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IN HOUSE PROVIDING E CONTROLLO ANALOGO CONGIUNTO.


(Nota a Corte di Giustizia, Sez. III, 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11) 

 


RUGGERO TUMBIOLO
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Con la sentenza del 29 novembre 2012 (cause riunite C‑182/11 e C‑183/11), la Terza Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è nuovamente interessata della problematica dell’in house providing, ossia del fenomeno dell’autoproduzione di beni e servizi, che si configura come un modello eccezionale in quanto integra una deroga alle regole generali del diritto comunitario in materia di esternalizzazione (outsourcing) e ricorso al mercato.


Può essere utile rammentare che la Commissione europea, nella comunicazione COM (98) 143 dell’11 marzo 1998, prevedeva già allora di chiarire con un documento interpretativo i contenuti, tra l’altro, degli appalti «in-house», ossia di quelli «aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o, ancora, tra un’amministrazione e una società da questa interamente controllata» (cfr. punto 2.1.3, pagina 11, nota 10 di tale comunicazione).


La figura dell’in house providing trova, tuttavia, vera origine nella nota sentenza Teckal della Corte di Giustizia Europea del 18 novembre 1999 (causa C-187/98), dove vengono per la prima volta individuate le sue caratteristiche fondamentali, di poi affinate in successive pronunce della stessa Corte.


In sintesi, secondo la Corte di Giustizia, le condizioni perché un’amministrazione aggiudicatrice possa ricorrere legittimamente all’in house providing, e quindi ad un affidamento diretto prescindendo dall’espletamento di procedure concorsuali, sono: l’esercizio sull’entità affidataria di un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi e lo svolgimento da parte dell’affidataria della porzione più importante della propria attività con l’amministrazione o le amministrazioni aggiudicatrici che la controllano.


Uno dei problemi interpretativi più spinosi concerne la compatibilità del requisito del controllo analogo con la struttura associativa o consortile del soggetto affidatario e le forme e le modalità in cui si deve manifestare detto controllo da parte delle amministrazioni che hanno costituito l’ente strumentale.


La decisione della Corte di Giustizia in commento si sofferma sul caso particolare dell’affidamento diretto di un servizio pubblico da parte di un ente locale ad una società pubblica, della quale detto ente detiene una partecipazione simbolica.
Risulta dalla lettura della decisione della Corte di Giustizia che due comuni lombardi hanno acquisito un’azione ciascuno di una società pubblica operante nel settore della gestione dei rifiuti urbani e partecipata per la quasi totalità da altro comune.
Parallelamente, i due nuovi comuni azionisti hanno proceduto, insieme con altri comuni interessati, alla sottoscrizione di un patto parasociale, il quale prevedeva il loro diritto di essere consultati, di nominare un componente del collegio sindacale e di designare, in accordo con gli altri comuni partecipanti al patto di sindacato, un consigliere di amministrazione. 
In tale contesto, i due comuni suddetti hanno ritenuto che esistessero i presupposti per l’affidamento in house del servizio di interesse pubblico in questione, dal momento che la società era controllata congiuntamente da vari enti locali.
Di diverso avviso un soggetto operatore nel settore della gestione dei rifiuti urbani, il quale ha contestato la sussistenza dei presupposti per procedere all’affidamento diretto ed ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Nell’ambito di tale procedimento il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere il proprio parere, ha dubitato che, nel caso di specie, l’acquisizione di una sola azione e la sottoscrizione di un patto parasociale dai contenuti sopra riportati potessero dar luogo ad un controllo congiunto effettivo sulla società in questione e, conseguentemente, potessero soddisfare il criterio del controllo analogo.
Di qui la decisione di sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: «Se il principio di irrilevanza della situazione del singolo ente pubblico partecipante alla società strumentale debba applicarsi anche nel caso in cui, come nella fattispecie, uno dei Comuni associati possegga una sola azione della società strumentale ed i patti parasociali intercorsi fra enti pubblici non siano idonei a dare alcun controllo effettivo della società al Comune partecipante, sicché la partecipazione societaria possa considerarsi solo la veste formale di un contratto di prestazione di servizi».


Nel procedimento così instaurato avanti alla Corte di Giustizia, l’Avvocato Generale ha rassegnato le seguenti conclusioni: «Ai fini dell’eccezione in house, è in linea di principio irrilevante che la posizione di un ente pubblico nel capitale della società strumentale cui si intende affidare un servizio sia minoritaria o maggioritaria. Per contro, non può parlarsi di un “principio di irrilevanza” della posizione di detto ente pubblico nel controllo effettivo della società strumentale. In particolare, il ricorso all’eccezione in house non è possibile in una fattispecie in cui, da un lato, ciascuno degli enti affidanti in questione sia titolare di un’unica azione della società strumentale e, dall’altro, i patti parasociali intercorsi fra enti pubblici non conferiscano al Comune partecipante un controllo apprezzabile e proporzionato sulla società strumentale, circostanze queste che devono essere definitivamente acclarate dal giudice nazionale».


Nella decisione del 29 novembre 2012, la Terza Sezione della Corte di Giustizia premette che, secondo una costante giurisprudenza, sussiste un controllo analogo quando l’entità di cui trattasi è assoggettata a un controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzare le decisioni dell’entità medesima in modo determinante in ordine sia agli obiettivi strategici sia alle decisioni importanti di tale entità; in altri termini, l’amministrazione aggiudicatrice deve essere in grado di esercitare sull’ente strumentale un controllo strutturale, funzionale ed effettivo.


Ciò premesso in via generale, il giudice comunitario osserva che non vi è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; tuttavia, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale del soggetto in questione e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto.


Ed invero, non potrebbe ritenersi integrato il requisito in questione nel caso in cui un’amministrazione aggiudicatrice abbia, nell’ambito di un ente affidatario a cui partecipa unitamente ad altre amministrazioni, una presenza puramente formale nella sua compagine o in un organo comune incaricato della direzione dello stesso, tale da non garantirle la possibilità di partecipare effettivamente al controllo del suddetto soggetto.


Ne consegue, per la Corte, che spetta al giudice del rinvio verificare se la sottoscrizione di un patto parasociale, che conferisce ad alcuni comuni il diritto di essere consultati, di nominare un componente del collegio sindacale e di designare un consigliere di amministrazione in accordo con gli altri enti interessati dal patto suddetto, sia idonea a consentire a tali comuni di contribuire effettivamente al controllo della società in house.


Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la Corte di Giustizia ha risposto alla questione sollevata dal Consiglio di Stato affermando il seguente principio: «Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta».
In questa circostanza la Corte, di là dall’affermazione di principio secondo cui il requisito del controllo analogo è soddisfatto se ciascuna delle amministrazioni aggiudicatrici che hanno costituito l’ente strumentale partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’ente affidatario del servizio pubblico, ha lasciato al giudice di rinvio la valutazione complessiva delle circostanze pertinenti al caso scrutinato.


Sul quesito relativo alla possibilità di considerare controllo analogo anche il controllo esercitato congiuntamente da parte di più autorità socie, la Corte di Giustizia si era già pronunciata nella decisione della Terza Sezione del 13 novembre 2008, causa C-324/07.
In tale decisione la Corte, dopo aver ricordato che la sua giurisprudenza impone che il controllo esercitato sull’ente concessionario da parte dell’autorità pubblica concedente sia analogo ma non identico in ogni elemento a quello che la medesima autorità esercita sui propri servizi, precisa che l’importante è che il controllo esercitato sull’ente concessionario sia effettivo, pur non risultando indispensabile che sia individuale; così, nel caso in cui varie autorità pubbliche abbiano costituito un ente al quale affidare in concessione un servizio pubblico, il controllo di dette autorità pubbliche sull’ente in parola può essere da loro esercitato congiuntamente e, in presenza di un organo collegiale, anche deliberando a maggioranza.
Nella successiva decisione della Terza Sezione del 10 settembre 2009, causa C-573/07, la Corte ribadisce che se un’autorità pubblica diventa socia di minoranza di una società per azioni a capitale interamente pubblico, al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità pubbliche partecipanti a detta società esercitano su quest’ultima può essere qualificato come analogo al controllo che esse praticano sui propri servizi qualora esso sia esercitato congiuntamente dalle stesse.


In quest’ultima decisione, il giudice comunitario conclude nel senso che, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio in ordine all’operatività delle specifiche disposizioni statutarie, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla società affidataria può essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui detti enti, tramite organi statutari composti da loro rappresentanti, esercitino un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti di detta società.


Quanto alla misura della partecipazione alla società strumentale, può essere utile ricordare che nella sentenza della Grande Sezione del 21 luglio 2005, causa C-231/03, la Corte ha affermato che una partecipazione dello 0,97% è talmente esigua da non consentire ad un comune di esercitare il controllo su un concessionario che gestisce un servizio pubblico, anche se – va precisato – in quella occasione la Corte non ha affrontato la questione del possibile esercizio di siffatto controllo in forma congiunta.


Del resto, in una sentenza successiva (Seconda Sezione del 19 aprile 2007, causa C-295/05), la Corte ha dichiarato che, in talune circostanze, la condizione relativa al controllo esercitato dall’autorità pubblica può essere soddisfatta anche nel caso in cui tale autorità detenga una partecipazione esigua del capitale di un’impresa pubblica.


Nella fattispecie si trattava di una società il cui capitale sociale era detenuto per il 99% dallo Stato spagnolo e per il restante 1% da quattro comunità autonome, ognuna delle quali in possesso di un’azione. A tale riguardo, la Corte ha rigettato la tesi volta ad escludere la sussistenza del controllo analogo con riferimento agli appalti commissionati dalle comunità autonome e ciò in quanto, sulla base della normativa spagnola, la società pubblica in questione era obbligata ad eseguire gli incarichi ad essa affidati da tutte le amministrazioni pubbliche socie, comunità autonome incluse, e non aveva la possibilità di negoziare il corrispettivo per le prestazioni fornite; in queste condizioni non era ravvisabile alcun rapporto di natura contrattuale e la società non poteva quindi considerarsi come un terzo rispetto alle comunità autonome.


In conclusione, la sensazione che si ricava è quella dell’assenza, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, di una rigida definizione dei requisiti di ammissibilità dell’in house providing in presenza di strutture associative o consortili e della conseguente necessità di ancorare la verifica della sussistenza di detti requisiti alla valutazione complessiva delle circostanze, in fatto e in diritto, pertinenti al singolo caso scrutinato, rifuggendo da soluzioni aprioristiche.

 

 


* Avvocato in Como


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