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THE IMPORTANCE OF NON-STATE ACTORS NOWADAYS.
 
Leopoldo Esposito
 
 

Oggigiorno è interessante osservare come sia inflazionato l’interesse adverso gli attori non statali nel panorama del diritto internazionale. L’obiettivo di questo lavoro è appunto quello di comprendere le ragioni del perché gli attori non statali hanno ottenuto l’attenzione di una parte rilevante del mondo accademico, nonché della politica internazionale.
 
Al fine di raggiungere lo scopo su prefissato, sarà necessario innanzitutto definire il concetto di attore non statale, che è compito particolarmente ostico.
 
La dottrina e la giurisprudenza hanno da sempre incontrato numerose difficoltà nel classificare il soggetto[1] di diritto in esame. La ricerca di una definizione giuridica del termine è tra gli obbiettivi del presente elaborato, pertanto si cercherà di individuare gli elementi utili ad inquadrare la fattispecie cui ci si riferisce utilizzando questo termine. La branca del diritto internazionale che al proposito dovrà essere utilizzata è quella del diritto internazionale[2] umanitario.
 
In primis bisogna osservare che la distinzione e la qualifica di questi soggetti di diritto internazionale, al fine di sottoporli ad un’adeguata regolamentazione, rientra tra i compiti svolti direttamente ed indirettamente dagli Stati, che li definiscono attraverso regolamenti, trattati ed accordi internazionali. Gli Stati, ed anche le organizzazioni internazionali si occupano appunto di definire questi soggetti, attraverso trattati e convenzioni; invece, lo stesso compito è svolto indirettamente dai tribunali internazionali, che con la loro giurisprudenza, determinano la formazione del diritto internazionale consuetudinario. Al contrario, riconoscere un attore statale, non è complesso quanto individuare un non state actor. Innanzitutto perché per gli Stati esiste una definizione, (si definisce Stato quell’ordinamento giuridico-politico che persegue fini generali, cioè persegue l’interesse di tutta la collettività nel suo complesso, mediante l’esercizio di un potere non contrastato da altri poteri, e quindi sovrano, su un determinato territorio e sui soggetti a esso appartenenti, e ciò mediante l’uso della forza armata, della quale detiene il monopolio legale, non potendo tollerare al suo interno altre forze armate che ne contrastino le finalità), ed in secondo luogo per gli Stati esiste un riconoscimento specifico delle norme di diritto internazionale.
 
L’obiettivo che ora preme maggiormente è di comprendere chi siano gli attori non statali, per distinguerli rispetto agli attori statali.
 
La difficoltà nell’inquadrare, ovvero definire gli attori non statali, trova parzialmente le sue origini nella concezione socialista[3] delle scuole di diritto internazionale. Infatti le stesse non riconoscevano, e non riconoscono entità diverse dagli Stati, per quanto riguarda la capacità legale[4]. Ad ogni modo una definizione funzionale è stata data da Markus Wagner[5], che ha specificato che, il termine attore non statale si riferisce ad un concetto che comprende tutti quei soggetti delle relazioni internazionali che non sono Stati, (una definizione sostanzialmente ex excludendum).
 
E’ possibile peraltro classificare gli attori non statali distinguendoli in due ampie categorie. Nella prima gli attori non statali conservano caratteristiche statali o governative, e sono ad esempio gli attori sub-Statali, (Stati Federali[6]), o anche le organizzazioni internazionali e gli schieramenti di Stati, (G8 ad esempio); l’altro gruppo comprende attori non statali “privati”, che si manifestano in molti modi, alcuni riconosciuti dagli Stati, mentre altri sono totalmente estranei ad ogni tipo di classificazione, infiltrandosi al confine tra Stato e attore non statale, senza che sia possibile chiaramente distinguere l’uno dall’altro. D’altronde spesso c’è una stretta interdipendenza tra i vari attori non statali e, tra attori non statali e Stati stessi.
 
La categoria di attori non statali di cui ci si occuperà in questa sede, non comprende le organizzazioni internazionali, ma ha a che fare con quegli attori non statali che si manifestano e sviluppano in maniera tutt’altro che pacifica, ovvero ai gruppi armati organizzati. Facciamo riferimento, tra gli altri, ai gruppi insurrezionali, ai movimenti di liberazione nazionale, ai ribelli e ai combattenti.
 
A proposito di questi ultimi, una definizione funzionale è fornita dall’International Commitee of Red Cross, che ritiene si possa parlare di gruppo armato organizzato, a patto che siano rispettati alcuni requisiti:
 
1.      Organizzazione del gruppo armato, ovvero:
a)      Esistenza di una struttura di comando;
b)      Presenza di regole interne;
c)      Abilità di reclutare nuovi combattenti;
d)     Capacità di addestrare nuove forze.
2.      Intensità del conflitto, ovvero la natura collettiva dello stesso, e il ricorso delle forze armate, più dettagliatamente:
a)      Durata del conflitto;                                                                                                            
b)      Natura delle armi;
c)      Frequenza degli attacchi;
d)     Numero delle vittime.
 
Ritornando al tentativo di definizione di questi gruppi armati organizzati, tra gli autori che hanno tentato di dare una definizione di non state actors si è distinto Andrew Clapham[7]. Clapham descrive i Non state actors, come quei gruppi di ribelli, gruppi insurrezionali e belligeranti che talvolta sono considerati dagli studiosi internazionalisti secondo una scala graduale di importanza e di potere a seconda della loro capacità di organizzazione, ovvero di abilità di controllo del territorio, tenendo conto della capacità di controllo territoriale che proporzionalmente garantirebbe il loro maggiore o minore riconoscimento. Tanto più grande sarà il territorio “controllato” da questi gruppi, tanto maggiore sarà il riconoscimento degli stessi da parte degli Stati.
 
D’altro canto come ben spiega August Reinisch[8], questa idea è profondamente radicata nel concetto di diritto umano. Secondo August Reinisch,  “International as well as national lawyers have traditionally been trained to conceive of human right as fundamental guarantees and standards of legal protection for individual against the power, and particularly, against the abuse of power, of state”.
 
Anche Antonio Cassese[9] riconosce i gruppi armati organizzati come soggetti del diritto internazionale umanitario a seconda del livello di organizzazione e di intensità del conflitto.
 
D’altronde fintanto che il conflitto, ovvero l’insurrezione resta localmente diffusa, la stessa non ha rilevanza per il diritto internazionale; è infatti solo quando vengono rispettati i due requisiti, (Intensity of Conflict and Level of Organization), che da gruppo di belligeranti si inizia a parlare di Non state actors, ovvero di gruppo armato organizzato.
 
Interessante è anche la definizione che si trova nel Protocollo II che include nella categoria dei conflitti armati organizzati, i conflitti armati in cui prendono parte gli Stati, (con le loro forza armate), ovvero i soggetti che fanno parte dei trattati, e “le forze armate dissidenti, e i gruppi armati organizzati che controllano una parte del territorio e sono capaci di gestirlo ed organizzarlo”.
 
Nell’articolo 1(2) si legge, “This protocol shall not apply to situations of violence and other acts of a similar nature, as not being armed conflicts”; quindi l’applicazione del suddetto protocollo è riservata solo ai casi di conflitti armati.
 
Il Protocollo si applica anche “a tutti i conflitti armati che non sono coperti dall’Articolo 1 del Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 Agosto 1949, ed è collegato alla Protezione delle Vittime dei Conflitti Armati Internazionali, (Protocollo I), e riguarda il rapporto tra le High Contracting Party, (gli Stati che hanno stipulato la Convenzione), ovvero le sue forze armate, e le forze armate dissidenti o altri gruppi armati organizzati che, esercitano il controllo su una parte di territorio dello Stato contraente. Controllo che consente ai gruppi armati organizzati di ricevere sostentamenti e di organizzare il conflitto militarmente.
 
E’ interessante notare invece come si sia evoluta la visione di taluni studiosi internazionalisti, tra cui quella di Heather A. Wilson.
 
Heather Wilson[10] ha scritto che, a partire dalla prima guerra mondiale, le vecchie norme di diritto internazionale sono ormai più teoriche che pratiche. Ha più senso infatti pensare non più ai ribelli o ai gruppi insurrezionali, distinguendo i primi dai secondi, quanto piuttosto parlare di “ribelli” direttamente sottoposti alla disciplina del diritto internazionale umanitario; d’altronde questo concetto è contenuto nell’art. 3 comune alle quattro convenzioni di Ginevra del 1949, e nel secondo protocollo addizionale del 1977, ovvero nell’art. 19 dell’Hague Convention on Cultural Property of 1954.
 
A questa tesi pare essersi accodata anche Ruth Wegwood[11], che spiega come la nozione di Stato, è ormai una questione che interessa molto più gli avvocati, che la dottrina o i sociologi del diritto internazionale.
 
D’altronde l’esigenza di definire ed inquadrare gli attori non statali è dettata innanzitutto dal fatto che durante questi conflitti armati il numero delle vittime è piuttosto ampio, e spesso si rischia di confondere tra i combattenti, i ribelli o i gruppi insurrezionali che siano, e i semplici civili. E lo scopo principale delle organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, è proprio la protezione dei diritti umani, chiaramente includendo come ratio delle stesse la riduzione del numero delle vittime, e ancor di più delle vittime che non sono direttamente coinvolte nei conflitti di questo genere. Durante questi combattimenti i soggetti che subiscono più o meno gravi danni materiali, (alla proprietà), e danni alla persona, (fino alla morte), sono sia appartenenti alle forze in conflitto, sia civili, ovvero forze neutrali alla guerra in corso. Spesso sono le parti neutrali ad essere catturate dalle forze in conflitto e a divenire “prigionieri[12]”. Pertanto si osserva come da un lato c’è una parte della dottrina che ritiene indispensabile il riconoscimento e la definizione dei Non state actors, dall’altro invece gli Stati non sembrano avere interesse a riconoscere i gruppi armati organizzati.
 
Se gli Stati infatti riconoscessero i Non State come enti di diritto internazionale, dichiarerebbero implicitamente che questi esistono e che hanno quindi un potere. Come spiega Clapham [13] in un’eloquente metafora, “This seems as likely as turkeys voting for Christmas”. Il riconoscimento di un attore non statale implica ammettere che lo stesso non sia più semplicemente oggetto, quanto invece soggetto nei conflitti armati. Ancora, ciò che spaventa maggiormente gli Stati è che questo riconoscimento, da intendersi come soggezione alle norme internazionali, determini il rischio che gli stessi raggiungano l’indipendenza e che poi col tempo possano essere riconosciuti come tali all’interno della comunità internazionale. Infatti fintanto che le norme di diritto internazionale vengono applicate ai gruppi armati organizzati, nulla quaestio; i dubbi sorgono qualora gli stessi guadagnino il potere attivo di regolare e disciplinare i conflitti al pari e di fianco agli Stati. Gli Stati in sostanza mirano soprattutto a proteggere la loro sovranità.
 
Uno studio molto interessante nella materia dei non state actors e della loro definizione quantomeno teorica è fornito da August Reinisch[14], che nel secondo capitolo del suo testo, sviluppa una nuova prospettiva di analisi dei gruppi armati organizzati.
 
Reinisch inquadra i Non state actors come soggetti del diritto internazionale, superando le diatribe dottrinali e storiche su questi ultimi. Reinisch sostiene infatti superato ogni dubbio al proposito del riconoscimento dei gruppi armati organizzati. Difatti, sarebbe solo ed esclusivamente la forma mentis giuridica, legata alle vecchie conoscenze teoriche, che impedisce di inserire i non state actors tra i soggetti del panorama giuridico internazionale. Reinisch invece si concentra di più sulla definizione di Legal Framework a proposito dei gruppi armati organizzati, affidandosi semplicemente ad un numero di elementi che sono generalmente accettati, ovvero:
 
  1. Gli standard e le regole comportamentali;
  2. Le procedure utilizzate nelle discussioni, supervisioni e nel rinforzare le compliance;
  3. Le istituzioni, i forum e i network, nei quali questi gruppi sono attivi.
 
E’ quindi facile comprendere l’interesse della politica internazionale ed europea rispetto a questi soggetti. L’interesse in questo caso è infatti direttamente proporzionato al numero delle vittime. In realtà, tutte le istituzioni dell’Unione europea, così come le organizzazioni internazionali hanno difficoltà a riconoscere il diritto di autodeterminazione dei non-states, e allo stesso tempo garantire la protezione dei civili dagli attacchi indiscriminati da parte di questi ultimi.
 
E’ qui delineato il delicato compito affidato alle organizzazioni internazionali; in realtà sulla base dei loro statuti, devono garantire il rispetto dei diritti umani, così come il rispetto della popolazione. Ciò vuol dire che, da un lato hanno bisogno di limitare le azioni pericolose degli attori non statali, (in caso contrario la popolazione civile diverrebbe un bersaglio indiretto delle loro azioni), e dall’altro lato di garantire la congruità del diritto di auto-determinazione dei non-state.
 
 
Come è stato spiegato nell’introduzione di questo lavoro, gli attori non statali hanno attirato anche l’attenzione del mondo accademico, e le ragioni sono abbastanza ovvie. In primo luogo, non v’è una definizione specifica di non state actors nel mondo accademico, ma solo una pacifica e accettata. In secondo luogo, non esiste una regolamentazione specifica degli stessi. Per tale ragione negli ultimi decenni ci sono stati molti studi su questo argomento, concentrandosi sul target principale: garantire la tutela dei diritti umani.
 
L’ultima ragione per cui gli attori non statali sono così discussi oggi, ragione che non è stata considerata nell’introduzione di questo lavoro, riguarda l’influenza degli attori non statali nel law making process. Infatti, gli attori non statali esercitano un’influenza crescente sul processo legislativo internazionale, acquistando un ruolo rilevante nell’attuazione e nell’applicazione delle norme internazionali. Quindi, l’indagine sul ruolo degli attori non statali è anche utile per capire come funziona il sistema giuridico/legislativo internazionale in pratica.
 
Concludendo si può dire che anche se ci sono diverse distinzioni tra stati e attori non statali, la prospettiva per il futuro è quello di superare la distinzione tra i diversi tipi di conflitti al fine di garantire la tutela dei civili in tutti i conflitti armati.
 
Ciò che importa realmente domandarsi è se la diversa qualificazione formale delle ostilità possa essere motivo sufficiente a legittimare sofferenze più intense. A questo quesito non può che darsi una risposta negativa. Infatti non solo attraverso il lavoro delle istituzioni interne agli Stati, ma anche attraverso la collaborazione tra gli organi di diritto internazionale umanitario, si deve raggiungere l’obiettivo della tutela dei diritti umani senza tener conto del luogo e del tempo in cui la violazione di tali diritti è avvenuta, e senza fare distinzione tra i soggetti rei delle violazioni del diritto internazionale umanitario. Questo orientamento fino ad oggi è stato per lo più dottrinario, e poco pragmatico. Pertanto, al fine di raggiungere l’obiettivo della tutela uniforme dei diritti umani e dell’applicazione omogenea del diritto internazionale umanitario occorrerà monitorare le future pronunce dei Tribunali Internazionali e la prassi degli Stati nell’applicazione del diritto internazionale umanitario agli attori non statali.
 
 

 



 
[1] La qualifica di soggetto di diritto internazionale per gli attori non statali è piuttosto recente. Infatti in passato questi ultimi erano considerati “oggetti” nel diritto internazionale.
[2] Il diritto internazionale umanitario – detto anche diritto dei conflitti armati o diritto internazionale bellico, ius in bello – è quella branca del diritto internazionale che si applica unicamente in caso di conflitti armati internazionali e non internazionali, e ha una doppia funzione: disciplina la condotta da tenersi durante le ostilità e protegge le vittime dei conflitti armati.
[3] Politica estera, diritto internazionale e sovranità dello Stato nella concezione sovietica, A. I. Vyscinski, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 15, Numero 3, Luglio-Dicembre 1948, pag. 502-506.
[4] La capacità legale nell’ordinamento giuridico italiano: Art. 1 Capacità giuridica. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. In questo caso la capacità legale si riferisce ad un concetto piuttosto lontano da quello definito dall’articolo 1 del codice civile italiano. Infatti qui ci si focalizza maggiormente su quale soggetto ha diritti e doveri nel rispetto delle norme di diritto internazionale e se lo stesso possa essere sottoposto a talune norme o ad altre.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all`evento della nascita.
[5] Max Planck Encyclopedia of Public International Law – Luglio 2013, Oxford, Oxford University, pp. 34-37.
[6] Ad esempio le confederazioni tedesche e svizzere. In questo gruppo rientrano anche i protettorati, (vedi ad esempio quelli Africani ed Asiatici), ma anche oltre ai regimi di fatto, gli stati coloniali.
[7] Clapham – Human rights obligations of non-state actors in conflict situations Human rights obligations of non-state actors in conflict situations – Volume 88, Numero 863, Settembre 2006.
[8] The Changing International Legal Framework for Dealing with Non- state actors, August Reinisch, in Non State Actors and International Law, Farnham, Andrea Bianchi, Anno 2009, p. 411-463.
[9] Antonio Cassese, International Law, seconda edizione, Oxford University Press, Oxford, 2005, p. 125. Antonio Cassese ripete il concetto inoltre in International Law in a Divided World, Oxford University Press, Oxford, 1986, pp. 81– 85. 
[10] Heather A. Wilson, International Law and the Use of Force by National Liberation Movements, Oxford University Press, Oxford, 1988, p. 24. Per un’analisi più approfondita, Lassa Oppenheim and Hersch Lauterpacht, International Law: a Treatise (Disputes, War and Neutrality), settima edizione, Vol. II, Longman, London, 1952, pp. 209–16; Robert Jennings and Arthur Watts, Oppenheim’s International Law (Peace), nona edizione, Vol. I, parte 1, Longman, London, 1996, pp. 161–83.
[11] Professore di Diritto, Università di Yale; Non-state actors as new subjects of international law: international law – from the traditional state order towards the law of the global community : proceedings of an international symposium of the Kiel Walther-Schücking-Institute of International Law, March 25 to 28, 1998 – Edited by Rainer Hofman.
 [12] Per la disciplina e la protezione dei prigionieri, e lo status di POW, (Prisoner of War), vedi infra.
[13] The Oxford Handbook of International Law in Armed Conflict – 13 Marzo 2014. Adrew Clapham.
[14] The Changing International Legal Framework for Dealing with Non- state actors, in Non State Actors and International Law, Farnham, Andrea Bianchi, 2009, p. 411-463.
 
 
 
Pubblicato su AmbienteDiritto.it  – 28 Marzo 2017 –
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