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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 2304 | Data di udienza: 4 Maggio 2017

* RIFIUTI – Approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio regionale in regime di prorogatio – Adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’UE – Legittimità – Smaltimento di rifiuti contenenti amianto – Regime speciale derogatorio delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti – Competenza in materia di individuazione dei siti utilizzati per lo smaltimento – Regioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Maggio 2017
Numero: 2304
Data di udienza: 4 Maggio 2017
Presidente: Anastasi
Estensore: Taormina


Premassima

* RIFIUTI – Approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio regionale in regime di prorogatio – Adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’UE – Legittimità – Smaltimento di rifiuti contenenti amianto – Regime speciale derogatorio delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti – Competenza in materia di individuazione dei siti utilizzati per lo smaltimento – Regioni.



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 15 maggio 2017, n. 2304


RIFIUTI – Approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio regionale in regime di prorogatio – Adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’UE – Legittimità.

L’adozione di un atto (nella specie, approvazione del nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali da parte del Consiglio regionale) costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea può essere legittima pur durante il regime di prorogatio, ricorrendo il presupposto della qualificata ed indifferibile urgenza.
 

RIFIUTI – Smaltimento di rifiuti contenenti amianto – Regime speciale derogatorio delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti – Competenza in materia di individuazione dei siti utilizzati per lo smaltimento – Regioni.

Per lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto il legislatore ha dettato un regime speciale, derogativo delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la conseguenza che tale regime costituisce una regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere generale concernenti la competenza degli enti territoriali in materia anche ambientale.  Alla luce della vigente legislazione (d.Lgs. n. 152/2006) e dal combinato disposto dell’art. 1 della Legge 27 marzo 1992, n. 257 si evince che la competenza in materia di individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l’attività di smaltimento dei rifiuti di amianto pertiene alle Regioni.


(T.A.R. VENETO,  n. 272/2016) – Pres. Anastasi, Est. Taormina – Regione Veneto (avv.ti Zanlucchi, Cusin, Zanon e Manzi) c. B. s.r.l. (avv. Pellegrini)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 15 maggio 2017, n. 2304

SENTENZA

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 15 maggio 2017, n. 2304

Pubblicato il 15/05/2017

N. 02304/2017REG.PROV.COLL.
N. 03918/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3918 del 2016, proposto dalla Regione Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Cusin, Andrea Manzi, Ezio Zanon, Francesco Zanlucchi, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;


contro

 

Società Terra – Trattamento e Recupero Risorse Ambientali s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Barel, Vincenzo Pellegrini, con domicilio eletto presso lo studio Federica Scafarelli in Roma, via G.Borsi N.4;

nei confronti di

Provincia di Treviso, Agenzia Regionale per la Prevenzione e La Protezione Ambiente del Veneto, Comune di Paese non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il VENETO – Sede di VENEZIA- SEZIONE III n. 271/2016, resa tra le parti, concernente approvazione nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali – diniego autorizzazione per riconversione discarica per renderla idonea allo smaltimento e trattamento rifiuti contenenti amianto.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Terra – Trattamento e Recupero Risorse Ambientali s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati A. Manzi, F. Zanlucchi, V. Pellegrino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 271/2016 il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto – Sede di Venezia – ha accolto il ricorso proposto dalla società odierna appellata T.E.R.R.A (Trattamento e Recupero Risorse Ambientali) s.r.l. teso ad ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio Regionale del Veneto n. 30 del 29/4/2015, pubblicata sul BURV n. 55 dell’1/6/2015, avente ad oggetto: “Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali. Decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni e Legge regionale n. 3 del 2000 e successive modifiche e integrazioni”.

2. La predetta società aveva fatto presente di gestire un impianto per lo smaltimento di rifiuti inerti, autorizzato dalla Provincia di Treviso, ed in relazione al quale aveva presentato una domanda di riclassificazione al fine di consentire il conferimento di rifiuti contenenti amianto (richiedendo il rilascio dei provvedimenti di Valutazione di Impatto ambientale e di Autorizzazione Integrata Ambientale).

Successivamente al parere negativo in materia ambientale emanato con la deliberazione n 29/2013 e impugnato dalla medesima con la proposizione del ricorso RG n. 1714/13, era stata emanata la delibera n.30/2015 di approvazione del “nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali”.

Detto piano in particolare prevedeva:

a)il divieto di realizzare discariche per rifiuti non pericolosi e pericolosi “nelle zone di alta pianura-zona di ricarica degli acquiferi individuate con DCR n. 62 del 17/05/2006 (art. 15 comma 4 NTA)”;

b) il divieto di realizzare discariche per rifiuti contenenti amianto (RCA) mediante la riclassificazione di una discarica per rifiuti inerti preesistente, come nel caso di specie (art. 15 comma 2 lett. a) delle NTA);

c) il divieto di realizzare discariche per rifiuti contenenti amianto (RCA) ad una distanza inferiore a 10 Km da altra discarica “della medesima categoria”, salvo espresso parere favorevole del Comune sede dell’impianto esistente o di progetto (art. 15 comma 7 NTA).

La detta società nel ritenere lesive dette prescrizioni, in quanto suscettibili di riverberarsi sul procedimento autorizzativo sopra citato,aveva impugnato il detto piano prospettando tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.

3. La Regione Veneto si era costituita in giudizio chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile – in quanto diretto ad impugnare un atto generale non immediatamente lesivo- e comunque infondato nel merito. Quanto alla prima censura proposta dalla originaria ricorrente, aveva fatto presente che l’approvazione del piano regionale rifiuti doveva considerarsi un atto dovuto in considerazione dell’esistenza, in materia, di una disciplina europea e della successiva attivazione di un procedimento EU-Pilot.

4. Il T.a.r., ha innanzitutto disatteso l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, facendo presente che non era condivisibile la tesi dell’amministrazione regionale secondo la quale un’effettiva lesione avrebbe potuto realizzarsi solo in conseguenza dell’eventuale diniego alla nuova discarica o a seguito dell’emanazione del parere VIA negativo: al contrario, il Piano regionale impugnato era immediatamente lesivo, in quanto suscettibile di determinare il rigetto dell’istanza proposta dalla ricorrente.

4.1. Nel merito, ha scrutinato il primo motivo di ricorso, accogliendolo alla stregua del seguente iter motivo:

a) ha anzitutto espresso il convincimento che la censura fosse sufficientemente circostanziata, in quanto ivi emergeva la evidente volontà di censurare la violazione dei principi in materia di prorogatio;

b) ha parimenti affermato che come non risultasse dirimente accertare l’applicabilità al caso di specie dell’art. 35, comma 2 dello Statuto ovvero l’art. 55 comma 2 dello Statuto in quanto entrambe le norme esprimevano gli stessi principi in punto di prorogatio.

c) ha rammentato che la Corte Costituzionale aveva a più riprese affermato che il regime della prorogatio consente soltanto l’esercizio di “poteri attenuati”, limitati cioè all’adozione di atti “indifferibili e necessari e che in riferimento ai Consigli regionali, l’istituto della prorogatio poteva operare nel senso che gli stessi, “dopo la scadenza della legislatura”, possono esercitare esclusivamente i poteri necessari per fronteggiare speciali contingenze e, quindi, adottare soltanto le determinazioni che siano del tutto urgenti o indispensabili;

d) ha infine richiamato la giurisprudenza amministrativa secondo la quale il piano di gestione dei rifiuti “..avendo natura di atto di pianificazione, eccede l’ordinaria amministrazione dell’ente e non può pertanto essere adottato allorché il detto organo versa in regime di prorogatio (Consiglio di Stato, sez. V, 16/04/2003, n. 1948)”;

4.2. Muovendo da tali coordinate, ha fatto presente che:

a)non era nel caso di specie ipotizzabile la possibile violazione di un obbligo comunitariamente imposto, in quanto la procedura EU-Pilot, per le caratteristiche sue proprie, non comportava obblighi e non sancisce il venire in essere di un inadempimento da parte di uno Stato membro, in quanto diretta a integrare una forma di dialogo “strutturato” tra la Commissione EU e lo stesso Stato, al fine di risolvere preventivamente una “possibile” violazione del diritto dell’UE e, quindi, di evitare di ricorrere a procedimenti formali d’infrazione ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione ;

b) e neppure l’esistenza di un’indifferibilità e urgenza era rinvenibile sulla base dell’art. 199 del d.Lgs. 152/2006, nella parte in cui prevedeva il 12/12/2013 quale termine ultimo per approvare detto piano, in quanto l’esistenza di detta scadenza consentiva di qualificare l’atto quale atto “dovuto”, ma non comportava necessariamente, e di per sé, una dimostrazione dell’urgenza e dell’indifferibilità dell’approvazione di detto piano successivamente alla scadenza naturale della Legislatura e nell’ambito del periodo di prorogatio;

c) inoltre, detta asserita urgenza, non solo non era desumibile dall’esame del provvedimento impugnato, ma risultava smentita dai tempi in di approvazione definitiva del provvedimento (il piano avrebbe dovuto essere approvato entro il 12/12/2013, mentre in realtà era stato approvato solo il 29 Aprile 2015, il che escludeva l’esistenza di un’indifferibilità e urgenza nel periodo antecedente all’insediamento dei nuovi organi consiliari);

d) non sussistevano circostanze impreviste e imprevedibili, tali da legittimare l’esercizio del potere in oggetto.

4.3. Alla stregua di tali assorbenti considerazioni di fondatezza del primo motivo di censura, il T.a.r. ha quindi accolto il ricorso.

5. Con il ricorso in appello passato per notifica il 11 maggio 2016, notificato il 16 maggio 2016 e depositato il successivo 18 maggio 2016 l’amministrazione regionale originaria parte resistente rimasta soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.

Ripercorso il frastagliato contenzioso e l’iter procedimentale –anche sotto il profilo cronologico – ha commentato i passaggi salienti della decisione di primo grado ed ha quindi:

a) nella prima parte dell’appello (pagg. 1-24) sostenuto che il T.a.r. aveva erroneamente interpretato le affermazioni della Corte Costituzionale in punto di poteri esercitabili dagli Organi elettivi durante il regime di prorogatio;

b) nella seconda parte dell’appello (pagg. 24-34) ha confutato le doglianze avanzate dalla società originaria ricorrente in seno al ricorso di primo grado, ed assorbite dal Tar.

6. In data 15 luglio 2016 l’appellata società T.E.R.R.A (Trattamento e Recupero Risorse Ambientali) s.r.l. ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato deducendo che:

a)non v’era contraddizione tra i principi richiamati dal T.a.r. e la giurisprudenza costituzionale richiamata dalla Regione nel proprio appello, ed anzi il Tar si era confermato alla decisione della Corte Costituzionale n. 81/2015 evidenziando che non v’era la urgenza legittimante l’esercizio delle straordinarie prerogative Consiliari durante il periodo di prorogatio;

b) era pacifico poi che la procedura pre-contenziosa Eu Pilot non potesse determinare, di per se, alcuna urgenza e comunque anche in via teorica l’urgenza non poteva scaturire dalla pregressa colpevole inerzia dell’Organo;

c) era incontestato, infatti, che il Piano avrebbe dovuto essere approvato già nel 2013;

d) era radicalmente infondato il secondo motivo di appello, laddove si pretendeva di “scindere” la prescrizione unitaria di cui all’art. 35 dello Statuto, e si pretendeva di affermare che durante il periodo di prorogatio soltanto i poteri legislativi risentissero di tale condizione, mentre invece quelli amministrativi avrebbero potuto dispiegarsi liberamente, e senza limiti;

d1) la tesi esposta nel detto secondo motivo di appello si rifaceva ad una decisione della Corte Costituzionale (la n. 208/1992) resa allorchè il Legislatore statale non aveva ancora emanato la legge n. 444/1994 in materia di regolamentazione della c.d. “prorogatio”;

6.1 Nella medesima memoria, in via subordinata, ha riproposto i motivi di censura già prospettati in primo grado ed assorbiti dal T.a.r., in particolare deducendo che:

a) l’art. 15 delle Nta del Piano regionale impugnato era illegittimo, in quanto si poneva in contrasto con la disciplina contenuta nella legge n. 257/1992 in materia di smaltimento dei rifiuti speciali contenenti amianto (testo di legge, quest’ultimo, speciale rispetto alle prescrizioni di cui al d.Lgs n. 152/2006, siccome in passato precisato dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2943/2004) in quanto:

I) non era stato previamente adottato il Piano Organico per lo smaltimento dei RCA, siccome imposto ex art. 10 della legge n. 257/1992;

II) non vi era stata istruttoria specifica sul punto;

III) la norma era carente di motivazione;

IV) la prescrizione impositiva di un vincolo di distanze tra discariche destinate a ricevere rifiuti diversi tra loro, sfuggiva a qualsivoglia logica pianificatoria;

V) illogicamente, il detto art. 15 delle Nta del Piano regionale consentiva l’eventuale deroga al vincolo di non localizzazione a distanza inferiore di dieci chilometri fosse subordinata al parere favorevole del Comune interessato (e ciò pur rientrando la materia nella competenza pianificatoria regionale esclusiva);

VI) parimenti era incomprensibile il divieto imposto alla “riclassificazione”della discarica di inerti in discarica di rifiuti non pericolosi, al fine di consentire alla medesima di ricevere RCA;

b) il comma 4 dell’art. 15 delle Nta del Piano regionale era illogico, alla luce della circostanza che la specifica protezione degli acquiferi sotterranei era demandata al d.Lgs. n. 36/2003

7. In data 18.7.2016, in vista dell’adunanza camerale fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività della impugnata decisione, l’appellante Regione ha depositato una breve memoria puntualizzando le proprie difese.

8. Alla camera di consiglio del 21 luglio 2016 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività della impugnata decisione la Sezione con la ordinanza n. 2932/2016 ha accolto il petitum cautelare alla stregua delle considerazioni per cui “rilevato che, con esclusivo riferimento al periculum in mora, appare preponderante l’interesse della Regione Veneto a che sia comunque operante la disciplina di Piano (integrando quest’ ultimo atto amministrativo generale suscettibile di plurime applicazioni);

rilevato che le considerazioni esposte nella sentenza, seppure ovviamente limitate all’interesse della parte originaria ricorrente sarebbero di per se idonee ad impedire in via generalizzata l’applicazione del Piano nelle more della decisione del merito;

rilevato che, quanto al fumus, l’appello cautelare introduce delicate questioni da vagliare sollecitamente nella competente sede di merito ( riposanti, principalmente nella valutazione della effettiva sussistenza di una “urgenza qualificata” relativa all’obbligo discendente dalle previsioni normative di matrice comunitaria e nella refluenza, su tale urgenza, della pregressa inerzia dell’Organo consiliare);”.

9. In data 3.12.2016 la società odierna appellata ha depositato una istanza di anticipazione dell’udienza di merito.

10. In data 18.3.2017 l’appellante regione Veneto ha depositato copia del Parere motivato della Commissione Europea del 15.2.2017 ai sensi dell’art. 258 del TFUE per la violazione dell’articolo 30 paragrafo 1 della direttiva 20087987CE relativa ai rifiuti, per mancata adozione dei piani di gestione dei rifiuti aggiornati.

11. In data 31.3.2017 la regione Veneto ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi.

12. In data 3.4.2017 la società appellata ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi.

13.Alla odierna udienza pubblica del 4 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va accolto nei sensi di cui alla motivazione che segue. La sentenza va pertanto riformata e, pronunciando sul ricorso di primo grado (del quale sono stati riproposti tutti gli originari motivi di impugnazione) questo va parzialmente accolto, nei sensi di cui alla motivazione che segue, con parziale annullamento dell’impugnato provvedimento.

1.1. Posto che non v’è contrasto sulla ricostruzione fattuale –e giuridica- della vicenda processuale, sulla circostanza che l’atto impugnato venne emesso dal Consiglio Regionale durante il regime di prorogatio, e sulle norme applicabili alla fattispecie, il Collegio farà integrale riferimento in parte qua alle affermazioni del primo Giudice, in ossequio al principio di cui all’art. 64 comma 2 del cpa, ed al principio di sinteticità dei provvedimenti giurisdizionali.

2. Come succintamente riferito nella parte “in fatto” della presente decisione, le parti si sono a lungo confrontate – nei rispettivi scritti difensivi- in ordine alle conseguenze da trarre dagli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia di esercizio dei poteri da parte delle assemblee elettive regionali durante il periodo di prorogatio: e sono pervenute a conclusioni diametralmente opposte.

2.1. Anticipa il Collegio il proprio convincimento in ordine alla non condivisibilità della – pur doviziosamente argomentata – tesi affermata dal T.a.r. ed alla conseguente fondatezza dell’appello proposto dalla Regione.

2.2. Appare opportuno anzitutto precisare che:

a) i condivisibili principi a più riprese affermati dal Giudice delle Leggi nelle proprie numerose decisioni (tra le tante Corte Costituzionale, 15/07/2015, n. 158, Corte Costituzionale 31 marzo 2015 n. 55, Corte Costituzionale, 17/04/2015, n. 64, Corte Costituzionale, 15/05/2015, n. 81 ) appaiono perfettamente trasponibili alla fattispecie in questione;

b) è ben vero, infatti, che la Corte Costituzionale si è pronunciata in ordine all’esercizio di poteri legislativi durante il regime di prorogatio e che, invece, nel caso di specie si controverte in ordine alla latitudine del potere riposante nell’adozione di atti amministrativi, seppur di portata generale (quale è il Piano rifiuti impugnato);

c) è altrettanto vero però, che la tesi patrocinata dalla Regione nel secondo motivo di appello, a tenore della quale l’esercizio di poteri amministrativi durante il regime di prorogatio potrebbe essere consentito in misura più ampia rispetto all’esercizio di poteri legislativi (non risentendo degli stringenti limiti relativi all’esercizio della funzione legislativa) appare all’ evidenza inaccoglibile in quanto:

I) sotto il profilo testuale, l’art. 35 dello Statuto della Regione Veneto (Legge statutaria Veneto – 12/04/2012, n.1 – ) così dispone: “1.La prima riunione del Consiglio regionale ha luogo non oltre il decimo giorno dalla proclamazione degli eletti su convocazione del consigliere anziano. In caso di mancata convocazione entro tale termine, il Consiglio si intende convocato d’ufficio per le ore dodici del primo giorno non festivo della settimana successiva.

2. Fino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti sono prorogati i poteri del precedente Consiglio.

3. Nella prima riunione la presidenza provvisoria del Consiglio è assunta, fino all’elezione del Presidente, dal consigliere anziano; fungono da segretari i due consiglieri più giovani di età.” e, come è agevole riscontrare, non autorizza affatto simili distinzioni, facendo un cumulativo riferimento ai “poteri” del precedente Consiglio, che non può non intendersi riferito anche all’attività amministrativa (oltre che a quella legislativa);

II) sotto il profilo logico, poi, sarebbe semmai vero il contrario: se è vero che la primaria funzione politica si esprime attraverso l’adozione di atti – quali sono le leggi regionali- di maggiore pregnanza nel sistema della gerarchia delle fonti, sarebbe del tutto incongruente che i limiti individuati dalla Corte Costituzionale per l’esercizio della detta funzione legislativa potessero attenuarsi con riferimento all’esercizio di funzioni amministrative: e ciò, tantopiù nell’attuale sistema di riparto di competenze costituzionali disegnato dalla Riforma del Titolo V della Carta Fondamentale;

III) la ratio della limitazione all’esercizio dei poteri durante la fase di prorogatio si rinviene nell’esigenza di “comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori” (sentenza n. 68 del 2010): e tale ratio sussiste certamente, ed è identica, laddove rapportata all’esercizio di poteri amministrativi.

2.2.1. La seconda censura è quindi infondata.

2.3. Muovendo da tale punto di partenza (e, quindi, dalla incondivisibilità della tesi esposta nel secondo motivo di appello), pare al Collegio che, invece, la prima censura proposta dalla appellante Regione sia in linea con i principi affermati dalla Corte Costituzionale e che pertanto la sentenza di primo grado meriti di essere riformata.

2.3.1. Senza alcuna pretesa di fornire l’interpretazione autentica degli arresti del Giudice delle Leggi (per il vero assai chiari e certamente non bisognosi di alcuna esegesi), ma al solo fine di chiarire l’avviso del Collegio si osserva che:

a) è stato a più riprese affermato che in fase di prorogatio « i Consigli regionali “dispongono di poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza” (sentenza della Corte Costituzionale n. 468 del 1991); pertanto, in mancanza di esplicite indicazioni contenute negli statuti, devono limitarsi al “solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili”. Essi, inoltre, devono “comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori” (sentenza n. 68 del 2010)» (sentenza n. 55 del 2015);

b) ed è stato sottolineato (sulla scorta della ricordata sentenza n. 68 del 2010) come «il quadro normativo e applicativo sia notevolmente mutato a seguito della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni). Questa ha attribuito allo statuto ordinario la definizione della forma di governo e l’enunciazione dei princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (art. 123, primo comma, Cost.); e ha demandato, nel contempo, la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità allo stesso legislatore regionale, sia pure nel rispetto dei princìpi fondamentali fissati con legge della Repubblica, “che stabilisce anche la durata degli organi elettivi” (art. 122, primo comma, Cost.). Cosicché – anche sulla base di quanto successivamente previsto nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) – è stato affermato che “una interpretazione sistematica delle citate nuove norme costituzionali conduce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma di governo regionale”; e che, nel disciplinare questo profilo, gli statuti “dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione” (sentenza n. 196 del 2003; anche sentenza n. 304 del 2002)» (sentenza n. 64 del 2015);

c) in concreto, è stato posto in luce che il limite discendente dalla situazione di prorogatio può non operare, laddove il Consiglio Regionale proceda all’adozione di “un atto che costituisce adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, da disposizioni costituzionali o legislative statali o che è caratterizzato da urgenza e necessità”.

3. Quanto in ultimo indicato, costituisce in realtà il vero nucleo della controversia, sul quale immediatamente di seguito ci si pronuncerà, in quanto tutte le argomentazioni dell’appellante Regione tese a sottolineare la diversità della disposizione statutaria della Regione Veneto rispetto a quella scandagliata dalla Corte Costituzionale nelle pronunce richiamate sono inconferenti: la Corte Costituzionale ha affermato principi che, in realtà, attengono all’esercizio dei poteri delle Regioni durante la fase della prorogatio, e le modeste differenze terminologiche contenute nelle disposizioni statutarie “di riferimento” non elidono il nucleo dei principi affermati dal Giudice delle leggi.

3.1. La questione che il Collegio è chiamato a dirimere, è dunque la seguente: l’adozione di un atto che costituisce adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea è sempre e comunque consentita al Consiglio Regionale durante il regime di “prorogatio” di tale organo?

3.1.1. Si anticipa immediatamente che non hanno consistenza le obiezioni di parte appellata secondo cui tale situazione non ricorrerebbe in concreto (si sostiene da parte della società appellata che , da un canto l ‘Unione Europea non aveva iniziato alcuna procedura sanzionatoria nei confronti dell’Italia a cagione dell’inadempimento delle Regioni a tale obbligo e, che comunque, di converso l’atto adottato e contestato non avrebbe esonerato l’avvio di tale procedimento sanzionatorio, visto che la Regione neppure si curò di inoltrare il Piano all’Unione Europea).

3.1.2. In disparte la evidente reciproca contraddittorietà dei due argomenti critici ove esaminati congiuntamente, il punto da porre in luce è il seguente:

a) l’art. 199 del D.Lgs. 152/2006, prevedeva il 12/12/2013 quale termine ultimo per approvare detto piano;

b) detto termine rimase inosservato;

c) la circostanza evidenziata dal T.a.r. secondo cui la procedura EU-Pilot, per le caratteristiche sue proprie, non comportava obblighi e non sanciva il venire in essere di un inadempimento da parte di uno Stato membro, in quanto diretta (unicamente) a integrare una forma di dialogo “strutturato” tra la Commissione EU e lo stesso Stato, al fine di risolvere preventivamente una “possibile” violazione del diritto dell’UE e, quindi, di evitare di ricorrere a procedimenti formali d’infrazione ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea da un canto non è dirimente, in quanto la inosservanza di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea può essere inverata anche laddove non sia immediatamente attivato un intervento repressivo/sanzionatorio da parte di quest’ultima e d’altro canto sembra anche infondata.

3.1.3. Sul punto, le considerazioni del T.a.r. e della odierna appellata non sono condivise dal Collegio: la Regione ha buon giuoco nel sostenere che, comunque, la mancata adozione del Piano integrasse una condotta tesa a sottrarsi dagli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

Ed è altresì noto che:

a) il sistema EU Pilot, lanciato nel 2008 dalla Comunicazione della Commissione “Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario” (COM (2007)502), è un meccanismo istituito tra Commissione europea e Stati membri per lo scambio di informazioni e la risoluzione di problemi in tema di applicazione del diritto dell’Unione europea o di conformità della legislazione nazionale alla normativa UE, concepito per la fase antecedente all’apertura formale della procedura di infrazione ex art. 258 TFUE;

b) la Commissione utilizza l’EU Pilot per comunicare con gli Stati membri su questioni di conformità della legislazione nazionale al diritto dell’UE o di corretta applicazione del diritto dell’UE. Il sistema EU Pilot ha sostituito la pratica precedente, per cui la Commissione, prima di avviare una procedura di infrazione, inviava lettere di carattere amministrativo alle autorità nazionali per confrontarsi con loro sui profili del diritto interno che potevano sollevare dubbi di conformità a quello europeo;

c) nel sistema EU Pilot, lo scambio di comunicazioni avviene direttamente, tramite un sistema informatico, tra la Commissione e l’amministrazione nazionale (per l’Italia, il Dipartimento per le Politiche europee, il quale si occupa a sua volta di coinvolgere le amministrazioni regionali o locali eventualmente interessate): è fissato un termine generale di 20 settimane (10 per gli Stati membri e 10 per la Commissione) per lo scambio di comunicazioni.

3.1.4 Si è dunque al cospetto di una procedura “alternativa” o, se si vuole semplificata, comunque foriera, in potenza, di un sbocco concretantesi nell’apertura di una procedura di infrazione: il carteggio depositato in atti comprova vieppiù tale considerazione.

3.2. Muovendo da tale punto di partenza, ritiene il Collegio che l’approdo demolitorio del T.a.r. non meriti conferma.

3.2.1. Invero la ratio dei principi scolpiti dalla Corte Costituzionale è chiara: si vuole evitare che nella delicata fase della prorogatio vengano adottati provvedimenti improntati a (possibili) esigenze elettoralistiche. Non altro significato può attribuirsi alle chiare espressioni contenute nella sentenza n. 158/2015, laddove è stata stigmatizzata l’attività di un Consiglio regionale (nel caso di specie quello abruzzese) essendosi affermato che:

a) “l’intervento legislativo nel suo complesso si presta a essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori, dalla quale il Consiglio regionale, secondo la ricordata giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 68 del 2010), avrebbe dovuto comunque astenersi al fine di assicurare una competizione libera e trasparente”;

b) “il requisito della necessità e dell’urgenza, che legittima il Consiglio regionale a esercitare i propri poteri in regime di prorogatio, evoca l’esigenza che l’intervento normativo sia adottato nell’immediatezza della grave situazione alla quale esso intende porre rimedio, perché diversamente verrebbero travalicati i limiti connaturati all’istituto della prorogatio, che implicano non soltanto la gravità della situazione che forma oggetto dell’intervento, ma anche la sua improcrastinabilità, come è espressamente previsto dal richiamato art. 141 del Regolamento interno per i lavori del Consiglio regionale.”

3.2.2. In effetti, le decisioni della Corte Costituzionale sembrano enucleare una nozione di “atto dovuto” nell’ambito della quale possono rinvenirsi varie ipotesi e, nell’ambito di queste, le condotte che “costituiscono adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea” sembrano affiancarsi a quelle “indifferibilmente urgenti”.

Sembrerebbe cioè, che laddove si adottino atti rientranti nel novero dell’ adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, potrebbe prescindersi dal requisito della qualificata urgenza.

Ed in effetti, è questa la tesi sostenuta dalla Regione.

3.2.3. Può osservarsi in proposito che:

a) il Collegio non intende decampare dalla condivisibile considerazione della giurisprudenza (peraltro fatta propria dal T.a.r.) secondo la quale il piano di gestione dei rifiuti “..avendo natura di atto di pianificazione, eccede l’ordinaria amministrazione dell’ente (Consiglio di Stato, sez. V, 16/04/2003, n. 1948)”; la medesima decisione richiamata ha da tale presupposto fatto discendere che detto atto non può pertanto essere adottato allorché il detto organo versa in regime di “prorogatio”;

b) senonchè, come a più riprese chiarito, nell’odierno procedimento viene prospettato un elemento specifico in teoria in grado di sovvertire tale approdo, in quanto si sostiene la adottabilità del Piano anche durante il regime di prorogatio in quanto tale atto costituiva, in concreto, adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

3.2.4. Il Collegio condivide la tesi prospettata dall’appellante Regione, in quanto:

a) è ben vero che il termine per la tempestiva adozione dell’atto era scaduto da più di due anni (esso scadeva, si ribadisce, nel 2013);

b) e che durante tale torno di tempo il Consiglio regionale rimase inerte;

c) ma tale prolungata inerzia, non può –ad avviso del Collegio – ridondare in favore della illegittimità della tardiva adozione dell’atto in quanto una simile conclusione finirebbe con il rendere sempre e comunque illegittimo qualsiasi atto adottato dall’amministrazione durante il regime di prorogatio e, per l’effetto, condurrebbe ad una interpretatio abrogans dei richiamati principi contenuti nelle plurime decisioni della Corte Costituzionale, che hanno enucleato una serie di atti che non risentono della preclusione nascente dal regime di prorogatio medesima (tra i quali, appunto gli “atti rientranti nel novero dell’ adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”).

3.2.5. Invero si deve considerare che la tesi sostenuta dalla appellata –ove accolta -sarebbe idonea a svuotare del tutto lo sforzo interpretativo reso della Corte Costituzionale in quanto sarebbe sufficiente sostenere che ci si trova in presenza di una pregressa inerzia per farne discendere che anche se l’atto tardivamente adottato costituisca adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea esso sarebbe comunque illegittimo.

La ratio dei principi dettati dalla Corte Costituzionale è quello di salvaguardare il bene supremo della corretta dialettica democratica: in tale quadro, lo sforzo riposante nella enucleazione di talune tassative fattispecie che –configurandosi comunque come “atti dovuti”- non risentono della preclusione discendente dal regime di prorogatio sarebbe reso frustraneo ove si volesse attribuire una valenza impeditiva alla pregressa inerzia (che, per il vero, si ravvisa quasi sempre).

3.3. Alla stregua delle superiori considerazioni, ritiene il Collegio che una lettura corretta dei principi affermati dalla Corte Costituzionale imponga di ritenere che anche l’adozione dell’atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea possa essere legittima pur durante il regime di prorogatio, ricorrendo il presupposto della qualificata ed indifferibile urgenza.

E pare al Collegio che anche la recente sentenza della Corte Costituzionale, 22/11/2016, n. 243 (in particolare si veda il considerando n. 3.5.) autorizzi tale conclusione, essendo appena il caso di osservare che – in considerazione della circostanza che il rispetto del diritto europeo imponeva proprio l’adozione del Piano regionale suddetto- neppure è possibile ipotizzare la possibilità che la Regione adottasse un atto a contenuto e di portata “minore”.

4. L’accoglimento dell’appello della Regione e la riforma dell’impugnata decisione non esaurisce il compito affidato al Collegio in quanto – come in premessa rilevato – la società originaria ricorrente di primo grado ha tempestivamente riproposto le censure assorbite dal T.a.r. che, quindi, devono adesso essere scrutinate (pagg. 9-19 della memoria di costituzione dell’appellata società).

4.1. La prima riproposta censura è condivisibile solo in parte.

4.1.1. Il Collegio non intende decampare dall’insegnamento della giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 11/05/2004, n. 2943) che, nell’esplorare i rapporti tra la legge n. 257/1992, e l’antevigente legislazione in materia ambientale con precipuo riferimento alla materia dello smaltimento dei rifiuti (d.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) è pervenuta al convincimento per cui per lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto il legislatore ha dettato un regime speciale (d.P.R. 8 agosto 1994), derogativo delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la conseguenza che tale regime è rimasto in vigore nelle sue componenti essenziali anche dopo la riforma di cui al d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 e costituisce una regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere generale concernenti la competenza degli enti territoriali in materia anche ambientale. ”.

Detto insegnamento appare attuale anche alla luce della vigente legislazione (d.Lgs. n. 152/2006) e dal combinato disposto dell’art. 1 della citata Legge 27 marzo 1992, n. 257 (“1. La presente legge concerne l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, nonché l’esportazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono e detta norme per la dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’estrazione, dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da amianto.

2. Sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto. Previa autorizzazione espressa d’intesa fra i Ministri dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti di cui al presente articolo per una quantità massima di 800 chilogrammi e non oltre il 31 ottobre 2000, per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili. Le imprese interessate presentano istanza al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato che dispone, con proprio provvedimento, la ripartizione pro-quota delle quantità sopra indicate, nonchè determina le modalità operative conformandosi alle indicazioni della commissione di cui all’articolo 4”) e 10 comma 1 e 2 lett. d della legge medesima (“1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano, entro centottanta giorni dalla data di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 6, comma 5, piani di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto.

2. I piani di cui al comma 1 prevedono tra l’altro:

a) il censimento dei siti interessati da attività di estrazione dell’amianto;

b) il censimento delle imprese che utilizzano o abbiano utilizzato amianto nelle rispettive attività produttive, nonché delle imprese che operano nelle attività di smaltimento o di bonifica;

c) la predisposizione di programmi per dismettere l’attività estrattiva dell’amianto e realizzare la relativa bonifica dei siti;

d) l’individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l’attività di smaltimento dei rifiuti di amianto;

e) il controllo delle condizioni di salubrità ambientale e di sicurezza del lavoro attraverso i presidi e i servizi di prevenzione delle unità sanitarie locali competenti per territorio;

f) la rilevazione sistematica delle situazioni di pericolo derivanti dalla presenza di amianto;

g) il controllo delle attività di smaltimento e di bonifica relative all’amianto;

h) la predisposizione di specifici corsi di formazione professionale e il rilascio di titoli di abilitazione per gli addetti alle attività di rimozione e di smaltimento dell’amianto e di bonifica delle aree interessate, che è condizionato alla frequenza di tali corsi;

i) l’assegnazione delle risorse finanziarie alle unità sanitarie locali per la dotazione della strumentazione necessaria per lo svolgimento delle attività di controllo previste dalla presente legge;

l) il censimento degli edifici nei quali siano presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile, con priorità per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti.

3. I piani di cui al comma 1 devono armonizzarsi con i piani di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, e successive modificazioni e integrazioni.

4. Qualora le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano non adottino il piano ai sensi del comma 1, il medesimo è adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e con il Ministro dell’ambiente, entro novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al medesimo comma 1.”) si evince che la competenza in materia di individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l’attività di smaltimento dei rifiuti di amianto pertiene alle Regioni.

4.1.2. Alla stregua di tale punto fermo, la contestata disposizione di cui all’art. 15 delle NTA del Piano Regionale stabilisce che non sarebbero ammissibili nuove volumetrie di discarica, ad eccezione dell’ipotesi in cui siano presenti discariche per un raggio di 10 Km , interpretata nel senso di ritenere che l’esistenza di qualsiasi discarica per rifiuti non pericolosi impedisca la realizzazione dell’impianto proposto da parte appellata non può essere censurata di illegittimità in quanto:

a) la regione ha esercitato una potestà “propria”;

b) come ancora di recente stabilito da questa Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 5340 del 16.12.2016) “ancora assai di recente (sentenza del 23/07/2015, n. 180) la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che “la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). Pertanto, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino -sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007-» (sentenza n. 58 del 2015).” (si veda, in passato, anche la ricostruzione contenuta della condivisibile recente decisione del Consiglio di Stato sez. V, 26/01/2015n. 313 da intendersi integralmente qui richiamata.).”;

c) la norma impugnata non introduce certo una “soglia inferiore di tutela” ma, semmai, persegue “livelli di tutela più elevati” e detta prescrizione si lega ad una materia a competenza concorrente (quella della tutela della salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione- si veda in proposito, tra le altre Corte Costituzionale decisione n. 248 del 24 luglio 2009 considerando n. 2.1.), e la significativa affermazione secondo cui l’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa in senso sistematico, complessivo e non frazionato, è stata a più riprese ribadita dal Giudice delle leggi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale nn. 85/2013 e 264/2012).

4.1.3. La parte odierna appellata muove dalle superiori affermazioni, ma giunge a conclusioni non condivisibili (e che provano troppo) in quanto:

a) la circostanza che non sia stato approvato un “piano specifico” per lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto, non preclude alla regione di dettare singole norme in materia, che confluiscono (rectius: sono contenute) nel piano—rifiuti: non è il nomen, che rileva, ma l’effetto della prescrizione, e pertanto la circostanza che non vi sia un autonomo “veicolo” regolamentare non vizia certo di illegittimità la detta prescrizione;

b) il piano è un atto generale e non abbisogna di partita motivazione delle singole disposizioni ivi contenute;

c) la distanza di 10 km tra discariche (anche non specificamente abilitate a smaltire amianto) e discariche autorizzate a smaltire amianto appare manifestazione di discrezionalità tecnica del pianificatore regionale, e tutte le censure volte ad enfatizzare i supposti effetti distorsivi cui essa condurrebbe mirano in realtà a sostituire proprie valutazioni tecniche a quelle svolte dall’Autorità competente (e neppure sono supportate da alcun dato scientifico);

d) la disposizione appare dettata dalla evidente esigenza di evitare ogni possibile contaminazione dell’ambiente per l’effetto combinato scaturente dalla compresenza nella stessa area di discariche anche non specificamente abilitate a smaltire amianto e discariche autorizzate a smaltire amianto e non appare censurabile in questa sede anche sotto il profilo del divieto, contenuto al comma 2 lett.a) dell’art. 15 NTA di “riclassificare” una discarica per rifiuti inerti in discarica per rifiuti non pericolosi al fine di consentirle di ricevere rifiuti di amianto.

4.1.4. Tale articolazione della censura va quindi disattesa.

4.2. E’ invece da accogliere la articolazione della censura specificamente diretta a criticare quella porzione della disposizione di cui all’art.. 15 comma 7 delle NTA del Piano Regionale nella parte in cui si subordina l’eventuale deroga al vincolo della distanza di 10 Km al previo parere favorevole del Comune interessato: effettivamente una volta che è esclusa ogni competenza del Comune in materia, tale “diritto di veto” a quest’ultimo attribuito, seppur in sede di valutazione della possibilità di concedere una deroga al regime della distanza, appare porsi in conflitto con la disposizione primaria di cui all’art. 1 della citata Legge 27 marzo 1992, n. 257.

5. Quanto alla seconda riproposta doglianza, incentrata sulla asserita illegittimità della disposizione di cui all’art. 15 comma 4 delle NTA in quanto (in tesi) confliggente con l’art.92 del d.Lgs. 152/2006 e con la deliberazione del Consiglio Regionale n.62 del 17/05/2006 il Collegio non la ritiene persuasiva.

5.1. La detta norma prevede che sia vietata la realizzazione di discariche pericolose e non pericolose nelle aree di ricarica degli acquiferi.

Ora, è ben vero che l’art.92 del d.Lgs. 152/2006 (ma anche gli artt. 93 e 94 del medesimo testo di legge) prevede una disciplina autonoma.

E’ vero anche, però, che proprio il comma 1 dell’art. 94 suindicato (“1. Su proposta delle Autorità d’àmbito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonchè per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonchè, all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione”) facultizza le Regioni ad adottare autonome iniziative in materia.

5.2. La prescrizione regionale non è né illogica, né arbitraria; innalza il livello di tutela della salute umana e del bene acqua, ed è contestata dall’appellata sulla scorta di valutazioni tecniche che di fatto si sostituiscono alla discrezionalità del pianificatore regionale.

5.2.1.Anche tale censura non appare pertanto condivisibile.

6. Conclusivamente, l’appello va accolto nei sensi di cui alla motivazione che precede e la sentenza di primo grado va riformata: pronunciando sul ricorso di primo grado, questo va solo parzialmente accolto, unicamente nella parte in cui si censura la porzione della disposizione di cui all’art.. 15 comma 7 delle NTA del Piano Regionale che subordina l’eventuale deroga al vincolo della distanza di 10 Km al previo parere favorevole del Comune interessato, che va pertanto dichiarata illegittima ed annullata.

6.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

6.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

7. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse devono essere integralmente compensate, stante la reciproca, parziale soccombenza, e soprattutto a cagione della novità e complessità della controversia.
 

P.Q.M.
 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui alla motivazione che precede e pertanto riforma la sentenza di primo grado; pronunciando sul ricorso di primo grado, questo va solo parzialmente accolto, unicamente nella parte in cui si censura la porzione della disposizione di cui all’art.. 15 comma 7 delle NTA del Piano Regionale che subordina l’eventuale deroga al vincolo della distanza di 10 Km al previo parere favorevole del Comune interessato.

Detta prescrizione va pertanto dichiarata illegittima ed annullata, mentre nella restante parte il ricorso di primo grado va disatteso.

Spese processuali del doppio grado integralmente compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere

L’ESTENSORE
Fabio Taormina
        
IL PRESIDENTE
Antonino Anastasi
        
        
IL SEGRETARIO
 

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