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Nota a sentenza: CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione 3^, dep. 04/11/2015 (ud. 19/09/2015) Sentenza n. 44471.  

 

 

REATI AMBIENTALI – Autorizzazione agli scarichi di acque reflue ed industriali – Soggetti tenuti al controllo – Sanzioni amministrative e sanzioni penali – Artt. 128, 133, 137 D.Lgs. 152/2006.

 

Nota a Sentenza: CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 44470, depositata in data 04/11/2015 (udienza 14/10/2015) – Presidente Squassoni – Relatore Amoresano

 

Il caso

Il Tribunale Monocratico di Patti affermava la penale responsabilità di S.I.A. per il reato previsto e punito dall’art. 137 comma I D.L.vo 152/2006, e lo condannava alla pena di € 1.500,00 di ammenda. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria in toto accolta dal Primo Giudice, l’imputato, nella sua qualità di Sindaco pro tempore del Comune di G.M., avrebbe, in assenza di autorizzazione – o, comunque, in presenza di una autorizzazione scaduta al momento dell’accertamento – effettuato lo scarico a mare delle acque reflue derivanti da due differenti impianti di depurazione. La riferibilità della condotta de qua al Sindaco pro tempore veniva poi ricavata dall’obbligo, gravante in capo allo stesso, di intervenire al fine di evitare il pericolo per la salute pubblica.
Avverso la sentenza di merito l’imputato ricorreva per Cassazione deducendo, per quanto interessa in questa sede, la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 137 comma I D.L.vo 152/2006, contestando la sussistenza degli elementi tipici del reato de quo. In altri termini, secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che i fatti oggetto di imputazione rientrassero nella previsione della norma contestata laddove, invece, avrebbe omesso di considerare che tale fattispecie fa esclusivo riferimento agli scarichi industriali; donde, non rientrando gli impianti di depurazione pubblica nell’alveo degli scarichi industriali, il reato contestato non sarebbe configurabile.

 

I reflui degli scarichi da pubblica fognatura non vanno qualificati come scarichi di acque reflue industriali

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte Regolatrice, ritenendo fondato il motivo di gravame avanzato da S.I.A., ha annullato con rinvio la sentenza di condanna.
Preliminarmente, i Supremi Giudici – dopo aver chiarito come la norma contestata sanzioni chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata – hanno avuto modo di precisare come tale fattispecie di reato abbia esclusivamente ad oggetto le acque reflue industriali e non anche quelle domestiche.
Donde, fatte tali premesse, hanno rilevato come il Tribunale si sia limitato ad affermare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, senza però curarsi di effettuare l’accertamento richiesto quale condicio sine qua non per la corretta e piena configurazione della fattispecie in argomento, ovvero verificare se le acque reflue scaricate e derivanti dagli impianti di depurazione avessero o meno natura industriale.
Orbene, la Suprema Corte ha statuito come, per giurisprudenza di legittimità pacifica, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, lo scarico da depuratore non ha una propria differente caratteristica rispetto a quella dei reflui convogliati; ne deriva che gli impianti che depurano scarichi da pubblica fognatura, ove non siano prevalentemente formati da scarichi di acque reflue industriali, debbano essere ritenuti di natura mista, ed i relativi reflui vanno qualificati come scarichi di acque urbane, per cui agli stessi si applicano le disposizioni previste dall’art. 54 commi 1 e 2 D.L.vo 152/1999 (che contemplano illeciti amministrativi) e non le disposizioni penali di cui all’art. 59, commi 1 e 5, dello stesso decreto (Cass. Pen., Sez. III, n. 2884 del 21/09/2000; Cass. Pen., Sez. III, n. 42545 del 6/11/2001; Cass. Pen., Sez. III, n. 1547 del 7/11/2002).
Tale giurisprudenza è stata ritenuta come ancora “valida”, essendovi continuità normativa tra gli artt. 54 e 59 del D.L.vo 152/1999 e gli artt. 133 e 137 del D.L.vo 152/2006.

 

 

Testo sentenza: 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.III, 04/11/2015 (ud.14/10/2015) Sentenza n.44470 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

– sul ricorso proposto da: Spanò Ignazio Alfonso, nato a Gioiosa Marea il 02/08/1957;
– avverso la sentenza del 24/11/2014 del Tribunale di Patti;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
– udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
– udito il P.M.,in persona del Sost.Proc.Gen.Francesco Salzano, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso;
– udito il difensore, avv. Matteo Del Vescovo in sost. avv. Vincenzo Amato, che ha concluso, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. IlTribunale di Patti, in composizione monocratica, con sentenza del 24/11/2014, condannava Spanò Ignazio Alfonso alla pena di euro 1.500,00 di ammenda per il reato di cui all’art.137, comma 1, D.L.vo 152/2006 “per avere, quale sindaco pro tempore del Comune di Gioiosa Marea, in assenza di autorizzazione, effettuato lo scarico a mare delle acque reflue derivanti dall’impianto di depurazione sito in c.da Mangano lungo il torrente “Zappardino”, e dall’impianto di depurazione sito in fraz. San Giorgio nei pressi del cimitero comunale”.

Riteneva il Tribunale che risultasse pacificamente, non essendo neppure contestato dall’imputato, lo scarico a mare di acque reflue derivanti dall’impianto di depurazione.

Era emerso, altresì, attraverso la testimonianza Fazio, che la precedente autorizzazione allo scarico fosse scaduta al momento dell’accertamento.

La condotta contestata era poi riferibile al sindaco pro tempore, avendo egli l’obbligo di intervenire per evitare pericolo alla salute pubblica.

Ricorrevano pertanto gli elementi costitutivi del reato contestato.

2. Ricorre per cassazione Spanò Ignazio Alfonso, a mezzo del difensore., denunciando la inosservanza o erronea applicazione dell’art.137, comma 1, D.L.vo 152/2006. 

Il Tribunale, erroneamente, ha ritenuto che i fatti contestati rientrassero nella previsione dell’art.137 D.L.vo 152/2006. Ha omesso di considerare, infatti, che tale norma fa riferimento soltanto a scarichi industriali. Nel caso di specie gli impianti di depurazione pubblica non rientrano tra gli scarichi industriali.
Peraltro,per accertare se trattasi di scarichi industriali, è necessario effettuare una campionatura (mai eseguita, come del resto confermato dal teste Fazio).  Gli scarichi dei depuratori comunali di Gioiosa Marea, anche se privi di autorizzazione, non costituiscono scarichi industriali, per cui non è configurabile il reato contestato (era comminabile soltanto la sanzione amministrativa di cui all’art.133 comma 2 D.L.vo 152/2006, peraltro già irrogata con ordinanza ingiunzione n.1/2008 della Provincia regionale di Messina).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. 

In sede di discussione la difesa avesse chiesto l’assoluzione dell’imputato sulla base dei rilievi in precedenza esposti; il Tribunale, però, ha omesso completamente di argomentare in ordine alle ragioni per cui dovesse essere disattesa la tesi difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. All’imputato risulta contestato il reato di cui all’art.137 comma 1 D.L.vo 152/2006, per avere, nella qualità di sindaco, senza autorizzazione, scaricato a mare acque reflue derivanti dall’impianto di depurazione.

La norma contestata sanziona chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata.

E’ indubitabile, quindi, che la disposizione normativa sanzionatoria riguardi soltanto le acque reflue industriali e non anche quelle domestiche.

2.1. Il Tribunale si è limitato a dare atto della sussistenza dell’elemento oggettivo della contravvenzione “ovvero lo scarico a mare di acque reflue derivanti dall’impianto di depurazione…” e dell’avvenuta scadenza di validità della precedente autorizzazione.

Non si è invece preoccupato minimamente di accertare se le acque reflue scaricate e derivanti dall’impianto di depurazione avessero natura industriale (accertamento indefettibile per ritenere sussistente il reato di cui all’art.137, comma 1, D.L.vo 152/2006).

Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in riferimento alla precedente normativa, in materia di tutela delle acque dell’inquinamento, lo scarico da depuratore non ha una propria differente caratteristica rispetto a quella dei reflui convogliati; ne deriva che gli impianti che depurano scarichi da pubblica fognatura, ove non siano prevalentemente formati da scarichi di acque reflue industriali, devono essere ritenuti di natura mista, ed i relativi reflui vanno qualificati come scarichi di acque urbane, per cui agli stessi si applicano le disposizioni previste dall’art.54, commi 1 e 2, D.L.vo n.152/1999 (che contemplano illeciti amministrativi) e non le disposizioni penali di cui all’art.59, commi 1 e 5, dello stesso decreto (Cass. sez. 3 n.2884 del 21/09/2000; Cass.sez. 3 n.n.42545 del 6/11/2001; sez. 3 n.1547 del 7/11/2002). Tale giurisprudenza deve ritenersi ancora “valida”, essendovi continuità normativa tra gli
artt.54 e 59 del D.L.vo 152/1999 e gli artt.133 e 137 del D.L.vo 152/2006.

2.2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al medesimo Tribunale (trattandosi di sentenza non appellabile) che si uniformerà ai rilievi ed ai principi in precedenza enunciati.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Patti.

Così deciso in Roma il 14/10//2015

 

 


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