* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici – Incombustibilità dei materiali con cui devono essere realizzati i camini – Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II d.lgs. n. 152/2016 – Inapplicabilità sino alla nuova formulazione di cui all’art. 4, c. 1,lett. a), b) e c) L. n. 161/2014.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Novembre 2016
Numero: 4954
Data di udienza: 22 Settembre 2016
Presidente: Lipari
Estensore: Ungari
Premassima
* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici – Incombustibilità dei materiali con cui devono essere realizzati i camini – Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II d.lgs. n. 152/2016 – Inapplicabilità sino alla nuova formulazione di cui all’art. 4, c. 1,lett. a), b) e c) L. n. 161/2014.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 3^ – 24 novembre 2016, n. 4954
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici – Incombustibilità dei materiali con cui devono essere realizzati i camini – Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II d.lgs. n. 152/2016 – Inapplicabilità sino alla nuova formulazione di cui all’art. 4, c. 1,lett. a), b) e c) L. n. 161/2014.
In tema di impianti termici, le disposizioni contenute nell’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, relative all’incombustibilità dei materiali con i quali devono essere realizzati i camini, costituendo regole tecniche, ai sensi dell’art. 8, paragrafo 1, comma 1, della Direttiva 89/106/CEE, risultano inapplicabili, in quanto non notificate alla Commissione prima della loro adozione, e ciò sino alla nuova formulazione di cui all’art. 4, c. 1 lett. a), b) e c) della legge 161/2014 (quest’ultima regolarmente notificata alla Commissione Europea in data 13 febbraio 2014).
(Riforma T.A.R. Lazio, Roma, n. 3441/2014) – Pres. Lipari, Est. Ungari – B. s.r.l. (avv.ti Oddo e Conte) c. Ministero dell’Interno (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 3^ - 24 novembre 2016, n. 4954SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 3^ – 24 novembre 2016, n. 4954
Pubblicato il 24/11/2016
N. 04954/2016REG.PROV.COLL.
N. 09820/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9820 del 2014, proposto da:
Beca Engineering S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Oddo C.F. DDONTN49M01G273S, Giovanni Battista Conte C.F. CNTGNN66S19H501Q, con domicilio eletto presso Giovanni Battista Conte in Roma, via E.Q.Visconti, 99;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Bis, n. 3441 del 28 marzo 2014, resa tra le parti, concernente impugnazione di provvedimento restrittivo alla commercializzazione ed alla installazione di guaine termoindurenti per camini;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Antonio Oddo, Giovanni Battista Conte e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia trae origine dal provvedimento adottato dal Ministero dell’interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in data 28 dicembre 2010, comportante limitazioni alla commercializzazione delle guaine termoindurenti per canne fumarie di tipo “FITFIRE” e “HT 1000” prodotte dalla odierna appellante Beca Engineering S.r.l..
2. Nel provvedimento era previsto in particolare che:
(a) la società Beca Engineering dovesse provvedere all’aggiornamento della documentazione tecnica e delle istruzioni d’uso a corredo dei citati sistemi, con evidenza dei limiti di impiego e delle caratteristiche tecniche;
(b) fosse vietata la commercializzazione del sistema FITFIRE, per il tempo necessario a svolgere le prove per attestarne l’incombustibilità per l’installazione in impianti termici civili ricadenti nel campo di applicazione dell’art. 282 del d.lgs. 152/2006;
(c) dovesse essere ripetuta, in contraddittorio, la prova di incombustibilità del sistema HT 1000, visto che il certificato trasmesso, rilasciato dal laboratorio CSI, presentava alcune non conformità.
3. La società Beca Engineering ha impugnato davanti al TAR per il Lazio detto provvedimento, unitamente alle presupposte note del Ministero dell’interno in data 23 aprile 2010 e 27 luglio 2010 (con cui si contestava la conformità dei sistemi suddetti), chiedendone l’annullamento e chiedendo la condanna del Ministero al risarcimento dei danni subiti a causa della sua applicazione.
4. In particolare, la ricorrente, dopo aver ricordato che i suoi prodotti erano già commercializzati in altri paesi dell’Unione europea, ha sostenuto che l’incombustibilità richiesta dall’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, per i materiali con i quali devono essere realizzati i camini, costituisce una regola tecnica che determina un limite alla commercializzazione dei prodotti di costruzione e per questo doveva essere notificata alla Commissione Europea. In assenza della notifica, la norma non poteva quindi operare e doveva essere disapplicata dal giudice nazionale.
5. Il TAR per il Lazio, con la sentenza appellata (I-bis, n. 3441/2014), ha respinto il ricorso.
5.1. Il TAR si è anzitutto fatto carico della circostanza che una questione simile, come indicato dalla ricorrente, era stata già esaminata dal TAR, dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, a seguito di un ricorso proposto dalla Elenca S.r.l., anch’essa attiva nella commercializzazione di guaine termoindurenti per camini e canne fumarie.
5.2. In tale ricorso la società Elenca aveva impugnato la circolare n. 4853 del 18 maggio 2009, con la quale il Ministero dell’interno, nel fornire chiarimenti circa la commercializzazione di guaine termoindurenti prodotte con sistemi innovativi, ne aveva escluso l’impiego per impianti termici civili aventi potenza nominale superiore a 35 KW ed aveva espresso il parere che, per gli impianti termici di potenza inferiore, l’utilizzo doveva essere ristretto soltanto a quelli recanti la marcatura CE sulla base di un benestare tecnico europeo.
5.3. Nel corso di quel giudizio la Corte di Giustizia dell’Unione europea, alla quale la questione era stata rimessa dal Consiglio di Stato, ha dichiarato, con sentenza della Sezione V in data 18 ottobre 2012, C-385/10, EU, che la direttiva 89/106/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, relativa al riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri, concernente i prodotti di costruzione, come modificata dal regolamento (CE) 1882 del 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 settembre 2003, deve essere interpretata nel senso che essa osta a prescrizioni nazionali che subordinano d’ufficio la commercializzazione di prodotti da costruzione, quali quelli di cui trattasi nel procedimento principale, provenienti da un altro Stato membro, all’apposizione della marcatura CE, e che gli artt. 34 -37 TFUE devono essere interpretati nello stesso senso.
5.4. A seguito della decisione della Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione VI, n. 6147/2013, ha annullato la circolare n. 4853/2009.
5.5. Tuttavia, il TAR, esaminati i principi affermati nelle indicate decisioni e rilevata la mancanza di una disciplina comunitaria armonizzata sui prodotti per camini, ha ritenuto che il precedente non poteva ritenersi esattamente sovrapponibile alla questione sollevata con il giudizio in esame e che, sul punto «la Corte Europea, pur ribadendo una contrarietà alle norme del trattato per ogni automatismo ed automaticità del divieto di commercializzazione nel territorio comunitario, ha ribadito anche che, in assenza di norme armonizzatrici, spetta agli Stati membri decidere del livello a cui intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone e della necessità di controllare i prodotti interessati al momento del loro uso».
5.6. Ha, quindi, ritenuto che «in coerenza con i dettati della normativa comunitaria applicabile al caso di specie ed in applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari del diritto interno risultano essere del tutto ammissibili e giustificabili tutti gli accertamenti tecnici richiesti dall’Amministrazione resistente per la vendita e la commercializzazione dei prodotti oggetto della presente controversia» e che «risulta conforme e proporzionato alla direttiva comunitaria in vigore – poiché coerente con gli interessi nazionali della sicurezza dell’ambiente e della pubblica incolumità, secondo le regole di costruzione vigenti nell’ambito interno – il comportamento adottato dal Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Direzione Centrale per la Prevenzione e Sicurezza Tecnica – il quale si è trovato a valutare il requisito della incombustibilità secondo prove effettuate da organismi stranieri che non risultano essere riconosciuti da determinazioni comunitarie o da accordi e/o comunicazioni tra stati membri in conformità alle disposizioni comunitarie di cui al citato art. 16 della direttiva n. 89/106/CEE».
6. Nell’appello, la Beca Engineering:
– dopo aver ricordato che il sistema FITFIRE, che ha poi ottenuto il marchio CE, e il sistema HT1000 sono commercializzati anche in Francia e in Svizzera, ha insistito nel sostenere che il provvedimento impugnato si fondava (illegittimamente) su una limitazione alla commercializzazione imposta dall’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, che non era stata notificata, secondo quanto disposto dalla Direttiva 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998;
– ha, quindi, chiesto l’accoglimento dell’appello, con l’annullamento della sentenza appellata, e, in subordine, la rimessione della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per l’interpretazione pregiudiziale delle contestate disposizioni.
L’appellante ha poi chiesto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno subito a titolo di lucro cessante, per il mancato guadagno, nonché di danno emergente, per i costi sostenuti a causa degli illegittimi adempimenti imposti.
7. Resiste per il Ministero dell’interno l’Avvocatura Generale dello Stato, limitandosi a depositare copia delle osservazioni scritte presentate in data 30 novembre 2010 dalla Commissione Europea alla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella causa C-385/10, nonché copia del disegno di legge europea 2013-bis, articolo 3, presentato per ottemperare alla citata sentenza della Corte di Giustizia e per risolvere la procedura di infrazione n. 2008/4541 avviata dalla Commissione Europea nella materia della commercializzazione in Italia dei camini e dei condotti in plastica, nonché per adeguare il concetto di incombustibilità al nuovo sistema di classificazione europea di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione (iniziativa che ha originato le disposizioni della legge 161/2014, appresso indicate).
8. L’appellante ha depositato una memoria in data 31 marzo 2015, illustrando la quantificazione dei danni subiti.
9. Questa Sezione, con ordinanza n. 2668/2015, ha ritenuto di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione interpretativa concernente la compatibilità col diritto europeo della normativa nazionale applicata dal Ministero.
9.1. In tale prospettiva, la Sezione, ha precisato che, per decidere il giudizio, occorreva chiarire se l’incombustibilità richiesta dall’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, per i materiali con i quali devono essere realizzati i camini, costituisca una regola tecnica che determina un limite alla commercializzazione dei prodotti di costruzione e per questo dovesse essere notificata alla Commissione Europea.
9.2. Per quanto concerne detta normativa nazionale, la Sezione ha sottolineato che:
– l’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, riguardante gli “Impianti termici civili”, nel testo all’epoca vigente, prevedeva al numero 2.7 che «Gli impianti installati o che hanno subito una modifica relativa ai camini successivamente all’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto devono essere dotati di camini realizzati con prodotti su cui sia stata apposta la marcatura “CE” » e che, in particolare, tali camini devono avere determinate caratteristiche e devono (prima alinea) «essere realizzati con materiali incombustibili».
– l’art. 4, comma 1, lett. a), b) e c), della legge 161/2014, ha modificato il predetto numero 2.7., che oggi, per quel che qui interessa, prevede che «gli impianti installati o che hanno subito una modifica relativa ai camini successivamente all’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto devono essere dotati di camini realizzati con prodotti idonei all’uso in conformità ai seguenti requisiti: – essere realizzati con materiali aventi caratteristiche di incombustibilità, in conformità alle disposizioni nazionali di recepimento del sistema di classificazione europea di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione».
La nuova disposizione normativa, dunque, non richiede più che i camini debbano essere realizzati con prodotti su cui sia stata apposta la marcatura “CE” e prevede, per quanto riguarda l’incombustibilità, che i camini debbano essere realizzati con materiali aventi caratteristiche di incombustibilità, in conformità alle disposizioni nazionali di recepimento del sistema di classificazione europea di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione.
9.3. Per quanto concerne le disposizioni europee rilevanti ai fini della decisione, la Sezione ha ricordato:
– l’art. 36 del TFUE (ex art. 30 del TCE) secondo il quale le disposizioni degli articoli 34 e 35, che impongono divieti alle restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione tra gli stati membri, «lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».
– l’art. 114 del TFUE, secondo il quale «Allorché, dopo l’adozione di una misura di armonizzazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, da parte del Consiglio o da parte della Commissione, uno Stato membro ritenga necessario mantenere disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all’articolo 36 o relative alla protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, esso notifica tali disposizioni alla Commissione precisando i motivi del mantenimento delle stesse» (comma 4); e «allorché, dopo l’adozione di una misura di armonizzazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, da parte del Consiglio o da parte della Commissione, uno Stato membro ritenga necessario introdurre disposizioni nazionali fondate su nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, giustificate da un problema specifico a detto Stato membro insorto dopo l’adozione della misura di armonizzazione, esso notifica le disposizioni previste alla Commissione precisando i motivi dell’introduzione delle stesse» (comma 5); ed infine «Quando uno Stato membro solleva un problema specifico di pubblica sanità in un settore che è stato precedentemente oggetto di misure di armonizzazione, esso lo sottopone alla Commissione che esamina immediatamente l’opportunità di proporre misure appropriate al Consiglio» (comma 8).
– la Direttiva 89/106/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1998, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri concernenti i prodotti da costruzione, che, come si è accennato, non prevede, per i camini, le limitazioni dettate dall’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II del Codice dell’Ambiente;
– la Direttiva 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, che disciplina la procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione e, in particolare, l’art. 8, paragrafo 1, comma 1, che prevede che gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea.
9.4. Sulla base di dette disposizioni, nonché della citata decisione della Corte di Giustizia del 18 ottobre 2012 (nella causa C-385/10), questa Sezione ha ritenuto di condividere le valutazioni operate dal TAR, nel senso che, nella ritenuta assenza di specifiche norme armonizzatrici sul punto, non sembrerebbe in contrasto con le regole sulla libera circolazione dei prodotti da costruzione la disposizione nazionale dell’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, che, a tutela della salute (e in applicazione dell’art. 36 TFUE), prevede la incombustibilità dei camini e dei canali di fumo degli impianti termici civili.
9.5. Tuttavia, tenuto conto della prospettazione dell’appellante, al fine di sciogliere ogni dubbio sulla corretta interpretazione della richiamata normativa e sull’applicazione della stessa nel giudizio in esame, ha ritenuto di dover formulare un apposito quesito, ai sensi dell’articolo 267 del TFUE, chiedendo alla Corte di Giustizia UE: “se la direttiva 89/106/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, relativa al riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri, concernente i prodotti di costruzione, come modificata dal regolamento (CE) n. 1882 del 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 settembre 2003, osta a che i camini debbano «essere realizzati con materiali incombustibili», secondo quanto previsto dalla disposizione contenuta nell’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, riguardante gli “Impianti termici civili”, che non è stata oggetto di notifica.”.
10. La Corte di Giustizia si è pronunciata in merito alla predetta questione pregiudiziale in data 21 aprile 2016 con “ordinanza motivata” ai sensi dell’art. 99 del Regolamento di procedura, ritenuto applicabile in quanto la questione è “identica ad una questione sulla quale essa ha già statuito” ed è tale da “essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza” e da “non dare adito a nessun ragionevole dubbio”.
Il riferimento della Corte può intendersi riferito alla questione decisa con la citata sentenza del 18 ottobre 2012, Elenca (C-385/10, EU), nonché alle sentenze 30 aprile 1996, CLA Security International (C-194/94), 26 aprile 2000, Unilever (C-443/98) e 16 luglio 2015, UNIC e Uni.co.pel. (C-95/14).
Conclusivamente, la Corte ha affermato che:
– “la compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che prescrive che i camini degli impianti termici civili siano realizzati con materiali da costruzione, come quelli di cui al procedimento principale, che siano incombustibili, non deve essere valutata alla luce delle direttiva 89/106/CE”;
– “la direttiva 98/34 deve essere interpretata nel senso che una normativa nazionale siffatta deve essere qualificata come “‘nota tecnica”, ai sensi dell’art. 1, punti 3 e 11, di tale direttiva e che, in assenza di comunicazione di detta normativa da parte dello Stato membro interessato alla Commissione, conformemente all’articolo 8 della medesima direttiva, la normativa nazionale in parola è inapplicabile, circostanza di cui i singoli possono avvalersi”.
11. Con memoria finale, depositata in data 21 luglio 2016, l’appellante insiste perché, in applicazione della decisione della Corte, venga accolto l’appello, con annullamento del provvedimento e condanna al risarcimento dei danni subiti nel periodo in cui ha avuto vigore.
12. Il Ministero dell’interno non ha ulteriormente controdedotto.
13. Il Collegio prende atto che, in base alla decisione della Corte, la legittimità delle disposizioni applicate dal Ministero dell’interno non va valutata alla luce della Direttiva 98/34, mentre risulta fondata la tesi prospettata fin dall’inizio da Beca, nel senso che le disposizioni contenute nell’Allegato IX alla Parte Quinta, Parte II, del d.lgs. 152/2006, costituendo regole tecniche, ai sensi dell’art. 8, paragrafo 1, comma 1, della Direttiva 89/106/CEE, risultano inapplicabili, in quanto non notificate alla Commissione prima della loro adozione.
Da ciò discende che il requisito della “incombustibilità”, in quanto non previsto da una norma concretamente applicabile o comunque opponibile all’appellante, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato era privo di base giuridica e quindi non poteva essere imposto all’appellante.
La circostanza che la nuova formulazione del citato Allegato IX, destinata a divenire l’art. 4, comma 1, lettere a), b) e c), della legge 161/2014, sia stata notificata alla Commissione Europea in data 13 febbraio 2014 (cfr. notifica 2014/77/I – depositata dall’Avvocatura) non può evidentemente rendere (retroattivamente) legittimo il provvedimento impugnato.
14. Deve pertanto riformarsi la sentenza appellata, che, viceversa, sul presupposto del valore dirimente delle considerazioni svolte dalla Corte nel caso C-385/10 in ordine alla portata applicativa della Direttiva 89/106 e dell’art. 37 TFUE riguardo alla commercializzazione dei prodotti da costruzione, ed in precipua applicazione della suindicata disciplina nazionale, ha ritenuto ammissibili e giustificabili gli accertamenti tecnici richiesti dal Ministero a Beca per la commercializzazione dei propri prodotti ed il connesso divieto temporaneo di commercializzazione.
Conseguentemente, deve accogliersi la domanda di annullamento del provvedimento in data 28 dicembre 2010, proposta in primo grado.
15. Resta da esaminare la domanda risarcitoria, ribadita dall’appellante nella memoria finale con riferimento agli effetti del divieto di commercializzare le guaine termoindurenti per canne fumarie del sistema FITFIRE, a partire dall’adozione del predetto provvedimento e fino ad oggi.
Nella memoria del 31 marzo 2015, Beca ha compreso nella pretesa risarcitoria anche gli effetti collegati alle vendite del sistema HT1000, che non è stato oggetto di divieto espresso, bensì dell’onere di integrare in contraddittorio gli accertamenti effettuati; ciò, presupponendo la necessità della dimostrazione del requisito dell’incombustibilità per tutti i sistemi.
15.1. Beca sostiene che, per effetto del provvedimento, non ha avuto altra scelta che assoggettarsi forzosamente (per l’imposizione del requisito costituito dalla marcatura CE) all’iter per il rilascio, in alternativa all’applicazione di una norma armonizzata europea, tuttora inesistente, di un “Benestare Tecnico europeo”, che ha comportato costi ingenti e tempi lunghi (fino al rilascio all’appellante dell’ “European technical approval” ETA-13/0682 da parte dell’ente austriaco OiB, membro dell’OTA, e valido dal 25 giugno 2013 – allegato 10 all’appello), durante i quali è stato necessario abbandonare il mercato italiano delle canne fumarie poste a servizio degli impianti di potenza superiore ai 35 kW, ossia il mercato più rilevante.
15.2. Quanto al danno emergente, chiede che le venga corrisposto l’importo di euro 67.908,61, pari alla somma del costo delle prove condotte dai vari laboratori accreditati, per euro 47.646,24, di quello del coordinamento svolto dall’OiB, per euro 17.109,00, e delle spese di viaggio per gli incontri presso la sede austriaca (non essendo possibile il ricorso ad analoghi istituti italiani che fossero riconosciuti e dotati di specifiche competenze a tutti gli effetti comunitari), per euro 3.153,37.
15.3. Quanto al lucro cessante, Beca sostiene che nei piani aziendali aveva calcolato gli investimenti presupponendo di poter risanare tra il 2010 ed il 2011 lo 0,1% delle canne fumarie dei 13 milioni di edifici esistenti in Italia; ciò, a suo dire, tenuto conto di un prezzo medio di 500,20 euro a guaina, avrebbe potuto comportare per i due anni un fatturato di (13.000 x 500,20 =) 6.502.626 euro (recte: 6.502.600).
E che la circolare n. 4853/2009, prima, ed il provvedimento interdittivo in data 28 dicembre 2010, poi, glielo avrebbero impedito; così da determinare una inversione del trend del fatturato, in continua crescita fino al 2010 e poi in progressiva diminuzione (secondo i dati risultanti dai bilanci relativi alla voce “Ricavi delle vendite e prestazioni”: 42.503 euro nel 2005; 265.738 nel 2006; 435.923 nel 2007; 795.585 nel 2008; 912.733 nel 2009; 1.350.184 nel 2010; 1.140.932 nel 2011; 1.076.054 nel 2012; 892.094 nel 2013; 925.594 nel 2014; 1.166.241 nel 2015).
Nella memoria del 31 marzo 2015, Beca ha quantificato il mancato guadagno (senza argomentare in ordine al collegamento tra il valore del fatturato atteso e quello del relativo margine di profitto) nell’importo di 2 milioni di euro. Nella memoria finale del 21 luglio 2016, ha richiamato la precedente memoria nonché l’integrazione documentale relativa ai bilanci del periodo 2013-2016, ed ha chiesto il riconoscimento del lucro cessante “dal 2010 ad oggi”.
16. Osserva il Collegio che, riguardo il collegamento tra atto illegittimo e danno subito, non vi è dubbio che il provvedimento in data 28 dicembre 2010, sopra ritenuto illegittimo, in quanto ha comportato il divieto di commercializzazione del sistema FITFIRE per il tempo necessario a svolgere le prove per attestare l’incombustibilità delle guaine termoindurenti, abbia determinato il blocco delle vendite dei relativi prodotti per tutto il periodo di vigenza del divieto.
Invece, per quel che concerne il sistema HT1000, un analogo divieto non è previsto dal provvedimento, e, pur non essendovi documentazione sull’esito degli accertamenti imposti, nell’appello si afferma che la ripetizione delle prove di reazione al fuoco presso il Ministero dell’interno, disposta con nota in data 14 febbraio 2011, “si concludeva con esiti positivi che attestavano l’assoluta incombustibilità delle “Guaine termoindurenti”” (appello, pag. 4).
16.1. Né un nesso di causalità tra provvedimento e mancata vendita dei sistemi HT1000 può collegarsi alla supposta mancanza della marcatura CE per i relativi prodotti (la lettura del “Benestare Tecnico Europeo” valido dal 25 giugno 2013, seppure il documento sia scritto in originale in tedesco e tradotto in inglese, evidenzia che riguarda soltanto i sistemi FITFIRE e FITFIRE PLUS).
Va infatti sottolineato che nel provvedimento in data 28 dicembre 2010 non si fa menzione esplicita della necessità della marcatura CE, la cui previsione, nella circolare n. 4853/2009, è stata annullata dal Consiglio di Stato (VI, n. 6147/2013, cit.) sulla base della decisione della Corte di Giustizia (CGUE in C-385/10, cit.) nel senso del contrasto con la Direttiva 89/106 della disposizione sulla necessità della marcatura CE originariamente contenuta nell’Allegato X alla Parte Quinta del d.lgs. 152/2006.
La impugnazione proposta in primo grado non riguarda la circolare n. 4853/2009 e nel ricorso introduttivo anche la (ancora generica) prospettazione del danno fa esclusivo riferimento al provvedimento del 28 dicembre 2010 (oltre che alle due note presupposte, che tuttavia non hanno contenuto provvedimentale).
Il provvedimento impugnato è incentrato sul possesso del requisito della incombustibilità e sulla relativa certificazione, e su tali aspetti si è sviluppata l’impugnazione proposta da Beca in primo grado.
Tant’è vero che il TAR, con la sentenza appellata, ha respinto il secondo motivo di doglianza sottolineando che “come ribadito nelle premesse esposte nel caso di specie non si applica la regola dell’automatica esclusione della idoneità del prodotto per mancata marcatura CE”.
Tale capo della sentenza non risulta oggetto di specifica censura nell’appello.
Anche nell’appello, del resto, le argomentazioni di censura dedotte da Beca si sviluppano intorno alla mancanza di una disposizione nazionale legittima, in quanto non contrastante con il diritto europeo, che preveda la dimostrazione/certificazione di detto requisito; e fanno riferimento alla previsione sulla necessaria marcatura CE ed all’ottenimento medio tempore del “benestare tecnico europeo” (soltanto) al fine di confermare la sicurezza dell’impiego delle proprie guaine termoindurenti, già risultante dalle certificazioni ottenute in Francia e in Svizzera.
16.2. Quanto appena esposto, vale anche ad escludere il nesso di causalità tra il provvedimento impugnato e l’evento danno individuato nell’aver dovuto sostenere i costi per il rilascio del menzionato “benestare tecnico europeo”, rilascio che non risultava imposto dal provvedimento.
La componente della domanda di risarcimento relativa al danno emergente non può pertanto essere accolta.
17. Quanto all’elemento soggettivo dell’illecito, può convenirsi con l’appellante sul fatto che la decisione della Corte evidenzia che i precedenti giurisprudenziali erano talmente rilevanti da determinare sia l’esito della questione pregiudiziale che le forme semplificate del giudizio stesso.
La giurisprudenza in tema di regole tecniche e condizioni di validità ed efficacia delle “regole tecniche” nella UE, in parte richiamata dalla decisione, si è sviluppata, sulla base della Direttiva 83/189/CE, nel senso confermato dalla decisione suddetta, a partire dagli anni “90 e non ha risentito di particolari oscillazioni. A ciò, l’appellante aggiunge il rilievo secondo il quale l’interpretazione della disciplina sarebbe stata ufficialmente nota, a seguito del deposito in data 30 novembre 2010 delle osservazioni scritte della Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione (n. 2008/4541) pendente, per omessa notifica delle regole tecniche in questione, nei confronti dello Stato italiano.
Non potrebbe pertanto invocarsi, da parte del Ministero dell’interno, la scusante della “difficile interpretazione”.
18. Ciò detto, occorre determinare il lucro cessante ragionevolmente imputabile all’applicazione del provvedimento impugnato.
La quantificazione del danno proposta dall’appellante appare priva di giustificazioni logico presuntive.
18.1. Anzitutto, per quanto esposto, l’evento danno risarcibile riguarda la minor vendita dei soli sistemi FITFIRE, non essendo stato provato per i sistemi HT1000 l’esistenza di una causalità adeguata.
18.2. Ma nell’appello non si distingue più, nell’ambito del fatturato, quale parte sia imputabile all’una o all’altra gamma di prodotti, né si precisa quale parte riguarderebbe installazioni relative a canne fumarie a servizio di impianti termici civili con potenza compresa fra 35kW e 3 MW (quelli oggetto delle disposizioni dell’Allegato X, al centro della controversia).
18.3. Né, d’altro canto, viene fornito alcun elemento, quantitativo o qualitativo, in ordine agli investimenti che l’appellante asserisce di aver effettuato e che le avrebbero permesso di acquisire la quota di mercato suindicata.
18.4. Anche la stima della quota di mercato la cui conquista sarebbe stata preclusa dal divieto, proposta dall’appellante sulla base di una percentuale (0,1 %) degli edifici esistenti, risulta priva di alcuna argomentazione idonea a sostenerne la plausibilità (mancando, ad esempio, ogni indicazione circa: la percentuale degli edifici esistenti che si presume siano dotati di una canna fumaria potenzialmente idonea ad accogliere la guaina termoindurente e posta al servizio di impianti di potenza superiore ai 35 kW; la quota di mercato precedentemente detenuta; la presenza di prodotti concorrenti; etc.).
18.5. Osserva inoltre il Collegio che la stessa appellante afferma che il sistema di guaine termoindurenti “innovativo” era stato progettato e realizzato con il contributo finanziario della C.C.I.A.A. e con la compartecipazione del Politecnico di Milano nel 2006. L’andamento del fatturato mostra, effettivamente una crescita costante fino al 2010, una progressiva diminuzione negli anni 2011-2013, per poi risalire negli ultimi due esercizi contabilizzati.
La flessione deve essere posta in correlazione con il divieto impugnato, mentre invece, tenuto conto della mancanza produzione di più specifici elementi e dei predetti salti logici nella prospettazione del danno presumibile, mancano i presupposti per supporre che, senza il provvedimento annullato, il fatturato dell’appellante avrebbe raggiunto i livelli (3 milioni circa annui) ipotizzati dall’appellante; deve, pertanto, supporsi che il livello toccato nel 2010 (1.350.184 euro) sia quello che sarebbe stato mantenuto in assenza del provvedimento illegittimo, o comunque da esso non si discosti significativamente.
18.6. Il valore del fatturato perduto nel periodo 2011-2015 a causa del provvedimento illegittimo può pertanto stimarsi ragionevolmente in euro (1.350.184 x 5 =) 6.750.920 – (1.140.932 + 1.076.054 + 892.094 + 925.594 + 1.166.241 =) 5.200.915 = 1.550.005.
18.7. Ma, si è detto, al fatturato risultante dai bilanci concorrono, oltre ai sistemi FITFIRE, quelli HT1000, ai quali, in assenza di specifiche ed aggiornate indicazioni da parte dell’appellante, può attribuirsi un peso equivalente sotto il profilo commerciale; e pertanto la somma predetta va dimezzata, così giungendo ad un importo di euro 775.002,50.
18.8. I bilanci versati in atti mostrano un andamento altalenante del risultato finale, che alterna esercizi in utile ed esercizi in perdita. Nel 2010, anno più significativo ai fini di una proiezione, l’utile è stato di euro 67.145, pari al 4,97 % del fatturato.
In mancanza di difformi argomentazioni da parte dell’appellante, per stimare il mancato profitto può applicarsi alla diminuzione dei valori dei fatturati successivi rispetto a quello del 2010 (assunto, per quanto esposto, quale fatturato medio) una percentuale del 5%, così giungendo ad un importo pari ad euro 38.750,12.
18.9. Detta proiezione si basa sugli elementi forniti dall’appellante, che coprono il periodo 2011-2015.
Per gli ulteriori circa undici mesi del 2016 trascorsi fino ad oggi, detta cifra deve essere proporzionalmente aumentata di 11/60, pari ad euro 7.104,18; così giungendo ad un importo di euro 45.854,30.
19. In conclusione, la domanda risarcitoria va accolta, con conseguente condanna del Ministero appellato al pagamento della somma predetta di euro 45.854,30 (quarantacinquemila ottocento cinquantaquattro/30), oltre agli interessi fino alla data del soddisfo.
20. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
21. Il Ministero dovrà altresì rimborsare all’appellante il contributo unificato che ha anticipato per la proposizione dei gravami, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1., del d.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il provvedimento impugnato e condanna il Ministero dell’interno al pagamento in favore della società appellante della somma di euro 45.854,30 , oltre agli interessi fino alla data del soddisfo.
Condanna il Ministero appellato al pagamento della somma di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge, per spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
L’ESTENSORE
Pierfrancesco Ungari
IL PRESIDENTE
Marco Lipari
IL SEGRETARIO