DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura – Alienazione – Cessione – Diritti edificatori – Autonomia alienazione o cessione – Fondo “di decollo” – Fondo “di atterraggio” – Presupposti (Massima a cura di Ilaria Genuessi)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: Giurisdizionale
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Aprile 2024
Numero: 319
Data di udienza: 9 Novembre 2023
Presidente: Giovagnoli
Estensore: Bottiglieri
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura – Alienazione – Cessione – Diritti edificatori – Autonomia alienazione o cessione – Fondo “di decollo” – Fondo “di atterraggio” – Presupposti (Massima a cura di Ilaria Genuessi)
Massima
CGA PER LA REGIONE SICILIANA, Sez. giurisdizionale – 24 aprile 2024, n. 319
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura – Alienazione – Cessione – Diritti edificatori – Autonomia alienazione o cessione – Fondo “di decollo” – Fondo “di atterraggio” – Presupposti.
La “cessione di cubatura” rappresenta un istituto frutto dell’elaborazione giurisprudenziale che ha riconosciuto che diritti edificatori posseduti da un terreno, quali utilità separata, potessero essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno. Il presupposto logico del c.d. “asservimento” del fondo, c.d. “di decollo”, che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo, c.d. “di atterraggio”, che la riceve, consiste nell’interesse della pubblica amministrazione affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti. La possibilità di trasferire la cubatura è tuttavia sottoposta a precise condizioni: l’omogeneità di destinazione d’uso; la contiguità territoriale dei fondi (4); la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo.
(Conferma TAR Sicilia, Palermo, n. 332/2020) – Pres. Giovagnoli, Est. Bottiglieri – S.G. e altro (avv.ti Caponnetto e Caponnetto) c. Comune di Raffadali (avv. Brucculeri)
Allegato
Titolo Completo
CGA PER LA REGIONE SICILIANA, Sez. giurisdizionale - 24 aprile 2024, n. 319SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 857 del 2020, proposto da
Salvatore Gueli e Anna Plano, rappresentati e difesi dagli avvocati Gaetano Caponnetto e Vincenzo Caponnetto, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Comune di Raffadali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carmelo Brucculeri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (Sezione seconda) n. 332/2020, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Raffadali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 9 novembre 2023 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
I signori Salvatore Gueli e Anna Plano proponevano due autonomi ricorsi avverso gli atti del Comune di Raffadali aventi a oggetto opere edilizie da loro abusivamente realizzate su un immobile sito nel territorio comunale e segnatamente: il provvedimento n. 16227/2016 di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità (ricorso n.r.g. 275/2017); l’ingiunzione di demolizione n. 1/2017 e l’ingiunzione n. 17606/2017 al pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4, d.P.R. 380/2001 (ricorso n.r.g. 18/2018).
Con la sentenza in epigrafe l’adito Tar così descriveva le opere edilizie abusive:
– rimozione del terreno circostante all’immobile con realizzazione di un piano terra (ex-interrato)
e interventi di tramezzatura interna, pavimenti, intonaci;
– variazione della destinazione d’uso dei due piani, con realizzazione di due unità immobiliari destinate a civile abitazione, una al piano terra e l’altra al piano primo;
– scala esterna di collegamento dei piani in c.a., posta lungo il lato ovest del fabbricato;
– vano ripostiglio, posto sotto la suddetta scala, dalle dimensioni in pianta di 6,20×2,48 mt. circa ed un’altezza di circa 2,70 mt.;
– veranda in legno e pilastri in muratura, posta al piano terra lungo il lato sud del fabbricato, avente una superficie di mq. 65 ed un’altezza di circa 2,70 mt. alla gronda;
– piccola tettoia in legno e pilastri in muratura, posta al piano terra lungo il lato ovest, dalle dimensioni in pianta di 14,20×2,90 mt. al colmo e di 2,56 mt. alla gronda;
– veranda in legno, posta al piano primo sul lato nord, dalle dimensioni in pianta di 14,20×2,90 mt. circa ed un’altezza di circa 2,90 mt. al colmo e di 2,55 mt. alla gronda;
– mantovana in legno, posta al piano primo lungo il lato sud, dalle dimensioni di 13×1,60 mt. circa;
– due balconi in c.a., posti al piano primo, uno sul lato ovest delle dimensioni di 3×1 mt. circa con sovrastante mantovana in legno, l’altro sul lato est dalle dimensioni di 3,50×0,70 mt. anch’esso con sovrastante mantovana in legno;
– veranda in legno, distinta dal fabbricato, posta lungo il lato ovest e in aderenza al confine di proprietà, dalle dimensioni in pianta di 6×6,30 mt. circa ed un’altezza di circa 2,90 mt. al colmo e di 2,80 mt. alla gronda;
– muri di contenimento in c.a., per circa 24 mt. lungo il lato nord e circa 6,30 mt. lungo il lato ovest, aventi un’altezza di circa 2,90 mt..
Nel merito, nella resistenza del Comune di Raffadali, il Tar:
– riuniva i ricorsi per connessione oggettiva e soggettiva;
– riteneva la legittimità del diniego di sanatoria sulla dirimente considerazione che, tra le varie motivazioni dell’atto, non perfettamente coerenti, figurava anche quella dell’incompatibilità degli abusi edilizi con la destinazione d’uso dell’area (verde pubblico attrezzato);
– riteneva la legittimità dell’ordine demolitorio, escludendo che esso fosse affetto dai vizi lamentati dagli interessati (nullità della notifica; carenza di motivazione in relazione al tempo decorso dalla commissione dell’abuso; mancata comunicazione di avvio del procedimento);
– riteneva, di contro, l’illegittimità dell’ingiunzione al pagamento della sanzione pecuniaria in quanto la rilevata inottemperanza all’ordine di demolizione si fondava su un verbale di accertamento antecedente alla scadenza del termine di 90 giorni per provvedervi;
– compensava tra le parti le spese del giudizio.
Gli interessati hanno appellato la sentenza. Hanno dedotto: 1) Travisamento dei fatti incidenti sulla determinazione relativa alla inedificabilità dell’area in considerazione della sua destinazione; 2) Insussistenza del vincolo di inedificabilità dell’area a seguito di variante al P.R.G.; conseguente edificabilità dell’area ai sensi del combinato disposto dell’art. 9 del d.P.R. 380/2001, come recepito dall’art. 4 della l.r. Sicilia 16/2016, e dell’art. 22 della stessa legge regionale. Hanno concluso per la riforma della sentenza in parte qua con ogni conseguente statuizione, ivi compresa quella relativa alla non debenza della sanzione amministrativa illegittimamente irrogata, impugnata con il ricorso n.r.g. 18/2018.
Il Comune di Raffadali si è costituito in resistenza. Eccepita l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104 Cod. proc. amm., del nuovo documento versato al fascicolo di appello dagli interessati, costituito dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune il 3 agosto 2020, ha sostenuto l’infondatezza del gravame e concluso per la conferma della sentenza gravata.
Con atto depositato il 24 novembre 2022 gli appellanti hanno dichiarato il loro perdurante interesse alla decisione del gravame. Successivamente hanno depositato una memoria di confutazione delle difese di controparte.
Con ordinanza n. 140/2023 questo Consiglio ha disposto un incombente istruttorio a carico dell’Amministrazione comunale, che vi ha parzialmente adempiuto come da deposito del 4 aprile 2023.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 9 novembre 2023.
DIRITTO
1. In via preliminare, va precisato che, allo stato, l’eccezione di inammissibilità, ex art. 104 Cod. proc. amm., spiegata dal Comune di Raffadali in relazione al certificato urbanistico qui versato in atto dagli appellanti, rilasciato dallo stesso Comune il 3 agosto 2020 (ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, avvenuta il 12 febbraio 2020), può ritenersi superata in ragione dell’incombente istruttorio disposto dal Collegio con ordinanza n. 140/2023, finalizzato ad accertare proprio l’eventuale evoluzione della originaria destinazione urbanistica dell’area interessata dagli abusi edilizi per cui è causa, questione sollevata dagli interessati in primo grado (ricorso n.r.g. 275/2017) e qui riproposta anche sulla base di detto certificato.
1.1. Ancora in via preliminare, non appare superfluo osservare che la sentenza di primo grado in esame, con un capo non appellato dal Comune, ha accolto l’impugnativa degli odierni appellanti quanto alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui in fatto: non vi è pertanto luogo, come pure qui richiesto dai medesimi, per dichiarare la non debenza della stessa.
2. Nel merito, con il primo motivo gli appellanti sostengono che la originaria destinazione a verde pubblico attrezzato dell’area in parola è da tempo venuta meno per effetto di atti formali e dell’antropizzazione e dell’edilizia intensiva che l’ha riguardata.
Gli appellanti si riferiscono:
– alla variante di cui alla deliberazione consiliare n. 107/1988, approvata con decreto regionale n. 1382/1990;
– alle concessioni nn. 63/2000 e 55/2001 rilasciate dal Comune in relazione a edifici residenziali;
– alla realizzazione di un edificio di culto e di un ufficio postale.
Al riguardo, può osservarsi che, come emerge sia dal ridetto certificato urbanistico che dalla relazione istruttoria trasmessa dall’Amministrazione in adempimento all’incombente istruttorio di cui sopra, nell’area di interesse dell’odierno contenzioso insistono un edificio di culto e un ufficio postale, realizzati previa variante al piano regolatore generale, nonché edifici residenziali. Il certificato urbanistico chiarisce che detti edifici sono stati oggetto di concessione edilizia in sanatoria.
Ciò posto, gli appellanti affermano che l’area è ormai una “zona bianca”, regolata, in quanto tale, dall’art. 9 del d.P.R. 380/2001 siccome recepito dall’art. 4 della l.r. Sicilia 16/2016.
2.1. Osserva il Collegio che il gravato provvedimento di reiezione della istanza di sanatoria degli abusi edilizi menziona espressamente la sussistenza della condizione invocata nel motivo.
Il diniego, infatti, dopo avere esposto che l’immobile interessato dagli abusi ricade all’interno del piano regolatore vigente in area a “verde pubblico attrezzato”, nel cui ambito l’art. 19 della norme tecniche attuative vieta la costruzione di qualsiasi tipo di edificio (salvo quelli strettamente coerenti con la predetta destinazione), precisa che “a vincolo scaduto tale area viene considerata ‘zona bianca’ nella quale è consentita l’edificazione con un indice di edificabilità pari a 0,03 mc/mq, da computarsi su intero lotto o lotti contigui aventi zona territoriale omogenea”.
A fronte di una siffatta motivazione, il Tar, plausibilmente a causa della poca chiarezza lessicale del passaggi motivazionali del provvedimento (che il primo giudice ha anche sottolineato), ha rilevato che l’atto era fondato su una “pluralità di ragioni”, tra le quali ha privilegiato la destinazione di zona, ritenendo dirimente il carattere conformativo (e non espropriativo) della destinazione stessa e, al contempo, ultronea l’eventualità della sua decadenza.
Tanto chiarito, e re melius perpensa rispetto alla citata ordinanza di questo Consiglio n. 140/2023, che, avendo carattere istruttorio, non condiziona l’odierna decisione di merito, il Collegio rileva che anche l’accertamento dell’effettivo inverarsi della decadenza del vincolo conformativo di cui si discute – da rapportarsi naturalmente sia alla data di realizzazione degli abusi, che il ricorso di primo grado n.r.g. 275/2017 colloca nel 2005, sia alla data di presentazione dell’istanza stessa, avvenuta nel 2015, doppia condizione cui, come noto, è subordinato l’esito positivo di una istanza di accertamento di conformità – non potrebbe condurre, da solo, alla declaratoria di illegittimità del diniego di sanatoria e dell’ordine demolitorio, dovendosi comunque verificare se le opere abusive di cui trattasi rientrino o meno nell’indice di edificabilità della “zona bianca” che ne è conseguita, pure opposto dal diniego gravato.
E alla questione, su cui si incentra il secondo e ultimo motivo di appello, va data risposta negativa.
3. Gli appellanti sostengono di poter raggiungere l’indice di fabbricabilità previsto per le “zone bianche” [0,03 mc/mq, in analogia a quello delle zone agrarie: art. 4, ultimo comma, l. 10/1977; ora, art. 9, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001], avvalendosi di un trasferimento di volume rinveniente da una zona territoriale omogenea (agricola), ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. c) del d.-l. 70/2011, che ha tipizzato il relativo istituto, poi richiamato e regolato dalla l.r. Sicilia 16/2016 e in particolare dall’art. 22, che stabilisce che “Ai fini della cessione dei diritti edificatori, di cubatura e di trasferimento di volumetrie, si applica quanto previsto dall’articolo 5 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito con modificazioni dall’articolo 1 della legge 12 luglio 2011, n. 106, per la delocalizzazione delle volumetrie in aree e zone diverse ma comunque compatibili per destinazione urbanistica e tipologia edilizia”.
3.1. Si tratta della c.d. “cessione di cubatura” (su cui, da ultimo, C.G.A., Sez. giur., 20 settembre 2023, n. 903; Cons. Stato, IV, 31 maggio 2022, n. 4417), istituto che costituisce il frutto di una elaborazione della giurisprudenza, in specie amministrativa, che, dopo l’introduzione dei limiti inderogabili di densità edilizia (art. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765, che ha aggiunto l’art. 41-quinquies alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), e degli standarda edilizi di cui al d.m. Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, pur in mancanza di una espressa disposizione, ha riconosciuto che i diritti edificatori posseduti da un terreno, quali utilità separata, potessero essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno (Cons. Stato, V, 28 giugno 1971, n. 632; 23 febbraio 1973, n. 178; 19 marzo 1991, n. 291; 26 novembre 1994, n. 1382; 1° aprile 1998, n. 400; 28 giugno 2000, n. 3637; Cass. civ., II, 29 giugno 1971, n. 4245).
Il presupposto logico del c.d. “asservimento” del fondo, c.d. “di decollo”, che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo, c.d. “di atterraggio”, che la riceve, consiste nell’interesse della pubblica amministrazione affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (Cons. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5496; IV, 4 maggio 2006, n. 2488; V, 3 marzo 2003, n. 1172; 11 aprile 1991, n. 530; IV, 19 dicembre 1987, n. 795).
La possibilità di trasferire la cubatura è sottoposta a condizioni: l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, IV, 4 maggio 2006, n. 2488; V, 30 ottobre 2003, n. 6734; 30 aprile 1994, n. 193; 4 gennaio 1993, n. 26; 19 marzo 1991, n. 291); la contiguità territoriale dei fondi (Cons. Stato, V, 10 marzo 2003, n. 1278); la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cons. Stato, n. 4417 del 2022, cit.).
La materia ha trovato disciplina di diritto positivo nell’art. 2643, primo comma, n. 2-bis, Cod. civ., introdotto dall’art. 5, comma 3, del d.-l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, il quale, a tutela dei terzi – e sebbene anche prima il trasferimento di cubatura fosse ritenuto loro opponibile, in quanto qualità obiettiva del fondo, opponibile anche al terzo acquirente: C.G.A. 19 ottobre 1989, n. 415; Cons. Stato, V, 28 giugno 2000, n. 3637; 30 marzo 1998, n. 387 – prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
A seguito della norma, la giurisprudenza (Cass., Sez. un., 9 giugno 2021, n. 16080) ha rivalutato il “sostrato privatistico” della cessione di cubatura, “ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti” piuttosto che nell’ambito pubblicistico, costituito dai provvedimenti dell’Amministrazione che di essa danno conto.
Ai principi di cui si è fatta rassegna non fa eccezione l’art. 22 della l.r. Sicilia n. 16/2016 invocata dagli appellanti, la cui formulazione conferma il limite costituito dalla densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico nell’area e nella zona in cui viene aggiunta la cubatura.
3.1.1. Deve aggiungersi, quanto, più specificamente, al requisito della contiguità territoriale, che se la giurisprudenza ammette che esso non implica necessariamente che i terreni siano tra loro confinanti, nondimeno richiede che gli stessi, se non precisamente contermini, siano quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei e, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio. Ai fini in discorso, deve quindi potersi apprezzare una effettiva e significativa vicinanza dei fondi interessati dalla cessione di cubatura, e comunque la loro continuità non può predicarsi quando tra questi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione (così, Cons. Stato, II, 27 giugno 2022, n. 5305 e giurisprudenza ivi richiamata).
3.2. Tanto chiarito, si osserva che gli appellanti affermano in questa sede la contiguità dei fondi di “atterraggio” e di “decollo”.
Ma ciò non emerge con la necessaria chiarezza dal fascicolo di causa.
Dalle difese svolte in questa sede dal Comune, sul punto confermate da quanto a suo tempo affermato dagli interessati nel secondo e nel terzo motivo del ricorso di primo grado n.r.g. 275/2017 per contestare l’affermazione contenuta nel diniego di sanatoria circa la necessità di calcolare l’indice di edificabilità solo “su lotti contigui aventi zona territoriale omogenera”, si trae infatti che i due fondi in parola, catastalmente identificati ai fogli di mappa nn. 7 e 17, sono tra loro distanti, tant’è che nello stesso ricorso si sosteneva (come dà atto anche la sentenza impugnata) che il requisito sarebbe stato soddisfatto, in presenza appunto di terreni distanti, dalla continuità orografica, colturale, economica e ambientale.
Ora, anche a prescindere dal fatto che tale specifica questione, che il Tar ha sostanzialmente assorbito, avendola ritenuta infondata solo in quanto basata “sul presupposto dell’intervenuta decadenza del vincolo”, e senza quindi averla esaminata, non è stata qui ritualmente riproposta ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. (“Si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello …”), la sussistenza della vicinanza tra fondi nei sensi come sopra precisati dalla giurisprudenza, e l’insussistenza della condizione negativa pure dalla stessa individuata, non può ritenersi attestata nella fattispecie: a suo tempo gli interessati hanno evidenziato elementi di continuità sommamente generici, che nulla dicono circa l’effettiva e significativa vicinanza dei fondi ai fini di cui si discute, e nulla di più della riportata asserzione emerge sul punto dall’appello, in cui si sostiene che i fondi sono omogenei in quanto entrambi sussumibili nell’alveo delle aree agricole, elemento che, come visto, non è sufficiente, da solo, ad attestare la contiguità.
E ciò anche a seguito delle difese svolte dal Comune resistente, secondo cui “i fondi asserviti non sono tra loro vicini e non sono compresi nella medesima zona urbanistica …”.
Infatti, nella memoria depositata in corso di causa gli appellanti si limitano a sostenere che, per la giurisprudenza più recente, i fondi di “atterraggio” e di “decollo” non devono essere limitrofi: ma il rilievo, se può ritenersi corretto in astratto in uno all’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, nulla dice in concreto circa la possibilità di ritenere la contiguità territoriale nella concreta fattispecie.
Il motivo non può pertanto essere accolto.
Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 64, comma 1, Cod. proc. amm., e in forza del corrispondente principio generale processuale, spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni (comma 1), e che, per la stessa norma, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite (comma 2).
E non vi è dubbio che era nella disponibilità della parte fornire, almeno, un principio di prova, anche mediante una descrizione della relazione territoriale asseritamente esistente tra i due fondi, dell’assunto posto a base del motivo in trattazione.
4. In definitiva, la sentenza impugnata, con le precisazioni rese in questa sede, va confermata, mentre l’appello deve essere respinto.
La spiccata particolarità della vicenda controversa giustifica la compensazione tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 9 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli, Presidente
Solveig Cogliani, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
Giovanni Ardizzone, Consigliere
Marco Mazzamuto, Consigliere
L’ESTENSORE
Anna Bottiglieri
IL PRESIDENTE
Roberto Giovagnoli
IL SEGRETARIO