione implicita alla ‘proposta’ di atto formulata dall’amministrazione procedente.
D’altro canto, come si è detto, la norma non trova applicazione nelle ipotesi previste dagli artt. 16 e 17, quando è prevista l’acquisizione di valutazioni.
A conclusioni diverse potrebbe pervenirsi con riguardo al difetto di istruttoria. La totale omissione di qualsiasi attività preparatoria potrebbe costituire, infatti, indice di una radicale assenza di adeguata preparazione dell’esercizio del potere: il silenzio assenso maturato, seppure idoneo al perfezionamento dell’atto, non sarebbe sufficiente per colmare un vizio essenziale del procedimento.
Autotutela
Come rileva la richiesta di parere, il problema dell’autotutela va affrontato distinguendo la fase successiva all’adozione – anche formale – del provvedimento finale (sulla base del silenzio-assenso dell’Amministrazione interpellata) da quella compresa tra la formazione del silenzio-assenso (scaduto il termine previsto dall’art. 17-bis per l’espressione della posizione dell’amministrazione concertante) e l’adozione formale del provvedimento finale.
Nel primo caso, non può che applicarsi il principio del contrarius actus (che la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni richiamato con riferimento all’autotutela sui provvedimenti adottati all’esito della conferenza di servizi: cfr. il parere di Commissione speciale n. 890 del 7 aprile 2016), in base al quale l’eventuale esercizio del potere di riesame in autotutela deve seguire il medesimo procedimento d’emanazione dell’atto che si intende rimuovere o modificare.
Questo significa che l’amministrazione autrice dell’assenso silenzioso non potrà limitarsi ad esprimere il proprio sopravvenuto dissenso, ma dovrà sollecitare l’avvio del procedimento di riesame, condotto dall’amministrazione procedente, secondo le regole dell’art. 21-nonies o21-quinquies.
Nel caso in cui, invece, il provvedimento finale non sia stato ancora adottato formalmente, nonostante la formazione del silenzio assenso, la questione dell’autotutela solleva alcuni profili problematici.
Riconoscere, infatti, che l’Amministrazione concertata, il cui assenso è stato già acquisito per silentium, possa, fino all’adozione del provvedimento finale, esercitare sul silenzio assenso un potere unilaterale e tardivo di autotutela, impedendo la formazione dell’atto, rischia di determinare l’elusione (o, comunque, un significativo ridimensionamento) della portata innovativa del nuovo istituto.
Il silenzio-assenso diventerebbe, infatti, atto di natura meramente provvisoria, suscettibile di essere neutralizzato da un ripensamento unilaterale fino all’adozione del provvedimento finale. Con la possibilità, quindi, che il dissenso espresso venga manifestato ben oltre il termine di trenta giorni, con ciò vanificando anche la funzione acceleratoria del nuovo strumento di semplificazione.
Appare, allora, preferibile ritenere che il termine di trenta giorni (o il diverso termine per le Amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili) abbia natura perentoria e, dunque, che la sua scadenza faccia venire meno il potere postumo di dissentire, impedendo l’adozione formale dell’atto.
Una volta formato il silenzio assenso (ma prima dell’adozione formale dell’atto), l’amministrazione concertante, in presenza dei presupposti dell’autotutela potrà evidenziare le ragioni di illegittimità o le ragioni che giustificherebbero la revoca dell’atto, nell’ottica del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni, segnalando all’Amministrazione procedente ragioni di opportunità o illegittimità che, a suo avviso, precludono l’adozione del provvedimento finale.
L’ultima decisione sull’adozione del provvedimento finale spetterà, tuttavia, all’Amministrazione procedente, la quale, nonostante la segnalazione ricevuta, potrà, comunque, decidere, assumendosene la responsabilità, di avvalersi del silenzio-assenso e di adottare il provvedimento finale.
Resta ferma, peraltro, anche in tale eventualità, la possibilità di attivare i meccanismi di composizione di dissensi tra amministrazioni, compreso quello previsto dallo stesso art. 17-bis, comma 2.
Se, per le ragioni appena esposte, la formazione del silenzio assenso estingue il potere di dissentire, a diverse conclusioni deve giungersi per quanto riguarda il potere di assentire espressamente.
L’assenso espresso sopravvenuto non incide sulla funzionalità del nuovo istituto, realizzando, invece, sia pure in maniera differita, l’obiettivo che l’intervento riformatore persegue: quello di evitare il silenzio e di favorire decisioni espresse. Non vi sono ostacoli, quindi, a che, successivamente alla formazione del silenzio-assenso, l’Amministrazione concertata adotti un atto esplicito di assenso.
P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni è il parere della Commissione speciale
GLI ESTENSORI IL PRESIDENTE
Gerardo Mastrandrea, Roberto Giovagnoli Franco Frattini
IL SEGRETARIO
Gianfranco Vastarella
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