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 Rivista Giuridica Ambiente
 
 
TAR LAZIO, Sez. II bis – 27 luglio 2017, n. 9003
 
Commento a sentenza


 
EVA MASCHIETTO – ELISA MARIA VOLONTÉ
 
 
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TAR LAZIO, Sez. II bis – 27 luglio 2017, n. 9003 – Pres. Stanizzi, Est. Mangia – Regione Puglia (avv.ti Mangiameli, Liberti, Colasante) Ministero Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS; Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero dello Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avvocatura Generale dello Stato) Schlumberger Italiana Spa (n.c.)
 
 
Valutazione di impatto ambientale – Attività di prospezione di idrocarburi – diversità da attività di ricerca – Ragioni.
 
Valutazione di impatto ambientale – Parere Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS – Carenza di istruttoria per mancata indagine su interferenze con altri permessi di prospezione – Illegittimità – Non sussiste.
 
L’attività di prospezione di idrocarburi liquidi e gassosi è attività distinta dall’attività di ricerca sia sotto un profilo fattuale sia sotto un profilo giuridico, determinando la seconda un impatto ambientale superiore che giustifica la sussistenza di una distinta disciplina giuridica non applicabile in via estensiva o analogica alla prima, senza che vi siano sospetti di incostituzionalità nella differenziazione delle due discipline.
 
Non è carente di istruttoria un parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS istituita presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che, pur non avendo espletato una specifica indagine sugli effetti cumulativi derivanti dalla compresenza diversi titoli abilitativi alla prospezione, ha dato conto dell’esistenza di specifiche interferenze, prescrivendo a carico del soggetto autorizzato precisi e definiti impegni diretti ad evitare l’effettuazione simultanea di indagini sismiche in aree adiacenti. 
 
 
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Attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi: il TAR Lazio conferma la differenza fattuale e giuridica tra le due attività e il loro diverso impatto ambientale, dando il via libera ad un’attività di prospezione geofisica 3D nel Golfo di Taranto dell’estensione di 4030 kmq.
 
Il TAR del Lazio torna a pronunciarsi – dopo una serie di propri precedenti conformi[1] tutti resi contro la stessa ricorrente, Regione Puglia – sulla differenza ontologica sia a livello fattuale sia a livello normativo delle attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, ricordando che le differenze normative sancite dall’abrogato D.M. 4 marzo 2011, così come riprodotte dal D.M. 25 marzo 2015, descrivono operatività con un impatto ambientale differenziato e fondano discipline giuridiche distinte.
 
La vicenda riguarda l’impugnazione del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, emanato di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo il 18 ottobre 2016, n. 289 che afferma la compatibilità ambientale del progetto di prospezione geofisica 3D presentato dalla società Schlumberger Italiana S.p.a., autorizzandolo “a condizione che vengano ottemperate le prescrizioni e gli adempimenti amministrativi” indicati, nonché degli atti precedenti con particolare riguardo al presupposto parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS istituita presso lo stesso Ministero, che ne aveva determinato appunto la sostenibilità tecnica.
 
Lamenta la Regione Puglia che il Ministero e la sua Commissione non abbiano ben valutato la compatibilità ambientale del progetto di prospezione geofisica 3D, da realizzarsi nell’ambito di una più ampia attività di prospezione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle acque del Golfo di Taranto, “zona marina F” prospiciente le coste della Regione ricorrente, della Regione Calabria e della Basilicata[2], sotto due specifici profili.
 
Il primo riguarda il fatto che, a giudizio della Regione Puglia, tale progetto di prospezione la cui estensione è di ben 4.030 kmq, avrebbe dovuto essere valutato (e presumibilmente rigettato, o comunque ridimensionato) sulla base della disposizione di cui all’art. 6, comma 2 della legge 9 del 1991 (la celeberrima legge di attuazione del Piano Energetico Nazionale che regola gli aspetti istituzionali della disciplina energetica, le norme sulle centrali idroelettriche e sugli elettrodotti, le materie relative a idrocarburi e geotermia, e l’autoproduzione di energia elettrica) che impone il limite di estensione di 750 kmq[3] per l’attività di ricerca, attività che viene ritenuta del tutto assimilabile a quella di prospezione.
 
La Regione, peraltro, consapevole appunto dei precedenti orientamenti del TAR Lazio, si spinge a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 e dell’art. 2 della stessa legge 9 del 1991 ravvisando, nell’ipotesi in cui non si possa ritenere estensibile il previsto limite territoriale per la ricerca anche alla prospezione, una ingiustificata e irragionevole lacuna normativa in relazione alle attività di prospezione, a suo giudizio troppo “libere” in violazione del principio di uguaglianza e di tutela del patrimonio.
 
Gli argomenti presentati dalla Regione Puglia si basano principalmente sulla pretesa equivalenza tra l’attività di prospezione e quella di ricerca, argomenti illustrati sulla base di una relazione tecnica appositamente predisposta per il giudizio[4]: ad avviso della ricorrente, infatti, la prima altro non sarebbe che una specificazione di un’attività più ampia e generale qual è l’attività di ricerca e, pertanto, dovrebbe essere sottoposta e dovrebbe sottostare ai limiti più stringenti previsti per quest’ultima.
 
Ma la Regione Puglia introduce in questo caso un ulteriore argomento, ancor più concreto, che riguarda una pretesa carenza di istruttoria nel procedimento seguito dalla Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale VIA e VAS dello stesso Ministero dell’Ambiente, che non avrebbe considerato, tramite una specifica indagine di dettaglio, gli effetti cumulativi che quel permesso di prospezione, tanto ampio, avrebbe comportato insieme agli altri titoli abilitativi alla prospezione, vigenti o in emanazione, riguardanti le aree contigue a quella interessata.
 
La Regione sottolinea come lo stesso Ministero avesse individuato la presenza di ben altri dieci diversi titoli minerari incidenti sulla stessa area interessata dal permesso di prospezione impugnato, ma rileva come tale individuazione non avesse comportato in realtà uno studio ad hoc riguardante l’impatto cumulativo degli stessi sull’area geografica in questione. La Commissione Tecnica di Valutazione, infatti, aveva stabilito che fosse la società titolare del permesso di prospezione a prendere futuri contatti con gli altri operatori al fine di redigere un cronoprogramma coordinato delle operazioni, in modo da escluderne la simultaneità.  
 
In pratica, la Regione sembra qui criticare il carattere “partecipativo” del provvedimento, stigmatizzando quella specie di “delega” operata dalla Commissione al soggetto autorizzato rispetto alle attività di coordinamento dei diversi operatori nell’effettuazione delle operazioni di prospezione, che – secondo quanto si desume dalla sentenza – spetterebbero invece all’amministrazione. 
 
Ma il Tribunale, come già anticipato, sulla base di specifici precedenti relativi alla medesima Regione Puglia, ha ritenuto che l’operato del Ministero fosse pienamente legittimo e conforme alla normativa sia sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico della disciplina di settore, mantenendo pienamente valido e vigente il significato della differenziazione normativa tra l’attività di ricerca e quella di prospezione, sia sotto il profilo procedimentale di sufficienza dell’istruttoria espletata in concreto e di adeguatezza delle misure di prescrizione contenute nel provvedimento impugnato. 
 
Prima di tutto, infatti, il TAR si sofferma sulla prospettata equivalenza dell’attività di prospezione con quella di ricerca e ribadisce – rigettando nettamente l’interpretazione tecnica della Regione – che le due attività sebbene siano a volte confuse, non possono e non devono essere considerate tra loro assimilabili e, anzi, è doveroso tenerle completamente distinte, così come ha – da tempo – chiarito anche la normativa di settore.
 
Non c’è dubbio che definizioni imposte dal decreto ministeriale 4 marzo 2011 e dal decreto ministeriale 25 marzo 2015 siano altamente significanti e, anzi, dirimenti sul punto. Le stesse indicano – da una parte – l’attività di prospezione come “l’attività consistente in rilievi geografici, geografici, geologici, geochimici e geofisici eseguiti con qualunque metodo e mezzo, escluse le perforazioni meccaniche di ogni specie, intese ad accertare la natura del sottosuolo e del sottofondo marino[5], e – dall’altra parte – l’attività di ricerca come “l’insieme delle operazioni volte all’accertamento dell’esistenza di idrocarburi liquidi e gassosi, comprendenti le attività di indagini geologiche, geochimiche e geofisiche, eseguite con qualunque metodo e mezzo, nonché le attività di perforazioni meccaniche, previa acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 27 della legge 23 luglio 2009 n. 99”[6].
 
La prospezione, non includendo perforazioni meccaniche, comporta un impatto meno invasivo e, conseguentemente, un rischio ambientale decisamente più ridotto rispetto all’attività di ricerca, la quale invece è naturalmente più violenta per il territorio. Da tale differenziazione consegue una diversa disciplina dei due provvedimenti abilitativi richiesti per l’espletamento delle relative attività, secondo quanto previsto dalla legge n. 9/1991.
 
Da un lato, l’art. 3 della L. n. 9/1991 richiede per l’espletamento dell’attività di prospezione l’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata mediante un titolo non esclusivo e della durata di un anno, un provvedimento molto leggero e di durata relativa, coerente con la tipologia non invasiva dell’attività.
 
Dall’altro lato, l’art. 6 della stessa legge prevede criteri molto più stringenti per l’attività di ricerca: il relativo permesso ha carattere esclusivo e una durata di sei anni, suscettibile di due ulteriori proroghe della durata di tre anni ciascuna e di un’ulteriore proroga qualora, alla scadenza definitiva del permesso, siano ancora in corso lavori di perforazione o prove di produzione (e se il protrarsi dei lavori sia dovuto a motivi non imputabili all’inerzia, negligenza o imperizia del titolare del permesso). Inoltre, una volta venuta meno qualsiasi possibilità di proroga, il permesso di ricerca non può essere nuovamente richiesto dallo stesso titolare per un’ulteriore attività di ricerca relativa alla stessa area o parte di essa né è possibile subentrare in un permesso di terzi, se non siano trascorsi quattro anni dalla cessazione del permesso precedente.
 
La maggior rigidità della disciplina relativa all’attività di ricerca si riflette anche sul profilo soggettivo del richiedente (poi titolare) delle autorizzazioni: mentre, infatti, per quanto riguarda l’attività di prospezione, si richiede al proponente solo il possesso di capacità tecniche ed economiche adeguate, per ottenere il permesso di ricerca è necessario non solo che il proponente dimostri di avere la necessaria capacità tecnica ed economica ma anche la presenza o, quantomeno, l’impegno preciso a costruire, in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste[7].
 
Alla luce di tante e tali diversità di carattere oggettivo e soggettivo tra la prospezione e la di ricerca, il Tribunale non può che rigettare la relazione tecnica proposta dalla Regione Puglia: le due attività non sono affatto assimilabili e, di conseguenza, non è applicabile alla prospezione il limite quantitativo dell’estensione massima dell’area di 750 kmq previsto per la ricerca.
 
Né appare fondata la doglianza di illegittimità costituzionale – per violazione del principio di uguaglianza o di tutela del patrimonio – dell’art. 6 co. 2 e dell’art. 3 della L. 9/1991 nella parte in cui il primo non estende il limite spaziale di 750 kmq anche ai permessi di prospezione, perché le differenze sostanziali tra le due attività non ne permettono un’equiparazione né si ravvisa una lacuna che possa generare quel dubbio di legittimità costituzionale meritevole di essere sottoposto al vaglio della Corte invocato dalla Regione. La rimessione, quindi, non viene neppure istruita.
 
Da ultimo, il TAR rigetta anche il motivo relativo alla carenza di istruttoria, abbracciando un certo pragmatismo che vede il soggetto autorizzato come una sorta di ausiliario dell’amministrazione quanto alle modalità operative oggetto dell’autorizzazione, per la tutela condivisa dell’interesse ambientale. 
 
Il Tribunale, infatti, non ravvisa una carenza di istruttoria nel non aver la Commissione Tecnica presso il Ministero istituito una specifica indagine ad hoc sul cumulo di effetti o sulle interferenze derivanti dall’esecuzione in simultanea di più attività di ricerca o di prospezione in aree contigue per diversi ordini di ragioni. Sotto un primo profilo, infatti, l’amministrazione ha dato pienamente conto dell’esistenza dei diversi provvedimenti abilitativi, provvedendo all’individuazione ed elencazione dei vari titoli minerari relativi all’area interessata, indicandone nominalmente l’operatore e sottolineando specificamente lo stato del procedimento autorizzativo[8]. Quindi non vi è certamente una carenza di istruttoria nell’acquisizione delle informazioni.
 
Sotto un secondo profilo, la Commissione Tecnica ha previsto alcuni precisi oneri in capo al soggetto autorizzato, sottoponendolo a prescrizioni specifiche al fine di garantire la non simultaneità delle attività concesse dai diversi titoli minerari (e quindi un cumulo di operazioni concomitanti con maggiore rischio e aggravio per l’ambiente marino). 
 
La prima prescrizione prevede che il titolare dell’autorizzazione sia sottoposto all’obbligo di “prendere contatti con l’altro esecutore per redigere un cronoprogramma delle operazioni che ne escluda la simultaneità”. Tale cronoprogramma, inoltre, deve essere articolato in modo da garantire che le indagini sismiche 2D e 3D autorizzate nell’area in questione o in quelle ad essa adiacenti, oltre a non essere simultanee, non possano essere iniziate se non trascorsi almeno dodici mesi dalla prima campagna.
 
In aggiunta poi, e confermando quella che si desume anche dalle precedenti pronunce sia una prassi invalsa nel Ministero (e più in particolare nell’ambito della Commissione Tecnica), è prescritto a carico del soggetto autorizzato un obbligo generale di continuo monitoraggio sulle ricadute ambientali connesse all’attività di prospezione. Nella fattispecie, si tratta di un monitoraggio biacustico che “consenta di individuare i criteri di sicurezza da adottare per la protezione dei mammiferi marini dai potenziali rischi derivanti dalle emissioni sonore generate dagli air-gun[9]” e la cui durata deve essere stabilita da personale scientifico competente in materia e, ad ogni modo, per un periodo antecedente all’attività di prospezione non inferiore a sessanta giorni e successivamente per almeno trenta giorni.
 
A giudizio del TAR, l’imposizione di specifici e ben delineati impegni a carico del soggetto proponente (e, poi, autorizzato) finalizzata ad evitare l’effettuazione di altre simultanee indagini in aree adiacenti sopperisce adeguatamente alla debolezza del sindacato della Commissione Tecnica che non ha effettuato una valutazione dell’impatto cumulativo dei diversi titoli, avvalendosi – per così dire – di una collaborazione esterna, da parte proprio del soggetto beneficiato, per la verifica e il controllo delle attività autorizzate e del loro impatto complessivo sull’ambiente.
 
Certamente quest’ultimo profilo presenta aspetti interessanti perché si collega con un meccanismo collaborativo e partecipativo successivo al rilascio dell’autorizzazioneche, da un lato, solleva l’amministrazione da oneri di verifica preventiva certamente molto onerosi e, talvolta, forieri di lungaggini e, dall’altro lato, responsabilizza l’operatore sul quale, a questo punto, ricade un onere non irrilevante di coordinamento con terzi soggetti.
 
Alcuni interrogativi potrebbero, a questo proposito, insorgere in relazione al potere di controllo dell’amministrazione sull’esecuzione delle prescrizioni e agli atti di autotutela disponibili alla medesima in caso di mancata ottemperanza agli obblighi.
 
Ma forse più interessante è chiedersi quali siano gli strumenti a disposizione del titolare dell’autorizzazione per poter “concordare” un cronoprogramma con gli altri operatori, nel caso in cui questi ultimi non si dimostrino completamente collaborativi e se, in limine, un intervento dell’amministrazione sia comunque possibile in via suppletiva. In effetti lo strumento a disposizione del privato, sia in termini conoscitivi sia in termini coercitivi appare non assimilabile allo strumento nelle mani dell’amministrazione quanto ad efficacia.
 
La decisione del TAR, quindi, sposa l’approccio ottimistico e, appunto, pratico dell’amministrazione centrale e rigetta integralmente i motivi di ricorso proposti dalla Regione Puglia, giungendo – anche in questo caso e non è completamente chiaro il perché – a compensare le spese del giudizio per la peculiarità della questione, sebbene i chiari precedenti contro la stessa amministrazione siano stati integralmente confermati.
 
Solo l’esperienza ci dirà se le prescrizioni imposte dalla Commissione Tecnica presso il Ministero siano state effettivamente attuabili dalle imprese e se l’auspicata collaborazione generale si sia in effetti realizzata nel comune obiettivo di salvaguardia delle risorse marine del nostro meraviglioso mare.



 

[1]Si tratta delle sentenze TAR Lazio, sempre Sez. II bis del 26 settembre 2016 nn. 9937, 9938 e 9939, che riguardavano gli atti rilasciati nell’ambito di uno stesso progetto di ricerca sismica con tecnica air-gun con rilevamento sismico 2D, ma relativi a diverse aree geografiche (tutte localizzate nel Mar Adriatico e proposte dalla società NorthernPetroleum (UK) Lld Srl) nonché della sentenza TAR Lazio sempre Sez. II bis 4 agosto 2016, n. 9073, la quale invece riguarda un progetto tecnicamente simile sempre sul Mar Adriatico (coinvolgendo le coste dell’Emilia Romagna, delle Marche, dell’Abruzzo, del Molise e della Puglia) con come la Società Spectrumum – Spectrum – Geo Lld. In tutti i casi la ricorrente era la Regione Puglia.
[2] Il parere della Commissione Tecnica, più dettagliatamente, circoscrive l’area interessata, distante dalle coste delle regioni interessate di almeno tredici miglia, posto che lo stesso parere sottolinea che la distanza dalla costa di Santa Maria di Leuca è maggiore (circa diciassette miglia).
[3] Art. 6, comma 2 L. n. 9/1991: “L’area del permesso di ricerca deve essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non può comunque superare l’estensione di 750 chilometri quadrati. Nell’area del permesso possono essere comprese zone adiacenti di terraferma e di mare”.
[4] Si fa riferimento alla relazione prodotta dalla Regione Puglia in data 4 maggio 2017, nella quale la ricorrente tenta di dimostrare l’equivalenza tra l’attività di prospezione e quella di ricerca.
[5]Questa è la definizione di attività di prospezione di cui all’art. 2, lett. g), D.M. 4 marzo 2011 e all’art. 2, lett. b), D.M. 25 marzo 2015, riproposta dalla sentenza in oggetto nonché dalla giurisprudenza sul punto. Ex multis, si veda ad esempio la sentenza del TAR Lazio n. 9073/2016.
[6]Questa è la definizione di attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi di cui all’art. 2, lett. h), D.M. 4 marzo 2011 e all’art. 2, lett. c), D.M. 25 marzo 2015.
[7]Così cita infatti l’art. 5, comma 1, L. n. 9/1991: “il permesso di ricerca è esclusivo ed è accordato, sentita la regione o la provincia autonoma di Trento o Bolzano territorialmente interessata e previa domanda da presentare al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, a persone fisiche o giuridiche che dimostrino la necessaria capacità tecnica ed economica e possiedano o si impegnino a costituire in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste, nel rispetto degli impegni contratti dall’Italia in sede di accordi internazionali per la tutela dell’ambiente marino.
[8] Si tratta di una tabella inserita alle pagine 42 e 43 del Parere della Commissione Tecnica.
[9] La necessità di procedere a detto monitoraggio nonché i requisiti cui esso deve sottostare sono dettagliatamente descritti dal parere della Commissione Tecnica nelle pagine 36 e ss.
 
 
 

 


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