PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accesso agli atti – Accesso procedimentale – Accesso civico generalizzato – Diniego di accesso – Procedimento di riqualificazione di un edificio storico (Massima a cura di Lucrezia Coradetti)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 2 Febbraio 2024
Numero: 1117
Data di udienza: 23 Novembre 2023
Presidente: Neri
Estensore: Furno
Premassima
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accesso agli atti – Accesso procedimentale – Accesso civico generalizzato – Diniego di accesso – Procedimento di riqualificazione di un edificio storico (Massima a cura di Lucrezia Coradetti)
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 2 febbraio 2024, n. 1117
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accesso agli atti – Accesso procedimentale – Accesso civico generalizzato – Diniego di accesso – Procedimento di riqualificazione di un edificio storico.
A seguito di un diniego da parte dell’amministrazione rispetto a un’istanza di accesso procedimentale ai sensi della l. 241/1990, è ammissibile proporre una nuova istanza di accesso se questa non costituisce una mera reiterazione della prima richiesta di accesso documentale, in assenza di nuovi elementi, ma una nuova richiesta di accesso basata sul diverso istituto dell’accesso civico generalizzato poiché tale istituto costituisce un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona e, si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, consentendo la partecipazione al dibattito pubblico e la conoscenza di dati e decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire. Inoltre, ai fini dell’accesso civico generalizzato non occorre verificare, come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, ne è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
Pres. Neri, Est. Furno – Comune di Controne (avv. La Gloria) c. P.F. e altri (avv. De Vita), e altri (n.cc.)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 2 febbraio 2024, n. 1117SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6858 del 2023, proposto da Comune di Controne (Sa), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto La Gloria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto n. 18;
contro
Pietro Fasano, Raffaele Mare, Domenico Tancredi, rappresentati e difesi dall’avvocato Ennio De Vita, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Elio Perillo, Ministero dell’Interno – Ufficio Territoriale del Governo di Salerno, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Rescigno Costruzioni S.n.c. di Rescigno Gerardo & F.Lli, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 01618/2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pietro Fasano e di Raffaele Mare e di Domenico Tancredi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Pietro Fasano, Raffaele Mare, Domenico Tancredi ed Elio Perilloon agivano dinanzi al Ta.r. Salerno per l’accertamento dell’illegittimità del diniego opposto dal comune di Controne avverso l’istanza di accesso agli atti (prima formulata ai sensi della l. 241/90 e poi ai sensi del d.lgs. 33/2013 e del TUEL, nelle forme dell’accesso civico generalizzato e del cd. “accesso popolare”) nell’ambito del procedimento di riqualificazione di un edificio storico (oggi una scuola elementare), in parte finanziato dal Ministero dell’Interno.
Nel dettaglio, la parti ricorrenti in primo grado:
– si dolevano di una presunta, improvvisa, trasformazione delle modalità dell’intervento (da “miglioramento sismico” e “messa in sicurezza” ad integrale demolizione e successiva ricostruzione del plesso);
– esponevano di aver presentato una prima istanza di accesso, ai sensi della legge generale sul procedimento amministrativo, in data 15.11.2022, per acquisire la documentazione a supporto dell’approvazione dei progetti (definitivo ed esecutivo) e della relativa pratica di finanziamento pubblico;
– aggiungevano di aver ricevuto una nota di diniego, avverso tale istanza, per difetto di motivazione e di interesse, in data 24.11.2022;
– assumevano di aver presentato una nuova istanza di accesso (02.02.2023), ai sensi del d.lgs. 33/2013 e dell’art. 10 d.lgs. 267/2000, evidenziando che gli atti ed i provvedimenti relativi all’esecuzione di opere pubbliche (peraltro finanziate con fondi pubblici) sarebbero soggetti alla pubblicazione obbligatoria nell’Albo informatico dell’ente comunale e domandando l’estrazione di copia di una serie di documenti relativi all’intervento in questione: pareri allegati al Progetto definitivo/esecutivo; corrispondenza tra il comune di Controne (soggetto beneficiario del finanziamento) ed il Ministero (erogatore del finanziamento); attestazioni o dichiarazioni rese dal Sindaco o dal RUP in merito all’ottenimento del finanziamento, al bando di gara ed alla comunicabilità di quale tipologia di lavori il Comune di Controne (SA) avrebbe posto in essere al fine di realizzare l’opera finanziata; accordo/convenzione/contratto stipulato tra l’Ente Comunale e l’Ente Finanziatore);
– deducevano, da ultimo, di aver ricevuto, in data 14.02.2023, risposta negativa anche alla seconda istanza, con una nota confermativa della precedente, entrambe impugnate con il ricorso di primo grado.
Con il ricorso di primo grado deducevano un unico motivo: violazione di legge (artt. 1 – 3 e ss. d.lgs. 33/2013 – art. 10 d.lgs. 267/2000) – violazione artt. 37 e 38 dello statuto comunale di Controne – violazione del regolamento comunale di Controne per l’accesso agli atti – eccesso di potere (difetto del presupposto – di motivazione – arbitrarietà – illogicità – sviamento).
Il T.a.r. Salerno, con decisione 3 luglio 2023 n. 1618 accoglieva il ricorso.
Contro tale decisione il Comune di Controne ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata.
Si è costituito nel presente giudizio Pietro Fasano, chiedendo il rigetto dell’appello.
In vista dell’udienza camerale del 23 novembre 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive posizioni difensive.
All’udienza camerale del 23 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello non è fondato.
Con un primo mezzo di gravame il comune appellante deduce : “error in judicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 22 e ss. l. 7.8.1990 n. 241 e s.m.i., nonché dell’art. 5 d.lgs. 14.3.2013 n. 33 e s.m.i. – difetto e, comunque, erroneita’ della motivazione”.
Ad avviso della parte appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel disattendere l’eccezione di inammissibilità, formulata dal comune in primo grado e fondata sul rilevo della mancata impugnazione, nei termini di legge, dell’unico e solo provvedimento di diniego espresso, emesso dal Responsabile dell’U.T.C. con nota prot. del 24.11.2022, atteso che la successiva nota del Responsabile dell’U.T.C. prot. n. 786 del 14.2.2023 costituirebbe, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, un atto meramente confermativo del precedente diniego prot. n. 6138 del 24.11.2022.
La premessa, da cui muove il comune appellante, è quella secondo cui la mera reiterazione di una richiesta di accesso agli atti, già oggetto di un provvedimento di rifiuto, che non sia basata su elementi nuovi rispetto alla richiesta originaria o su una diversa prospettazione dell’interesse a base della posizione legittimante l’accesso, non vincola l’amministrazione ad un riesame della stessa e rende legittimo e non autonomamente impugnabile il provvedimento meramente confermativo del precedente rigetto.
Dall’accoglimento di tale premessa la parte appellante fa pertanto discendere l’inammissibilità del ricorso di primo grado, essendo stato lo stesso esperito a fronte di un atto meramente confermativo del primo diniego, non impugnato.
L’assunto della parte appellante, pur essendo astrattamente condivisibile, in quanto conforme alla constante giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. IV, 13.01.2020 n. 279 e, nello stesso senso, Cons. St., Sez. IV, 22.09.2020 n. 5549), non può trovare applicazione alla fattispecie oggetto del presente giudizio, in relazione alla quale, contrariamente a quanto ritenuto nel primo motivo di appello, non viene in rilievo una mera reiterazione della prima richiesta di accesso documentale, in assenza di nuovi elementi, ma una nuova richiesta di accesso basata sul diverso istituto dell’accesso civico generalizzato.
L’accesso civico generalizzato, come noto, costituisce un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato rinviene, infatti, fondamento, oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42), anche nell’art. 10 della CEDU, in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.
L’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, infatti, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Ai fini dell’accesso civico generalizzato, inoltre, non occorre verificare, così come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
L’accesso civico “generalizzato”, infatti, consente, contrariamente a quello documentale, a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge, mentre l’accesso documentale( e ancor di più quello difensivo) risponde al paradigma del “need to know”, con tutto ciò che ne consegue in punto di
Dalle considerazioni che precedono emerge la netta distinzione, sul piano strutturale e funzionale, tra l’istituto dell’accesso documentale e quello civico generalizzato, da cui ulteriormente discende la legittima facoltà di azionare il secondo anche quando non sussistono ( o non sussistono più) i presupposti per esercitare il primo.
Con un secondo mezzo di gravame il comune appellante deduce: “error in judicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 22 e ss. l. 7.8.1990 n. 241 e s.m.i., nonché dell’art. 5 d.lgs. 14.3.2013 n. 33 e s.m.i. – difetto e, comunque, erroneita’ della motivazione”.
Ad avviso della parte appellante, la sentenza di primo grado sarebbe erronea per avere il giudice di primo grado apoditticamente ritenuto “sussistenti” tutti i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di accesso ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 33/2013.
Ciò, in quanto l’istanza di accesso del 2.2.2023 e, ancor di più, la successiva domanda giurisdizionale, lungi dal raggiungere un benché minimo grado di concretezza, sarebbero fondate soltanto su mere e indimostrate “illazioni” circa la possibile perdita del finanziamento e come tali si rileverebbero del tutto pretestuose.
Inoltre, tali richieste di accesso sarebbero state formulate in modo del tutto disfunzionale rispetto alla finalità che si propongono di realizzare, trasformandosi, in ragione dell’ampia e ingiustificata ostensione documentale, in una causa di intralcio al buon funzionamento della P.A., tale da compromettere lo svolgimento degli ordinari compiti di ufficio che già spettano al funzionario comunale
Il motivo non è fondato.
Per individuare l’ambito di estensione e gli eventuali limiti dell’accesso civico generalizzato si possono richiamare i principi espressi nel parere della sez. I del Consiglio di Stato 30 marzo 2021, n. 545.
È stato in precedenza ricordato che l’accesso civico “generalizzato” consente a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (art. 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
L’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse, concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso (tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2021, n. 60; sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861). E’ stato precisato (Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861) che con l’accesso civico generalizzato il legislatore ha inteso superare il divieto di controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni, su cui è incentrata la disciplina dell’accesso di cui agli artt. 23 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, così che l’interesse individuale alla conoscenza è protetto in sé, ferme restando le eventuali contrarie ragioni di interesse pubblico o privato di cui alle eccezioni espressamente stabilite dalla legge a presidio di determinati interessi ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico.
E’ stato altresì puntualizzato che il rapporto tra le due discipline (dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato, oltre il rapporto tra tali due discipline generali e quelle settoriali) deve essere interpretato non già secondo un criterio di esclusione reciproca, quanto piuttosto di inclusione/completamento, finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline (cfr. Adunanza Plenaria 10/2020).
La regola della generale accessibilità è peraltro temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni.
Tali eccezioni, previste dall’art. 5 bis del d.lgs. n. 33 del 2013, sono state classificate in assolute e in relative e al loro ricorrere le Amministrazioni devono (nel primo caso) o possono (nel secondo) rifiutare l’accesso.
Le eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato sono quelle individuate all’art. 5 bis, comma 3 (segreto di Stato e altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, l. n. 241 del 1990), mentre quelle relative sono previste ai commi 1 e 2 del medesimo articolo (la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive; la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali).
Nel caso delle eccezioni relative, nelle Linee guida Anac, adottate con deliberazione n. 1309 del 28 dicembre 2016 (recanti le indicazioni operative e le esclusioni e i limiti all’accesso civico generalizzato), è stato chiarito che il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia ad una attività valutativa che deve essere effettuata dalle Amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanti validi interessi presi in considerazione dall’ordinamento.
L’Amministrazione deve pertanto verificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa comunque determinare un pericolo di concreto pregiudizio agli interessi indicati dal Legislatore.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio rileva che dalla analisi della motivazione del provvedimento di diniego si ricava l’assenza di qualsivoglia riferimento ad una delle suindicate ragioni che precludono i diritti all’accesso generalizzato.
Più in radice, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, in riferimento all’istanza presentata ai sensi dell’accesso civico generalizzato, di fatto, il comune non si è proprio pronunciato.
Il che appare già sufficiente per la conferma della sentenza impugnata.
Peraltro, nemmeno può essere condiviso l’assunto che, nel caso in esame, si verserebbe nell’ipotesi di abuso del diritto all’accesso civico generalizzato.
Come noto, l’abuso del diritto, secondo la definizione più accreditata anche in dottrina, consiste nella deviazione dell’esercizio del diritto rispetto allo “scopo” per il quale il diritto stesso è stato riconosciuto.
Orbene, dalla natura degli atti richiesti al Comune di Cotrone, (relativi al procedimento di riqualificazione di un edificio storico) emerge, contrariamente a quanto ritenuto dal comune appellante, non solo la ragionevole esigenza conoscitiva dei ricorrenti in primo grado, ma, venendo in rilievo l’utilizzo di risorse pubbliche, anche la conformità della richiesta documentale alle finalità cui è preordinata la previsione dello strumento dell’accesso civico generalizzato, che, come anticipato, mira, a favorire forme di diffuse di controllo sull’ esercizio dei pubblici poteri.
Il riferimento, infine, alla possibile paralisi dell’ufficio tecnico comunale a fronte della massiva richiesta di accesso, costituisce, ad avviso del Collegio, una inammissibile integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento di diniego dell’accesso.
Il maggioritario e condivisibile indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato assume, infatti, l’inammissibilità della motivazione postuma (specie quando, come nel caso in esame, avviene per il tramite degli scritti difensivi), ritenendola in contrasto anche con le regole del giusto procedimento amministrativo. Tale condivisibile orientamento trae ulteriore argomento dalla condivisibile considerazione per cui «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma […] e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 7 aprile 2014, n. 1629; sezione sesta, 22 settembre 2014, n. 4770; sezione terza, 30 aprile 2014, n. 2247; sezione quinta, 27 marzo 2013, n. 1808).
L’indirizzo giurisprudenziale in esame ha ricevuto, inoltre, l’autorevole avallo della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato, con l’ordinanza 26 maggio 2015, n. 92, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, della n. 241 de 1990, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, da una sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, motivando, tra l’altro, che la rimettente si era sottratta al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, chiedendo un improprio avallo a una determinata interpretazione della norma censurata.
Dalle considerazioni che precedono discende il respingimento dell’appello con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi € 5000,00 (cinquemila), oltre accessori di legge, in favore delle parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Luigi Furno
IL PRESIDENTE
Vincenzo Neri
IL SEGRETARIO