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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale amministrativo, Procedimento amministrativo Numero: 1829 | Data di udienza: 26 Febbraio 2013

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Atto amministrativo – Impugnazione – Termine decadenziale – Dies a quo – Concetto di “piena conoscenza”.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2013
Numero: 1829
Data di udienza: 26 Febbraio 2013
Presidente: Atzeni
Estensore: Tarantino


Premassima

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Atto amministrativo – Impugnazione – Termine decadenziale – Dies a quo – Concetto di “piena conoscenza”.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^  – 27 marzo 2013, n. 1829


PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Atto amministrativo –impugnazione – Termine decadenziale – Dies a quo – Concetto di “piena conoscenza”.

Il concetto di “piena conoscenza” — il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale — è integrato dalla percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi (Cons. St., 2974/2012).

(Conferma T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, n. 516/2000) – Pres. f.f. Atzeni, Est. Tarantino – M.A. (avv. Marcello) c. Regione Calabria (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 27 marzo 2013, n. 1829

SENTENZA

N. 01829/2013REG.PROV.COLL.
N. 02385/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2385 del 2001, proposto da:
Marchione Angelo, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianfranco Marcello, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Priscilla, 35;


contro

 

Regione Calabria;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO SEZIONE II n. 00516/2000, resa tra le parti, concernente inquadramento nel ruolo unico Regione Calabria

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito l’avvocati Marcello Gianfranco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso n. 1127/1983, il Sig. Angelo Marchione provvedeva ad impugnare la delibera con la quale la Giunta regionale della Regione Calabria lo inquadrava, in quanto già dipendente dei disciolti centri di servizi culturali, nel ruolo unico della Regione Calabria, in applicazione degli artt. 6-9 della legge regionale n. 8 del 26 maggio 1979. Nell’atto introduttivo il ricorrente si duole della circostanza che l’amministrazione regionale lo inquadrava nella qualifica di “collaboratore”, nonostante gli fossero state attribuite le mansioni di “direttore” presso il centro dei servizi culturali di Paola con atto del Presidente del M.C.C. del 13 dicembre 1974, comunicato alla Regione Calabria in data 23 gennaio 1975. In ragione di quest’ultimo atto secondo l’odierno appellante una corretta utilizzazione dei criteri di corrispondenza contenuti negli allegati A e B della citata legge regionale 8/1979, avrebbero, infatti, comportato l’attribuzione del Marchione della qualifica di funzionario.

2. Con sentenza dell’11 maggio 2000, n. 516, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – Catanzaro, sez. II, dichiarava irricevibile il ricorso, rilevando la tardività dell’azione giurisdizionale intrapresa per il superamento dell’ordinario termine decadenziale di sessanta giorni all’epoca fissato dall’art. 21, comma 1, l. TAR. Il primo giudice rilevava, infatti, come il provvedimento impugnato recasse la data del 20 febbraio 1981, mentre il ricorso introduttivo dell’odierno giudizio fosse stato notificato all’amministrazione solo in data 14 ottobre 1983, a fronte di una conoscenza del citato provvedimento avvenuta nell’immediatezza della sua emanazione come si evincerebbe dal ricorso in opposizione presentato dallo stesso Marchione in data 23 febbraio 1981. Né a giudizio del TAR assumevano rilievo le iniziative giustiziali promosse dall’odierno appellante il quale in data 23 febbraio 1981 proponeva ricorso in opposizione ed in data 17 giugno 1981 con ricorso gerarchico, atteso che avverso l’inerzia della p.a. in sede di ricorso in opposizione e avverso il provvedimento esplicito di rigetto adottato in data 4 luglio 1983, che chiudeva il procedimento giustiziale di ricorso gerarchico non era stata spiegata alcuna forma di azione giurisdizionale.

3. Con atto d’appello notificato in data 16 febbraio 2001 il Marchione censura la sentenza del Tar Calabria per due distinte ragioni.

3.1. Sotto un primo profilo, ritiene che il ricorso introduttivo non possa essere dichiarato come irricevibile per tardività in quanto le iniziative giustiziali sopra descritte spiegherebbero efficacia sul decorso del termine decadenziale nel senso che il silenzio rigetto formatosi sul ricorso in opposizione non avrebbe natura sostanziale di provvedimento implicito di diniego, ma in quanto mero fatto legittimante all’avvio di iniziativa processuale ulteriore lascerebbe la possibilità di intraprendere in qualsiasi momento una successiva iniziativa giurisdizionale avverso il provvedimento oggetto del ricorso giustiziale. Il citato motivo di censura viene sviluppato con ulteriori motivazioni con memoria del 15 gennaio 2013, nella quale si sostiene che il termine decadenziale per promuovere l’impugnazione avverso l’atto di inquadramento non poteva dirsi decorso alla data della notifica del ricorso introduttivo, in quanto il difetto di motivazione in merito all’inquadramento nella qualifica di “Collaboratore” invece che di “Funzionario” in assenza di “causa” e “motivazione” non consente quella conoscenza necessaria per il decorso del termine in questione. A giudizio dell’appellante una diversa interpretazione violerebbe i principi del giusto processo e di effettività del diritto di difesa.

3.2. Con un secondo motivo l’appellante lamenta la mancata valutazione nel merito delle censure spiegate avverso l’atto impugnato e ripropone le ragioni dell’erroneo inquadramento operato dall’amministrazione regionale.


DIRITTO

1. L’appello è infondato e merita di essere respinto, poiché appare corretta la valutazione operata dal primo giudice in merito al mancato rispetto da parte dell’originario ricorrente del’ordinario termine decadenziale per reagire avverso il provvedimento impugnato.

2. Non appare rilevante, infatti, che il ricorrente abbia proposto iniziative giustiziali, che non hanno soddisfatto la sua pretesa. La mancata impugnazione del provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico cristallizza la decisione adottata all’esito del procedimento giustiziale in questione, senza che la stessa possa essere rimessa successivamente in discussione. Quanto, invece, al silenzio rigetto formatosi sul ricorso in opposizione proposto, merita di essere ricordato che la mancanza di valenza sostanziale dell’inerzia de qua sottrae l’interessato all’onere della proposizione del ricorso giurisdizionale secondo un meccanismo di tutela impugnatoria, ma non crea una situazione di permanente possibilità di adire il g.a. rispetto al provvedimento oggetto del rimedio giustiziale. In questo senso una piana interpretazione degli artt. 6 e 7 d.P.R. n. 1199/1971, non lascia dubbi, specie ove si ponga mente alla circostanza che la presenza di un termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi si ispira al necessario soddisfacimento del principio di accesso ad una tutela giurisdizionale effettiva e di stabilità delle situazioni definite dagli atti amministrativi, che non possono evidentemente rimanere sine die esposte ad una possibile rimozione giurisdizionale. Pertanto, come correttamente descritto nella sentenza oggetto di gravame le vicende giustiziali nella fattispecie in esame non hanno impedito il decorso del termine per impugnare il provvedimento dell’amministrazione.

3. Maggiormente suggestivo è l’argomento speso dalla difesa con la memoria del 15 gennaio 2013, che riprende numerose pronunce di questo Consiglio sul tema della “piena conoscenza” dell’atto amministrativo dal quale decorre il termine per proporre impugnazione. Negli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha mostrato maggiore sensibilità nella lettura della nozione di conoscenza dell’atto dalla quale decorre il termine per impugnare, sposando un approccio più attento alle ragioni del ricorrente, che deve poter essere in grado di apprezzare l’esercizio del potere dell’amministrazione e valutare anche le possibilità dell’esito favorevole del rimedio giurisdizionale. Tutte le pronunce richiamate dall’appellante ribadiscono un principio ormai acquisito dalla giurisprudenza di questo Consiglio: la conoscenza dell’atto non può essere separata dalla piena conoscenza della lesività dell’atto e dai possibili vizi che hanno inficiato l’agere dell’amministrazione (sul tema da ultimo la rimessione operata all’Adunanza Plenaria da Cons. St., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 790). Così, pronunce anche più recenti di quelle richiamate dall’appellante chiariscono che: “Il concetto di “piena conoscenza” — il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale — è integrato dalla percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi” (Cons. St., 2974/2012). Nella fattispecie la piena lesività dell’atto da parte del Marchione era già conoscibile nel momento della lettura dello stesso, atteso che l’attività sostanzialmente vincolata dell’amministrazione di inquadramento secondo le tabelle contenute nella l. regionale 8/1979, sin da subito evidenziava la portata lesiva degli effetti ed i possibili vizi di legittimità che sulla stessa potevano gravare, che non a caso sono stati indicati dall’odierno appellante sin dall’atto introduttivo nel giudizio di prime cure. In questo senso non appare convincente sostenere che il difetto di motivazione, ossia la doglianza principale portata contro l’atto gravato, sia indicato quale ragione dell’assenza di quella piena conoscenza utile a far decorrere il termine decadenziale e vizio di legittimità che comporterebbe la caducazione dell’atto di inquadramento. Lesività ed eventuale illegittimità dell’atto di inquadramento, infatti, si colgono all’unisono al momento del controllo circa l’inquadramento in concreto operato dall’amministrazione nel fare applicazione della disciplina contenuta nella citata legge regionale.

4. L’irricevibilità del ricorso introduttivo e la conferma della sentenza di primo grado rendono non valutabile il secondo motivo di censura atteso che il mancato rispetto del termine decadenziale non consente di procedere con la valutazione delle censure di legittimità nei confronti del provvedimento impugnato, che non può in questa sede, quindi, essere rimesso in discussione.

5. In ragione della mancata costituzione dell’amministrazione appellata non si deve provvedere sulle spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Manfredo Atzeni, Presidente FF
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
        
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
        
   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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