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LE PRINCIPALI NOVITA’ DELLA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA 2014/24/UE IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI NEI SETTORI ORDINARI.
 
 
di Sara Morosi
 
 
 
Sommario: 1. Il processo di recepimento delle direttive europee: verso un nuovo unico codice dei contratti pubblici. Il divieto di gold plating. 2. Il favor per le piccole e medie imprese (PMI). 3. Le procedure di scelta del contraente tra vecchia e nuova disciplina. 4. I nuovi motivi di esclusione. 5. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il miglior rapporto qualità/prezzo. 6. Conclusioni.
 
 
 

1. Il processo di recepimento delle direttive europee: verso un nuovo unico codice dei contratti pubblici. Il divieto di gold plating.
 
Come è noto, il 26 febbraio 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, con la quale è stata abrogata la precedente direttiva 2004/18/CE vigente in materia. Invero, il processo di riforma in tema di contratti pubblici ha più ampia portata, riguardando tutti gli ambiti di contrattazione pubblica, sia i settori ordinari, che quelli speciali, che le concessioni pubbliche, regolati questi ultimi rispettivamente dalle direttive 2014/25/UE e 2014/23/UE. Il triplice intervento legislativo si inserisce perfettamente nel quadro della strategia Europa 2020[1] [2] che l’ Unione europea ha annunciato di voler sostenere: maggior coinvolgimento per le piccole e medie imprese (PMI), maggiore tutela della concorrenza e dell’ambiente, più garanzie sociali e sul lavoro, promozione dell’innovazione[3], il tutto in vista della realizzazione di una “crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva”[4]. Pende, così, sugli Stati membri l’obbligo di recepire e fare proprie le tre direttive entro e non oltre il 18 aprile 2016[5]. Risale a qualche settimana fa, inoltre, la notizia dell’approvazione in via definitiva al Senato del disegno di legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 relativo al recepimento di detti provvedimenti. In questa sede si procederà ad esaminare alcune delle più importanti novità introdotte dalla direttiva sui contratti pubblici nei settori ordinari.
 
Prima, tuttavia, di sviscerarne il contenuto, occorre fare una premessa. Analizzando la direttiva 2014/24/UE, il primo dato da evidenziare è la sua struttura: essa si compone di 94 articoli, 15 allegati e 138 considerando, a fronte degli 84 articoli, 12 allegati e 54 considerando della vecchia direttiva: ciò dimostra l’enorme valore della manovra europea, che si traduce in un intervento profondamente rinnovatore e riformatore della materia, e non meramente correttivo o di aggiornamento. Se si considera, poi, il naturale proliferare di questi articoli in sede di recepimento (taluni dei considerando apportano un contributo particolarmente rilevante e non semplicemente chiarificatore o di contorno, così che dovranno essere trasfusi in vere e proprie norme), si può avere la contezza della portata dell’operazione. Il lavoro cui è chiamato il nostro legislatore è tanto arduo quanto nodale, dovendo egli conciliare da un lato le esigenze di chiarezza, snellezza ed efficacia cui si ispira la ratio della direttiva, decretando il superamento di una regolamentazione eccessivamente specifica e di dettaglio che ha reso pesante e farraginosa l’intera macchina della contrattazione pubblica, e dall’altro dovendo adempiere all’urgenza di razionalizzare e riordinare il quadro normativo[6]. Tutto ciò, in realtà, si combina perfettamente con il divieto di gold plating [7] [8] menzionato dal legislatore europeo, secondo il quale negli atti di recepimento delle nuove direttive non devono essere introdotti livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse[9]. Questo per evitare che gli Stati membri nella propria normativa introducano regole che possano comportare maggiori costi ed oneri, sia amministrativi che economici, per le imprese e i cittadini, ulteriori a quelli già imposti dalle direttive medesime. Il divieto di gold plating, pertanto, deve leggersi alla luce del principio di semplificazione della normativa interna, così da scongiurare ogni suo possibile irrigidimento o articolazione capziosa, ove soprattutto ciò non sia giustificato dalla tutela di interessi pubblici[10]. 
 
 
2. Il favor per le piccole e medie imprese (PMI).
 
Il considerando 2 della direttiva 2014/24/UE, richiamando il fondamentale ruolo degli appalti pubblici nell’ambito della strategia Europa 2020, sancisce espressamente che la normativa adottata ai sensi delle direttive 17 e 18 del 2004 «dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici (…)». L’attenzione che il legislatore europeo rivolge alle piccole e medie imprese, tale da menzionarle nei considerando di apertura della nuova direttiva, non deve meravigliare: oggigiorno, le PMI rappresentano il 99% del totale delle imprese UE[11], costituendo il cuore dell’economia europea. Nonostante ciò, solo una piccola parte riesce a partecipare proficuamente alle gare di appalti pubblici[12]. E’ chiaro, quindi, che nessuna politica economica seria, basata sulla competitività e la globalizzazione dei mercati potrà mai operare prescindendo dalle peculiari esigenze economiche di queste realtà imprenditoriali[13]; niente di più vero, poi, se si pensa al caso italiano, in cui le PMI costituiscono la spina dorsale dell’economia nazionale. Alla luce di tali riflessioni, appare del tutto naturale che il legislatore europeo abbia in animo di preservare e di potenziare queste realtà imprenditoriali, elaborando delle regole che possano garantire loro maggiore sostegno, e che non ne ostacolino, al contrario, la partecipazione.
 
Le fondamenta giuridiche delle direttive europee in materia di contratti pubblici si radicano nei principi enunciati dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in particolare nella libera circolazione delle merci, nella libertà di stabilimento e nella libera circolazione dei servizi[14]; da questi, la direttiva 2014/24/UE fa discendere altri principi, quali la parità di trattamento, il mutuo riconoscimento, la non discriminazione, la proporzionalità, e la trasparenza[15]: principi che costituiscono i capisaldi della nuova regolamentazione degli appalti pubblici nei settori ordinari, il fulcro attorno al quale si sviluppa l’intera disciplina. Non è un caso che tale premessa sia stata riprodotta nel suo contenuto essenziale anche nei considerando n. 4[16] e n. 2[17] delle direttive 23 e 25 del 2014. Del resto, il nostro legislatore, già nel 2006, all’art. 2 del Codice dei contratti pubblici affermava che «l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività, e correttezza, (…), di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità[18] (…)». Con riferimento specifico alla tutela della concorrenza, va sottolineata la straordinaria attenzione che il legislatore europeo le riserva, non solo menzionandola in numerosi considerando[19], ma anche premurandosi di richiamarla espressamente e ripetutamente nel corso della direttiva ogni qual volta lo ritenga opportuno per la trattazione dei singoli istituti, tanto da elevarla a regola generale della contrattazione pubblica. Ciò nonostante, la concorrenza di per sé non è idonea a postulare l’esistenza di altri principi, semmai da questi si origina: in particolare, essa costituisce il riflesso pratico dell’applicazione dei principi di imparzialità, parità di trattamento, pubblicità e trasparenza[20]. L’art. 18 della direttiva n. 24, d’altro canto, non può che confermare questa impostazione, stabilendo che «le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio, e agiscono in maniera trasparente e proporzionata. La concezione della procedura di appalto non ha l’intento di escludere quest’ultimo dall’ambito di applicazione della presente direttiva né di limitare artificialmente la concorrenza. Si ritiene che la concorrenza sia limitata artificialmente laddove la concezione della procedura d’appalto sia effettuata con l’intento di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici».
 
Venendo al nocciolo della questione, per meglio comprendere in cosa consiste l’espresso favor di cui godono le PMI nella nuova regolamentazione, vale la pena porre alcuni esempi. In primo luogo, appare in linea con la politica di sostegno alle piccole e medie imprese l’istituto della suddivisione in lotti dell’appalto: l’art. 46 introduce una dettagliata disciplina circa la possibilità per le amministrazioni di aggiudicare un appalto per lotti, riconoscendole titolari di una serie di facoltà (es. determinare le dimensioni e l’oggetto del lotto, limitare il numero di lotti assegnabili ad un unico offerente, poter associare tutti o alcuni lotti[21], nel caso in cui ad un solo offerente possa esserne assegnato più di uno), ma imponendo contestualmente alle stesse di indicare, nel caso di non suddivisione, le relative ragioni. La suddivisione in lotti, di fatto, viene a configurarsi come la procedura ordinaria, in deroga alla quale le amministrazioni debbono giustificare la loro diversa scelta[22]. Lo scopo è ottenere la massima apertura del mercato consentendo a qualsiasi operatore economico di partecipare alla gara d’appalto, a prescindere dalle proprie dimensioni. La propensione per questa tecnica è ribadita a gran voce nel considerando n. 78[23], che non manca di sottolineare l’enorme contributo derivante dal suo utilizzo in termini di maggior coinvolgimento delle PMI nei mercati europei. Condivisibili, tuttavia, appaiono le osservazioni formulate nel Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 19 febbraio 2015[24], nel quale, se per un verso si apprezza il tentativo di voler normare nella forma più chiara ed esaustiva possibile l’istituto della suddivisione degli appalti in lotti, sottolineandone le virtù, dall’altro non ci si esime dal porre in evidenza i rischi che uno smodato ricorso a tale strumento potrebbe comportare, ovvero di frazionamento artificioso dei contratti[25], al fine di eludere la normativa europea in tema di contratti sopra soglia.
 
Un’altra misura a tutela delle PMI è la previsione del pagamento diretto dei subappaltatori[26]. Il subappalto, come sappiamo, è istituto già noto al nostro Codice degli appalti pubblici, disciplinato dall’art. 118; tuttavia, la ratio che ne è alla base nel diritto nazionale diverge molto da quella che affiora dalla direttiva n. 24. Quest’ultima, infatti, novella il subappalto creando una forma di organizzazione imprenditoriale che possa consentire, nella fase di esecuzione del contratto, la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese al mercato degli appalti pubblici, stabilendo al paragrafo 3 dell’art. 71 che «gli Stati membri possono prevedere che, su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente, l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per i servizi, le forniture o i lavori forniti all’operatore economico cui è stato aggiudicato l’appalto pubblico»[27]. La disposizione mette in luce la maggiore sensibilità che il legislatore europeo dimostra rispetto al tema della tutela dei subappaltatori, avendo contezza del fatto che spesso questi non sono altro che piccole e medie imprese che corrono il rischio di non vedersi pagati i servizi somministrati. In realtà, anche il nostro art. 118, comma 3, d. lgs. 163/2006 prevede la possibilità di pagamento diretto del subappaltatore, ma è indubbio che l’aver regolato a livello europeo siffatta procedura conferisce maggiori garanzie perché le PMI possano intervenire nelle gare d’appalto, senza dimenticare che l’input che determina il legislatore nazionale all’azione è rappresentato essenzialmente dall’esigenza di dover arginare fenomeni di infiltrazioni della criminalità organizzata.
 
Ancora, il grande favor espresso dall’Unione europea per le PMI si riverbera in tutte quelle disposizioni da cui si evince uno sgravio delle procedure amministrative attraverso la soppressione di alcuni oneri amministrativi, che fino ad oggi hanno gravato oltremodo sulle stesse, penalizzandole inevitabilmente. Tra gli strumenti di semplificazione amministrativa vi è il Documento di Gara Unico Europeo (DGUE)[28], di cui all’art. 59 della direttiva 2014/24/UE. Esso consiste in un’autodichiarazione aggiornata con valore di prova documentale preliminare prodotta dall’operatore economico in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o da terzi, in cui si attesta che l’operatore economico: –  non si trova in una delle situazioni che costituiscono motivo di esclusione ai sensi dell’art. 57; – soddisfa i criteri di selezione di cui all’art. 58; – se del caso, soddisfa i criteri stabiliti a norma dell’art. 65. Questo documento dovrà essere presentato esclusivamente in formato elettronico, e sulla base di un modello di formulario predisposto dalla Commissione; è, inoltre, riutilizzabile dall’operatore economico in successive gare d’appalto, purché aggiornato[29].
 
Se è vero che preme ridurre gli oneri dichiarativi a carico dei concorrenti per rendere più snella e lineare la procedura, vero è anche che occorre garantire la sua correttezza, espletando tutti i controlli del caso. Ecco, quindi, che trova giustificazione la previsione del paragrafo 4 dell’art. 59, secondo la quale «l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere a offerenti e candidati, in qualsiasi momento nel corso della procedura, di presentare tutti i documenti complementari o parte di essi, qualora questo sia necessario per assicurare il corretto svolgimento della procedura». Restano, tuttavia, esclusi dalla sua applicazione i certificati e le informazioni ottenibili mediante l’accesso ad una banca dati nazionale, e i documenti di cui l’amministrazione sia già in possesso. A tal riguardo, non resta che condividere l’opinione di quanti ritengono che derogare all’obbligo di richiedere e produrre documenti complementari rappresenti l’occasione perfetta per poter operare quella razionalizzazione del sistema, senza più duplicazioni di adempimenti documentali, e quella riduzione degli oneri amministrativi per chi opera nelle gare, da tutti agognata[30][31].
 
Sempre sulla scorta di un alleggerimento del complesso sistema procedurale si pone, con riferimento esclusivo alle procedure aperte, l’inversione delle fasi di verifica dei requisiti e di valutazione dell’offerta[32]. Per questo tipo di procedure, la Commissione ha previsto che le amministrazioni aggiudicatrici possano procedere all’analisi delle offerte prima ancora di aver verificato l’assenza dei motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione. Ad ogni modo, esse sono chiamate a garantire che la verifica dell’assenza dei motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione avvenga in maniera imparziale e trasparente, affinché nessun appalto sia aggiudicato a chi non ne possiede i requisiti[33]. Ne derivano vantaggi sia per le amministrazioni aggiudicatrici sia per gli operatori economici, posto che l’inversione consente di registrare un risparmio e di tempo e di oneri amministrativi. Ciò, inoltre, si riflette favorevolmente sulle piccole e medie imprese, che spesso vedono nelle incombenze procedurali un ostacolo alla loro partecipazione agli appalti pubblici (considerando n. 84). Così come rappresentano per queste uno scoglio i requisiti eccessivamente severi relativi alla capacità economica e finanziaria talvolta richiesti: il legislatore europeo è intervenuto sul punto sostenendo che «eventuali requisiti dovrebbero essere attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto» e che «le amministrazioni aggiudicatrici non dovrebbero essere autorizzate ad esigere che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo che sia proporzionato rispetto all’oggetto dell’appalto; il requisito non dovrebbe di norma superare, al massimo, il doppio del valore stimato dell’appalto». Anche questa previsione normativa conferisce tutela alle PMI, riconoscendo che il fatturato minimo annuo dell’operatore economico non possa superare il doppio del valore stimato dell’appalto, salvo circostanze specificamente motivate relative a rischi connessi alla natura dei lavori, servizi e forniture. A onor del vero, va dato atto al nostro legislatore di aver preceduto il collega europeo, avendo già affrontato la questione all’art. 1-bis del Codice dei contratti pubblici[34]. Ciò nondimeno, il recepimento della direttiva 2014/24/UE potrebbe rappresentare l’occasione giusta per dare concreta attuazione al principio, atteso che già da tempo la giurisprudenza nazionale e gli orientamenti interpretativi dell’ ANAC si sono espressi in tal senso, pur restando disattesi.
 
Da ultimo, rientrano nella categoria delle misure a favore delle PMI la nuova disciplina del sistema dinamico d’acquisizione e la previsione della fissazione di un termine “congruo” per la presentazione delle offerte. Quanto al primo, le amministrazioni aggiudicatrici possono articolare il sistema di acquisizione in categorie di lavori, prodotti e servizi definiti oggettivamente, fissando l’importo o il quantitativo massimo degli appalti specifici da aggiudicare entro una categoria o un’area territoriale[35]. Quanto al secondo, il considerando n. 80, in relazione all’art. 47, specifica che i termini per prendere parte alle gare d’appalto dovrebbero essere più brevi possibile, senza tuttavia in tal modo pregiudicare gli operatori economici, in particolare le PMI; di talché occorre tener in conto la complessità dell’appalto. In entrambi i casi, così come anche per gli altri istituti trattati, il fine ultimo delle previsioni è quello di consentire e garantire la maggior partecipazione possibile delle piccole e medie imprese alle gare di appalti pubblici, in ossequio ai principi di trasparenza, imparzialità, non discriminazione e parità di trattamento  sopra ampiamente esposti.
 
 
3. Le procedure di scelta del contraente tra vecchia e nuova disciplina.
 
Il legislatore europeo ha il merito di aver saputo ben coniugare nella nuova disciplina dei contratti pubblici due diverse esigenze: la necessità di garantire maggiore flessibilità e libertà di azione alle amministrazioni aggiudicatrici mediante la previsione di misure incentrate sull’innovazione e l’efficienza della spesa, e la necessità che questa libertà ad ampio raggio riconosciuta sia esercitata in ogni caso nel rispetto dei principi di parità, di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità, così da non limitare la concorrenza e favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici. Tale preambolo si rende necessario se si vuole cogliere appieno la ratio sottesa alla nuova normativa, con particolare riguardo alle nuove procedure di selezione del contraente e al nuovo regime delle cause di esclusione (quest’ultimo sarà oggetto di approfondimento del successivo paragrafo). Sicché l’art. 18 della direttiva 2014/24/UE, sintetizzando quanto appena espresso, funge da stella polare nel panorama degli appalti pubblici, tracciando le linee guida che la contrattazione pubblica deve seguire, e sancendo altresì l’obbligo per gli operatori economici, nell’esecuzione degli appalti, di rispettare i vincoli in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione europea, dal diritto nazionale e dal diritto internazionale. A testimoniare la notevole rilevanza della disposizione, sta il fatto che la stessa trovi eco sia nei considerando n. 37 e 40 del provvedimento citato sia negli articoli 36 e 30 delle direttive n. 25 e n. 23 del 2014.
 
Da un punto di vista strettamente oggettivo, il sistema di scelta del contraente viene in parte ripreso e in parte rivisitato dal legislatore europeo, posto che emerge sia la riproposizione delle fattispecie già note alla direttiva 2004/18/CE che l’introduzione di nuove procedure: in particolare, della procedura competitiva con negoziazione e del partenariato per l’innovazione.
 
L’idea di base è quella di favorire le procedure negoziate, in quanto più idonee a soddisfare le specifiche esigenze delle amministrazioni appaltanti: godendo di maggiore discrezionalità, diviene più facile poter realizzare il giusto compromesso tra soluzioni proposte ed esigenze manifestate dall’amministrazione stessa. Viene, così, ribaltata l’impostazione tradizionale che vuole la Pubblica amministrazione soggetto passivo della contrattazione: essa opera attivamente proponendo idee e collaborando alla creazione di un prodotto innovativo[36]. Ciò si pone in forte controtendenza rispetto al passato, in cui aggrappati saldamente ai principi di imparzialità e trasparenza, non era vista di buon grado la discrezionalità amministrativa, foriera spesso di eventi corruttivi e disparità ingiustificate[37].
 
Il ricorso alle procedure con negoziazione, tuttavia, non è indiscriminato, poiché il loro utilizzo è previsto essenzialmente quando «non risulti che procedure aperte o ristrette senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti[38]», ovvero in due ordini di situazioni: – nel caso in cui non sussistano soluzioni immediatamente disponibili adeguate a soddisfare le necessità della stazione appaltante, o siano richieste progettazione o soluzioni innovative, oppure l’appalto si riveli molto complesso, o non possano esserne precisate le specifiche tecniche; – nel caso in cui, in risposta ad una procedura aperta o ristretta, siano state presentate soltanto offerte irregolari o inaccettabili[39].
 
Chiarita la natura comune ad entrambe le procedure, è il caso di indicarne gli aspetti più salienti. Per quanto concerne la procedura competitiva con negoziazione, va evidenziato che essa sostituisce di fatto la procedura negoziata con pubblicazione del bando, abbracciandone altresì la casistica; è esperibile soltanto per gli appalti nei settori ordinari, e può essere utilizzata per tutte le tipologie di appalti (non più per singole categorie). La negoziazione si fonda sul confronto tra amministrazione e concorrenti, ed ha lo scopo di migliorare le offerte iniziali mediante la presentazione di successive proposte che man mano vengono valutate dall’amministrazione fino a giungere alla chiusura della negoziazione e alla fissazione di un termine per la presentazione delle offerte finali: a questo punto, esaminata la sua conformità ai requisiti minimi prescritti, l’amministrazione aggiudica l’appalto all’offerta migliore, sulla base del criterio di aggiudicazione ab initio indicato. Detta procedura, oltre a plasmare gli specifici bisogni della P.A. mediante strumenti di flessibilità e adattamento del mercato, può rivelarsi utile altresì per sopperire alla carenza di knowhow tecnico, consentendo di avvalersi di operatori economici di settore senza dover ricorrere a consulenze esterne.
 
Anche nel partenariato per l’innovazione vi è una costruzione “per tappe” dell’offerta tesa all’individuazione di quella finale, con l’indicazione ex ante dei criteri di aggiudicazione e dei requisiti minimi non negoziabili da rispettare: esso, infatti, si struttura in più fasi, in ognuna delle quali l’amministrazione è libera di decidere per la risoluzione del contratto (purché, ovviamente, tale possibilità sia prevista nei documenti di gara). Il partenariato per l’innovazione risponde all’esigenza dell’amministrazione appaltante di sviluppare “di persona” prodotti innovativi non acquisibili sul mercato, al precipuo scopo di realizzare concretamente un prodotto, differentemente dagli appalti pre-commerciali nei quali, seppur simili, si stimola una generica attività di ricerca e sviluppo volta al raggiungimento di risultati sostenibili sul mercato. La procedura consente di promuovere l’innovazione e di immettere sul mercato prodotti e servizi del tutto innovativi: il recepimento della direttiva può rappresentare per il nostro Paese l’occasione per stare al passo con i tempi e per offrire, grazie alla relativa riduzione dei rischi, nuove opportunità alle PMI di partecipare attivamente alla ricerca e allo sviluppo dell’innovazione.
Per completezza d’esposizione, si accenna sommariamente ad alcune novità riguardanti le altre procedure di selezione del contraente, ovvero il dialogo competitivo, il sistema dinamico di acquisizione e le procedure aperte e ristrette.
In merito al primo, il legislatore europeo ha provveduto ad ampliarne i presupposti di utilizzazione, abbandonando la vecchia impostazione che lo voleva impiegato solo nei casi di appalti particolarmente complessi; oggi il suo utilizzo è più generalizzato, considerando la sua finalità di individuazione e definizione dei mezzi più idonei a soddisfare le necessità dell’amministrazione aggiudicatrice[40]. È stato ridotto, inoltre, a 30 giorni il termine minimo per la recezione delle domande, ed è stata prevista la possibilità di limitare il numero dei candidati idonei da invitare al dialogo, pur dovendo garantire un numero minimo di tre.
 
Per quanto concerne il sistema dinamico d’acquisizione (SDA), la novità più rilevante risiede nel ricorso alle regole della procedura ristretta: così disponendo, l’art. 34 semplifica tangibilmente l’iter procedurale di questa modalità di scelta del contraente poiché, a fronte dei tradizionali tre passaggi obbligatori (bando d’ istituzione del SDA, bando per ogni appalto specifico in relazione al quale nuovi operatori possono chiedere di abilitarsi, invio della lettera di richiesta dell’offerta), ne sopprime uno, il secondo, residuando soltanto la pubblicazione del bando per istituire il SDA e la spedizione delle lettere d’invito per i fornitori abilitati[41]. Sempre in quest’ottica di riduzione e semplificazione procedimentale, è stata altresì abolita la prassi delle offerte indicative[42].
 
Restano da esaminare le procedure aperte e quelle ristrette: rispetto a queste i cambiamenti introdotti dal legislatore non sono di grande rilievo, esaurendosi sul piano formale. Infatti, per le prime, il termine di presentazione delle offerte è stato ridotto a 35 giorni e quello minimo a seguito della pubblicazione di un avviso di preinformazione a 15; per le procedure ristrette, invece, è stato fissato il termine di 30 giorni sia per la ricezione delle domande che per la presentazione delle offerte. E’ stata, inoltre, introdotta la facoltà di riduzione dei termini minimi, prevista originariamente solo per la procedura ristretta, anche per quella aperta «per motivi di urgenza debitamente dimostrati dall’amministrazione aggiudicatrice[43]».
 
 
4. I nuovi motivi di esclusione.
 
In relazione alle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure di appalto, molteplici sono le modifiche apportate dal legislatore europeo, che ha provveduto ad ampliare tanto la categoria delle cause di esclusione obbligatoria quanto quella delle cause di esclusione facoltativa. Ma procediamo con ordine.
 
L’ art. 57 della direttiva è una disposizione a recepimento obbligatorio, che va letta ed interpretata in combinato disposto con i considerando n. 100, 101 e 102. Dalla norma emerge il convincimento per cui se appare doveroso isolare coloro che hanno attuato comportamenti scorretti (a discapito della loro stessa credibilità), appare altrettanto opportuno “salvare” quanti abbiano commesso meri errori formali o semplici negligenze, non dolose o particolarmente gravi. Ne deriva un netto distinguo tra le due diverse tipologie di situazioni, cui conseguono due differenziati regimi di trattamento. Nell’affrontare lo studio dei motivi di esclusione, è il caso di confrontare il nuovo testo con gli articoli 45 della direttiva 2004/18/CE e 38 del d.lgs. 163/2006.
 
La nuova disciplina presenta una natura più squisitamente oggettiva rispetto alla vecchia formulazione, nella quale affiorava una connotazione marcatamente personale e soggettiva delle cause di esclusione degli operatori economici, afferendo queste a “situazioni personali del candidato o dell’offerente”[44]. Rispetto al passato, il legislatore si è preoccupato in prima istanza di rimpolpare la casistica delle esclusioni obbligatorie, prevedendo che gli operatori economici vengano esclusi dalle gare d’appalto anche se colpevoli di reati terroristici o di reati connessi al lavoro minorile o altre forme di tratta di esseri umani. Inoltre, l’ultimo comma del paragrafo 1 dell’art. 57 estende l’obbligo di escludere il candidato anche «nel caso in cui la persona condannata definitivamente è un membro del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza di tale operatore economico o è una persona ivi avente poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo[45]». Ancora, la violazione degli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali passa da causa facoltativa a causa obbligatoria di esclusione, con la specifica che essa opera soltanto in presenza di una decisione giudiziaria o amministrativa definitiva e vincolante.
 
Un’altra specifica inserita dal legislatore europeo concerne, poi, le situazioni di “eccezionalità” che permettono una deroga al regime delle cause obbligatorie: egli, infatti, al paragrafo 3, comma 1, stabilisce che «gli Stati membri possono prevedere, in via eccezionale, una deroga alle esclusioni obbligatorie di cui ai paragrafi 1 e 2 per esigenze imperative connesse a un interesse generale quali la salute pubblica e la tutela dell’ambiente». Dalla comparazione del testo con la normativa nazionale emerge che molti aspetti regolati dalla direttiva n. 24 sono già presenti nel nostro ordinamento, seppur con vincoli più stringenti[46]; tuttavia, risulta arduo intuire la portata e i limiti del disposto del paragrafo 3 dell’art. 57, in parte sopra menzionato, considerando l’ampia discrezionalità degli Stati in ordine alla valutazione dell’eventuale esclusione di un candidato per questioni relative alla salute pubblica e alla tutela dell’ambiente, o nel caso in cui il provvedimento risulti “sproporzionato” rispetto alla condotta sostenuta[47].
 
Anche per quanto concerne le cause di esclusione facoltativa rilevano interessanti novità: non solo vengono riproposte ipotesi già note alla direttiva n. 18 del 2004, ma ne vengono introdotte delle nuove, con nuove deroghe e specificazioni. In particolare, costituiscono nuovi casi di esclusione: 1. l’amministrazione aggiudicatrice che dimostra con qualsiasi mezzo adeguato la violazione degli obblighi di cui all’art. 18 paragrafo 2; 2. il conflitto di interessi non risolvibile efficacemente con altre misure meno interdittive; 3. la distorsione della concorrenza derivante dal precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della procedura d’appalto non risolvibile con altre misure meno intrusive; 4. l’operatore economico che tenta di influenzare indebitamente il procedimento decisionale dell’amministrazione aggiudicatrice, che tenta di ottenere informazioni confidenziali che possono conferirgli vantaggi indebiti rispetto alla procedura di aggiudicazione dell’appalto, oppure che fornisce per negligenza informazioni fuorvianti che possono avere influenza notevole sulle decisioni riguardanti l’esclusione, la selezione, l’aggiudicazione. Come in precedenza, molte di queste ipotesi, seppur non del tutto equivalenti, sono già regolamentate dalla normativa italiana.
 
Merita, però, un approfondimento la prima di esse, ovvero il caso di violazione degli obblighi imposti dall’art. 18, paragrafo 2[48], della direttiva n. 24. Si tratta del caso in cui l’impresa offerente abbia inosservato le disposizioni in materia ambientale e sociale, durante la fase di esecuzione dell’appalto.Dalla lettura della norma, emergono due aspetti degni di nota: la stretta connessione tra il contenuto della disposizione e la ratio generale della direttiva, di cui costituiscono veri e propri capisaldi il rispetto dell’ambiente e la tutela sociale di alcune categorie, ed inoltre, la constatazione che il nuovo regime delle cause di esclusione si inserisce perfettamente nel panorama appena descritto. Ma non è tutto: risulta che non si esige che la condotta dell’impresa offerente configuri una fattispecie di reato o che questo sia accertato con sentenza passata in giudicato da parte di un giudice penale. Contrariamente a quanto accade nel nostro ordinamento in cui occorre l’accertamento con sentenza di un’ipotesi delittuosa, nella nuova disciplina prevale la cura dell’interesse protetto dalla norma, sganciata dalla necessaria configurazione di una condotta penalmente rilevante. Di talché, per l’esclusione di un determinato operatore economico da una gara d’appalto, potrebbe rivelarsi sufficiente la commissione di un illecito amministrativo, appurata con provvedimento inoppugnabile.
Con riferimento, invece, alle altre ipotesi di esclusione facoltativa si ritiene condivisibile l’opinione secondo la quale, nonostante in Europa si abbia consapevolezza dell’enorme problema legato alle condotte anticoncorrenziali e corruttive in materia d’appalti, in realtà le misure apprestate appaiono inadeguate ad arginare tali fenomeni, posto che spesso i conflitti d’interesse e le collusioni si ravvisano soltanto in un momento successivo all’aggiudicazione, quando appunto la misura dell’esclusione dalla gara non ha più modo di operare[49].
 
Da ultimo, resta da analizzare il concetto di “affidabilità” menzionato al paragrafo 6 dell’art. 57, in ragione del quale l’operatore economico, se in grado di fornirne le prove sufficienti per dimostrarne il possesso, può sottrarsi all’esclusione dalla gara (sul punto viene in soccorso il considerando n. 101 che proponendo degli esempi ne chiarisce la ratio[50]). La norma prevede che l’operatore economico che si trovi in una delle condizioni elencate ai paragrafi 1 e 4 dell’art. 57 può evitare di essere tagliato fuori dalla gara d’appalto, se riesce a provare efficacemente di essere “affidabile”. Questo può avvenire in tre modi: a. risarcendo o impegnandosi a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito; b. chiarendo fatti o circostanze in collaborazione con le autorità investigative; c. adottando provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori illeciti. Questa pratica, conosciuta con il nome di self-cleaning, consente a quanti volessero partecipare ad una gara d’appalto di rimediare al problema dell’esistenza di un pertinente motivo di esclusione, mediante la valida dimostrazione della propria affidabilità.Spetta in ogni caso all’amministrazione aggiudicatrice valutare l’adeguatezza delle misure adottate; qualora esse si rivelino insufficienti, l’amministrazione stessa dovrà comunicare all’operatore economico il motivo della decisione.
 
Rientra, infine, nella discrezionalità degli Stati membri stabilire le condizioni di applicazione di tale articolo, in particolare in relazione alla determinazione del periodo massimo di esclusione, nel caso in cui l’operatore economico non adotti le misure di riparazione richieste[51].
 
 
5. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il miglior rapporto qualità/prezzo.
 
Tra le molteplici novità proposte dalla direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici balza senz’altro agli occhi la ridefinizione dei criteri di aggiudicazione degli appalti, con la quale la Commissione europea mostra di voler compiere un passo in avanti, in segno di discontinuità  rispetto al passato.
 
Se, infatti, in base agli articoli 53 della direttiva n. 18 del 2004 e 81 del d. lgs. 163/2006, costituiva regola generale l’aggiudicazione di un appalto pubblico sulla scorta dei criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa o del prezzo più basso, con la nuova disciplina si intende percorrere una strada nuova, in cui residua il criterio di selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma questo risulta rivisitato in termini completamente diversi.
Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come è noto, esprime una realtà composita in cui l’elemento quantitativo non la fa da padrone (come nel caso del criterio del prezzo più basso), bensì integra quello qualitativo: sicché il prezzo diviene soltanto uno dei parametri valutati al momento della scelta dell’offerta migliore, accanto a tanti altri fattori relativi alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto[52][53]. Il criterio del prezzo più basso, al contrario, si risolve nell’uso di regole matematiche, fondandosi esclusivamente su una valutazione automatica del prezzo. 
 
La nuova direttiva è intervenuta sul binomio offerta economicamente più vantaggiosa – prezzo più basso, alterandone l’equilibrio: l’equivalenza tra i due criteri, infatti, appare del tutto superata, riconoscendosi al primo il ruolo di protagonista assoluto[54]. Vi è di più: il considerando n. 89, che insieme ai successivi considerando ne indaga minuziosamente la natura e lo scopo, erge a rango di “criterio prioritario” il concetto di offerta economicamente più vantaggiosa, suggerendo altresì che «per evitare confusione con il criterio di aggiudicazione attualmente noto come “offerta economicamente più vantaggiosa”» si ritiene opportuno adoperare un’ altra locuzione verbale, ovvero “il miglior rapporto qualità/prezzo”.
 
L’art. 67 della direttiva n. 24, fornendo la disciplina dei criteri di aggiudicazione, sancisce che «le amministrazioni aggiudicatrici procedono all’aggiudicazione degli appalti sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa», e che questa «è individuata sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’art. 68, e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione (…)». Dalla lettura della norma si evince un utilizzo radicalmente diverso, rispetto al passato, dell’espressione “offerta economicamente più vantaggiosa”, la quale non indica più uno specifico criterio di valutazione delle offerte bensì un concetto generale, ovvero che l’amministrazione è tenuta a scegliere la migliore soluzione, dal punto di vista economico, tra quelle presentate[55][56]. Tale criterio può assumere diverse configurazioni e, quindi, operare basandosi soltanto sull’elemento prezzo, o soltanto sull’elemento costo, oppure combinando uno dei due con la valutazione degli aspetti qualitativi (rapporto qualità/prezzo); quest’ultima può anche operare autonomamente in relazione ad un prezzo o costo fisso.
 
Dalla nuova formulazione della norma si deduce che il criterio del prezzo più basso non scompare completamente, bensì si trasforma in una delle modalità in cui può articolarsi l’offerta economicamente più vantaggiosa, pur tenendo debitamente in conto che gli Stati membri possono vietare l’utilizzo del prezzo o del costo come unici criteri di aggiudicazione o limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto[57]. Risulta lapalissiana la scelta del legislatore di voler scardinare il vecchio sistema dei criteri di aggiudicazione, fondato sul principio dell’equivalenza tra l’offerta economicamente più vantaggiosa e il massimo ribasso, conferendo assoluta supremazia al primo e declassando, al contempo, il secondo a ipotesi meramente residuali.
 
Tornando al dettame dell’art. 67, paragrafo 2, in relazione ai parametri per la valutazione dell’offerta il legislatore li enuclea in tre categorie: a) quelli relativi alla qualità dell’appalto, come il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, l’accessibilità, le caratteristiche sociali e ambientali e così via; b) quelli afferenti all’organizzazione del personale, alle sue qualifiche e alla valutazione della sua esperienza (ad esempio curriculum vitae, titoli di studio, titoli professionali, esperienza maturata); c) quelli che riguardano i servizi di post vendita, di assistenza tecnica e le condizioni di consegna. Va constatato ancora una volta come venga richiamato anche in questa sede il tema dell’aspetto ambientale e sociale dell’appalto, la cui tutela rappresenta il fil rouge della nuova normativa sui contratti pubblici, mentre costituisce novità assoluta il rilievo riservato ai requisiti soggettivi dell’operatore economico, che assurgono ad elementi da valutare sotto il profilo qualitativo dell’offerta[58].
 
Pur riconoscendosi in capo alle amministrazioni aggiudicatrici un vasto potere di scelta dei criteri di aggiudicazione dell’appalto, questa libertà non appare assolutamente illimitata o incondizionata: gli ampi margini di discrezionalità nell’individuare i parametri per la valutazione delle offerte, infatti, soggiacciono a dei limiti, rappresentati dalla connessione con l’oggetto dell’appalto, dalla necessità di garantire un’effettiva concorrenza, e dalla previsione dell’efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti[59].
 
In realtà, il primo limite si dimostra piuttosto blando, ammettendosi l’apprezzamento anche di aspetti che non attengono strettamente alla prestazione oggetto dell’appalto. Il considerando n. 99, infatti, prevede che possono formare oggetto dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche le misure a tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi,quelle che promuovono l’integrazione sociale di persone svantaggiate e quelle intese alla formazione delle competenze richieste dall’appaltopurché riguardino i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto. Ne costituiscono degli esempi l’assunzione di disoccupati di lunga durata e l’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso dell’esecuzione di un appalto.
 
Parimenti, il considerando n. 97 afferma che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la facoltà di ricorrere a criteri di aggiudicazione o condizioni di esecuzione dell’appalto riguardanti lavori, forniture o servizi oggetto dell’appalto pubblico sotto ogni aspetto e in qualsiasi fase dei loro cicli di vita, dall’estrazione delle materie prime del prodotto, alla fase di smaltimento dello stesso, e ancora a quella di sua produzione, prestazione e commercio. Non può essere, invece, intesa come condizione-criterio di valutazione la politica aziendale generale[60].
 
Particolare attenzione è, poi, dedicata al criterio del costo. L’art. 68 rubricato “Costi del ciclo di vita” annovera tutti quei costi che sono connessi al ciclo di vita di un prodotto, di un servizio o di un lavoro, suddividendoli in: a) costi sostenuti dall’amministrazione aggiudicatrice o da altri utenti, relativi all’acquisizione, all’utilizzo, alla manutenzione e al fine vita (raccolta e riciclaggio); b) costi imputati a esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, se il loro valore monetario può essere determinato e verificato. Tra questi possono essere ricompresi i costi delle emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti, e quelli legati all’attenuazione dei cambiamenti climatici[61][62]. Va da sé che la valutazione dei costi del ciclo di vita non è rimessa alla cieca discrezionalità dell’amministrazione, piuttosto è legata all’osservanza di regole ben precise, come l’indicazione nei documenti di gara dei dati che gli offerenti devono fornire e del metodo che l’amministrazione impiegherà per determinare i costi del ciclo di vita. In particolare, è specificato dalla direttiva che il metodo per la valutazione dei costi imputati alle esternalità ambientali deve fondarsi su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori, e deve essere accessibile a tutti.
 
Per concludere va constatato che di fronte alle innumerevoli novità apportate dalla nuova disciplina rimangono, invece, immutate rispetto al passato due circostanze. In primo luogo, l’aggiudicazione dell’appalto deve avvenire in ogni caso applicando criteri obiettivi, idonei a garantire il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, allo scopo di assicurare un raffronto oggettivo del valore relativo delle offerte, così da determinare, in condizioni di effettiva concorrenza, quale sia l’offerta economicamente più vantaggiosa[63][64]. Secondo poi, l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a specificare nei documenti di gara la ponderazione relativa che attribuisce a ciascuno dei criteri scelti per determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa, ad esclusione dei casi in cui questa sia individuata unicamente in base al prezzo.
 
 
6. Conclusioni.
 
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha approvato in sede preliminare il decreto legislativo di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE in relazione all’aggiudicazione dei contratti di concessione e di appalti pubblici sia nei settori ordinari che nei settori speciali. Come, infatti, previsto dall’art. 1 della legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11: «Il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (…), nonché, entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di seguito denominato “decreto di riordino”, ferma restando la facoltà per il Governo di adottare entro il 18 aprile 2016 un unico decreto legislativo per le materie di cui al presente alinea (…)».
 
Come indicato nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 107 dello scorso 3 marzo, la nuova disciplina in tema di contratti pubblici ha natura “autoapplicativa”, non prevedendo l’adozione di un regolamento di esecuzione e di attuazione, bensì l’emanazione di linee guida di carattere generale, da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC[65]) e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Queste linee guida costituiscono strumenti di soft law, idonei a garantire la trasparenza, l’omogeneità e la speditezza delle procedure ma anche la fissazione di criteri unitari, assurgendo ad atti di indirizzo generale con cui aggiornare la normativa coerentemente ai mutamenti del sistema.
 
I principi e i criteri direttivi cui deve ispirarsi il nuovo codice dei contratti pubblici sono enunciati in parte dall’art. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, essendo principi generali, e in parte dalla legge delega stessa, trattandosi di criteri direttivi specifici. Non è certamente questa la sede per affrontare lo studio minuzioso del contenuto della legge delega, rimandando tale incombente ad altro e separato approfondimento; tuttavia, è opinione di chi scrive che si debbano, seppur sommariamente, menzionare i tratti fondamentali della legge delega n. 11 del 2016, alla luce delle novità proposte dalle direttive europee così come analizzate nel corso della presente trattazione.
 
Il primo principio cardine fatto proprio dal legislatore nazionale, e di cui si è parlato in apertura, concerne il divieto di gold plating[66]: la legge delega n. 11 del 2016 riproduce pedissequamente la disposizione europea in base alla quale non possono introdursi o mantenersi livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime. L’applicazione di tale principio si rende assolutamente necessaria se si pensa alla cattiva pratica italiana di tradurre un quantitativo moderato di norme in un complesso e cavilloso reticolo di disposizioni, di difficile interpretazione ed applicazione. È, inoltre, specificato che l’opera di riordino e ricognizione del quadro normativo vigente in materia di appalti pubblici e concessioni deve avvenire sulla scorta di una drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative operanti, nonché in ossequio ad un più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti (art. 1, lett. d), legge delega 11/2016).
 
Il tema della razionalizzazione della normativa dei contratti pubblici è molto sentito dal nostro legislatore, tanto da essere riproposto più volte nel testo di legge, ad esempio in relazione alle procedure non derogabili riguardanti gli appalti pubblici e le concessioni, e alla digitalizzazione delle procedure di affidamento: il divieto di gold plating e la contestuale semplificazione dell’impianto normativo, come si è potuto notare, aderiscono perfettamente al dettame della direttiva n. 24, facendo questa perno sull’esigenza di snellire e razionalizzare il sistema della contrattazione pubblica.
 
Un’altra questione nodale in materia di contratti pubblici, che emerge chiaramente dalla legge delega, concerne la previsione di misure idonee ad arginare i fenomeni corruttivi e il malaffare. Da indagini statistiche risulta, infatti, che in Italia un appalto su dieci è viziato da corruzione, e che questa costa al nostro Paese all’incirca 60 miliardi di Euro, esattamente il 50% dell’importo complessivo che si stima venga sottratto ogni anno dalle tangenti all’economia continentale[67]. Avverso il dilagare di tali fenomeni criminosi, che costituiscono una vera e propria piaga per il settore pubblico, le contromisure finora adottate risultano assolutamente sterili ed inefficaci, non avendo fornito alcun apporto utile a contrastare il proliferare dei comportamenti illeciti.
 
Tuttavia, la preoccupazione di dover prevenire e sconfiggere questo “cancro” non è unicamente di matrice italiana: anche il legislatore europeo nella direttiva n. 24 del 2014 mostra una spiccata sensibilità rispetto alla tematica della trasparenza e della legalità delle procedure ad evidenza pubblica, declinando tali concetti in termini di lotta alla corruzione, di garanzia della concorrenzialità, ma anche di risoluzione dei conflitti di interessi.
 
In considerazione dell’enorme portata che ha la “questione corruzione” in Italia, soprattutto se paragonata alla sua incidenza in altri paesi europei, trova piena giustificazione la “morbosa” attenzione che il legislatore nazionale le riserva, dedicandole già in sede preliminare numerose disposizioni. Ne è un esempio la lettera q) dell’art.1, che indica tra i principi specifici che reggono la disciplina dei contratti pubblici l’ «armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i conflitti d’interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione», stabilendo altresì che ciò può realizzarsi in vario modo:individuando i casi in cui è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando; prevedendo l’unificazione delle banche dati esistenti nel settore presso l’Autorità nazionale anticorruzione, e conferendo alla stessa ampi poteri di vigilanza e controllo sull’applicazione delle norme; prevedendo sia un sistema amministrativo, diretto dall’ ANAC, di penalità e premialità per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte di imprese titolari di appalti pubblici, sia un sistema sanzionatorio nei casi di omessa o tardiva denuncia.
 
Con riferimento a quest’ultimo argomento, sembra che il legislatore nazionale voglia introdurre una sorta di “whistleblowing[68]” anche per la materia dei contratti pubblici, alla stregua di quanto già previsto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Ebbene, la ratio sottesa alla legge delega n. 11 del 2016 si traduce nella volontà di predisporre un nuovo assetto di regole idonee a contrastare efficacemente i fenomeni corruttivi, e con cui poter garantire a pieno il rispetto dei principi di legalità, trasparenza, pubblicità, parità di trattamento, e non discriminazione. Questo spirito di lotta alla corruzione si è fortemente acuito negli ultimi anni, considerando i molteplici scandali che hanno travolto le grandi opere pubbliche, e costituendo la ragione essenziale che ha determinato il legislatore a sviluppare un intero filone normativo sul tema, a partire dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, e dal decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114.
 
Dalla lettura della legge delega n. 11 del 2016 affiorano poi altri aspetti degni di nota, che costituiscono eredità della direttiva 2014/24/UE: – la previsione di misure volte a garantire il rispetto dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale nell’affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, con ricorso al criterio del costo del ciclo di vita; – la ridefinizione dei requisiti di capacità economico-finanziaria, tecnica e professionale che gli operatori economici devono possedere per partecipare alle gare di appalto; – la riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti, con l’attribuzione della facoltà di integrazione documentale; – la previsione del documento di gara unico europeo (DGUE); – la riformulazione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa[69].
 
Venendo ora a conclusioni più specifiche, si ritiene opportuno non sottovalutare la portata delle novità introdotte dalla direttiva 2014/24/UE, né dal punto di vista qualitativo né dal punto di vista quantitativo, attesa la loro estensione ed eterogeneità: esse permeano l’intera disciplina dei contratti pubblici, provvedendo a riformarla sotto ogni aspetto, dalla rideterminazione dei principi cardine sottesi alla disciplina (si pensi al rispetto per l’ambiente e il clima, all’attenzione per l’inclusione sociale, alla maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese), alla revisione dei profili tecnico-pratici (come le modifiche alle procedure di selezione e ai criteri di aggiudicazione, le novità riguardanti i motivi di esclusione e i criteri di selezione, le novità in tema di digitalizzazione delle procedure, e così via).
 
Il nuovo pacchetto di direttive novella la disciplina  nell’intento, da un lato, di potenziare la concorrenzialità nel settore dei contratti pubblici, dando così man forte alle piccole e medie imprese per una loro più consapevole partecipazione alle gare d’appalto, e dall’altro, di riconoscere maggiore flessibilità alle amministrazioni aggiudicatrici affinché possano utilizzare modelli più adeguati a soddisfare le proprie specifiche esigenze.
 
Ed è proprio questa maggiore discrezionalità a costituire, ad avviso di chi scrive, il punto cruciale della nuova disciplina. È chiaro che il fatto di concedere margini di discrezionalità più ampi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici impensierisce il nostro legislatore, ben consapevole dei rischi che questo tipo di scelta può comportare nel panorama contrattualistico italiano. Si ritiene, tuttavia, che la strada da percorrere non possa che essere questa, ovvero di maggiore flessibilità e di più ampia discrezionalità per coloro che operano nel mondo degli appalti pubblici, reputando ormai maturi i tempi per lasciarsi alle spalle i rigidi formalismi e i rigorosi schemi che troppo a lungo hanno ingessato l’attività contrattualistica pubblica[70]. D’altro canto, la strategia italiana di normare sino al dettaglio non pare aver prodotto i risultati sperati: anzi, probabilmente ha sortito l’effetto opposto, di agevolare il malaffare. Va, quindi, senz’altro apprezzato l’impegno espresso dal legislatore europeo nel voler creare una disciplina dai contorni più morbidi, che meglio si possa adattare alla realtà concreta.
 
Si auspica, pertanto, che il legislatore nazionale faccia tesoro di quanto predisposto dal legislatore europeo, in un’ottica di suo adattamento al contesto e alle peculiarità tipiche del sistema italiano di contrattazione pubblica[71]. Il recepimento delle nuove direttive europee potrebbe rappresentare per l’Italia la chance da tempo attesa per imprimere un cambio di rotta rispetto al passato e segnare un nuovo inizio[72].
 
 
Note:
——–
[1]Cfr. considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE.
[2]Cfr. COM (2010) 2020, Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Europa 2020.
[3]Cfr. considerando n. 91 della direttiva 2014/24/UE.
[4]Cfr. considerando n. 95 e 96 della direttiva 2014/24/UE.
[5]Il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare un decreto legislativo di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori speciali, nonché sul riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Il Governo, infatti, ha deciso di recepire in un unico decreto le direttive su appalti e concessioni, allo scopo di redigere il nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 107 del 3 marzo 2016.
[6]Sul punto appare molto critico G. D. COMPORTI, che ne  “La nuova sfida delle direttive europee in materia di appalti e concessioni, Federalismi.it Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo”, 25 marzo 2015, par. 2, p. 3, ha evidenziato come già nel 2006, all’epoca del recepimento delle vecchie direttive 17 e 18, il nostro legislatore non brillò di certo per sinteticità e chiarezza, avendo trasformato gli originari 150 articoli e 38 allegati in 616 articoli e 58 allegati, tra codice e regolamento, modificandoli più di 40 volte in meno di un decennio.
[7]La Commissione europea ha definito il principio di gold plating come “quella tecnica che va al di là di quanto richiesto dalla normativa europea pur mantenendosi entro la legalità. Gli Stati membri hanno ampia discrezionalità in sede di attuazione delle direttive europee. Essi possono aumentare gli obblighi di comunicazione, aggiungere requisiti procedurali, o applicare regimi sanzionatori più rigorosi. Se non è illegale, il gold plating è di solito presentata come una cattiva pratica, perché impone costi che avrebbero potuto essere evitati”.
Il principio del divieto di gold plating è già vigente in generale per il recepimento del diritto europeo, ed è disciplinato dall’art. 32, lett. c)  legge n. 234/2012, che recita «gli atti di recepimento di direttive dell’Unione europea non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ai sensi dell’art. 14, commi 24-bis, 24-ter, 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246».
[8]Secondo l’art. 14, comma 24-ter della legge n. 246/2005 «costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole, rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive».
[9]«Una corretta e seria applicazione del divieto di gold plating richiederebbe che il legislatore delegato individuasse prima i livelli minimi e necessari di regolazione e misurasse contro questa ricognizione sia le misure già esistenti, per eliminare quelle sovrabbondanti, sia le misure di riordino e razionalizzazione, per evitare che esse riproducano un eccesso di regolazione», L. TORCHIA, La nuova direttiva europea in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari, Testo della relazione per il 61° Convegno di Studi Amministrativi su “La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”, Varenna 17-19 settembre 2015, par. 3.1, p.23.
[10]Cfr. P. MANTINI, La semplificazione nei nuovi appalti pubblici tra divieto di gold plating e copy out, par. 4, p. 8.L’autore parla anche di copy-out come strumento alternativo per il recepimento consistente nell’attenersi alla formulazione della disciplina contenuta nella legislazione UE.
[11]Le PMI rappresentano il 99,8% delle imprese europee, di cui il 91,2% sono microimprese. 75 milioni di europei lavorano presso PMI, e il 55% della ricchezza dell’Unione europea dipende da queste realtà imprenditoriali, A. RENDA, G. LUCHETTA, L’Europa e le piccole e medie imprese, come rilanciare la sfida della competitività, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle Politiche Europee, p. 9.
[12]Cfr. considerando n. 124 della direttiva 2014/24/UE.
[13]Il considerando n. 78 della direttiva 2014/24/UE recita «è opportuno che gli appalti siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo “Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici”, che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI».
[14]Art. 26, comma 2, TFUE.
[15]Cfr. considerando n. 1, Direttiva 2014/24/UE.
[16]Il considerando n. 4 della direttiva 2014/23/UE recita «Attualmente l’aggiudicazione delle concessioni di lavori pubblici è soggetta alle norme in base alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, mentre l’aggiudicazione delle concessioni di servizi con interesse transfrontaliero è soggetta ai principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, nonché ai principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza (…)».
[17]Il considerando n. 2 della direttiva 2014/25/UE recita «Al fine di assicurare l’apertura alla concorrenza degli appalti pubblici di enti che operano nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali è opportuno stabilire le disposizioni di coordinamento per i contratti con valore superiore ad una certa soglia. Tale coordinamento è necessario per assicurare l’effetto dei principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità, e la trasparenza (…)».
[18]Cfr. M. CLARICH, Contratti pubblici e concorrenza, relazione presentata al 61° Convegno di Studi Amministrativi, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, 17-19 settembre, Villa Monastero, Varenna, par. 1, p. 3.
[19]Cfr. considerando n. 1, 50, 59, 60, 63, 69, 74, 90, 92, 96 della direttiva 2014/24/UE.
[20]Cfr. considerando n. 37, 59, 60, 68, 73, 105, 126 della direttiva 2014/24/UE.
[21]Il considerando n. 79 della direttiva 2014/24/UE recita «se l’appalto è suddiviso in lotti, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la facoltà di limitare il numero dei lotti per i quali un operatore economico può presentare un’offerta (…)».
[22]Cfr. L. TORCHIA, op. cit., par. 2.2.1, p. 13.
[23]Il considerando n. 78 della direttiva 2014/24/UE recita « le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere fatta su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alle capacità delle PMI, o su base qualitativa (…), per adattare  meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI (…).
L’entità e l’oggetto dei lotti dovrebbero essere determinati liberamente dall’amministrazione aggiudicatrice (…). L’amministrazione aggiudicatrice dovrebbe avere il dovere di esaminare se sia appropriato suddividere gli appalti in lotti mantenendo la facoltà di decidere autonomamente sulla base di qualsiasi motivo ritenga rilevante, senza essere soggetta a supervisione amministrativa o giudiziaria. Se l’amministrazione aggiudicatrice decide che non è appropriato suddividere l’appalto in lotti, la relazione individuale o i documenti di gara dovrebbero contenere un’indicazione dei principali motivi della scelta dell’amministrazione aggiudicatrice».
Gli Stati membri dovrebbero mantenere la facoltà di andare oltre nei loro sforzi intesi a facilitare la partecipazione delle PMI al mercato degli appalti pubblici estendendo agli appalti di entità minore la portata dell’obbligo di esaminare se sia appropriato suddividere gli appalti in lotti per appalti di entità minore, obbligando le amministrazioni aggiudicatrici a fornire una motivazione della decisione di non suddividere in lotti o rendendo la suddivisione in lotti obbligatoria in determinate condizioni».
[24]Cfr. Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, p. 73, adottato dal Consiglio Direttivo di ITACA (Istituto per l’innovazione e la trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale) nella seduta del 18 dicembre 2014, dalla Commissione infrastrutture, Mobilità e Governo del Territorio nella seduta del 18 febbraio 2015, ed approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella seduta del 19 febbraio 2015. In particolare, il documento è stato redatto da uno specifico Gruppo di lavoro ristretto “Direttive Appalti” coordinato dalla Dott.ssa Ivana Malvaso e dalla Dott.ssa Mariagrazia Bortolin, con il supporto scientifico del Prof. Mariano Protto e dell’Avv. Federcio Ventura.
[25]Cfr. art. 29, comma 4, d. lgs. 163/2006.
[26]Cfr. L. TORCHIA, op. cit., par. 2.2.1, p. 13.
[27]Cfr. considerando n. 105 della direttiva 2014/24/UE.
[28]Cfr. considerando n. 84 della direttiva 2014/24/UE, in particolare «molti operatori economici, non da ultimo le PMI, ritengono che un ostacolo principale alla loro partecipazione agli appalti pubblici consista negli oneri amministrativi derivanti dalla necessità di produrre un considerevole numero di certificati o altri documenti relativi ai criteri di esclusione e di selezione. Limitare tale requisiti, ad esempio mediante l’uso di un documento di gara unico europeo (DGUE) consistente in un’autodichiarazione aggiornata, potrebbe comportare una notevole semplificazione a vantaggio sia delle amministrazioni aggiudicatrici che degli operatori economici».
[29]Per il DGUE il termine di recepimento previsto è il 18 aprile 2018.
[30]Cfr. Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, op. cit., pag. 98.
[31]Cfr. considerando n. 127 e 128 della direttiva 2014/24/UE.
[32]Art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE.
[33]Posto che la prova preliminare di questi requisiti e criteri è fornita secondo lo schema dell’autocertificazione attraverso la presentazione del DGUE, l’inversione in parola dovrebbe riguardare soltanto la verifica della regolarità formale e del contenuto del DGUE medesimo.
[34]L’art. 1-bis del d.lgs. 163/2006 recita «i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese».
[35]Cfr. L. TORCHIA, op. cit., par. 2.2.1, p. 13.
[36]Cfr. Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE, op. cit., p. 38 e 39.
[37]Cfr. P. M. VIPIANA e M. TIMO, Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni, Atti del Convegno svolto il 23.03.2015 ad Alessandria presso il Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche Economiche e Sociali dell’Università del Piemonte Orientale, par. 2, p. 14 ss.
[38]Cfr. considerando n. 42 della  direttiva 2014/24/UE.
[39]Cfr. l’art. 26 della direttiva 2014/24/UE. In particolare, sono definite “irregolari” le offerte che non rispettano i documenti di gara, che sono state ricevute in ritardo, in relazione alle quali vi sono prove di corruzione o collusione, o che l’amministrazione aggiudicatrice ha giudicato anormalmente basse. Sono “inaccettabili” quelle presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria e quelle il cui prezzo supera l’importo posto dall’amministrazione aggiudicatrice a base di gara dell’amministrazione aggiudicatrice stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto.
[40]Art. 30, par. 3, della direttiva 2014/24/UE.
[41]Cfr. Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE, op. cit., p. 55.
[42]Cfr. considerando n. 63 della direttiva 2014/24/UE.
[43]Art. 28, par. 6, della direttiva 2014/24/UE.
[44]L’art. 45 della direttiva 2004/18/CE rubricato Situazione personale del candidato o dell’offerente recita «è escluso dalla partecipazione ad un appalto pubblico il candidato o l’offerente condannato, con sentenza definitiva di cui l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza; per una o più delle ragioni elencate qui di seguito: a) partecipazione ad un’organizzazione criminale (…); b) corruzione (…); c) frode (…); d) riciclaggio dei proventi delle attività illecite (…). Gli Stati membri possono prevedere una deroga all’obbligo di cui al primo comma  per esigenze imperative di interesse generale (…). Può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico: a) che si trovi in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione d’attività, di amministrazione controllata o di concordato preventivo o in ogni analoga situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista da leggi e regolamenti nazionali; b) a carico del quale sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, di amministrazione controllata, di liquidazione, di concordato preventivo oppure ogni altro procedimento della stessa natura previsto da leggi e regolamenti nazionali; c) nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna con sentenza passata in giudicato conformemente alle disposizioni di legge dello Stato, per un reato che incida sulla sua moralità professionale; d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice; e) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice; f) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice; g) che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni (…)».
[45]L’art. 45 della direttiva 2004/18/CE si riferiva alle persone giuridiche e/o fisiche, compresi se del caso, i dirigenti o qualsiasi altra persona che esercita poteri di rappresentanza, decisione o controllo.
[46]Il Codice degli appalti pubblici prevede l’esclusione degli operatori economici dalle gare di appalto anche nel caso di sentenze di condanna per reati gravi in danno dello Stato o della comunità che incidono sulla moralità professionale, per violazione del divieto di intestazione fiduciaria, per violazione della norma in materia di sicurezza.
[47]Il secondo comma del paragrafo 3 dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE regola la possibilità di derogare al regime delle cause obbligatorie di esclusione di cui al paragrafo 2 dello stesso articolo nei casi in cui l’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, ovvero se non sono stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali o se l’operatore economico è stato informato dell’importo preciso dovuto a causa delle violazioni di detti obblighi in un momento in cui non aveva possibilità di prendere provvedimenti in merito. Come precisato anche nel considerando n. 101, ultima parte, «nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio della proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero portare all’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione».
[48]L’art. 18, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE recita «gli Stati membri adottano misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate nell’allegato X».
[49]Sul punto è interessante la ricostruzione operata da R. GISONDI, in Commento alla direttiva 2014/24/UE relativa agli appalti nei settori ordinari, par. 4, p.22, in relazione al Convegno svoltosi il 23 marzo 2015 ad Alessandria presso il Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università del Piemonte Orientale intitolato “Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni”, che evidenzia come il regime di esclusione dalle gare di appalto non costituisca misura sufficiente a contrastare la portata anticoncorrenziale di determinati comportamenti, essendo necessari strumenti che intervengano nella fase successiva alla stipulazione del contratto. Egli sottolinea la lacunosità della nuova disciplina, riconoscendo l’inadeguatezza anche della disposizione di cui alla lett. b), comma 1, dell’art. 73 della direttiva, che prescrive la possibilità di risoluzione del contratto solo nel caso di successiva scoperta della sussistenza di cause obbligatorie di esclusione non rilevate in corso di gara. In questo modo, infatti, non risultano coperti i casi in cui si scopre ex post che l’aggiudicazione è falsata da corruzione o altri comportamenti collusivi o fraudolenti accertati successivamente. Né appare risolutore il ricorso all’autotutela, che porrebbe il problema della tutela delle posizioni soggettive lese da comportamenti scorretti.
[50]Il considerando n. 101 riporta quali esempi di inaffidabilità le violazioni di obblighi ambientali o sociali (comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità), le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. Il legislatore europeo, infatti, ci tiene a specificare che «una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto».
[51]L’articolo 57 paragrafo 7 prevede che se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni alla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4.
[52]S.A. ROMANO, L’affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Milano 2011, cap. V, par. 16, p. 157.
[53]Cfr. art. 53, comma 1 lett. a) della direttiva 2004/18/CE.
[54]Cfr. Domenico CROCCO, Le novità delle nuove direttive europee appalti e concessioni e il nuovo ruolo delle stazioni appaltanti, IGI, Convegno a Roma del 18 marzo 2015 intitolato “Le direttive 2014: contributo di approfondimento per il loro recepimento”, p. 3.
[55]Cfr.  Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, op. cit., pag. 111 ss.
[56]Il considerando n. 89 della direttiva 2014/24/UE recita «tutte le offerte vincenti dovrebbero essere infine scelte in base a quella che la singola amministrazione aggiudicatrice ritiene essere la migliore soluzione dal punto di vista economico tra quelle offerte».
[57]Cfr. R. GISONDI, op. cit. par. 3, p. 18.
[58]Cfr. considerando n. 94 della direttiva 2014/24/UE.
[59]Cfr. art. 67, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE.
[60]L’ultimo paragrafo del considerando n. 98 della direttiva 2014/24/UE recita «le condizioni di esecuzione dell’appalto potrebbero anche essere intese a favorire l’attuazione di misure volte a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra lavoro e vita privata, la protezione dell’ambiente o il benessere degli animali, a rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e ad assumere un numero di persone svantaggiate superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale».
[61]Cfr. Documento di analisi della direttiva 2014/24/UE, op. cit., p. 118 e ss.
[62]Come in precedenza torna in primo piano la tematica della tutela dell’ambiente.
[63]Cfr. considerando n. 90 della direttiva 2014/24/UE.
[64]Cfr. considerando n. 46 della direttiva 2004/18/CE.
[65]L’A.N.A.C. nella seduta del Consiglio del 17 febbraio 2016 ha costituito una Commissione di studio al fine di procedere alla stesura dei provvedimenti normativi attuativi del Codice dei contratti pubblici. La Commissione è così composta: Cons. Michele Corradino (con funzioni di Presidente), Prof. Francesco Merloni, Prof.ssa Ida Angela Nicotra, Prof.ssa Nicoletta Parisi, Dott.ssa Angela Lorella Di Gioia, Dott.ssa Maria Luisa Chimenti, Dott. Alberto Cucchiarelli, Prof.ssa Barbara Lilla Boschetti, Cons. Giulia Ferrari, Cons. Elisa Grande, Cons. Francesco Lombardo, Pres. Saverio F. Mannino, Cons. Antonella Manzione, Prof. Alberto Massera, Avv. Carmela Pluchino, Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli, Prof. Francesco Sciaudone, Prof. Saverio Sticchi Damiani, Prof. Luisa Torchia.
[66]Art. 1, lett. a), legge delega 28 gennaio 2016, n. 11.
[67]Cfr. D. CROCCO, op. cit., p. 1.
[68]Art. 54 bis del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, così come è stato introdotto dall’art.1, comma 51, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
[69]Si tratta delle lettere p), r), z), aa), ff) dell’art. 1 della legge delega 28 gennaio 2016, n.11.
[70]Cfr. L. TORCHIA, op. cit., par. 4, p. 52.
[71]Cfr. P. MANTINI, op. cit., par. 3, p. 4.
[72]Cfr. G. FIDONE, op. cit., par. 8, p. 50.
 
 
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Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 13 Aprile 2016
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