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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Cave e miniere Numero: 6386 | Data di udienza: 4 Dicembre 2012

* CAVE E MINIERE – Regione Lombardia – Piano cave – Approvazione da parte del consiglio regionale – Scostamento immotivato dalle valutazioni della provincia e della giunta regionale – Illegittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Dicembre 2012
Numero: 6386
Data di udienza: 4 Dicembre 2012
Presidente: Trovato
Estensore: Poli


Premassima

* CAVE E MINIERE – Regione Lombardia – Piano cave – Approvazione da parte del consiglio regionale – Scostamento immotivato dalle valutazioni della provincia e della giunta regionale – Illegittimità.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 13 dicembre 2012, n. 6386


CAVE E MINIERE – Regione Lombardia – Piano cave – Approvazione da parte del consiglio regionale – Scostamento immotivato dalle valutazioni della provincia e della giunta regionale – Illegittimità.

In sede di approvazione del piano delle cave, in applicazione della norma sancita dall’art. 3, l. n. 241 del 1990, le scelte riguardanti le singole aree non abbisognano di una specifica motivazione in considerazione dell’elevato numero di destinatari e dell’interdipendenza reciproca delle varie previsioni, specie se poste a tutela dell’ambiente e del paesaggio; nella regione Lombardia, però, essendo l’approvazione da parte del consiglio regionale atto terminale della sequenza procedimentale, da un lato, i vizi degli atti precedenti si propagano alla delibera di approvazione; dall’altro, la delibera di approvazione non può scostarsi immotivatamente dalle valutazioni della provincia e della giunta regionale onde evitare arbitri.

(Conferma T.a.r. Lombardia, Brescia, n. 1720/2009) – Pres. Trovato, Est. Poli –F. s.r.l. (avv.ti Pafundi, Benedetti e Santoro) c. E. s.a.s. (avv.ti Romanelli e Cividini)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 13 dicembre 2012, n. 6386

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 13 dicembre 2012, n. 6386

N. 06386/2012REG.PROV.COLL.
N. 00232/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 232 del 2010, proposto dalla società Fasanini S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Pafundi, Francesca Benedetti e Annunziato Santoro, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;

contro

Edilponte S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Romanelli e Ezio Cividini, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Pacuvio n. 34;

nei confronti di

Regione Lombardia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Cederle, con domicilio eletto presso l’avvocato Emanuela Quici in Roma, via Nicolò Porpora n. 16;
Provincia di Brescia, Comune di Losine, Comune di Capo di Ponte, non costituiti;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia – sede staccata di Brescia – Sezione II, n. 1720 del 2 ottobre 2009.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della società Edilponte S.a.s. e della regione Lombardia;
viste le memorie difensive depositate dalla società Fasanini S.r.l. (in data 2 e 13 novembre 2012) e dalla società Edilponte S.a.s. (in data 2 e 13 novembre 2012);
visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Quici, su delega dell’avvocato Cederle, Cividini e Santarelli su delega dell’avvocato Pafundi;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Le società Edilponte s.a.s. e Fasanini s.r.l. gestiscono, sin dagli anni ’90, due aziende minerarie nel tenimento del comune di Capo di Ponte all’interno dell’ambito territoriale estrattivo della valle Camonica, successivamente denominato Ate 1, con una capacità produttiva massima di 57.500 mc.

Nel 2000 la provincia di Brescia ha iniziato il procedimento di adozione del nuovo piano provinciale delle cave nel corso del quale:

a) il comune di Capo di Ponte ha chiesto l’ampliamento della capacità produttiva fino a mc. 500.000 (rispetto ai 350.000 previsti nello schema di piano per l’Ate 1);

b) la ditta Fasanini ha chiesto l’istituzione di un nuovo Ate, nel limitrofo comune di Losine, con una capacità estrattiva pari a 600.000 mc.

1.1. Con delibera consiliare n. 30 del 27 settembre 2002, la provincia ha adottato la proposta del nuovo piano provinciale delle cave settore “sabbia e ghiaia” per il decennio 2002 – 2011, ai sensi dell’art. 7, l. r. 8 agosto 1998, n. 14 – Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava -.

Per quanto di interesse ai fini della presente controversia, il piano adottato:

a) ha confermato la capacità estrattiva di 350.000 mc. per l’Ate 1 (dettando puntuali prescrizioni, mitigative dell’impatto idraulico ambientale e agricolo, anche in attuazione del parere favorevole espresso dall’Autorità di bacino del fiume Pò);

b) non ha istituito il nuovo Ate nel comune di Losine trattandosi di intervenire su area compresa nella fascia fluviale C del piano di assetto idrogeologico, in contrasto con uno dei criteri guida del piano secondo cui non si possono perimetrare nuovi Ate in zone ricadenti in ambiti di tutela.

1.2. La proposta di piano è stata trasmessa dalla provincia di Brescia alla regione Lombardia per il seguito di competenza.

La ditta Fasanini ha presentato alla giunta ed al consiglio regionale analitiche osservazioni tecniche (rispettivamente assunte al protocollo della g.r. in data 17 marzo 2003 ed a quello del c.r. in data 17 febbraio 2004), insistendo per l’istituzione dell’Ate nel comune di Losine; anche il sindaco del comune di Losine ha sostenuto tale iniziativa (cfr. nota prot. n. 2317 del 6 dicembre 2003).

Il comune di Capo di Ponte (cfr. nota prot. n. 1864 del 5 maggio 2004) e la provincia di Brescia (cfr. nota prot. n. 67875/04 del maggio 2004) hanno contro dedotto evidenziando (in particolare la provincia) che l’istituzione di un nuovo Ate <<…confliggerebbe con uno dei principi cardine del nuovo piano, quello di non aprire nuove cave in aree interessate dagli ambiti di tutela del ….P.A.I., senza trovare, a quanto è dato sapere, alcuna giustificazione…>>.

Sia il comitato tecnico regionale per le attività estrattive (cfr. verbale della seduta del 23 luglio 2003 dove si ribadisce l’impossibilità di aprire nuovi Ate in zone ricadenti in ambiti di tutela), sia la giunta regionale in sede di approvazione delle proposte di modifica al piano provinciale (cfr. delibera n. 14577 del 13 ottobre 2003), sia, infine, la VI commissione consiliare competente (cfr. delibera assunta nella seduta del 20 ottobre 2004), non hanno recepito la proposta di istituire un nuovo Ate nel comune di Losine.

1.3. Nella seduta del 24 novembre 2004 il Consiglio regionale ha esaminato il piano cave in questione; nel corso della seduta è stato approvato un emendamento (EM/1234), presentato dal consigliere Valaguzza del seguente testuale tenore: <<I quantitativi di mc .350.000 nella Ate di Capo di Ponte sono ridotti a mc. 150.000; conseguentemente mc. 200.000 sono ricollocati nel comune di Losine in nuovo Ate>>; in sede di discussione (cfr. verbale redatto in pari data), il consigliere Valaguzza ha spiegato che: <<….Per quanto riguarda questo ate, vorrei chiarire che questa era l’unica cava presente in Val Camonica ed era a Capo a Ponte e prevedeva 350 mila metri cubi.. …..c’è l’espressa volontà di entrambi i Sindaci di avere questa attività nel proprio Comune, i quantitativi sono legati a quelli totali della Provincia e sono stati distribuiti a seconda delle disponibilità che hanno verificato in loco, ed è per questo motivo che noi non cambiamo nulla rispetto a quanto la Provincia ci ha proposto, li mettiamo solo 150 in un comune e 200 nell’altro Comune, così come richiesto dai Sindaci>>.

Con delibera n. VII/III4 del 25 novembre 2004 il consiglio regionale ha approvato il piano cave della provincia di Brescia; nell’allegato A alla normativa tecnica, figura una nuova scheda (con annessa planimetria), relativa al nuovo Ate 57, dove sono riportati esclusivamente i dati concernenti il comune di ubicazione (Losine), il volume complessivo del giacimento e la produzione totale (200.000 mc.), il tipo di coltivazione (a fossa a secco) asseritamente in atto, la destinazione d’uso delle aree (attività di cava ai sensi della l.r. 14 del 1998).

2. La ditta Edilponte ha impugnato la deliberazione regionale di approvazione del piano cave articolando i seguenti quattro autonomi motivi:

a) violazione dell’art. 6, co. 2, lett. a), l.r. n. 14 del 1998 (erroneamente indicato come art. 5 per un evidente refuso), nella parte in cui sancisce il principio che, nella individuazione dei siti in cui svolgere l’attività estrattiva, vanno privilegiati quelli contigui ad aree già in corso di sfruttamento, con priorità rispetto all’apertura di nuove cave;

b) violazione degli artt. 5 e 6, l.r. n. 14 del 1998, difetto assoluto di istruttoria; nella scheda tecnica relativa al nuovo Ate 57 (parte integrante del piano approvato), mancano gli esiti della istruttoria previsti dall’art. 6 cit. in relazione a parametri ritenuti imprescindibili (urbanistici, merceologici, di viabilità ecc.);

c) contradditorietà della scelta operata dal Consiglio regionale rispetto alle risultanze dell’attività istruttoria ed alle determinazioni assunte dalla provincia, dalla giunta regionale, dal comitato tecnico scientifico e dalla commissione consiliare competente;

d) eccesso di potere per disparità di trattamento in favore della società Fasanini nonché violazione dei criteri di piano.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Lombardia, sede staccata di Brescia, Sezione II, n. 1720 del 2 ottobre 2009:

a) ha accolto, nella sostanza, tutte le censure di difetto di motivazione, di istruttoria e di disparità di trattamento, nonché quelle relative alla violazione dell’art. 6, l.r. n. 14 del 1998;

b) ha precisato la portata dell’annullamento alla sola delibera consiliare regionale e limitatamente all’introduzione dell’Ate 57 a detrimento dell’Ate 1;

c) ha condannato la regione Lombardia al pagamento delle spese di lite.

4. La società Fasanini, non costituita in prime cure, ha interposto appello ritualmente notificato (in data 14 dicembre 2010) e depositato (in data 13 gennaio 2010).

5. Si è costituita la società Edilponte deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. Si è costituita la regione per aderire, sia pur genericamente, all’appello interposto dalla società Fasanini; successivamente il difensore della regione ed il dirigente regionale competente, hanno dichiarato che la regione ha ritenuto di non impugnare la sentenza ritenendola <<…corretta, coerente e non affetta da evidenti vizi logici e di giudizio>> (cfr. istanza di prelievo, presentata unitamente al difensore della società Edilponte, e depositata in segreteria il 15 maggio 2012).

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 4 dicembre 2012.

8. L’appello è infondato e deve essere respinto.

8.1. Con il primo motivo (pagine 4 – 5 del gravame) e con le memorie difensive indicate in epigrafe, la società Fasanini ha dedotto la carenza di interesse ad agire della società Edilponte per non aver impugnato, a suo tempo, il p.r.g. del comune di Losine nella parte in cui ha previsto nel proprio territorio una zona destinata ad attività di cava e per la non lesività della istituzione dell’Ate 57 in quanto tale.

8.1.1. Il mezzo è infondato sia in fatto che in diritto.

In fatto è sufficiente rilevare che l’attuale p.r.g. del comune di Losine (approvato con delibera n. 24 del 4 dicembre 2009) non ha previsto la destinazione di zone del proprio territorio ad attività di cava (cfr. certificato urbanistico del comune di Losino del 18 gennaio 2012, depositato in giudizio dalla difesa della società appellata in data 22 ottobre 2012).

La tesi sostenuta dalla ricorrente è altresì inaccoglibile in diritto, posto che:

a) la lesione della sfera giuridica della società Edilponte discende dalla previsione regionale di istituzione dell’Ate 57 con conseguente riduzione della capacità estrattiva dell’Ate 1;

b) la società Edilponte è del tutto indifferente rispetto alla zonizzazione urbanistica di una parte del tenimento di un comune nel cui ambito non è proprietaria di lotti.

8.2. Con il secondo e terzo mezzo (pagine 5 – 14 dell’atto di gravame) la società Fasanini contesta tutte le statuizioni ad essa sfavorevoli; sostiene in particolare che:

a) gli atti pianificatori, nel cui genus è sussumibile il piano cave, non necessitano di una puntuale motivazione in relazione a zone specifiche del territorio;

b) le ragioni della scelta compiuta dal consiglio regionale in relazione all’istituzione dell’Ate 57 si rinvengono nelle analitiche osservazioni elaborate dalla medesima società e sottoposte all’amministrazione provinciale prima ed alla giunta regionale poi;

c) la scelta regionale costituisce una sintesi fra le contrapposte esigenze emerse nel corso dell’iter di approvazione del piano cave ed è coerente con la necessità di attenuare talune criticità legate all’aumento della capacità estrattiva dell’Ate 1 (fase di esaurimento per la presenza di strati argillosi, viabilità ecc.);

d) incombe alla provincia e non alla regione predisporre gli elementi tecnici previsti dall’art. 6, l.r. n. 14 del 1998; in ogni caso la regione può desumerli dalle note tecniche presentate dai soggetti interessati nel corso del procedimento.

8.2.1. In ragione della stretta connessione esistente fra le illustrate censure, le stesse possono essere congiuntamente esaminate e disattese.

8.2.2. Il contenuto, la formazione, l’adozione e l’approvazione dei piani provinciali per le cave sono disciplinati, nella regione Lombardia, dagli artt. 5, 6, 7 e 8, della l.r. n. 14 del 1998.

In sintesi, e per quanto di interesse, si osserva che:

a) i piani devono essere elaborati dalle province (art. 7) tenuto conto della situazione geologica, ambientale, idrogeologica, urbanistica, agricola, mineraria delle zone destinate ad attività di cava, nonché della scarsità dei giacimenti naturali e delle attività in essere (art. 6, co. 1);

b) negli ambiti territoriali estrattivi, che ricomprendono aree protette, le zone destinate a cava devono essere accorpate a quelle preesistenti con priorità rispetto all’apertura di nuove cave in zone non pregiudicate (art. 6, co. 2);

c) i documenti di piano devono dare conto: della definizione dei bacini di produzione; della individuazione delle aree di riserva di materiali inerti; della identificazione dei siti da sottoporre a recupero; della destinazione d’uso delle aree per la durata dei processi produttivi e della destinazione finale; della determinazione dei tipi e qualità di sostanze estraibili in ciascun Ate relativamente all’attività estrattiva esistente, alla consistenza del giacimento, alle caratteristiche merceologiche, alla tecnologia della lavorazione, ai bacini di utenza; delle norme tecniche di coltivazione e recupero (art. 6, co. 2);

d) il piano adottato dalla provincia è trasmesso alla giunta regionale che lo esamina apportando le necessarie modifiche, anche sulla base di pareri ed osservazioni pervenute da soggetti interessati (art. 8, co.1);

e) il piano è approvato dal consiglio regionale che può apportarvi modifiche in sede di approvazione; a tal fine gli uffici della giunta assistono il consiglio per l’adeguamento delle cartografie di piano (art. 8, co. 2 e 3).

In linea generale la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1059, relativa alla l.r. Lombardia n. 14 del 1998; Cons. giust. amm., 28 luglio 2011, n. 513; sez. VI, 4 aprile 2011, n. 2083; sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 711; sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8640; sez. VI, 32 dicembre 2008, n. 6519; sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7261, tutte relative alla l.r. Lombardia n. 14 del 1998), in relazione alla coltivazione delle cave, non ha mancato di rilevare che:

a) l’attività estrattiva di cava, pur non essendo assoggettata al previo rilascio del permesso di costruire, coinvolge interessi super individuali e valori costituzionali (ambiente, paesaggio, territorio, salute, iniziativa economica), incidendo sul governo del territorio sia per il suo rilevante impatto ambientale che per le esigenze economiche proprie dell’impresa esercente connesse allo sfruttamento delle sempre più scarse risorse naturali disponibili, con la conseguenza che, al pari dell’attività edilizia, non è mai completamente libera ma deve inserirsi in un contesto di interventi pianificati;

b) dalla natura programmatica dell’intervento pubblicistico e dai valori costituzionali in gioco ne discende che:

I) in sede di approvazione del piano delle cave, in applicazione della norma sancita dall’art. 3, l. n. 241 del 1990, le scelte riguardanti le singole aree non abbisognano di una specifica motivazione in considerazione dell’elevato numero di destinatari e dell’interdipendenza reciproca delle varie previsioni, specie se poste a tutela dell’ambiente e del paesaggio; nella regione Lombardia, però, essendo l’approvazione da parte del consiglio regionale atto terminale della sequenza procedimentale, da un lato, i vizi degli atti precedenti si propagano alla delibera di approvazione; dall’altro, la delibera di approvazione non può scostarsi immotivatamente dalle valutazioni della provincia e della giunta regionale onde evitare arbitri;

II) l’obbligo di sottoporre a v.i.a. l’attività estrattiva di cava, ove ricorrano tutte le condizioni previste dalla normativa comunitaria e nazionale in materia;

c) le norme sancite dall’art. 6, l.r. n. 14 del 1998, non dispongono la salvaguardia delle posizioni degli imprenditori esercenti l’attività di cava, ma, al contrario, introducono il principio fondamentale per cui i nuovi ambiti minerari vanno posti in prossimità delle aree compromesse, perché già interessate da attività estrattive, sul presupposto che le cave debbano essere il più possibile accorpate, non solo per una più efficace vigilanza ma soprattutto per salvaguardare aree ambientali non incise dalla loro coltivazione.

8.2.3. Così delineato il quadro delle norme e dei principi applicabili alla fattispecie concreta, ricostruita al precedente punto 1, si evidenzia che:

a) il consiglio regionale non ha motivato puntualmente le ragioni di una scelta programmatica del tutto eccentrica rispetto alle linee guida ed ai principi informatori del piano elaborato dalla provincia e, in parte qua, non modificato dalla giunta regionale (organo competente ad introdurre, previa adeguata istruttoria tecnica, modifiche, anche di rilievo sostanziale, al piano adottato dalla provincia), ovvero concentrare le nuove capacità estrattive in zone limitrofe a cave esistenti evitando di aprirne di nuove in territori non pregiudicati dal punto di vista ambientale;

b) al pari della giunta, l’organo tecnico regionale e la commissione consiliare competente (in sede istruttoria) non hanno ritenuto di variare la scelta provinciale nel pieno rispetto del vincolo programmatico, stabilito dalla norma sancita dall’art. 6, co. 2, lett. a), l.r. cit. per la tutela dell’ambiente;

c) la motivazione non può ritenersi desumibile (nel caso di specie addirittura implicitamente), dalle osservazioni tecniche formulate dai privati o dagli altri soggetti – diversi da quelli istituzionalmente competenti alla formazione, adozione e approvazione del piano – intervenuti nel procedimento che, in quanto tali, sono portatori di interesse di parte e non vantano alcun diritto o aspettativa qualificata al recepimento delle proprie osservazioni;

d) la presenza degli elementi tecnici necessariamente costitutivi della proposta di piano (fra cui le schede allegate alle n.t.a.), ai sensi dell’art. 6 cit., è indefettibile; pertanto, in caso di esercizio, da parte della regione, dello ius variandi in contrasto con le linee di fondo del piano predisposto dalla provincia, tali elementi devono essere comunque implementati da parte della regione medesima, in modo coerente con le nuove scelte di programmazione; circostanza questa che non si è verificata nel caso di specie in quanto il consiglio ha approvato la contestata modifica in assenza di una pertinente istruttoria tecnica e di una coerente proposta formulata dalla giunta (unico organo, lo si ribadisce, abilitato ex lege a proporre modifiche sostanziali), tanto che nella scheda tecnica relativa all’Ate 57 è stata indicata come già in atto una attività estrattiva viceversa inesistente in quel territorio.

9. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

10. In assenza di prova specifica delle spese sostenute, secondo quanto richiesto dal d.m. n. 140 del 2012, il solo onorario del presente grado di giudizio, regolamentato secondo l’ordinario criterio della soccombenza, è liquidato in dispositivo a carico della società Fasanini e in favore della società Edilponte.

Le spese relative al rapporto processuale corrente fra l’appellante e la regione Lombardia, da un lato, e fra quest’ultima e la società Edilponte, dall’altro, possono essere compensate in considerazione della peculiarità dell’andamento del presente giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto:

a) respinge l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;

b) condanna la società appellante a rifondere in favore della società Edilponte l’onorario del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 5.000 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente
Vito Poli, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
    

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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