Focus sulla provvista finanziaria tra bilancio comunale e fondo di rotazione.
NO ALLE DEMOLIZIONI NEI COMUNI DISSESTATI
FOCUS SULLA PROVVISTA FINANZIARIA TRA BILANCIO COMUNALE E FONDO DI ROTAZIONE
Avv. Lorenzo Bruno MOLINARO
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Gli orientamenti della giurisprudenza penale e amministrativa. La sanzione demolitoria quale autonoma espressione del potere giurisdizionale. 3. Il procedimento tipico disciplinato dall’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003. 4. Le novità introdotte dal d.P.R. n. 115 del 2002. 5. La convenzione interministeriale del 15 dicembre 2005. 6. Il giudizio comparativo sui costi. 7. La copertura finanziaria. 8. Le circolari della Cassa depositi e prestiti s.p.a. regolanti la materia. 9. Il concetto di indebitamento e il divieto a carico dei comuni “dissestati” di contrarre mutui. 10. Ancora in tema di adesione al fondo rotativo. Il resoconto finale della riunione della commissione Arconet del 13 aprile 2016. 11. Conclusioni.
1. PREMESSA
I temi che si trattano in questo articolo sono due ed entrambi di grande attualità alla luce dell’innegabile conflitto esistente tra l’autorità giudiziaria, tenuta ad eseguire le demolizioni ai sensi dell’art. 655 c.p.p., e i comuni, interlocutori necessari, obbligati, per un verso, a garantire la copertura della relativa spesa, che non presenta i caratteri di una semplice “partita di giro”, e, per altro verso, a fare i conti con deficit strutturali e bilanci quasi sempre asfittici e il più delle volte neppure in grado di assicurare la normale erogazione dei servizi.
Il primo è “se la provvista finanziaria necessaria per la copertura delle spese di demolizione di opere oggetto di R.E.S.A. e di sentenza penale passata in giudicato possa essere imputata al bilancio comunale o debba – viceversa – comportare una richiesta di mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti con imputazione in via di anticipazione al fondo di rotazione di cui al comma 12 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003”.
Il secondo è “se un comune dissestato, laddove si ritenga che trovi applicazione, in via esclusiva, tale ultima disposizione, possa sottoporsi ad indebitamento, con obbligo di restituzione delle somme acquisite presso la Cassa Depositi e Prestiti, sia pure per il commendevole fine di garantire copertura finanziaria alla esecuzione degli ordini giudiziali di demolizione”.
IN ORDINE AL PRIMO ARGOMENTO
2. GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA PENALE E AMMINISTRATIVA. LA SANZIONE DEMOLITORIA QUALE AUTONOMA ESPRESSIONE DEL POTERE GIURISDIZIONALE.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che la competenza ad eseguire l’ordine di demolizione adottato contestualmente ad una sentenza penale di condanna spetta unicamente all’autorità giudiziaria, in quanto espressione di un ”potere autonomo e non meramente residuale o di supplenza rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo sostanzialmente la predetta sanzione ad una funzione ripristinatoria del bene giuridico leso” (cfr., tra le tante, Cass., SS.UU., 24 luglio 1996, n. 15; Cass. Pen., Sez. III, 2 luglio 1996, n. 2870; Cass. Pen., Sez. III, 11 maggio 2005, n. 37120).
A tale consolidato indirizzo si è, da ultimo, uniformato anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza n. 5324 del 24 novembre 2015, con la quale è stato ribadito – da un lato – che, “secondo la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., 24 luglio 1996, n. 15; III, 12 dicembre 2006; 8 settembre 2010, n. 32952; 21 novembre 2012, n. 3456), l’ordine di demolizione delle opere abusive impartito dal giudice penale in una sentenza di condanna per violazioni alla normativa urbanistico-edilizia non deve essere eseguito dalla pubblica amministrazione, dovendosi, al contrario, precisare che la caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato conferma la giurisdizione del giudice ordinario riguardo alla pratica esecuzione dello stesso”, e – dall’altro – che non appare revocabile in dubbio “la natura autonoma dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale di condanna, rilevando l’assenza di norme specifiche che riconducano all’autorità amministrativa l’esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal giudice penale e, dunque, l’assoggettamento della demolizione alla disciplina dell’esecuzione prevista dal Codice di procedura penale” .
Tale essendo l’orientamento della giurisprudenza sia penale che amministrativa, se ne trae la conclusione che il comune, essendo incompetente a dare esecuzione ad un giudicato penale contenente un ordine di demolizione per opere edili abusive ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, non può – di certo – imputare al proprio bilancio la provvista finanziaria necessaria per la copertura delle relative spese: ciò anche perché non vi è disposizione di legge – nel nostro ordinamento – che legittimi, in concreto, tale possibilità.
3. IL PROCEDIMENTO TIPICO DISCIPLINATO DALL’ART. 32, COMMA 12, DEL D.L. N. 269 DEL 2003, CONVERTITO NELLA L. N. 326 DEL 2003.
Decisivo in tal senso è, in ogni caso, il rilievo secondo cui il procedimento tipico previsto dal legislatore per garantire copertura finanziaria alla esecuzione di un ordine giudiziale di demolizione è soltanto quello disciplinato dal comma 12 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella l. n. 326 del 2003, che stabilisce quanto segue.
”A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la Cassa depositi e prestiti è autorizzata a mettere a disposizione l’importo massimo di 50 milioni di euro per la costituzione, presso la Cassa stessa, di un Fondo di rotazione, denominato Fondo per le demolizioni delle opere abusive, per la concessione ai comuni e ai soggetti titolari dei poteri di cui all’articolo 27, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, anche avvalendosi delle modalità di cui all’articolo 2, comma 55, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e all’articolo 41, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall’autorità giudiziaria e per le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse”.
Tale norma, nel ribadire la competenza esclusiva del P.M. ad eseguire le demolizioni giudiziali, legittima quest’ultimo (e solo quest’ultimo) ad attivare, per il tramite del comune territorialmente competente, le richieste di finanziamento presso la Cassa depositi e prestiti.
Ma vi è di più.
Persino il comune, per eseguire le proprie ordinanze di demolizione, è tenuto ad attingere al predetto fondo di rotazione, giacché la norma chiarisce che questo è stato costituito anche “per la concessione ai comuni e ai soggetti titolari dei poteri di cui all’articolo 27, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (…), di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive”.
Riassumendo, sia per garantire copertura finanziaria alla esecuzione degli ordini giudiziali di demolizione, sia per acquisire la provvista necessaria per la esecuzione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di competenza dell’U.T.C., l’ente locale non ha altra strada da seguire all’infuori di quella della richiesta di “anticipazioni, senza interessi, alla Cassa depositi e prestiti” di cui al citato comma 12.
Ciò non toglie ovviamente che si potrà anche discutere, con specifico riferimento all’esercizio del potere sanzionatorio comunale, della legittimità costituzionale della norma in questione, soprattutto se si tien conto dei principi e del monito contenuti nell’interessante pronuncia della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 10, della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002), che prevedeva l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del fondo per la riqualificazione urbana dei comuni (sent. n. 16/2004 del 10 gennaio 2004, depositata in cancelleria il 16 gennaio 2004).
In tale pronuncia, infatti, la Corte avverte che “non possono trovare oggi spazio interventi finanziari diretti dello Stato a favore dei Comuni, vincolati nella destinazione, per normali attività e compiti di competenza di questi ultimi, fuori dall’ambito dell’attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza, o della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinati Comuni, ai sensi del nuovo articolo 119, quinto comma, Cost.
Soprattutto non sono ammissibili siffatte forme di intervento nell’ambito di materie e funzioni la cui disciplina spetta invece alla legge regionale, pur eventualmente nel rispetto (quanto alle competenze concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello Stato (…).
D’altra parte, la riqualificazione urbana dei Comuni rappresenta una finalità non riconducibile a materie o compiti di competenza esclusiva dello Stato, e riconducibile invece a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire dal “governo del territorio”) o “residuale” delle regioni (…).
In definitiva, l’intervento in questione si atteggia come prosecuzione di una pratica di trasferimento diretto di risorse dal bilancio dello Stato ai Comuni per scopi determinati dalla legge statale, in base a criteri stabiliti, nell’ambito della stessa legge, dall’amministrazione dello Stato: pratica che ha trovato nel passato frequente impiego (…) ma che risulta oggi del tutto estranea al quadro costituzionale delineato dal nuovo articolo 119 della Costituzione”.
È, tuttavia, fuor di dubbio che, allo stato attuale della legislazione, non esiste alternativa diversa al procedimento tipico previsto dalla riferita disposizione che, dunque, si atteggia a parametro normativo tassativo e inderogabile.
IN ORDINE AL SECONDO ARGOMENTO
4. LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL D.P.R. N. 115 DEL 2002.
Il d.P.R. n. 115 del 2002, relativo alle spese di giustizia, contiene le seguenti disposizioni.
“Il magistrato che cura l’esecuzione di sentenze recanti ordine di, o aventi ad oggetto la, demolizione di opere abusive e di riduzione in pristino dello stato dei luoghi chiede, tramite i provveditorati alle opere pubbliche, l’intervento delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, o affida l’incarico ad imprese private, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, quando reputa più oneroso, sulla base di valutazioni oggettive, l’intervento delle prime” (art. 61).
“Con apposita convenzione organizzativa fra il Ministero della giustizia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della difesa sono disciplinate le procedure per l’intervento delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa e per la quantificazione preventiva e successiva delle spese, nonché gli eventuali acconti e le necessarie regolazioni contabili, anche con riferimento all’esito dell’eventuale recupero delle spese nei confronti del soggetto obbligato” (art. 62).
“L’importo da corrispondere alle imprese private cui è affidato l’incarico è determinato utilizzando come parametro di riferimento, anche in analogia, il prezzario per le opere edili e impiantistiche dei provveditorati alle opere pubbliche delle Regioni. L’importo da corrispondere alle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa è quello risultante ai sensi della convenzione di cui all’articolo 62” (art. 63).
“La liquidazione dell’importo dovuto alle imprese private o alle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, che hanno eseguito la demolizione di opere abusive e di riduzione in pristino dei luoghi, è effettuata con decreto di pagamento motivato dal magistrato che procede.
Il decreto di pagamento alle imprese private è comunicato al beneficiario e alle parti processuali, compreso il pubblico ministero” (art. 169).
5. LA CONVENZIONE INTERMINISTERIALE DEL 15 DICEMBRE 2005.
Tale convenzione contiene, all’art. 1, le definizioni della espressione “demolizione di opera abusiva”, individuata nell’attività diretta all’abbattimento totale o parziale dei volumi edilizi e di ogni altro manufatto realizzato in violazione delle norme urbanistico-edilizie, in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice, ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, e dell’espressione “rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi”, individuata nell’attività diretta alla rimozione totale o parziale delle opere e di ogni altro manufatto realizzato su beni paesaggistici, nonché al ripristino delle condizioni preesistenti la violazione, in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice, ai sensi dell’art. 181, comma 2, del d.lgs n. 42 del 2004.
In entrambi i casi, la convenzione esclude, tuttavia, dalle attività le operazioni di sgombero delle macerie e, comunque, tutte le altre attività estranee alle competenze tecniche delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa (art. 1).
Il magistrato che cura l’esecuzione delle sentenze contenenti l’ordine di demolizione o di riduzione in ripristino, una volta che abbia reputato più oneroso, ovvero oggettivamente impossibile, affidare l’incarico ad imprese private, deve richiedere l’intervento delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, trasmettendo la relativa richiesta, con allegata documentazione tecnica, al Servizio integrato delle infrastrutture e trasporti (c.d. Siit), competente per territorio in relazione alla località in cui si trovano le opere da demolire o il luogo da ridurre in pristino; tale domanda va, altresì, inviata per conoscenza al Ministero della difesa (art. 4).
La richiesta deve anche espressamente contenere la clausola liberatoria a favore dell’amministrazione della difesa e del personale dell’unità tecnico-operativa, per i danni occasionali eventualmente arrecati alle cose e alle infrastrutture, anche di terzi o, comunque, non espressamente oggetto dell’intervento di demolizione (art. 6, comma 8).
Il Siit, entro trenta giorni dal ricevimento della predetta richiesta, la trasmette al Ministero della difesa unitamente alle proprie eventuali osservazioni tecniche sulle modalità di esecuzione dell’intervento e ad ogni altra informazione utile (art. 5).
Il Ministero della difesa, quindi, una volta ricevuta la richiesta di intervento dal Siit, corredata dalle eventuali osservazioni tecniche, promuove le necessarie attività ricognitive, anche presso le amministrazioni locali competenti, e trasmette al magistrato richiedente, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta stessa, un parere motivato sulla fattibilità tecnico-operativa dell’intervento, indicandone i relativi costi, il tempo necessario ed ogni altro elemento reputato utile per la sua esecuzione (art. 5).
Il magistrato richiedente, valutato il parere di fattibilità, se ritiene che l’intervento sia conveniente dal punto di vista economico, ne dà comunicazione per iscritto al Ministero della difesa, al Siit competente per territorio, nonché al prefetto della provincia e al sindaco del comune dove l’intervento deve essere eseguito (art. 6, comma 1).
Il Ministero della difesa, quindi, ricevuta la conferma dell’incarico, individua senza ritardo l’unità competente all’esecuzione dell’intervento e affida ad essa l’incarico (art. 6, comma 2).
Una volta iniziata l’attività, il magistrato adotta ogni provvedimento necessario al fine di risolvere eventuali difficoltà operative: egli può addirittura sospendere, nei casi urgenti, le operazioni e deve, in ogni caso, attraverso la polizia giudiziaria e d’intesa con il prefetto competente per territorio, predisporre le misure necessarie per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica (art. 6, commi 5 e 6).
6. IL GIUDIZIO COMPARATIVO SUI COSTI.
L’intervento del Ministero della difesa può essere richiesto soltanto allorché l’affidamento dell’incarico alle imprese private si presenti oggettivamente più oneroso ovvero impossibile (art. 4).
Orbene, ai fini di questa valutazione di economicità, il magistrato deve fare riferimento al capitolato dei lavori di demolizione delle opere abusive che entro il giorno 31 ottobre di ogni anno il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero della difesa, deve predisporre e trasmettere al Ministero della giustizia per l’ulteriore divulgazione a tutti gli uffici giudiziari (art. 3, commi 1 e 3).
La convenzione, tuttavia, fa salvi eventuali costi aggiuntivi derivanti dalla particolarità del singolo intervento (art. 3, comma 2).
Allo stato, ai fini di tale giudizio comparativo, deve tenersi conto solo del capitolato applicabile ratione temporis, oltre che del prezzario delle opere pubbliche approvato dalle regioni.
7. LA COPERTURA FINANZIARIA.
Il fondo cui occorre attingere per il finanziamento delle attività di demolizione delle opere abusive (non per quelle di riduzione in pristino dello stato dei luoghi) è, come sopra sottolineato, quello istituito presso la Cassa depositi e prestiti s.p.a dall’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, convertito – come detto – nella legge n. 326 del 2003, destinato ad anticipazioni da concedere senza interessi sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall’autorità giudiziaria.
Al fine di poter utilizzare il predetto fondo, la convenzione (art. 7) prevede che, successivamente alla emissione del decreto di pagamento la parte del magistrato (ex art. 169 del testo unico), l’ufficio che ne cura materialmente l’emissione debba, ai sensi dell’art. 7, comma 5, sospendere la compilazione dell’apposito modello previsto dall’art. 167 del testo unico (quest’ultimo consente al beneficiario di poter ottenere immediatamente il denaro, recandosi presso l’ufficio postale deputato ad anticipare i fondi del capitolo di bilancio del Ministero della giustizia relativo alle spese di giustizia).
Quindi, la cancelleria, decorso il termine per l’opposizione di pagamento o, in caso di opposizione, rigettata l’eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria, comunica il decreto di pagamento, unitamente al provvedimento di demolizione, al comune del luogo dove l’intervento deve essere eseguito e alla Cassa depositi e prestiti s.p.a., ai fini della concessione del finanziamento (art. 7, comma 6).
In caso di concessione, totale o parziale del finanziamento, l’ufficio che dispone il pagamento ne dà comunicazione all’amministrazione della difesa e la autorizza ad avvalersene presso il comune interessato (art. 7, comma 8).
L’amministrazione della difesa, ottenuto il pagamento, ne dà (…) comunicazione all’ufficio giudiziario (art. 7, comma 9).
Nell’ipotesi in cui il finanziamento in tutto o in parte non sia concesso, ovvero nell’ipotesi in cui l’intervento concerna la riduzione in pristino, l’ufficio che dispone il pagamento avvia l’ordinaria procedura di pagamento prevista dal testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, attingendo al capitolo di bilancio relativo alle spese di giustizia (art. 7, commi 3 e 10).
8. LE CIRCOLARI DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.P.A. REGOLANTI LA MATERIA.
La disciplina per l’accesso al fondo per le demolizioni è stata dettata da due circolari della Cassa depositi e prestiti s.p.a., la prima in data 28 ottobre 2004, n. 1254, la seconda in data 2 febbraio 2006, n. 1264, che ha aggiornato la procedura istruttoria del fondo, in particolare in ordine alla fase della concessione.
I punti essenziali sono i seguenti.
1. Possono accedere al finanziamento solo i comuni, nel cui ambito territoriale si è realizzata l’opera abusiva, oggetto di un provvedimento di demolizione.
2. Sono ammessi al finanziamento esclusivamente i costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive, nonché le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse.
3. Il finanziamento consiste in un’anticipazione, senza interessi, a valere sulle risorse del Fondo, che ha natura rotativa.
4. A garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di anticipazione, il comune rilascia, per tutta la durata dell’anticipazione, delegazione di pagamento irrevocabile e pro solvendo a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 206 del Testo Unico, relativo all’esercizio nel quale è stato previsto il ricorso all’anticipazione.
5. Il comune si obbliga a rimborsare l’importo dell’anticipazione e a pagare la spesa di gestione del fondo in un’unica soluzione entro 60 (sessanta) giorni dalla data di effettiva riscossione delle somme a carico degli esecutori degli abusi.
6. Il comune si obbliga a rispettare tale termine anche nel caso in cui la riscossione sia effettuata da parte di altra autorità competente.
7. Il comune è, comunque, obbligato a rimborsare l’importo dell’anticipazione e a pagare la spesa di gestione del fondo, entro e non oltre il termine massimo di rimborso (cinque anni).
8. Il comune si obbliga ad effettuare sul bilancio pluriennale l’impegno di spesa relativo alle somme occorrenti al rimborso della somma anticipata e al pagamento della spesa di gestione del fondo.
9. In caso di mancato rimborso dell’anticipazione nel termine massimo di rimborso, il Ministro dell’Interno provvederà, ai sensi dell’articolo 1 del D.M. 23 luglio 2004, alla restituzione delle somme anticipate, unitamente alla corrispondente quota delle spese di gestione del fondo ed agli interessi di mora, calcolati al saggio di interesse legale, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine sino a comprendere quello dell’effettivo versamento, trattenendo le relative somme dai fondi del bilancio dello Stato da trasferire a qualsiasi titolo al comune inadempiente, ivi comprese le quote annuali a questo spettanti a titolo di compartecipazione al gettito IRPEF in sostituzione dei trasferimenti erariali. Resta fermo che, in caso di insufficienza dei trasferimenti erariali, il comune è obbligato al rimborso per la parte non trattenuta dal Ministero.
10. In caso di inadempimento, il contratto di anticipazione sarà risolto e il comune dovrà, entro 15 giorni dalla richiesta della Cassa, rimborsare l’importo erogato maggiorato dalla spesa di gestione del fondo e degli eventuali interessi di mora fino al giorno dell’effettivo pagamento, nonché un importo pari allo 0,125% della somma anticipata.
9. IL CONCETTO DI INDEBITAMENTO E IL DIVIETO A CARICO DEI COMUNI “DISSESTATI” DI CONTRARRE MUTUI.
Così ricostruiti l’originario quadro normativo e i principi cardine fissati dalle circolari successivamente intervenute, occorre subito precisare che la questione esaminata attiene fondamentalmente alla materia della “contabilità pubblica”, in quanto volta a definire la classificazione nel bilancio comunale delle risorse finanziarie provenienti dal “fondo per la demolizione delle opere abusive presso la Cassa Depositi e Prestiti” in relazione all’osservanza delle norme sul c.d. patto di stabilità e sul ricorso all’indebitamento.
In ordine alla natura della risorsa ed alla sua allocazione in bilancio, appare opportuno richiamare in primo luogo la delibera n. 76/2013/SRCPIE/PAR della Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per il Piemonte, del 9 aprile 2013, nella quale leggesi quanto segue.
”Come è noto, l’art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, ha introdotto nell’ordinamento nuove «misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonchè per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali».
Nell’ambito di tali misure, il comma 12 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti s.p.a. a costituire un fondo di rotazione dell’importo massimo di 50 milioni di euro, denominato “Fondo per le demolizioni delle opere abusive”, finalizzato, come già detto, a concedere ai comuni anticipazioni, senza interessi, per finanziare i costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive .
Con decreto del 23 luglio 2004, registrato dalla Corte dei Conti il 6 agosto 2004 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218 del 16 settembre 2004, il Ministro dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha stabilito le modalità e le condizioni di rimborso delle anticipazioni da parte dei comuni, definendo, altresì, gli impegni accessori assunti dallo Stato in relazione alla costituzione e gestione del Fondo da parte della Cassa depositi e prestiti s.p.a.
In base a quanto previsto dal citato decreto, le somme erogate in anticipazione, unitamente alla corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo, pari allo 0,1 per cento in ragione d’anno sul capitale erogato, devono essere rimborsate dai comuni alla Cassa depositi e prestiti s.p.a. entro 60 giorni dall’effettivo recupero delle stesse che, ovviamente, sono a carico dei responsabili degli abusi.
Peraltro, trascorsi cinque anni dalla data di concessione dell’anticipazione, se anche non ha recuperato gli importi spesi per la demolizione, il comune deve provvedere alla restituzione alla Cassa depositi e prestiti s.p.a. dell’importo ricevuto, come esplicitamente previsto dal comma 12 del citato art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.
La mancata restituzione al termine del quinquennio comporta l’applicazione degli interessi di mora, calcolati al saggio di interesse legale, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine sino a quello dell’effettivo versamento.
In questo caso, la Cassa depositi e prestiti s.p.a., entro i 60 giorni successivi alla scadenza del termine, informa il Ministero dell’Interno, che provvede alla restituzione delle somme anticipate, unitamente alla corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo ed agli interessi di mora, trattenendo l’importo versato dai fondi del bilancio dello Stato da trasferire a qualsiasi titolo al comune inadempiente.
La Cassa depositi e prestiti s.p.a. ha disciplinato il funzionamento del Fondo prevedendo la procedura di accesso, le modalità di erogazione delle somme, il testo del contratto che deve essere sottoscritto da tutti i soggetti richiedenti e l’obbligo del rilascio da parte del comune richiedente di una apposita Delegazione di pagamento irrevocabile e pro solvendo a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale, come previsto dall’art. 206 del TUEL), relativo all’esercizio nel quale è stato previsto il ricorso all’anticipazione (Circolari 28 ottobre 2004, n. 1254; 2 febbraio 2006, n. 1264 e 22 settembre 2010, n. 1279).
L’esame delle disposizioni normative che regolamentano la costituzione e le modalità di utilizzazione da parte dei comuni del “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” (comma 12 dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e D.M. Economia e finanze 23 luglio 2004, pubblicato in G.U. n. 218 del 16 settembre 2004) evidenziano la natura del Fondo quale strumento di finanziamento per le Amministrazioni locali che sono tenute alla restituzione di quanto ricevuto dalla Cassa depositi e prestiti s.p.a. indipendentemente dalla circostanza che abbiano recuperato o meno le somme necessarie per la demolizione dell’opera abusiva.
Qualora non provvedano direttamente, il Ministero dell’Interno deve effettuare il versamento alla Cassa depositi e prestiti s.p.a. e, successivamente, trattenere l’importo, comprensivo delle spese, da ogni trasferimento di pertinenza degli Enti locali inadempienti.
La natura di anticipazione e l’obbligo di restituzione, sia pure in assenza di interessi, implica che le somme del “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” erogate dalla Cassa depositi e prestiti s.p.a. rientrino fra le forme di indebitamento alle quali possono ricorrere gli Enti locali ai sensi dell’art. 202 del TUEL.
A questa conclusione, peraltro, è giunta anche la Cassa depositi e prestiti s.p.a., che, nell’ambito della disciplina contrattuale alla quale subordina l’accesso al fondo, prevede il rilascio da parte degli Enti locali della Delegazione di Pagamento irrevocabile e pro solvendo a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale, prevista dall’art. 206 del TUEL, quale garanzia del pagamento delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti.
Conseguentemente, le risorse che provengono dal “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” non possono essere considerate alla stregua di “trasferimenti di capitale da altri enti del settore pubblico” poiché si tratta di un finanziamento avente una specifica destinazione, con obbligo irrevocabile di restituzione.
Le risorse provenienti dal “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” devono essere allocate, quindi, al Titolo V dell’entrata e in relazione al loro utilizzo si applicano tutte le disposizioni in materia di indebitamento e di Patto di stabilità interno attualmente previste.
Infine, è opportuno precisare che, gravando sull’Ente locale l’obbligo di restituzione delle somme ricevute in anticipazione dalla Cassa, il comune deve tenere conto dell’obbligo all’interno della sua contabilità prevedendo l’impegno alla restituzione, finanziato con le risorse che è tenuto a recuperare dal responsabile dell’abuso ovvero, in caso di incapienza o di impossibilità, con fondi propri.
Da ciò consegue che, dovendosi qualificare l’eventuale ricorso al Fondo di cui all’art. 32, comma 12, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, come una vera e propria forma di indebitamento, per come sopra specificato, esso deve ritenersi precluso in presenza dell’avvenuta attivazione della procedura di riequilibrio di cui all’art. 243 bis del T.U. n. 267/2000”.
Vi è da dire che ad identiche conclusioni, sul punto, era pervenuta poco prima anche la Corte dei Conti, Sezioni Riunite per la Regione Siciliana, in sede consultiva, nella delibera n. 14/2013/SS.RR./PAR del 4 marzo 2013, che aveva motivato, in ordine al divieto di contrarre mutui per acquisire la provvista finanziaria atta a garantire copertura ai costi delle demolizioni giudiziali, nei termini appresso indicati.
“L’art. 32, comma 12, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, ha previsto l’istituzione di un Fondo di rotazione, denominato Fondo per le demolizioni delle opere abusive, per la concessione ai comuni ed ai soggetti titolari dei poteri di cui all’articolo 27, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, anche avvalendosi delle modalità di cui all’articolo 2, comma 55, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ed all’articolo 41, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive, anche disposti dall’autorità giudiziaria, e per le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse. Le anticipazioni, comprensive della corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo, sono restituite al Fondo stesso in un periodo massimo di cinque anni, secondo modalità e condizioni stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi. In caso di mancato pagamento spontaneo del credito, l’amministrazione comunale provvede alla riscossione mediante ruolo ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46. Qualora le somme anticipate non siano rimborsate nei tempi e nelle modalità stabilite, il Ministro dell’interno provvede al reintregro alla Cassa depositi e prestiti, trattenendone le relative somme dai fondi del bilancio dello Stato da trasferire a qualsiasi titolo ai comuni.
Per i comuni, ai sensi dell’art. 3, comma 17, della legge n. 350/2003, costituiscono indebitamento, agli effetti dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, l’assunzione di mutui, l’emissione di prestiti obbligazionari, le cartolarizzazioni di flussi futuri di entrata e le cartolarizzazioni con corrispettivo iniziale inferiore all’85 per cento del prezzo di mercato dell’attività oggetto di cartolarizzazione valutato da un’unità indipendente e specializzata, nonché le operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche nonché, sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate, nonché l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate. Non costituiscono indebitamento, agli effetti del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali é già prevista idonea copertura di bilancio.
Orbene, la disposizione sopra richiamata, ancorché offra una definizione di indebitamento espressamente limitata, quanto agli effetti, all’ambito di applicazione di cui all’art. 119 Cost. e, quindi, estranea al profilo che qui ci occupa, fornisce, tuttavia, un elemento esegetico che consente di escludere che l’elencazione ivi riportata possa considerarsi tassativa in senso negativo, cioè atta ad escludere dal concetto di indebitamento tutti gli istituti giuridici ivi non elencati.
La circostanza che il legislatore abbia sentito l’esigenza, all’ultimo periodo, di precisare che non costituiscono indebitamento, agli effetti del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali é già prevista idonea copertura di bilancio, è un chiaro indice di non esaustività dell’elencazione ivi contenuta, per cui costituiscono sicuramente indebitamento le forme di finanziamento ivi indicate, ma anche tutte quelle altre che, ancorché nominativamente non specificate, comportino comunque l’acquisizione di risorse aggiuntive e di effettuare spese per le quali non é già prevista idonea copertura di bilancio.
Tale interpretazione del concetto di indebitamento, ancorché dettata ai fini di cui all’art. 119 Cost., ad avviso del Collegio appare del tutto estensibile alla generalità degli istituti giuridici nei quali si faccia riferimento ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, che è, poi, la ratio ispiratrice dell’art. 119 Cost.
L’accesso al Fondo di rotazione che qui ci occupa, realizza, come di tutta evidenza, un’operazione che comporta l’acquisizione di risorse aggiuntive, per effettuare spese per le quali non é già prevista idonea copertura di bilancio.
Tale operazione, esente da corresponsione di interessi passivi ma gravata di una quota delle spese di gestione del Fondo, fa sorgere un’obbligazione debitoria a carico del Comune, suscettibile di esecuzione per compensazione da parte del Ministero dell’Interno, a carico di qualsiasi altro trasferimento a favore degli enti locali previsto dalla legge, che prescinde dall’effettivo recupero di tali somme, da parte dell’ente locale, in danno dei soggetti obbligati alla demolizione.
Orbene, l’art. 243 bis del T.U. n. 267/2000, al comma 9, lettera d), prevede, per gli enti locali che abbiano fatto ricorso alla procedura di riequilibrio ivi disciplinata, il blocco dell’indebitamento, fatto salvo quanto previsto dal primo periodo del comma 8, lettera g, dello stesso articolo, per i soli mutui connessi alla copertura di debiti fuori bilancio pregressi.
Da ciò consegue che, dovendosi qualificare l’eventuale ricorso al Fondo di cui all’art. 32, comma 12, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, come una vera e propria forma di indebitamento, per come sopra specificato, esso deve ritenersi precluso in presenza dell’avvenuta attivazione della procedura di riequilibrio di cui all’art. 243 bis, del T.U. n. 267/2000”.
Dal complesso delle disposizioni sopra riportate si ricava, dunque, che l’adesione al fondo rotativo comporta un indebitamento (e giammai un investimento) finalizzato al finanziamento di una spesa ricorrente, priva di autonoma copertura finanziaria.
È, infatti, fuor di dubbio che la eventuale copertura finanziaria occorrente per la esecuzione di ordini giudiziali di demolizione (spesa corrente ripetitiva) abbia natura di entrata a carattere non ricorrente.
Infatti, il recupero delle somme dal condannato-esecutato è assolutamente incerto ed occasionale, essendo condizionato dalla concreta solvibilità di quest’ultimo, come si verifica, ad es., per le altre entrate classificate come a carattere non ricorrente, quali le sanzioni originate da violazione del codice della strada, gli oneri concessori, le entrate conseguenti al recupero dell’evasione contributiva, ecc.
Le suesposte considerazioni sono – a ben vedere – ulteriormente rafforzate anche dall’inequivoco tenore della già citata circolare della Cassa depositi e prestiti n. 1264, nella quale si sottolinea, fra l’altro, che, per ottenere l’affidamento, il comune deve presentare apposita dichiarazione con cui attesti ”il rispetto delle vigenti disposizioni in materia di indebitamento”.
Per completezza espositiva, va ancora evidenziato che il T.U. n. 267 del 2000, agli articoli 202 e 203, disciplina compiutamente i casi in cui è ammesso il ricorso all’indebitamento e le condizioni che devono ricorrere per l’attivazione delle fonti di finanziamento, sia che l’ente si rivolga alla Cassa Depositi e Prestiti sia che si rivolga al sistema bancario, sia, infine, se opti per l’emissione di titoli obbligazionari.
Di seguito l’elencazione dei principi più significativi:
A) Il ricorso all’indebitamento è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia (cioè a dire principalmente per l’accensione di mutui e per l’emissione di prestiti obbligazionari) e per la realizzazione di investimenti.
La regola in base alla quale l’indebitamento è esclusivamente finalizzato alla realizzazione degli investimenti è stata trasformata in principio costituzionale dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 che ha riscritto l’articolo 119 della Costituzione.
Conseguenza di questo principio è stata la eliminazione dell’unica eccezione prevista dal T.U. n. 267 del 2000, secondo la quale il ricorso all’indebitamento poteva essere effettuato anche per il finanziamento di debiti fuori bilancio che scaturivano da spese correnti.
Si trattava, in sostanza, della possibilità di coprire spese correnti con l’attivazione di mutui, al fine di favorire l’avvio della procedura di risanamento dell’ente locale che si trovava in grave situazioni di dissesto economico.
In realtà, dalla data di entrata della legge costituzionale n. 3 del 2001 (8 novembre 2001), con l’assunzione di prestiti è possibile finanziare i soli debiti fuori bilancio che scaturiscono da spese di investimento.
B) Le entrate relative al ricorso all’indebitamento hanno destinazione vincolata.
Di per sé il vincolo di destinazione impresso ad un’entrata comporta semplicemente che questa non può essere distolta dall’impiego cui è destinata: ciò implica che, per ciascuna entrata vincolata, è necessario iscrivere in bilancio uno stanziamento di spesa corrispondente, sia per ammontare che per destinazione, la qualcosa significa ovviamente anche che le economie eventualmente prodottesi su questi stanziamenti di spesa non devono confluire nei risultati differenziali dell’esercizio o, quanto meno, devono restare distinti nell’ambito di tali risultati.
Per garantire tutto questo l’articolo 183, comma 5, del T.U., tra i vari accorgimenti tecnici disponibili, ha utilizzato il sistema dei residui di stanziamento, per cui le spese finanziate con l’indebitamento si devono ritenere comunque impegnate a seguito dell’accertamento delle relative entrate.
Altre conseguenze possono derivare dal vincolo di destinazione.
In particolare, vi può essere il divieto di attivare la spesa prima che sia stata realizzata l’entrata, oppure l’obbligo di utilizzare la liquidità prodotta da tali entrate soltanto per effettuare il pagamento delle corrispondenti spese.
Il primo dei due vincoli era previsto dall’articolo 253 del T.U.L.C.P. del 1934 (R.D. n. 383 del 1934), successivamente abrogato dall’articolo 64 della legge n. 142 del 1990, e, nonostante questo vincolo non sia espressamente richiamato dal T.U. n. 267 del 2000, è alla base del modo in cui è definito dall’articolo 153, comma 5, il rilascio dell’attestazione di copertura finanziaria di competenza del responsabile del servizio finanziario.
Anche il secondo vincolo, pur non essendo espressamente previsto, viene presupposto dal T.U. allorché l’articolo 195 consente, a certe condizioni, di derogarvi.
Nel dettaglio, la norma consente agli enti locali, ad eccezione di quelli in stato di dissesto, l’utilizzo in termini di cassa delle entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento delle spese correnti, anche se provenienti dall’assunzione di mutui, per un importo non superiore all’anticipazione di tesoreria disponibile e con l’obbligo della immediata loro integrazione con i primi introiti non soggetti a particolari destinazioni.
C) È possibile ricorrere all’indebitamento soltanto se è stato approvato il rendiconto dell’esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si intende deliberare il ricorso e se è avvenuta la deliberazione del bilancio annuale nel quale sono state incluse le relative previsioni.
Le motivazioni sono le seguenti: attraverso il rendiconto è possibile – da un lato – determinare la capacità di indebitamento dell’ente locale (articolo 204, comma 1, del T.U.) e – dall’altro – di poter constatare la possibilità di emettere mutui o prestiti obbligazionari sulla base del risultato di amministrazione accertato (articolo 191, comma 5, del T.U. e articolo 35 della legge n. 724 del 1994).
Attraverso il bilancio di previsione, invece, l’ente locale formalizza non solo la previsione delle spese di investimento e delle relative fonti di finanziamento, ma ne autorizza altresì la gestione a favore dei dirigenti.
D) Nell’eventualità che si vogliano attuare nuovi investimenti diversi da quelli già previsti, è reso obbligatorio per l’organo consiliare variare il bilancio annuale, il bilancio pluriennale e la relazione previsionale e programmatica.
Tale obbligo è la dimostrazione del principio di integrità e coerenza che accomuna il sistema dei bilanci e che è condizione essenziale per assicurare allo stesso attendibilità ed efficacia informativa.
10. ANCORA IN TEMA DI ADESIONE AL FONDO ROTATIVO. IL RESOCONTO FINALE DELLA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE ARCONET DEL 13 APRILE 2016.
Particolarmente rilevante al fine di sgomberare ogni residuo dubbio in ordine alla effettiva natura della entrata proveniente dall’adesione al fondo rotativo è anche il parere espresso, in data 13 aprile 2016, dalla commissione ARCONET (Armonizzazione Contabile degli Enti Territoriali) di cui all’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 118 del 2011 corretto e integrato dal decreto legislativo n. 126 del 2014.
In risposta ad apposito quesito delle regioni concernente la contabilizzazione dei movimenti relativi ai fondi rotativi e, più specificamente, le corrette modalità di iscrizione e accertamento/impegno sia nelle scritture dell’ente erogante che in quelle dell’ente beneficiario, anche alla luce del nuovo vincolo del pareggio finale di competenza previsto dalla legge n. 208 del 2015, la Commissione ha confermato che, ”per l’ente che eroga le risorse dei fondi di rotazione, la spesa è una concessione di crediti, da classificare a breve, medio o lungo termine a seconda dei tempi previsti per il rimborso, mentre la correlata entrata è una riscossione di crediti, da classificare a breve, medio, o lungo termine, in coerenza con la correlata operazione di concessione crediti, da imputare all’esercizio in cui è contrattualmente prevista la restituzione del finanziamento”.
In proposito, la Commissione ha anche richiamato quanto previsto dal principio di contabilità finanziaria secondo cui le concessioni di credito possono essere costituite:
– da anticipazioni di liquidità nei confronti dei propri enti ed organismi strumentali e delle proprie società controllate o partecipate (da estinguere entro un anno e non rinnovabili);
– dalla concessione di finanziamenti nei casi espressamente previsti dalla legge (compresi i fondi di rotazione).
Come è noto, non costituiscono concessione di crediti le anticipazioni in conto trasferimenti e le concessioni di credito a fondo perduto, che sono imputate contabilmente tra i trasferimenti.
Le concessioni di credito sono caratterizzate dall’obbligo di rimborso sulla base di un apposito piano finanziario che deve essere previsto dalla delibera di concessione del finanziamento.
Nel caso di concessioni di liquidità, l’impegno di spesa ed il corrispondente accertamento di entrata (tra le riscossioni di crediti) sono imputati al medesimo esercizio.
Le concessioni di finanziamento sono impegnate nell’esercizio finanziario in cui viene adottato l’atto amministrativo di concessione del finanziamento.
Nel caso in cui l’atto amministrativo preveda espressamente le modalità temporali e le scadenze in cui il finanziamento è erogato, l’impegno è imputato negli esercizi in cui l’obbligazione viene a scadenza.
L’amministrazione pubblica ricevente rileverà, in tal caso, l’accertamento di entrata riferito al prestito e ad esso saranno correlate le obbligazioni giuridiche passive che scadono nell’esercizio di riferimento correlate al finanziamento o la creazione del fondo vincolato da trasferire ai futuri esercizi (nel caso di progetti specifici finanziati da finanziamenti finalizzati).
L’ente erogatore del finanziamento accerterà le entrate per riscossione di crediti imputandole ai rispettivi esercizi sulla base della scadenza dell’obbligazione giuridica attiva risultante dal piano finanziario.
L’amministrazione beneficiaria del fondo di rotazione classificherà, poi, l’entrata tra le operazioni di accensione di prestiti, e, a seguito dell’effettiva erogazione del finanziamento o della messa a disposizione del finanziamento, saranno registrati gli impegni riguardanti la spesa per rimborso prestiti (quota capitale dei prestiti contratti dall’ente) e per interessi, con imputazione agli esercizi in cui vengono a scadenza le obbligazioni giuridiche passive corrispondenti alla rata di ammortamento annuale.
In generale – per la Commissione ARCONET – le entrate erogate da un altro soggetto, pubblico o privato, a titolo di “concessione di credito”, che presentano l’obbligo di rimborso, anche in assenza di oneri finanziari, costituiscono, per il beneficiario, “una accensione di prestiti”, e la spesa correlata è contabilizzata tra i rimborsi prestiti.
La registrazione di entrate tra le riscossioni di crediti da parte di un ente presuppone, peraltro, l’esistenza della precedente registrazione dell’operazione di “concessione di crediti” da parte dell’ente stesso.
In assenza di una precedente registrazione di una propria spesa per concessione di crediti, l’eventuale registrazione di entrate tra le riscossioni di crediti non può essere ritenuta corretta e si configura come un’elusione dei vincoli di finanza pubblica.
Il parere ARCONET è di estremo interesse in quanto le regioni proponevano la registrazione della sola riscossione del credito, obliterando completamente la fase relativa alla erogazione del finanziamento (accensione del mutuo), la qualcosa avrebbe certamente contribuito a falsare le risultanze del modello di certificazione del pareggio di bilancio.
Non a caso, nel predetto parere, tale operazione viene bocciata, traducendosi, con ogni evidenza, in una elusione dei vincoli di finanza pubblica.
11. CONCLUSIONI
Così ricostruito l’orientamento della giurisprudenza penale e amministrativa alla luce della normativa vigente in materia, possono trarsi, in relazione agli argomenti trattati, le seguenti conclusioni.
1. Il comune, essendo incompetente a dare esecuzione ad un giudicato penale contenente un ordine di demolizione per opere edili abusive ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, non può imputare al proprio bilancio la provvista finanziaria necessaria per la copertura delle relative spese.
2. Essendo chiara l’esegesi, anche di matrice contabile-erariale, delle norme scrutinate, al comune, laddove dichiarato dissestato, è preclusa, sino al ritorno in bonis, l’attivazione del fondo rotativo per le demolizioni giudiziali o amministrative, trattandosi di operazione comportante risorse aggiuntive e spese per le quali non è prevista alcuna copertura certa in bilancio: operazione che non può affatto qualificarsi come “partita di giro”, equivalendo, a fronte di un recupero solo aleatorio, a vero e proprio indebitamento suscettibile di alimentare, in futuro, le condizioni di una nuova crisi finanziaria che il comune stesso, mediante la procedura di risanamento, è obbligato ad evitare.
Si è, d’altronde, chiarito che la natura di anticipazione e l’obbligo di restituzione, sia pure in assenza di interessi, implica, comunque, che le somme del “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” erogate dalla Cassa depositi e prestiti s.p.a. rientrino fra le forme di indebitamento di cui all’art. 202 del T.U. n. 267 del 2000.
Del medesimo avviso è, peraltro, anche la Cassa depositi e prestiti che, nell’ambito della disciplina contrattuale alla quale subordina l’accesso al fondo, prevede il rilascio da parte degli Enti locali della Delegazione di Pagamento irrevocabile e pro solvendo a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale, prevista dall’art. 206 del citato T.U. quale garanzia del pagamento delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti.
Conseguentemente, le risorse che provengono dal “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” non possono essere considerate alla stregua di “trasferimenti di capitale da altri enti del settore pubblico”, poiché danno luogo a un finanziamento avente una specifica destinazione, con obbligo irrevocabile di restituzione, la cui copertura – lo si ripete – non è assolutamente garantita, essendo il recupero delle somme dal condannato-esecutato incerto ed occasionale, condizionato dalla concreta solvibilità di quest’ultimo.
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