* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga” – Valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico – Deroga in via convenzionale – Divieto – Parte IV – Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 – Misure di prevenzione e riparazione – Responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore – Proprietario non responsabile dell’inquinamento – Responsabilità solo patrimoniale – Principi applicativi – DANNO AMBIENTALE – Direttiva 2004/35/CE – Misure di prevenzione e di riparazione – Nesso eziologico in punto di causazione del danno – Ipotesi di responsbailità svincolata da un contributo causale – Inconfigurabilità – Criteri di imputazione differenti da quello recato dal d.lgs. n. 152/2006 – Esclusione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Settembre 2015
Numero: 4225
Data di udienza: 14 Luglio 2015
Presidente: Baccarini
Estensore: Contessa
Premassima
* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga” – Valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico – Deroga in via convenzionale – Divieto – Parte IV – Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 – Misure di prevenzione e riparazione – Responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore – Proprietario non responsabile dell’inquinamento – Responsabilità solo patrimoniale – Principi applicativi – DANNO AMBIENTALE – Direttiva 2004/35/CE – Misure di prevenzione e di riparazione – Nesso eziologico in punto di causazione del danno – Ipotesi di responsbailità svincolata da un contributo causale – Inconfigurabilità – Criteri di imputazione differenti da quello recato dal d.lgs. n. 152/2006 – Esclusione.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 settembre 2015, n. 4225
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga” – Valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico – Deroga in via convenzionale – Divieto.
Al principio “chi inquina paga”, il quale ispira la disciplina nazionale in tema di distribuzione degli oneri conseguenti ad ipotesi di contaminazione di aree (Parte IV – Titolo V del decreto legislativo 152 del 2006 – articoli 240 e seguenti -), anche in ragione della derivazione eurounitaria del principio medesimo (articoli 191 e 192 del TFUE), deve essere riconosciuta valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio. Ed infatti, in considerazione del preminente complesso di valori sottesi all’enucleazione del richiamato principio e del rango della sua fonte, laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del “chi inquina paga”, si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore.
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Parte IV – Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 – Misure di prevenzione e riparazione – Responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore.
L’ordito normativo di cui alla Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006 comporta certamente che le misure di prevenzione e di riparazione ivi disciplinate trovino applicazione anche nei confronti dei responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente all’entrata in vigore della medesima Parte IV (secondo un criterio di individuazione e una scelta di politica legislativa che non presentano profili di incongruità o irragionevolezza, anche alla luce del preminente valore costituzionale dei beni oggetto di tutela). Depone univocamente in tal senso la disciplina in tema di contaminazioni cc.dd. ‘storiche’ di cui ai commi 1 e 11 dell’articolo 242 del ‘Codice’.
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – D. lgs. n. 152/2006 – Proprietario non responsabile dell’inquinamento – Responsabilità solo patrimoniale.
Il decreto legislativo n. 152 del 2006, recante il c.d. ‘Codice dell’ambiente’, ha confermato la scelta (già presente nella pregressa disciplina della materia di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997) afferente l’allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze sul piano degli oneri di riparazione del danno proprio nel senso della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale (ivi, articolo 253, cit.).
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Parte IV, Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 – Principi applicativi.
Dalle disposizioni contenute nel ‘Codice dell’Ambiente’ del 2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi i seguenti principi applicativi: 1) il proprietario, ai sensi dell’articolo 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera 1), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”; 2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (articolo 244, comma 2); 3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dalla P.A. competente (articolo 244, comma 4); 4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (il quale giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (articolo 253, comma 4); 5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – DANNO AMBIENTALE – Direttiva 2004/35/CE – Misure di prevenzione e di riparazione – Nesso eziologico in punto di causazione del danno.
La direttiva 2004/35/CE non opera alcuna distinzione, per quanto riguarda la necessaria sussistenza del nesso eziologico in punto di causazione del danno, fra: a) le misure di prevenzione e b) le misure di riparazione di cui all’articolo 2, punti 10 e 11. Al contrario, in entrambi i casi l’insussistenza di un nesso eziologico fra la condotta dell’operatore e l’evento dannoso (in definitiva: il fatto che l’operatore non abbia cagionato l’evento di inquinamento) vale ad escludere qualunque conseguenza a suo carico, sia per ciò che riguarda le misure di prevenzione, sia per quanto riguarda le misure di riparazione in senso proprio (non a caso, l’articolo 8, paragrafo 3 della richiamata direttiva stabilisce che “non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza”).
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – DANNO AMBIENTALE – Direttiva 2004/35/CE – Codice dell’ambiente – Ipotesi di responsbailità svincolata da un contributo causale – Inconfigurabilità.
Sia nelle ipotesi di danno ambientale disciplinate dalle previsioni della direttiva 2004/35/UE, sia in quelle che restano regolate dalle sole previsioni del ‘Codice ambientale’, non sono configurabili ipotesi di responsabilità svincolata persino da un contributo causale alla determinazione del danno.
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabilità da inquinamento –Criteri di imputazione differenti da quello recato dal d.lgs. n. 152/2006 – Esclusione.
Il sub-sistema normativo di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 reca un preciso criterio di imputazione della responsabilità da inquinamento (il quale si innesta sulla più volte richiamata sussistenza di un nesso eziologico), non ammettendo ulteriori, diversi e più sfavorevoli criteri di imputazione (i quali, pure, sono conosciuti da altri settori dell’ordinamento).
(Conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1835/2014) – Pres. Baccarini, Est. Contessa – P. srl (avv.ti Gianpaolino e Police) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 10 settembre 2015, n. 4225SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 settembre 2015, n. 4225
N. 04225/2015REG.PROV.COLL.
N. 10214/2014 REG.RIC.
N. 01109/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10214 del 2014, proposto dalla Pfizer Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Felice Gianpaolino e Aristide Police, con domicilio eletto presso Aristide Police in Roma, Via di Villa Sacchetti 11
contro
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente – ARPA Lombardia, Regione Lombardia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Comune di Pioltello,
Provincia di Milano,
Comune di Rodano
sul ricorso numero di registro generale 1109 del 2015, proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12
contro
Olon S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Roncelli e Vittorio Violante, con domicilio eletto presso Vittorio Violante in Roma, Via F. P. De Calboli, 60
nei confronti di
Comune di Pioltello,
Comune di Rodano,
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) – Lombardia,
Città Metropolitana di Milano,
Regione Lombardia,
Pfizer Italia S.r.l.
per la riforma, in entrambi i ricorsi, della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione I, n. 1835/2014
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente – ARPA Lombardia, della Regione Lombardia e della Olon S.p.a.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto in entrambi i ricorsi dalla Olon S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato avvocati Police, l’avvocato dello Stato Garofoli, nonché gli avvocati Roncelli e Violante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Le vicende all’origine dei fatti di causa vengono descritte nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia.
Con ricorso proposto dinanzi a quel Tribunale amministrativo e recante il n. 2922/2013 la società Olon s.p.a., premesso di essere proprietaria di un’area posta all’interno del Sito di Interesse Nazionale di Pioltello – Rodano sulla quale insiste la cosiddetta Area Verde, ha impugnato il provvedimento di diffida in data 7 novembre 2013 con il quale il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale Tutela Territorio e Risorse Idriche, l’aveva diffidata a rimuovere entro sei mesi tutti i rifiuti (scarti e materiali di risulta) stoccati nelle discariche abusive localizzate nelle aree A, B, C e D dell’Area Verde, ai sensi dell’articolo 3, comma 32, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e ad adottare tutte le misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza per impedire l’ulteriore diffusione della contaminazione, in attesa della completa rimozione dei rifiuti e, successivamente, fino al completamento delle indagini di caratterizzazione, all’individuazione di eventuali ulteriori fonti di contaminazione e alla rimozione o al trattamento delle stesse, fatto salvo il risarcimento dell’eventuale danno ambientale residuo ai sensi della Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006.
A sostegno del proprio gravame la società ricorrente deduceva la violazione del giudicato e l’eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento di potere, atteso che il medesimo Tribunale adìto, con tre diverse pronunce (sez. II, 27 giugno 2007, n. 5289, sez. IV, 20 maggio 2008, n. 1820 e 25 febbraio 2010, n. 458), aveva già disposto l’annullamento dei precedenti provvedimenti con i quali il medesimo Ministero intimato aveva impartito alla società l’ordine di procedere alla rimozione integrale dei materiali presenti nell’Area Verde, nonché alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito e della falda, statuendo la carenza di responsabilità dell’istante per il deposito dei materiali rinvenuti, oltre che la carenza di istruttoria.
L’odierna appellata deduceva, inoltre, la violazione del comma 32 dell’articolo 3 della legge n. 549 del 1995, stante l’abrogazione implicita della medesima disposizione a seguito dell’entrata in vigore di normativa sopravvenuta con la medesima incompatibile (articoli 192, 240 e 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), la violazione dei princìpi del contraddittorio e di proporzionalità, oltre che l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, per la violazione del principio “chi inquina paga”, per sviamento di potere, nonché la violazione dell’articolo 97 della Costituzione (principio di buon andamento dell’amministrazione), la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione e l’incompetenza.
Con ricorso per motivi aggiunti la società istante ha impugnato il provvedimento in data 16 gennaio 2014 con il quale il Ministero aveva impartito alla stessa prescrizioni specifiche per la rimozione del materiale di risulta per cui è causa.
Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Lombardia ha accolto il ricorso e ha disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla società Pfizer Italia s.r.l. (ricorso n. 10214/2014) la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
La Pfizer Italia s.r.l. premette al riguardo di essere succeduta nei rapporti riconducibili alla società Carlo Erba s.p.a. (che operava nel sito per cui è causa sino al 1978).
Le vicende societarie sono state così descritte alle pagine 5 e 6 dell’impugnata sentenza: nel 1978 la Carlo Erba s.p.a. cambiò denominazione in Farmitalia Carlo Erba S.p.a., che ne ha proseguito l’attività fino al 1986. Dopo essersi fusa per incorporazione nella Erbamont Industriale S.r.l. nel 1987, la società è divenuta Farmitalia Carlo Erba S.r.l. dopo cambio di denominazione, venendo, poi, fusa per incorporazione nel 1994 in Pharmacia S.p.a. e, dopo un ulteriore cambio di denominazione, in Pharmacia & Upjohn S.p.a., ora in liquidazione.
A seguito di ulteriori vicende societarie, l’appellante Pfizer Italia s.p.a. è quindi succeduta nei rapporti riconducibili alla società Pharmacia & Upjohn S.p.a.
Ebbene, tanto premesso in ordine alle vicende societarie che hanno interessato la Carlo Erba s.p.a., l’appellante rappresenta che il presente appello viene articolato in via meramente cautelativa, “nella misura in cui dalla statuizione incidentale contenuta nella sentenza circa la (pretesa) responsabilità della Carlo Erba s.p.a., dante causa di Pfizer, possa (erroneamente) farsi discendere anche una responsabilità in capo a Pfizer per la contaminazione dell’Area Verde” (ricorso in appello, pagine 7 e 8).
Afferma al riguardo l’appellante che il proprio interesse all’impugnativa non deriva in via principale dalla statuizione contenuta nella sentenza in epigrafe relativa alla responsabilità della Carlo Erba s.p.a. per il “deposito incontrollato di rifiuti”, quanto – piuttosto – dalla circostanza per cui il capo della sentenza che afferma tale responsabilità sia stato “artatamente distorto” da Olon nell’ambito di un giudizio civile da essa intentato al fine – appunto – di sentir dichiarare la condanna di Pfizer Italia s.p.a. al ristoro dei danni subiti e subendi per la bonifica del sito.
Pertanto, la Pfizer Italia s.p.a. chiede la riforma del richiamato capo della sentenza “[solo] nell’ipotesi in cui si intendesse ricollegare alla menzionata statuizione del T.A.R. la portata di giudicato”.
Tanto premesso dal punto di vista generale, con il primo motivo di appello la Pfizer Italia s.r.l. lamenta che i primi Giudici abbiano erroneamente omesso di considerare ché né la Carlo Erba (dante causa), né la Pfizer Italia s.rl. (avente causa, appellante) avrebbero mai avuto nel proprio patrimonio obblighi o responsabilità connessi alla bonifica del sito per cui è causa, responsabilità di cui – al contrario – sarebbe gravata in via esclusiva la stessa Olon s.p.a. per espressa previsione degli atti con i quali la medesima ha acquistato la proprietà dell’Area Verde.
In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare le previsioni dell’Atto di conferimento del ramo di azienda intervenuto il 30 dicembre 1986 fra la Carlo Erba s.p.a. (al tempo ridenominata Farmitalia Carlo Erba s.p.a., dante causa della Pfizer Italia s.p.a.) e la Erba Biochimica s.r.l. (dante causa della Olon s.p.a.).
L’articolo 9 dell’atto in questione stabiliva che “la società conferente [Farmitalia Carlo Erba s.p.a.] risponderà della inesistenza di attività indicate nella situazione patrimoniale al 31 maggio 1986 ed aggiornata all’1.1.1987 che dovesse manifestarsi entro il 31 dicembre 1987, come pure risponderà dell’esistenza di passività non indicate nella situazione medesima, sempreché dovesse manifestarsi entro il 31 dicembre 1987”.
Secondo l’appellante, quindi, in base al richiamato atto di conferimento i pretesi obblighi di bonifica e ripristino (di cui essa nega comunque la sussistenza), in quanto riconducibili alla generica nozione di “passività” e in quanto emersi in data successiva al 31 dicembre 1987, non potrebbero che essere ricondotti alla sfera giuridica dell’acquirente Erba Biochimica s.r.l. (e quindi alla Olon s.p.a.).
Secondo l’appellante, del resto, il trasferimento in capo alla conferitaria Erba Biochimica s.r.l. (e quindi in capo alla Olon s.p.a.) della responsabilità per le passività emerse dopo il 1987 “si giustifica pienamente nella logica della disciplina civilistica delle obbligazioni contrattuali, con l’esigenza di assicurare certezza dei rapporti giuridici e, in particolare, con la necessità di delimitare nel tempo la possibile responsabilità patrimoniale della Carlo Erba verso la Erba Biochimica” (ricorso in appello, pag. 11).
In definitiva, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici omesso di valutare il contenuto del richiamato Atto di conferimento (di cui, invero, era stata omessa la stessa acquisizione al fascicolo di causa), dal quale sarebbe emerso con evidenza che “gli obblighi e le responsabilità inerenti all’attività esercitata sul ramo d’azienda in cui è inclusa l’Area Verde sono state di conseguenza attribuite in via convenzionale ed espressa ad Erba Biochimica, conferitaria di tale ramo d’azienda” (pag. 11 del ricorso in appello).
Ancora con il primo motivo di appello la Pfizer Italia s.p.a. osserva che i primi Giudici avrebbero omesso di valutare: i) la circostanza per cui né l’odierna appellante, né la sua dante causa Pharmacia & Upjohn s.p.a. hanno mai esercitato attività d’impresa sull’Area Verde, per cui è causa; ii) la circostanza per cui, in base al più volte richiamato Atto di conferimento del dicembre 1986, la Erba Biochimica s.r.l. (dante causa di Olon) si fosse volontariamente accollata “ogni responsabilità per i fatti anteriori al conferimento d’azienda del 1986, vale a dire anche [la] responsabilità per i depositi nell’Area Verde oggetto della presente controversia” (pag. 13 del ricorso in appello).
Con il secondo motivo di appello, la Pfizer Italia s.r.l. lamenta che i primi Giudici avrebbero erroneamente ritenuto che alla sua dante causa fosse imputabile la realizzazione sull’Area Verde un “deposito incontrollato di rifiuti”.
Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe sarebbe erronea in quanto:
– la sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 458/2010 aveva già escluso che la Carlo Erba s.p.a. avesse realizzato un siffatto deposito incontrollato di rifiuti, ritenendo che i sottoprodotti della lavorazione non fossero, appunto qualificabili come rifiuti. Pertanto, i primi Giudici si sarebbero erroneamente discostati dal precedente giudicato;
– la normativa ratione temporis applicabile escludeva qualunque assimilazione fra gli ‘scarti di lavorazioni industriali’ e i ‘rifiuti’ in quanto tali (sì da non potersi affermare che sussistessero specifici obblighi di bonifica e ripristino per i siti sui quali fossero stoccati siffatti scarti di lavorazione).
Quanto al secondo aspetto l’appellante osserva che solo con il decreto legislativo n. 22 del 1997 i ‘residui di processi industriali’ (e, più in generale, i ‘residui di produzione o di consumo in appresso non specificati’ di cui all’allegato ‘A’) sono stati ricondotti alla nozione di ‘rifiuti’.
Al contrario, per il periodo anteriore la materia risultava disciplinata dal d.P.R. 28 dicembre 1992, n. 915 il quale non sembrava ricondurre alla nozione di ‘rifiuto’ gli scarti di lavorazioni suscettibili di essere riutilizzati in un successivo ciclo produttivo.
Pertanto, alla luce della normativa ratione temporis rilevante, non sarebbe corretto affermare che la Carlo Erba s.p.a. avesse realizzato sull’area un vero e proprio “deposito incontrollato di rifiuti”.
Oltretutto, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:
– che la Carlo Erba s.p.a. aveva presentato – già nell’agosto del 1976 – apposita domanda di autorizzazione (ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 maggio 1976, n. 319) per versare sul suolo, in apposite vasche, fanghi provenienti dall’impianto di depurazione;
– che la stessa Carlo Erba s.p.a. aveva trasmesso alla competente provincia di Milano copia delle denunce di “discarica esaurita” e di “impianti di smaltimento esistenti”;
– che anche la giurisprudenza della Cassazione penale ha escluso che sia riconducibile alla nozione di ‘rifiuto’ il sottoprodotto o il materiale di scarto destinato alla riutilizzazione all’interno dello stesso insediamento produttivo dal quale promana.
Con un ulteriore motivo di appello la Pfizer Italia osserva che, anche a voler ritenere che la sua dante causa avesse effettivamente determinato uno stato di inquinamento sul sito nel corso degli anni settanta del Novecento, il punto è che la normativa ratione temporis rilevante non consentiva di determinare in suo danno alcun obbligo di bonifica o ripristino dei siti inquinati.
In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:
– che il Legislatore nazionale aveva introdotto soltanto dopo l’estinzione della Carlo Erba s.p.a. (1987) siffatti obblighi di bonifica e ripristino (l’appellante richiama, al riguardo: i) l’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997); ii) l’articolo 3, comma 32 della l. 549 del 1995);
– che la Carlo Erba s.p.a. non aveva mai avuto nel suo patrimonio obblighi o responsabilità per la bonifica dell’area per cui è causa (obblighi che sono stati introdotti dal Legislatore solo dopo l’estinzione della stessa Carlo Erba s.p.a.);
– che, in ogni caso, non sussisteva neppure una prova concreta del fatto che l’inquinamento dell’area risalisse al periodo in cui in essa operava la Carlo Erba s.p.a.;
– che, oltretutto, non potrebbe escludersi che l’inquinamento in questione sia stato cagionato da una delle diverse società che hanno operato sull’area nel corso degli anni (ad es., la SISAS – Società Italiana Serie Acetica Sintetica), ovvero la stessa Olon, la quale esercita pur sempre l’industria e il commercio di prodotti chimici, farmaceutici e cosmetici.
La sentenza in epigrafe è stata altresì impugnata in appello dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (ricorso n. 1109/2015) il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi.
Con un primo motivo, il Ministero appellante lamenta che i primi Giudici avrebbero omesso di considerare il rilievo che, ai fini del decidere, andava riconosciuto alla previsione di cui al comma 32 dell’articolo 3 della l. 549 del 1995, secondo cui gli obblighi di bonifica e ripristino delle aree inquinate ricadono anche (e in via solidale) in capo al proprietario del sito sulla base di un mero criterio dominicale e anche in assenza di profili di responsabilità in ordine alla contaminazione del sito.
Tale responsabilità sorge in capo al proprietario dell’area laddove questi (al pari della società appellata) abbia omesso di presentare la denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della Regione.
Con un ulteriore motivo di appello (articolato in via subordinata) il Ministero sottolinea che alla società Olon non era stata ordinata unicamente la bonifica dell’area, ma anche l’adozione di misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza il cui carattere cautelare (e non sanzionatorio) non contrasta con l’applicazione del principio di matrice eurounitaria “chi inquina paga”, nonché con il principio di precauzione di cui all’articolo 191 del TFUE.
Al riguardo il Ministero appellante richiama l’orientamento giurisprudenziale di primo grado secondo cui l’applicazione dei principi eurounitari di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente non consente di ammettere che l’adozione di misure quali la messa in sicurezza di emergenza (prive di contenuto sanzionatorio e/o risarcitorio) possa essere subordinata al definitivo accertamento della responsabilità del proprietario dell’area inquinata.
Ed ancora, il Ministero appellante richiama l’orientamento secondo cui, siccome la declinazione del principio “chi inquina paga” mira ad evitare che (in mancanza di individuazione del responsabile) i costi della bonifica e del ripristino ambientale siano sopportati dalla collettività, allora è del tutto congruo – in siffatte ipotesi – configurare una forma di “oggettiva responsabilità imprenditoriale” che grava sul proprietario in relazione al mero dato dominicale.
Inoltre, il Ministero adduce a sostegno delle proprie tesi la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE secondo cui, in applicazione del principio “chi inquina, paga”, deve ritenersi che, allorquando impongono misure di riparazione del danno ambientale, le Autorità pubbliche non sono tenute a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano considerate all’origine del danno ambientale.
Per quanto riguarda, poi, l’applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 191 del TFUE il Ministero appellante osserva che esso non osta all’operato di un’amministrazione la quale imponga ai privati l’adozione di provvedimenti appropriati al fine di prevenire rischi potenziali per l’ambiente (o, addirittura, al fine di predisporre adeguate misure di precauzione, secondo un modello ancora più prudenziale e volto alla tutela dei valori oggetto di protezione).
In base al complesso di ragioni appena evidenziate, il Ministero appellante osserva che la questione non può essere riguardata alla luce del solo disposto dell’articolo 242 del ‘Codice ambientale’, dovendosi tenere sul punto un approccio più generale che tenga adeguatamente conto del complesso dei principi costituzionali vigenti in subiecta materia. Riguardati secondo tale ottica i termini della questione, ne emerge non solo la liceità, ma addirittura la doverosità dell’operato dell’amministrazione, che ha ritenuto di imporre al proprietario dell’area adeguate misure di messa in sicurezza d’emergenza.
Ed ancora, il Ministero appellante suggerisce una ricostruzione di sistema secondo cui:
– il proprietario di un bene immobile debba rispondere anche del danno da inquinamento che il terreno continua a cagionare pur dopo l’acquisto in ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall’inquinamento (ricorso in appello, pag. 14);
– il principio “chi inquina, paga” debba essere inteso nel senso che la locuzione “chi” non vada riferita solo a colui che, attraverso una condotta attiva, abbia abusato del territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche a colui che, con la propria condotta omissiva o negligente, “nulla faccia per ridurre o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare” (ivi).
Da ultimo, il Ministero appellante osserva che, secondo l’id quod plerumque accidit, può certamente ritenersi esigibile in capo all’acquirente di un fondo potenzialmente inquinato una diligenza particolarmente qualificata nell’appurare preventivamente un possibile, pregresso inquinamento (con ogni accollo di responsabilità in caso di violazione di un siffatto obbligo di diligenza). In caso contrario, la complessiva disciplina di settore si presterebbe a comportamenti formalisticamente elusivi della normativa posta a tutela dell’ambiente.
In entrambi i giudizi si è costituita la società Olon s.p.a. (ricorrente in primo grado) la quale ha concluso nel senso della reiezione di entrambi gli appelli ed ha proposto altresì appello incidentale condizionato per l’ipotesi di mancata reiezione degli appelli medesimi.
Alla pubblica udienza del 14 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso n. 10214/2014 proposto dalla società Pfizer Italia s.r.l. avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato accolto in parte il ricorso proposto da una società proprietaria di un’area nell’ambito del Sito di Interesse Nazionale di Pioltello –Rodano e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui la società proprietaria era stata diffidata ad effettuare operazioni di messa in sicurezza di emergenza, di bonifica dell’area e di rimozione degli scarti e materiali di risulta (nell’ambito della sentenza in questione era stata dichiarata la responsabilità della società appellante per il riversaggio abusivo sull’area di tali materiali).
Giunge, altresì, all’esame del Collegio il ricorso in appello n. 1109/2015 che è stato proposto avverso la medesima sentenza dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
2. Prendendo le mosse dall’esame del ricorso in appello 10214/2014 il Collegio ritiene di esaminare in via prioritaria le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Olon s.p.a. con la memoria in data 22 gennaio 2015.
2.1. L’eccezione relativa al ritenuto difetto di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo è infondata.
La Olon ha fondato tale eccezione sul rilievo secondo cui i motivi di appello fondati sul contenuto dell’atto di conferimento del 30 dicembre 1986 (il cui contenuto è stato descritto in premessa) esulerebbero dalla giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo, concernendo piuttosto “i rapporti contrattuali ed extracontrattuali tra Olon e Pfizer”, che resterebbero invece devoluti alla giurisdizione del Giudice ordinario.
Al riguardo la Pfizer Italia s.p.a. ha condivisibilmente osservato che, ai sensi dell’articolo 8 del cod. proc. amm., il G.A. nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale.
Ora, appare difficilmente contestabile che il richiamo al contenuto dell’atto di conferimento in data 30 dicembre 1986 (anche a prescindere dalle fondatezza delle deduzioni svolte sul punto dalla Pfizer Italia) sia idoneo a sortire un rilievo ai fini della res controversa in quanto inerisce la questione dell’imputabilità soggettiva (ai fini dell’applicazione della normativa in tema di danno ambientale) delle condotte realizzate prima dell’atto di conferimento medesimo.
Né a conclusioni diverse da quelle appena divisate può giungersi in relazione alla circostanza (sottolineata dalla Olon) secondo cui sarebbe già pendente un giudizio civile intentato dalla stessa Olon per ottenere la condanna di Pfizer al ristoro dei danni patrimoniali connessi con la bonifica del terreno.
E’ qui appena il caso di sottolineare che, una volta ravvisata l’inerenza del contenuto del più volte richiamato atto di conferimento anche ai fini della definizione del giudizio amministrativo (in cui parimenti viene in rilievo la questione della riferibilità delle condotte foriere di inquinamento), la sussistenza di un ulteriore e diverso giudizio instaurato dinanzi al Giudice munito di giurisdizione rappresenta una circostanza del tutto fisiologica dal punto di vista processuale, inidonea a determinare possibili conflitti di giudicato in ragione della cognitio solo incidentale demandata al Giudice amministrativo (e dell’insuscettibilità di determinare una res iudicata).
2.2. Neppure può essere condivisa la tesi della Olon secondo cui la Pfizer Italia risulterebbe in concreto priva di uno specifico interesse a dedurre nella presente sede contenziosa circostanze già demandate alla cognitio del Giudice ordinario in sede risarcitoria.
Sotto tale aspetto (e al di là dell’osservazione di Pfizer Italia secondo cui il proprio interesse all’impugnazione deriverebbe dal fatto che il capo della sentenza che afferma la responsabilità della Carlo Erba s.p.a. è stato addotto nell’ambito del giudizio civile di danno) non appare dubitabile l’interesse dell’avente causa (Pfizer Italia) a chiedere la riforma di una capo della sentenza con il quale è stata expressis verbis affermata la responsabilità della sua dante causa per l’inquinamento dell’area (ossia, per condotte dalle quali possono derivare conseguenze ripristinatorie piuttosto gravi, nonché conseguenze anche di rilievo penale).
E’ qui appena il caso di osservare che la pronuncia costitutiva di annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado è stata fondata dai primi Giudici su una circostanza (non attribuibilità della condotta di inquinamento alla dante causa della Olon e sua riferibilità alla condotta della dante causa della Pfizer Italia) certamente idonea a radicare in capo a quest’ultima la legittimazione e l’interesse ad ottenere la riforma in parte qua della richiamata statuizione.
2.3. I rilievi appena svolti risultano di per sé idonei a supportare la dedotta ammissibilità del gravame spiegato dalla Pfizer Italia e rendono, a ben vedere, inessenziali ai fini del decidere, le ulteriori questioni relative all’ammissibilità delle deduzioni fondate sul contenuto dell’atto di conferimento in data 30 dicembre 1986.
Si intende con ciò rappresentare che, quand’anche risultasse fondato il motivo di appello con cui si è lamentato che tali deduzioni fossero violative del generale divieto di nova in appello (articolo 104 del cod. proc. amm.), non ne resterebbero comunque destituite di fondamento le conclusioni appena svolte in punto di sussistenza di uno specifico interesse alla proposizione dell’appello in capo alla Pfizer Italia (interesse che risulta certamente esistente sulla base di quanto dinanzi osservato sub 2.2.).3. L’appello della Pfizer Italia (che, per le ragioni dinanzi richiamate, è da ritenere ammissibile) è tuttavia infondato nel merito.
3.1. In primo luogo si osserva che non possono essere condivisi gli argomenti fondati dalla Pfizer Italia sul contenuto dell’atto di conferimento del ramo di azienda concluso il 30 dicembre 1986 fra la Carlo Erba s.p.a. (dante causa della Pfizer Italia) e la Erba Biochimica s.r.l. (dante causa della Olon s.r.l.).
Come si è anticipato in narrativa, l’appellante ritiene che il contenuto di tale atto renderebbe chiara la volontà delle parti di far carico alla conferitaria Erba Biochimica (e quindi le sue aventi causa) di tutte le “passività” la cui sussistenza fosse emersa dopo il 31 dicembre 1987 (e, nel caso in esame, la sussistenza del contestato “deposito incontrollato di rifiuti” sarebbe certamente emersa ben dopo il dicembre del 1987).
3.1.1. Al riguardo si osserva in primo luogo che al principio “chi inquina paga”, il quale ispira la disciplina nazionale in tema di distribuzione degli oneri conseguenti ad ipotesi di contaminazione di aree (si tratta della Parte IV – Titolo V del decreto legislativo 152 del 2006 – articoli 240 e seguenti -), anche in ragione della derivazione eurounitaria del principio medesimo (articoli 191 e 192 del TFUE), deve essere riconosciuta valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio.
Ed infatti, in considerazione del preminente complesso di valori sottesi all’enucleazione del richiamato principio e del rango della sua fonte, laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del “chi inquina paga”, si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore.
3.1.2. Le considerazioni appena svolte risultano dirimenti ai fini del decidere ed esimono il Collegio da un esame puntuale della previsione di cui all’articolo 9 dell’atto di conferimento in data 30 dicembre 1986 (esame che peraltro, non potrebbe che svolgersi entro i limiti richiamati dall’articolo 8, comma 1 del cod. proc. amm.).
Ad ogni modo (e ai ben limitati fini che qui rilevano) sembra che la disposizione appena richiamata rispondesse alla sola finalità di regolare l’attribuzione delle passività che fossero effettivamente esistenti alla data del conferimento (pur non essendo state indicate nella situazione patrimoniale) e che non si fossero manifestate entro un termine piuttosto breve (la cui fissazione rispondeva allo scopo evidente di fornire, entro un termine ragionevole, adeguate certezze in ordine alla consistenza delle richiamate passività e alla relativa distribuzione fra le parti).
Al contrario, non sembra che la richiamata disposizione potesse valere anche ad esentare la società cedente – e le sue aventi causa – dagli oneri di fonte legislativa i quali (al pari di quelli che qui rilevano), pur non sussistendo alla data del conferimento, fossero stati enucleati in un periodo successivo attraverso una scelta legislativa volta a individuare “ora per allora” il responsabile dell’inquinamento e a determinare parimenti “ora per allora” gli obblighi sullo stesso ricadenti (ci si riferisce, in particolare, alle previsioni di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, in massima parte riprese dagli articoli 240 e seguenti del ‘Codice dell’ambiente’).
E’ qui appena il caso di osservare che l’ordito normativo di cui alla Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006 comporta certamente che le misure di prevenzione e di riparazione ivi disciplinate trovino applicazione anche nei confronti dei responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente all’entrata in vigore della medesima Parte IV (secondo un criterio di individuazione e una scelta di politica legislativa che non presentano profili di incongruità o irragionevolezza, anche alla luce del preminente valore costituzionale dei beni oggetto di tutela). Depone univocamente in tal senso la disciplina in tema di contaminazioni cc.dd. ‘storiche’ di cui ai commi 1 e 11 dell’articolo 242 del ‘Codice’.
Ciò conferma che, in base alle scelte normative intervenute fra il 1997 e il 2006, ben potesse essere individuato come ‘responsabile dell’inquinamento’ un operatore (o i suoi aventi causa) il quale avesse realizzato le condotte foriere di inquinamento in un’epoca anteriore a quella di entrata in vigore della nuova disciplina in tema di distribuzione della responsabilità per danno ambientale, la quale può pertanto trovare piena e puntuale applicazione nell’ambito della presente vicenda.
Anche per tale ragione il motivo qui esaminato non può trovare accoglimento.
3.2. Per ragioni in tutto analoghe devono essere respinti i motivi di appello (meglio descritti in narrativa) con cui la Pfizer Italia ha sostanzialmente osservato: i) che, in base alla normativa ratione temporis rilevante, il deposito sull’area di sottoprodotti della lavorazione non consentisse di configurare il contestato “deposito incontrollato di rifiuti”; ii) che, ai sensi del comma 32 dell’articolo 3 della l. 549 del 1995, dovrebbe in ogni caso ritenersi la responsabilità solidale del proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva per gli oneri di bonifica e il ristoro del danno ambientale.
3.2.1. Quanto al primo aspetto (individuazione della normativa ratione temporis applicabile in tema di responsabilità per danno ambientale e relativi presupposti) ci si limita a richiamare quanto appena esposto sub 3.1.
3.2.2. Per quanto concerne, invece, il secondo aspetto (relativo all’applicabilità ratione temporis del comma 32 dell’articolo 3 della l. 549 del 1995), l’appellata Olon ha correttamente rilevato che la disposizione non potrebbe comunque trovare applicazione ai fini della definizione della vicenda di causa, la quale restava invece governata dalle puntuali disposizioni in tema di distribuzione degli obblighi di prevenzione, rimozione e messa in sicurezza di emergenza di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, nonché di cui agli articoli 192 e 240 e seguenti del ‘Codice dell’ambiente’ del 2006.
3.2.3. Ciò a tacere del fatto che (come pure condivisibilmente osservato dall’appellata Olon s.p.a.) il comma 32 dell’articolo 3 della l. 549 del 1995 doveva ritenersi ormai implicitamente abrogato alla data di adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado.
E tale effetto abrogativo doveva ritenersi prodotto: i) sia per avere la legge del 1995 fatto richiamo a una normativa in tema di rifiuti (quella di cui al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915) la quale era stata medio tempore abrogata dall’articolo 56 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e poi dall’articolo 264 del decreto legislativo n. 152 del 2006; ii) sia per ragioni di oggettiva incompatibilità con la sopravvenuta normativa primaria in tema di distribuzione degli oneri per il caso di deposito non autorizzato di rifiuti (con espresso superamento del regime – che era stato proprio della legge del 1995 – della responsabilità solidale a carico del proprietario per gli oneri di bonifica, per il risarcimento del danno e per il pagamento delle sanzioni pecuniarie).
3.3. Si osserva inoltre che l’appellante Pfizer Italia non ha titolo ad invocare il presunto contrasto che la sentenza in epigrafe presenterebbe con la sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 458/2010, non essendo stata parte di quel giudizio (promosso da una dante causa della Olon s.p.a.) e non operando, pertanto, nei suoi confronti gli effetti della cosa giudicata, in quanto resa inter alios.
3.4. Non può poi essere condiviso l’argomento secondo cui non potrebbe escludersi che l’inquinamento in questione sia stato cagionato da una delle diverse società che hanno operato sull’area nel corso degli anni (in particolare, la SISAS – Società Italiana Serie Acetica Sintetica), ovvero la stessa Olon, la quale esercita pur sempre sull’area l’industria e il commercio di prodotti chimici, farmaceutici e cosmetici.
Si osserva al riguardo che la deduzione in questione risulta formulata in modo dubitativo e sostanzialmente esplorativo, senza che sia addotto alcun elemento concreto per suffragare l’affermazione la quale, allo stato, si presenta quale mero e indimostrato postulato.
3.5. Per le ragioni sin qui esposte, l’appello n. 10214/2014 (Pfizer Italia) deve essere respinto.
4. Deve essere, invece, dichiarato inammissibile l’appello incidentale condizionato proposto dalla società Olon s.p.a. nell’ambito del medesimo ricorso n. 10214/2014, trattandosi di gravame articolato solo in via subordinata, per il caso di accoglimento dell’appello principale.
5. Il ricorso in appello n. 10214/2014 proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare è infondato.
5.1. Venendo qui in rilievo la questione della possibilità di imporre al proprietario incolpevole dell’inquinamento di un’area specifiche misure di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza, il Collegio ritiene di richiamare (non rinvenendosi ragioni per discostarsene) le conclusioni già tracciate dall’Adunanza plenaria 25 settembre 2013, n. 12 (nonché, più di recente, dalla sentenza di questa Sezione 15 luglio 2015, n. 3544).
5.1.1. La questione centrale da dirimere (condivisibilmente risolta dai primi Giudici) attiene al se il proprietario di un’area inquinata, non responsabile dell’inquinamento, sia tenuto ai richiamati oneri, per come imposti dalla amministrazione pubblica, ovvero abbia una mera facoltà di eseguirli pena, altrimenti, l’esecuzione d’ufficio degli stessi da parte della amministrazione procedente e con responsabilità, in tal caso, solo patrimoniale del proprietario (nei limiti del valore venale del bene all’esito degli interventi di riqualificazione ambientale, conformemente all’articolo 253 del ‘Codice dell’ambiente’).
Al riguardo appare dimostrato in atti (salvo quanto infra si osserverà in ordine a quanto dedotto dalla Pfizer Italia) che alla ricorrente in primo grado non sia eziologicamente riferibile l’attività che ha prodotto l’inquinamento e che essa, in definitiva, non sia responsabile dello stato di inquinamento, prodotto (come ampiamente esposto in precedenza) da altro soggetto imprenditoriale nel corso degli anni settanta del Novecento.
5.1.2. E’ qui appena il caso di rammentare che il decreto legislativo n. 152 del 2006, recante il c.d. ‘Codice dell’ambiente’, abbia confermato la scelta (già presente nella pregressa disciplina della materia di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997) afferente l’allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze sul piano degli oneri di riparazione del danno proprio nel senso anzidetto, cioè della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale (ivi, articolo 253, cit.).
In particolare, può dirsi in estrema sintesi, che dalle disposizioni contenute nel ‘Codice’ del 2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi i seguenti principi applicativi:
1) il proprietario, ai sensi dell’articolo 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera 1), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”;
2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (articolo 244, comma 2); 3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dalla P.A. competente (articolo 244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (il quale giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (articolo 253, comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
La scelta del legislatore nazionale, desumibile dall’applicazione dei richiamati principi, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del principio comunitario “chi inquina paga” ormai confluito in una specifica disposizione (articolo 191) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nel quale rientra come uno degli obiettivi principali sui quali si basa l’azione Europea in materia ambientale (sul punto si vedano anche le previsioni della direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale).
5.1.3. Tale sistema normativo, che come anticipato ripropone lo schema dispositivo già contenuto nell’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, è stato tuttavia sottoposto a critica da una parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, che vi ha ravvisato dei possibili profili di incompatibilità con i principi comunitari di precauzione, di prevenzione e di correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente.
In particolare ci si è domandati se il proprietario dell’area inquinata, il quale utilizza il sito per l’esercizio della sua attività d’impresa, non possa essere chiamato a compiere gli interventi di prevenzione e riparazione ambientale (per come definiti dalla direttiva 2004/35/CE) a titolo di responsabilità “di posizione”, in considerazione della sola relazione speciale con la cosa immobile strumentale all’esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili (un richiamo di tali orientamenti è rinvenibile nell’argomento del Ministero appellante, il quale richiama un’ipotesi di “oggettiva responsabilità imprenditoriale”).
5.1.4. In particolare, di tali considerazioni critiche rispetto all’impianto normativo recato dal Codice dell’ambiente si è fatta carico l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con l’ordinanza 25 settembre 2013 n. 21.
In particolare l’Adunanza Plenaria ha in primis operato una puntuale disamina del quadro normativo nazionale (per come recato dagli articoli 240 e seguenti del ‘Codice dell’ambiente’), concludendo nel senso che l’Amministrazione non possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia ancora l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’articolo 240, comma 1, lettere m) e p) del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di onere reali e privilegi speciale immobiliare.
Ha osservato sul punto l’Adunanza Plenaria che le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) operano una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione.
L’ordinanza n. 21 del 2013 ha altresì fornito argomenti dirimenti per superare la diversa tesi (di cui si rinvengono puntuali echi nell’ambito del ricorso in esame) secondo cui la normativa interna consentirebbe o imporrebbe alle Autorità nazionali di imporre le richiamate misure di prevenzione e riparazione.
Sul punto si tornerà fra breve.
Tuttavia l’Adunanza Plenaria, ritenendo possibile che il richiamato approccio normativo presentasse aspetti di contrasto con i pertinenti principi comunitari (principio “chi inquina paga”, principio di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente), ha ritenuto di rimettere alla Corte di Giustizia dell’UE un quesito interpretativo ai sensi sell’articolo 267 del TFUE.
In particolare, il Collegio ha rimesso alla Corte di Giustizia la seguente questione interpretativa: “se i princìpi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e dalla direttiva 2004/35/U.e. del 21 aprile 2004 (articoli 1 ed 8 n. 3; 13 e 24 considerando) – in particolare, il principio per cui “chi inquina, paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245 e 253 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d’impossibilità d’individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa d’imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
L’interpretazione prospettata dall’Adunanza Plenaria si faceva carico, in definitiva, di superare alcune criticità insorte dall’esame di una pluralità di casi, in cui il responsabile dell’inquinamento risultava nella maggior parte dei casi irreperibile per avere, con operazioni negoziali di sospetta portata elusiva, alienato la cosa inquinata, mentre il nuovo proprietario trovava proprio nelle richiamate disposizioni inerenti alla limitazione della sua responsabilità (essendo ammessa solo una responsabilità di tipo patrimoniale correlata al valore commerciale del cespite) una sorta di commodus discessus al fine di liberarsi dei ben più gravosi oneri economici connessi alla integrale bonifica del sito.
5.1.5. Con sentenza del 4 marzo 2015 ( resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato e chiarito il proprio orientamento (invero, già espresso nella sentenza 9 marzo 2010, C- 378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell’ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell’Adunanza plenaria, affermando che “la direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”.
5.1.6. Rileva il Collegio che, per quanto la sentenza della Corte di Giustizia appena citata si riferisse alla legittimità de iure communitario delle richiamate disposizioni del Codice dell’ambiente, nondimeno i principi ivi espressi sono utili a chiarire, attraverso il principio dell’interpretazione conforme, i contenuti degli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006, ed ispirati allo stesso principio comunitario del “chi inquina paga”.
Sul punto, la stessa sentenza della Corte di Lussemburgo ha chiarito come il diritto dell’Unione non sia di ostacolo ad una normativa nazionale (quale quella italiana) la quale non consenta di imporre misure riparatorie al proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento, di tal che la pronuncia non riguarda soltanto le disposizioni particolari del Codice dell’ambiente applicabili in quel giudizio (che vengono utilizzate in quanto poste a base della controversia davanti al giudice a quo) ma si riferisce evidentemente a tutte le disposizioni nazionali, antecedenti o susseguenti a quelle scrutinate, che siano ispirate al medesimo criterio di riparto della responsabilità e degli oneri consequenziali tra il proprietario del sito inquinato ed il responsabile dell’inquinamento.
5.2. Applicando i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria e in seguito dalla Corte di Giustizia alle peculiarità del caso di specie e non potendo determinarsi in capo alla società appellata la responsabilità dell’inquinamento del sito (risalente, come detto, ad alcuni decenni addietro ed imputabile eziologicamente all’attività inquinante di altri soggetti giuridici), deve concludersi nel senso che alla stessa non potessero essere legittimamente imposte le attività di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza di cui ai provvedimenti impugnati in primo grado.
In base alla normativa nazionale (di cui la Corte di Giustizia ha sancito la non contrarietà al diritto dell’Unione) la società appellante, in qualità di proprietaria dell’area, potrà essere chiamata – se del caso – a rispondere sul piano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuta, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto del citato articolo 253 del ‘Codice dell’ambiente’.
5.3. La sentenza in epigrafe deve, quindi, essere puntualmente confermata, mentre non possono trovare accoglimento gli argomenti profusi dal Ministero appellante.
5.4. E’ inoltre infondato l’argomento del Ministero appellante secondo cui il carattere solo cautelare (e non anche lato sensu sanzionatorio) delle misure che erano state imposte alla società appellante con i provvedimenti impugnati in primo grado non contrasterebbe con (ma anzi, risulterebbe imposta dal) l’applicazione del più volte richiamato principio “chi inquina paga” e con il principio di precauzione.
5.4.1. Si osserva al riguardo che la direttiva 2004/35/CE (la quale declina in puntuali statuizioni i richiamati principi comunitari e che – indipendentemente dalla sua diretta e integrale applicazione alla vicenda di causa – fornisce indici ermeneutici di grande rilievo sistematico) non opera alcuna distinzione, per quanto riguarda la necessaria sussistenza del nesso eziologico in punto di causazione del danno, fra: a) le misure di prevenzione e b) le misure di riparazione di cui all’articolo 2, punti 10 e 11.
Al contrario, in entrambi i casi l’insussistenza di un nesso eziologico fra la condotta dell’operatore e l’evento dannoso (in definitiva: il fatto che l’operatore non abbia cagionato l’evento di inquinamento) vale ad escludere qualunque conseguenza a suo carico, sia per ciò che riguarda le misure di prevenzione, sia per quanto riguarda le misure di riparazione in senso proprio (non a caso, l’articolo 8, paragrafo 3 della richiamata direttiva stabilisce che “non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza”).
Concludendo sul punto, l’infondatezza in parte qua dell’appello del Ministero viene resa palese proprio dalle disposizioni eurounitarie che hanno declinato in puntuali statuizioni gli invocati principi di precauzione e del “chi inquina paga”.
5.5. Ed ancora, non può trovare accoglimento l’argomento secondo cui, a prescindere da qualunque esame in ordine al nesso eziologico fra la condotta e l’evento dannoso, il proprietario incolpevole potrebbe essere chiamato a sostenere le misure di prevenzione e di riparazione a titolo di “oggettiva responsabilità imprenditoriale” che graverebbe sul proprietario in ragione del mero dato dominicale (e ciò, anche al fine di impedire che dei relativi oneri sia fatto carico, in ultima analisi, alla collettività).
5.5.1. La tesi in questione è stata già esaminata (e puntualmente confutata) dalla più volte richiamata ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 21 del 2013 la quale ha chiarito:
– che sia nelle ipotesi di danno ambientale disciplinate dalle previsioni della direttiva 2004/35/UE, sia in quelle che restano regolate dalle sole previsioni del ‘Codice ambientale’, non sono configurabili ipotesi di responsabilità svincolata persino da un contributo causale alla determinazione del danno;
– che il sub-sistema normativo di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 reca un preciso criterio di imputazione della responsabilità da inquinamento (il quale si innesta sulla più volte richiamata sussistenza di un nesso eziologico), non ammettendo ulteriori, diversi e più sfavorevoli criteri di imputazione (i quali, pure, sono conosciuti da altri settori dell’ordinamento);
– che, in particolare, il vigente quadro normativo nazionale non ammette un criterio di imputazione (quale quello che, nella sostanza, viene invocato dal Ministero appellante) basato sulla sorta di “responsabilità di posizione” a carico del proprietario incolpevole (secondo un modello che implicherebbe la responsabilità patrimoniale di quest’ultimo non solo in assenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, ma anche in assenza dell’elemento oggettivo della mera riferibilità sul piano eziologico).
5.6. Per ragioni del tutto analoghe a quelle appena esposte, neppure possono trovare accoglimento gli argomenti svolti dal Ministero appellante e basati sul richiamo alla giurisprudenza della CGUE la quale ha talvolta ammesso che l’applicazione del principio “chi inquina paga” possa comportare l’obbligo di adottare specifiche misure di prevenzione e di riparazione a carico di operatori i quali abbiano agito in assenza di dolo o di colpa.
Si osserva anche in questo caso che la tesi in tal modo proposta, laddove accolta, non comporterebbe soltanto l’instaurazione di un modello di responsabilità di tipo oggettivo, ma – per di più – di un diverso e inammissibile modello di responsabilità “di mera posizione” (invero sconosciuto in questo settore dell’ordinamento).
5.6.1. Allo stesso modo non può in alcun modo essere condivisa la tesi del Ministero appellante secondo cui il principio “chi inquina paga” dovrebbe essere inteso nel senso che la locuzione “chi” vada riferita anche a colui che, con la propria condotta omissiva o negligente, nulla faccia al fine di ridurre o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.
Anche l’argomento in questione è stato puntualmente esaminato e disatteso dall’Adunanza Plenaria con la decisione n. 21/2013 all’esito di una puntuale disamina condotta sulle pertinenti disposizioni nazionali.
L’Adunanza Plenaria ha, in particolare, chiarito che il più volte richiamato criterio di imputazione induce a riferire correttamente la condotta foriera di inquinamento (e i conseguenti profili di responsabilità) all’attività di un operatore economico (in senso analogo, gli articoli 3 e 4 della direttiva 2004/35/CE) e non già a quella del proprietario incolpevole il quale non abbia adottato misure adeguate a fronte dell’inquinamento “causato” (secondo una locuzione peraltro impropria) dal terreno di sua proprietà.
5.7. Parimenti infondato (ancora una volta, sulla base di argomenti e motivazioni già esaminate e puntualmente respinte dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio) è il motivo secondo cui, laddove non si esigesse in capo all’acquirente di un sito una diligenza particolarmente qualificata in relazione a possibili, pregressi episodi di inquinamento, il modello normativo in tal modo delineato si presterebbe ad applicazioni di carattere formalistico e consentirebbe il ricorso da parte degli operatori privati di agevoli escamotages di carattere elusivo,
5.7.1. A tacere d’altro (e anche a voler prendere in adeguata considerazione la prospettata tesi), si osserva che il Ministero appellante non ha allegato alcun elemento concreto atto a dimostrare che la società appellata abbia tenuto, nell’ambito della complessiva vicenda per cui è causa un contegno meno che diligente o che le modalità concrete di cessione dell’area in questione palesino (se del caso, da parte di entrambi i paciscenti) un contegno consapevolmente elusivo della normativa in materia di rifiuti e dei criteri legali di distribuzione delle relative responsabilità.
5.8. Anche per questa ragione l’appello proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare deve essere respinto.
6. Deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile l’appello incidentale condizionato proposto dalla società Olon s.p.a., trattandosi di impugnativa proposta solo in via subordinata.
7. Conclusivamente – e per le ragioni sin qui esposte – il ricorso principale n. 10214/2014 (Pfizer) deve essere respinto.
Deve essere, invece, dichiarato inammissibile l’appello incidentale condizionato proposto dalla società Olon s.p.a. nell’ambito del medesimo ricorso n. 10214/2014, trattandosi di gravame articolato solo in via subordinata, per il caso di accoglimento dell’appello principale.
Per le medesime ragioni il ricorso principale n. 1109/2015 (MATTM) deve essere parimenti respinto.
Anche in questo caso deve essere dichiarato inammissibile l’appello incidentale condizionato proposto dalla società Olon s.p.a., trattandosi di gravame articolato solo in via subordinata.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo per quanto riguarda la posizione dell’appellante Pfizer Italia s.r.l., mentre devono essere compensate nei confronti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sussistendo giusti motivi in tal senso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
– respinge l’appello principale n. 10214/2014 (Pfizer Italia s.r.l.) e dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dalla Olon s.p.a. nell’ambito del medesimo ricorso;
– respinge l’appello principale n. 1109/2015 (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) e dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dalla Olon s.p.a. nell’ambito del medesimo ricorso;
Condanna la Pfizer Italia s.r.l. alla rifusione in favore della Olon s.p.a. delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.000 (oltre gli accessori di legge);
Dichiara l’integrale compensazione delle spese nei confronti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)