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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro Numero: 856 | Data di udienza:

* DIRITTO DEL LAVORO – Mobbing – Indeterminatezza normativa – Valutazione complessiva ed unitaria delle circostanze.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Febbraio 2012
Numero: 856
Data di udienza:
Presidente: Severini
Estensore: Garofoli


Premassima

* DIRITTO DEL LAVORO – Mobbing – Indeterminatezza normativa – Valutazione complessiva ed unitaria delle circostanze.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 17 febbraio 2012, n. 856


DIRITTO DEL LAVORO – Mobbing – Indeterminatezza normativa – Valutazione complessiva ed unitaria delle circostanze.

Ai fini della configurabilità del mobbing sono rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio. Nel verificare l’integrazione di una tale evenienza è quindi necessario, anche in ragione della indeterminatezza normativa della figura, attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore. Ne consegue che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze, accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di ordinaria verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

(Conferma T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. 1^, n. 901/2010) – Pres. Severini, Est. Garofoli – D.P.A.R. (avv. Terracciano) c. ISVAP (avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 17 febbraio 2012, n. 856

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 17 febbraio 2012, n. 856


N. 00856/2012REG.PROV.COLL.
N. 05000/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5000 del 2010, proposto da:
De Pascalis Antonio Rosario, rappresentato e difeso dall’avv. Gennaro Terracciano, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula n.34;

contro

Isvap – Istituto per la Vigilanza Sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Cavina Maria Luisa, Bellizzi Elena, Parente Fausto;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 00901/2010, resa tra le parti, concernente ACCERTAMENTO SITUAZIONE DI “MOBBING” – RISARCIMENTO DANNI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Isvap – Istituto per la Vigilanza Sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2011 il Cons. Roberto Garofoli e uditi per le parti l’avvocato Terracciano l’avvocato dello Stato Di Carlo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso di primo grado, l’odierno appellante – dipendente con qualifica dirigenziale dell’ISVAP – ha azionato due diverse domande: una domanda di annullamento di atti della procedura per la promozione ai gradi superiori della dirigenza nella parte in cui non gli è stata riconosciuta la dirigenza di grado III, e una domanda di accertamento della responsabilità dell’ISVAP per mobbing con conseguente condanna ai danni.

Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, disposti incombenti istruttori ritenuti necessari per definire la domanda di annullamento del provvedimento con cui il ricorrente non è stato ammesso agli scrutini per la promozione alla qualifica superiore di dirigente di grado III, ha respinto il ricorso per la parte con cui l’interessato ha lamentato di essere stato vittima di una complessiva condotta di mobbing posta in essere dall’ISVAP.

Nel dettaglio, ad avviso del primo giudice “i presupposti della condotta di mobbing non si ravvisano, mancando in particolare la prova dell’elemento soggettivo, ovvero dell’intento vessatorio nei confronti del ricorrente. Peraltro, non può non rilevarsi che il ricorrente non ha nemmeno ipotizzato quale potesse essere la ragione di questo asserito comportamento persecutorio, improvvisamente determinatosi dopo un periodo in cui invece il ricorrente aveva goduto di grande considerazione e di gratificazioni. In questo modo, il ricorrente non ha offerto al giudicante alcuno strumento ulteriore per indagare sulle ragioni di questo asserito mutamento di atteggiamento dell’ISVAP nei suoi confronti. Ciò non significa, tuttavia, che alcuni degli episodi denunciati nel ricorso non possano essere indicativi di una situazione di disagio patita dal lavoratore. Infatti, parte delle allegazioni del ricorrente hanno trovato conferma nei fatti. Detta situazione di disagio, dunque, non può essere eziologicamente ricondotta con sicurezza ad un intento persecutorio del datore di lavoro, di ignota origine, ma potrebbe derivare, ad esempio, semplicemente, da mutate esigenze organizzative”.

Con successiva sentenza n. 3706 del 2011 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto il ricorso proposto avverso gli atti della procedura per la promozione ai gradi superiori della dirigenza, in specie riscontrando un difetto di motivazione della delibera gravata in relazione alla mancata predeterminazione delle posizioni dirigenziali da ricoprire.

Avverso la sentenza che non ha riconosciuto il perfezionarsi della fattispecie del mobbing insorge con il presente ricorso l’appellante sostenendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

All’udienza del 13 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso va respinto.

Giova considerare che, come già dalla Sezione chiarito con la sentenza 15 giugno 2011, n. 3648, per mobbing si intende comunemente – in assenza di una definizione normativa – una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica.

Ai fini della configurabilità di una siffatta condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Nel verificare l’integrazione di una tale evenienza è quindi necessario, anche in ragione della indeterminatezza normativa della figura, attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare per accertare tra l’altro:

– da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche di persecuzione e discriminazione),

– e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.

Ne consegue che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di ordinaria verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

E’ in primo luogo necessaria, quindi, che sia fornita la prova dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue dominanti finalità i singoli atti cui viene riferito.

D’altra parte, determinati comportamenti non possono essere qualificati come costitutivi di mobbing, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta, se può emergere che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale.

Nella specie, non è dato escludere questo carattere con riferimento all’atto – peraltro mai contestato – di assegnazione, nel mese di aprile del 2004, alla sezione tutela degli assicurati, servizio tutela degli utenti, con funzioni di dirigente capo della sezione, alla circostanza della meno intensa partecipazione del ricorrente alle riunioni interne ed esterne, oltre che all’attività convegnistica, alla denunciata progressiva riduzione del personale della sezione alla quale è addetto il ricorrente, alla sostenuta contrazione dell’attività didattica, a livello universitario, e pubblicistica dell’appellante.

Tanto premesso, come condivisibilmente sostenuto dal giudice di primo grado, ritiene il Collegio che gli indicati elementi costitutivi della figura di mobbing non siano presenti nel caso di specie. In particolare, non può dirsi in alcun modo provata l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato e perseguito dall’ISVAP in danno dell’odierno ricorrente.

Va sottolinea to a questi riguardi che in sé un atto illegittimo, o più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante, occorrendo che ricorrano tutti gli altri ed ulteriori elementi sopra richiamati. Perciò, l’eventuale accertamento giurisdizionale dell’illegittimità degli atti della procedura per la promozione ai gradi superiori della dirigenza non permette – da sé sola considerata- di affermare l’integrazione della fattispecie di mobbing: tanto più che al riscontro della indicata illegittimità lo stesso giudice di prima istanza è pervenuto – con distinta sentenza n. 3706 del 2011 – avendo accertato vizi di tipo solo procedimentale, in specie il difetto di motivazione della delibera gravata in relazione alla mancata predeterminazione delle posizioni dirigenziali da ricoprire.

Non è in senso più generale emersa la presenza di un complessivo disegno persecutorio qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa.

A maggior ragione risulta indimostrata la complessità ed organicità della strategia vessatoria che, sola, può consentire di accedere alla prospettata ipotesi di mobbing.

Alla stregua delle esposte ragioni l’appello va quindi respinto.

Segue la condanna del ricorrente alle spese processuali, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere, Estensore
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
        

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/02/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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