Provvedimento: Sentenza
Sezione: Adunanza Plenaria
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Settembre 2019
Numero: 9
Data di udienza: 12 Giugno 2019
Presidente: Patroni Griffi
Estensore: Castriota Scanderbeg
Premassima
DIRITTO DELL’ENERGIA – Quota d’obbligo di energia da fonti rinnovabili da immettere nel sistema elettrico nazionale – GSE – Verifica dell’osservanza dell’obbligo – Natura.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria – 3 settembre 2019, n. 9
DIRITTO DELL’ENERGIA – Quota d’obbligo di energia da fonti rinnovabili da immettere nel sistema elettrico nazionale – GSE – Verifica dell’osservanza dell’obbligo – Natura.
Hanno natura provvedimentale soltanto gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte degli importatori o produttori di energia da fonte non rinnovabile, dell’obbligo di cui all’art.11 d.lgs. n. 79/99. Salvo il legittimo esercizio, ricorrendone i presupposti, dell’autotutela amministrativa, tali atti diventano pertanto definitivi ove non impugnati nei termini decadenziali di legge. Deve invece riconnettersi natura non provvedimentale agli atti con cui il GSE accerta in positivo l’avvenuto puntuale adempimento del suddetto obbligo da parte degli operatori economici di settore.
Pres. Patroni Griffi, Est. Castriota Scanderbeg – E. s.p.a. (avv.ti Greco, Muscardini e Cardi) c. Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A (avv.ti Gigliola e Fidanzia) e ARERA – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria – 3 settembre 2019, n. 9SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria – 3 settembre 2019, n. 9
Pubblicato il 03/09/2019
N. 00009/2019REG.PROV.COLL.
N. 00003/2019 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3 di A.P. del 2019, proposto da
Enel Produzione S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Greco, Manuela Muscardini e Marcello Cardi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Cardi in Roma, via Bruno Buozzi n.51;
contro
Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A, in persona del legale rappresentante, pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Gigliola e Sergio Fidanzia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Gigliola in Roma, via G. Antonelli, 4;
ARERA – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, in persona del legale rappresentante, pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 3252/2015, resa tra le parti, concernente domanda giudiziale di ripetizione di somme corrisposte in più rispetto al dovuto al Gestore dei Servizi Energetici, negli anni 2003-2008, a titolo di adempimento della quota d’obbligo prevista dall’art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A e di ARERA – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 giugno 2019 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Guido Greco, l’avvocato Angelo Gigliola, l’avvocato Sergio Fidanzia e l’avvocato dello Stato Generoso Di Leo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
1. LA PROCEDURA OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO.
1.1 Il giudizio ha ad oggetto una domanda di ripetizione di indebito (per una somma pari a circa 45 milioni di euro) azionata da Enel Produzione s.p.a. nei confronti del Gestore dei servizi energetici (d’ora in avanti anche Gestore o GSE) in relazione a esborsi, che si assumono in eccesso rispetto al dovuto, eseguiti dalla società produttrice, negli anni ricompresi tra il 2003 ed il 2008, ai fini dell’adempimento della c.d. quota d’obbligo.
1.2 La quota d’obbligo, introdotta dall’art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79 (di attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato dell’energia elettrica) al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, è quella parte di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, calcolata in percentuale in rapporto al quantitativo di energia elettrica prodotta nell’anno da fonte non rinnovabile, che ciascun produttore o importatore di energia ha (appunto) l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, se del caso anche acquistando la quota o i relativi diritti da altri produttori o dal GSE.
1.3 La domanda di rimborso di Enel Produzione s.p.a., riguardante ciascuna delle annualità ricomprese tra il 2003 ed il 2008, è stata proposta in primo grado dinanzi al T.a.r del Lazio ( r.g n. 3252/16) con ricorso notificato il 27/28 maggio 2013 e depositato il 6 giugno 2013, a notevole distanza temporale dall’epoca cui si riferiscono le prestazioni patrimoniali effettuate per l’assolvimento del prefato obbligo di legge e che si ritengono pro parte non dovute.
Nella prospettazione della ricorrente, il carattere parzialmente indebito di quanto corrisposto sotto forma di certificati verdi (certificati che vengono annullati dal Gestore a misura della corrispondente quota d’obbligo calcolata sulla produzione energetica dell’annualità precedente) rinviene da una diversa modalità di calcolo dell’energia prodotta dall’impianto, energia sulla cui base viene determinata, in applicazione di un coefficiente percentuale, la ridetta quota d’obbligo.
L’assunto di Enel Produzione s.p.a. è che la base di calcolo della energia (su cui, appunto, determinare la quota di fonte rinnovabile inerente all’obbligo di acquisto) avrebbe dovuto essere ragguagliata soltanto a quella effettivamente prodotta e immessa in rete dall’impianto, e non invece a quella quota-parte di energia consumata dallo stesso impianto nel processo produttivo e, pertanto, non immessa in rete. In tal modo, secondo la ricorrente, dovendosi ricalcolare in diminuzione la base di calcolo (e cioè lo stock energetico annuale prodotto da fonte non rinnovabile) su cui determinare la quota d’obbligo dovuta ciascun anno, anche quest’ultimo valore avrebbe dovuto essere inferiore a quello determinato dal Gestore e corrisposto in concreto da Enel nelle annualità 2003-2008.
In particolare, il problema si è posto in concreto per gli impianti di pompaggio dei sistemi idroelettrici, che consumano più energia di quanta ne producano (in particolare, producono energia per un quantitativo inferiore di circa il 30% rispetto a quella consumata) e nondimeno sono necessari al sistema in quanto soccorrono alle esigenze emergenziali della rete elettrica.
Nel determinare l’energia (di fonte non rinnovabile) prodotta dall’impianto (su cui calcolare la quota d’obbligo) il Gestore ha preso in considerazione, per gli anni 2003-2008, anche quella assorbita dagli impianti di pompaggio, superiore a quella prodotta e immessa in rete alla fine del processo produttivo. Secondo la prospettazione di Enel, ciò avrebbe determinato una corrispondente sovrastima della quota d’obbligo (sussistendo tra energia prodotta dall’impianto e quota d’obbligo un rapporto direttamente proporzionale), donde la domanda di ripetizione di quanto corrisposto in più a tal titolo.
Le ragioni creditorie di Enel, azionate con una tipica azione di condictio indebiti oggetto del giudizio principale e che, come detto, derivano da un diverso calcolo del monte-energia su cui determinare la quota d’obbligo, hanno trovato la loro causa petendi nella sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 1437 del 2006. Il che spiega, come si dirà subito, la proposizione tardiva della domanda di ripetizione, articolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza appena citata.
In quel giudizio, Enel – che agiva in via principale per il rimborso di quanto versato a titolo di quota d’obbligo, secondo il regime all’epoca vigente – sosteneva una tesi contraria a quella qui patrocinata: e cioè che il corretto calcolo del rimborso sulle somme erogate a titolo di quota d’obbligo andasse determinato applicando il coefficiente percentuale sull’ammontare complessivo dell’energia prodotta dall’impianto, ivi compresa quella dallo stesso consumata per alimentare gli impianti di pompaggio funzionali a sollevare l’acqua negli invasi sovrastanti. Ma tale tesi fu disattesa dal T.a.r., che invece affermò il diverso principio secondo cui ciò che solo rileva, ai fini della corretta determinazione della quota d’obbligo, è l’energia prodotta ed immessa in rete, dedotta quella consumata dall’impianto nel processo produttivo dell’energia.
Appare utile rammentare che negli anni 2001 e 2002, oggetto specifico di quel giudizio, vigeva il regime dei rimborsi degli oneri che le società produttrici erano tenute a versare a titolo di quota d’obbligo. Di qui l’interesse di Enel a sostenere il suo diritto al maggior rimborso, corrispondente a quanto versato a titolo di quota d’obbligo.
Ed invero, la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica e il gas n.101 del 6 giugno 2005 prevedeva (artt. 1 e 2), solo per gli anni 2001 e 2002, il rimborso degli oneri sostenuti dalle società titolari di impianti di produzione di energia non rinnovabile per l’acquisto di certificati verdi limitatamente alla energia destinata ai clienti del mercato vincolato (posto che per questi ultimi la previsione di una tariffa predeterminata impediva ai produttori di remunerarsi degli oneri aggiuntivi attraverso l’aumento del prezzo di vendita); nel quantificare l’energia rilevante per la quota d’obbligo, la delibera prendeva in considerazione soltanto quella prodotta e immessa sul mercato dagli impianti di pompaggio e non l’energia utilizzata per il funzionamento degli stessi.
Con la richiamata sentenza il T.a.r. della Lombardia ha, su detta questione, respinto il ricorso di Enel Produzione ritenendo che correttamente la impugnata delibera n. 101/05 aveva considerato, ai fini del rimborso degli oneri corrisposti a titolo di quota d’obbligo, la quantità di energia ceduta dall’impianto e non quella dallo stesso consumata. Tuttavia, lo stesso giudice ritenne in sentenza fondata la pretesa restitutoria di Enel posto che il Gestore della rete (oggi GSE) sarebbe incorso in errore nell’annullare i certificati verdi facendo riferimento all’energia consumata dagli stessi, anziché a quella realizzata alla fine del ciclo produttivo.
In sostanza, il T.a.r. sostenne che il rimborso dei suddetti oneri ai produttori andasse rideterminato con riguardo al quantitativo di energia prodotta ed immessa in rete dall’impianto e coerentemente, pur rigettando la richiesta di annullamento della impugnata delibera AEEG sul rimborso integrale degli oneri corrisposti, ritenne fondata la pretesa restitutoria di Enel fondata su tale diverso criterio di calcolo della c.d. quota d’obbligo, avendo il Gestore annullato, in relazione agli anni 2001 e 2002, un numero di certificati verdi superiore a quello necessario a ritenere adempiuto l’obbligo di legge da parte dell’impresa produttrice.
La predetta sentenza del T.a.r. Lombardia ha acquistato autorità di giudicato dopo che, con decreto n. 6846 del 2009, è stato dichiarato perento l’appello proposto dinanzi al Consiglio di Stato da AEEG, dalla Cassa Conguaglio per il Settore elettrico e dal Ministero delle Economia e Finanze.
Tuttavia, poiché a formare oggetto di quel giudizio era la legittimità della delibera dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas n. 101/05, che disciplinava espressamente il regime dei rimborsi degli oneri sostenuti dai produttori limitatamente alle annualità 2001 e 2002, Enel Produzione s.p.a., in esecuzione di quel giudicato, ha ottenuto il riconoscimento del diritto al rimborso di quanto corrisposto in più a titolo di quota d’obbligo solo limitatamente alle annualità 2001 e 2002.
Per contro, è stata dichiarata inammissibile, sia in primo grado (con sentenza T.a.r. per la Lombardia 20 febbraio 2012 n. 565) che in secondo grado (Consiglio di Stato, VI, 21 gennaio 2013, n. 312) la pretesa volta ad ottenere il rimborso anche delle prestazioni patrimoniali ulteriori erogate allo stesso titolo, relative agli anni 2003-2008. Il giudice dell’ottemperanza sia di primo che di secondo grado ha infatti rilevato, in senso ostativo, l’impossibilità di estendere l’efficacia del giudicato ad un ambito oggettuale più ampio e diversamente regolato rispetto a quello delineato nel decisum da portare ad esecuzione.
Di qui la necessità per Enel Produzione s.p.a. di avviare un nuovo giudizio di cognizione (quello qui oggetto della causa principale) al fine di ottenere il rimborso delle somme asseritamente corrisposte in più a titolo di quota d’obbligo per gli anni 2003-2008.
2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2.1 Con ricorso al T.a.r. per il Lazio r.g. n. 5163/13, Enel Produzione s.p.a. ha chiesto l’accertamento del suo diritto alla ripetizione del valore dei certificati verdi annullati in eccesso dal Gestore negli anni dal 2003 al 2008, per un importo di euro 45.304.076, con conseguente condanna del GSE al pagamento di detta somma (o di quella di giustizia, oltre interessi e rivalutazione), ovvero a disporre, ove occorra la compensazione tra detti importi ed un pari valore di certificati verdi, in occasione dell’assolvimento del medesimo obbligo di legge alle prime scadenze utili.
A sostegno della domanda ha richiamato, per gli impianti di pompaggio, il criterio di computo della quota d’obbligo dei certificati verdi, ex art. 11 d.lgs. n. 79/99, riconosciuto dalla sentenza del T.a.r. per la Lombardia n.1437 del 2006 per gli anni 2001 e 2002, riferito alla energia prodotta e immessa in rete da tali impianti, previa decurtazione di quella utilizzata per il loro funzionamento.
2.2. Con sentenza 24 febbraio 2015, n. 3252, il T.a.r. per il Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso, sul rilievo della mancata tempestiva impugnazione delle note di accertamento adottate dal GSE relative a quegli anni, ravvisando una posizione di interesse legittimo (e non di diritto soggettivo) in capo alla società produttrice in relazione al procedimento di computo della quota d’obbligo e di verifica del suo esatto adempimento.
La parabola argomentativa del giudice di primo grado si è sviluppata attraverso questo ragionamento:
a) la verifica del rispetto della quota d’obbligo è effettuata dal GSE attraverso un tipico procedimento amministrativo, che si articola con cadenza annuale (in relazione ai quantitativi di energia dell’anno precedente) nelle sue fasi tipiche dell’iniziativa, dell’istruttoria e della decisione sulla base delle previsioni contenute nella fonte primaria e nelle direttive ministeriali emanate in sua diretta attuazione, e che si conclude con un provvedimento finale di verifica positiva o negativa circa il corretto o non corretto adempimento dell’obbligo di legge da parte del produttore;
b) l’atto recettizio con cui il GSE notifica l’esito della verifica ai produttori ha pertanto natura provvedimentale e soddisfa l’esigenza di definire entro termini ristretti l’assetto dei rapporti derivanti dall’art. 11 d.lgs. n. 79/99, con chiare finalità di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici di durata;
c) la pretesa posizione di diritto soggettivo del produttore non potrebbe desumersi da quanto statuito dal T.a.r. per la Lombardia nella sentenza n. 1437 del 2006 in ordine all’affermato diritto alla ripetizione in capo ad Enel, né con quanto statuito dal Consiglio di Stato nella sentenza 21 gennaio 2013, n. 312, resa in sede di ottemperanza, avuto riguardo alla parte di decisione in cui si qualifica in termini di diritto-obbligo il rapporto inter partes in relazione al predetto obbligo di legge; posto che, quand’anche non si potessero ravvisare (ciò di cui dubita il giudice di primo grado) elementi di discrezionalità tecnica sull’an e sul quantum nella scelta del Gestore nell’ambito del procedimento per cui è giudizio, nondimeno, anche a fronte di provvedimenti vincolati, la giurisprudenza ormai consolidata del Consiglio di Stato ravvisa posizioni di interesse legittimo quante volte – come nella specie – l’interesse primario tutelato direttamente dalla norma ha matrice pubblica ed è affidato alle cure della Amministrazione, al privato residuando la possibilità di provocare il controllo di legittimità degli atti adottati attraverso il ricorso al giudice amministrativo.
Sulla base di queste essenziali affermazioni, il T.a.r. ha concluso nel senso che Enel Produzione, al fine di evitare il consolidamento della situazione di inottemperanza, avrebbe dovuto contestare attraverso i consueti rimedi impugnatori (azione di annullamento) le “ note di riconoscimento” relative alle singole annualità per cui è controversia ( all.ti 18,20 e 21, 23,25,27 e 29 res.) per essa immediatamente lesive e che sono di conseguenza inammissibili le domande di accertamento e condanna oggetto del ricorso, non sorrette dalla necessaria posizione di diritto soggettivo.
3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI ALLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.
3.1 Avverso la richiamata sentenza del T.a.r. Lazio n. 3252/15 Enel Produzione s.p.a. ha proposto appello ( r.g. n. 4572/15), deducendo i seguenti motivi:
– erroneità e illogicità dell’appellata sentenza, violazione dell’art.23 e 97 della Carta costituzionale, nonché violazione dell’art.11 del d.lgs. n. 79/1999, dell’art.4 comma 2 d.lgs. 387/2003 e del principio di legalità, di riserva di legge, di nominatività e tipicità dell’atto amministrativo. Violazione dell’art. 1, comma 1 bis della legge 241/90. Violazione degli artt. 13-14 della legge n. 689/81. In subordine violazione dell’art. 21 septies legge 241/90.
Inoltre, l’appellante ha riproposto la domanda di primo grado di ripetizione di quanto indebitamente versato da Enel Produzione in ordine all’obbligo ex art. 11 del d.lgs. 79/1999, anche alla luce del giudicato (esterno) formatosi inter partes e del suo effetto conformativo.
Infine, Enel produzione s.p.a. ha concluso chiedendo l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata nonché l’accertamento della non debenza dei certificati verdi corrispondenti alla differenza tra energia consumata ed energia prodotta dagli impianti di pompaggio e la conseguente restituzione della somma di euro 45.304.076, corrispondente al valore dei certificati verdi in esubero, insistendo in subordine per la compensazione tra detti importi ed un pari valore di certificati verdi in occasione dell’assolvimento del medesimo obbligo di legge.
Si è costituito in giudizio il GSE per contestare la fondatezza dell’appello e chiederne il rigetto.
Si è altresì costituita l’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (ARERA) chiedendo la reiezione del gravame e la conferma della impugnata sentenza.
Le parti hanno scambiato memorie in vista dell’udienza di discussione fissata dinanzi alla IV sezione di questo Consiglio di Stato, alla quale la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DELLA CAUSA ALL’ADUNANZA PLENARIA.
4.1 Con ordinanza 25 marzo 2019 n.1934, la quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita del ricorso in appello r.g. n. 4572/2015, ha rimesso all’esame di questa Adunanza plenaria la questione relativa alla natura giuridica (provvedimentale o paritetica) degli atti con cui il Gestore dei servizi energetici verifica di anno in anno il rispetto della c.d. quota d’obbligo da parte dei produttori o degli importatori di energia elettrica proveniente da fonte non rinnovabile.
4.2 Premette il giudice rimettente che oggetto della controversia è la domanda giudiziale di Enel Produzione volta ad ottenere la ripetizione di quanto asseritamente versato in più al Gestore dei Servizi Energetici, negli anni 2003-2008, in ragione del preteso errore di calcolo, consistito nel determinare la quota d’obbligo (anche) sulla base l’energia utilizzata per il funzionamento degli impianti di pompaggio e non invece (soltanto) di quella prodotta dagli stessi impianti, quantitativo che risulta evidentemente inferiore.
4.3 Il T.a.r. per la Lombardia, con sentenza n. 1437 del 2006, passata in giudicato nel febbraio 2010 per essere stato dichiarato perento l’appello al Consiglio di Stato proposto dall’Autorità per l’energia, dalla Cassa conguaglio dell’energia elettrica e dal Ministero dell’economia e delle finanze:
a) ritenne la legittimità della delibera del 2005 rispetto all’art. 11 cit., che limitava il diritto al rimborso alla quota d’obbligo calcolata sulla quantità di energia non rinnovabile prodotta e ceduta dall’impianto di pompaggio, e non su quella consumata dallo stesso, così rigettando la censura;
b) affermò il diritto dell’Enel alla ripetizione di quanto versato in eccesso in conto quota d’obbligo, per essere stata la quota calcolata sull’energia utilizzata per il funzionamento dell’impianto (maggiore) e non su quella generata dall’impianto e immessa in rete.
4.4 E che, non avendo l’Autorità per l’Energia adempiuto al giudicato, Enel S.p.A. agì per l’ottemperanza, chiedendo la restituzione di quanto versato in più, oltre che per gli anni 2001 e 2002, anche per gli anni dal 2003 al 2008. Il T.a.r. per la Lombardia, con sentenza n. 565 del 2012, accolse il ricorso in relazione alla pretesa vantata per gli anni 2001 e 2002; lo dichiarò inammissibile per gli anni compresi tra il 2003 e il 2008, ritenendo che la pretesa restitutoria azionabile in sede di ottemperanza, per la mancata esecuzione spontanea da parte dell’amministrazione, doveva ritenersi limitata alla pretesa oggetto di scrutinio giurisdizionale e, quindi, agli oneri sostenuti da Enel negli anni 2001 e 2002.
Con sentenza n. 312 del 2013 questo Consiglio, rigettò l’appello avverso la suddetta sentenza non mancando tuttavia di evidenziare che, come correttamente affermato dal Tar, l’ENEL può attivare autonomi giudizi di cognizione contro gli atti di determinazione dei certificati verdi dovuti per gli anni dal 2003 al 2008 e in quella sede, se del caso, invocare la c.d. vis espansiva del giudicato.
4.5 A queste premesse giuridico-fattuali il rimettente riconnette la genesi del giudizio all’esame, nel quale -come si è ricordato- Enel s.p.a. pone a fondamento della sua domanda restitutoria il principio di diritto affermato con efficacia di giudicato nella citata sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 1437 del 2006, secondo cui la quota d’obbligo va ragguagliata soltanto alla energia prodotta dagli impianti di pompaggio e non anche alla energia utilizzata per il loro funzionamento.
4.6 Ricorda il giudice rimettente come nella appellata sentenza, il T.a.r. per il Lazio abbia dichiarato inammissibili le domande di accertamento e di condanna non essendo state impugnate le note adottate dal GSE relative a quegli anni (recanti l’accertamento di corretto adempimento dell’obbligo nascente dall’art. 11 d.lgs. cit), configurandosi una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo in capo all’impresa sottoposta al procedimento di verifica da parte del GSE.
Evidenzia la quarta Sezione come il giudice di primo grado sia giunto a ravvisare la natura provvedimentale degli atti di verifica del GSE analizzando la normativa di riferimento ed in particolare la disciplina secondaria che, sulla base degli artt. art. 11, co. 1, 2, 3 e 5 del d. lgs. n. 79 del 1999), tipizza un vero procedimento di verifica affidato al GSE secondo le direttive emanate dapprima con il d.m. 11 novembre 1999 e poi con il d.m. 24 ottobre 2005 (quest’ultimo adottato in attuazione dell’art. 20, comma 8, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, e a far tempo dal novembre 2006).
4.7 Evidenzia l’ordinanza di rimessione come, secondo il primo giudice, la normativa esaminata individua un procedimento amministrativo strutturato in funzione dell’assolvimento dell’obbligo e sulla base della disciplina normativa. La legge prevede la periodicità annuale dell’accertamento (art. 11, comma 1) e, coerentemente, il d.m. (artt. 3 e 7) introduce una verifica annuale sulla base dell’autodichiarazione e dell’istruttoria (valutando il GSE “ogni altro dato in suo possesso”) e una fase conclusiva, consistente nell’accertamento degli esiti e nella notificazione degli stessi alla impresa interessata.
Questo meccanismo è evidentemente preordinato alla definizione entro termini ristretti dell’assetto dei rapporti derivanti dall’art. 11, occorrendo tener conto delle modalità di funzionamento del sistema dei certificati verdi e dell’esigenza di certezza che ne è alla base. Dal procedimento descritto deriva la natura provvedimentale degli atti con cui il GSE notifica detti “esiti” ai produttori.
Sempre secondo la prospettazione del giudice di primo grado, così come sunteggiata nella ordinanza di rimessione, anche ad ammettere lo svolgimento di attività vincolata – dato l’apprezzamento di natura tecnica sull’an e sul quantum della quota d’obbligo – tale profilo, sulla base della giurisprudenza consolidata, non sarebbe sufficiente per riconoscere la posizione di diritto soggettivo, rilevando solo la finalizzazione della disciplina alla cura di un interesse della collettività e non di un interesse individuale patrimoniale. La finalità perseguita dalla disciplina in argomento è quella di tutelare l’interesse pubblico al corretto adempimento dell’obbligo derivante dall’art. 11 d.lgs. n. 79/99, preordinato al perseguimento di preminenti interessi pubblici anche di portata sovranazionale, in considerazione degli obiettivi europei e internazionali in materia produzione energetica da fonti rinnovabili. In tale contesto si inscrive l’apprezzamento del Gestore sulla determinazione della quota d’obbligo, condotto alla stregua della normativa di riferimento e dell’ampia provvista fattuale (autodichiarazione, certificati verdi ricevuti e “ogni altro dato in suo possesso”), avente esiti non sempre incontroversi. Se l’ordinamento ha inteso tutelare l’interesse pubblico, alle posizioni private non può che essere riconosciuta una protezione indiretta che passa attraverso la potestà provvedimentale e si traduce nella possibilità di adire il giudice amministrativo per il controllo di legittimità.
4.8 Tutto ciò premesso, il rimettente evidenzia che il quesito di diritto sulla natura provvedimentale o meno degli atti del GSE rilevante nella causa in esame non è stato mai affrontato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, pur essendo pendenti in appello taluni ricorsi (specificamente indicati nella ordinanza) la cui soluzione è condizionata dalla questione di massima sollevata in questa sede.
Di qui la prospettazione del quesito se il procedimento di verifica di cui si è detto configuri o meno l’esplicarsi di un potere amministrativo che si conclude con un provvedimento autoritativo di accertamento in ordine all’avvenuto rispetto o meno della quota d’obbligo, in ragione della finalità perseguita dalla disciplina in argomento di tutelare l’interesse pubblico al corretto adempimento dell’obbligo derivante dall’art. 11 d.lgs. n. 79/99, preordinato al perseguimento di preminenti interessi pubblici; ovvero l’esplicarsi di una mera procedura di controllo, affidata al GSE dai d.m. citati, che si manifesterebbe con l’adozione di atti paritetici adottati nell’ambito di un rapporto di debito-credito in ordine al rispetto di un obbligo previsto dalla legge con la finalità pubblicistica di favorire la diffusione di energia da fonti non rinnovabili.
4.9 Tanto premesso, la Sezione rimettente ha ritenuto opportuno deferire il presente ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., atteso il carattere pregiudiziale della questione suddetta ai fini della decisione della causa e delle altre pendenti dinanzi al Consiglio di Stato.
CONSIDERAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA
5. Anzitutto, appare opportuno muovere dalla ricognizione della natura giuridica del Gestore dei servizi energetici – GSE s.p.a. e dalla funzione dallo stesso svolta in relazione alla verifica dell’osservanza della quota d’obbligo prevista dal ridetto art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999 n.79.
Il Gestore dei servizi energetici (già Gestore della rete di trasmissione nazionale, secondo la denominazione contenuta nella legge istitutiva del 1999) è persona giuridica di diritto privato, essendo stato costituito nelle forme della società per azioni.
Tuttavia, le azioni della società sono integralmente riservate alla mano pubblica, stante la partecipazione totalitaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze al capitale della società; inoltre, la società è sottoposta al potere di controllo sulla gestione finanziaria da parte della Corte dei Conti, che si esercita ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259/58.
Ai sensi dell’art. 4 dello Statuto sociale, allegato all’atto costitutivo del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., la società ha per oggetto l’esercizio delle funzioni di natura pubblicistica nel settore elettrico e in particolare le attività di carattere regolamentare, di verifica e certificazione relativa al settore dell’energia elettrica di cui all’articolo 3, commi 12 e 13 e di cui all’articolo 11, comma 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e successive modifiche e integrazioni, nonché le attività correlate di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 e successive modifiche e integrazioni, in materia di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, comprese le attività di carattere regolamentare e le altre competenze, diritti e poteri ad esse inerenti. Ai sensi dell’art. 8 dello Statuto della società, i diritti dell’azionista sono esercitati d’intesa tra il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
Da quanto detto appare chiaro che il Gestore dei servizi energetici rientri nel novero dei soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni posto che, pur rivestendo formalmente la veste di società di capitali di diritto privato, è nondimeno soggetto munito dalla legge di funzioni pubbliche correlate – tra l’altro – alla diffusione delle energie da fonte rinnovabile, al controllo ed alla gestione dei flussi energetici di tale provenienza ed all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge agli operatori del settore energetico.
5.1 Nel caso oggetto di causa, ed ai limitati fini della soluzione del quesito rimesso alla decisione di questa Adunanza, va osservato che le funzioni svolte dal Gestore consistono in particolare nel verificare se gli importatori o i produttori di energia prodotta da fonti non rinnovabili abbiano o meno rispettato, in rapporto all’annualità chiusa al 31 dicembre dell’anno precedente alla verifica, la cd. quota d’obbligo, e cioè l’obbligo legale di produrre e immettere in rete (ovvero di acquistare per il tramite dei cd. certificati verdi) una quota di energia prodotta da fonte rinnovabile.
Ora, poiché il suddetto obbligo è posto nel preminente interesse della collettività alla graduale riduzione della componente di anidride carbonica presente nell’atmosfera e corrisponde al superiore interesse a verificarne la concreta osservanza da parte dello Stato (qui da intendersi sia come Stato-persona, in rapporto ai vincoli internazionali nascenti dalla firma del c.d. protocollo di Kyoto, sia come Stato-comunità in rappresentanza dell’ interesse collettivo al miglioramento della qualità ambientale), ne viene che il compito di verifica affidato al GSE si risolve in una eminente funzione amministrativa di controllo sull’attività economica privata.
Come tale, siffatta attività si caratterizza per la sua significativa rilevanza pubblica, inquadrandosi nell’alveo dei controlli, espressamente previsti dalla Carta costituzionale (art. 41, 3 comma, Cost.), che i pubblici poteri esercitano sull’attività economica privata per assicurare che la stessa persegua gli specifici fini sociali previsti dalla legge. In tale contesto, l’adempimento della quota d’obbligo, riguardata dal versante dei soggetti obbligati, si atteggia alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta (art. 23 Cost.) la cui previsione a livello di normazione primaria (art. 11 del d.lgs. n. 79/99) soddisfa il requisito costituzionale della riserva relativa di legge.
5.2 Ciò premesso in linea generale riguardo alla natura giuridica del soggetto agente e della funzione amministrativa affidata in concreto alle sue cure, va ricordato che in base al principio di legalità (e dei suoi corollari in punto di tipicità e nominatività degli atti amministrativi a contenuto provvedimentale) un soggetto, anche privato, può emanare provvedimenti amministrativi solo nei casi previsti dalla legge, pacifico essendo (in base all’ art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/1990) che i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative debbano assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, e quindi in primis quello all’osservanza della legalità dell’azione amministrativa.
5.3 Nel caso in esame, ad assicurare il rispetto dei richiamati principi della riserva relativa di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte nonché di funzioni amministrative esercitate da soggetti privati, soccorre in via prioritaria ed assorbente la previsione legislativa di cui al richiamato art. 11 d.lgs. n. 79/99, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
E’ tale legge che individua i soggetti obbligati (importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili) all’adempimento della quota d’obbligo e che costituisce la fonte dell’obbligo giuridico di natura patrimoniale loro imposto.
E’ la stessa legge che affida (art. 11, comma 5) al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (corrispondente all’odierno Ministro dello sviluppo economico), di concerto con il Ministro dell’ambiente, il compito di dettare direttive per la concreta attuazione della previsione legislativa inerente alla quota d’obbligo.
In piena aderenza alla descritta fonte giuridica di rango primario, è stata quindi introdotta, in via di normazione secondaria, una dettagliata disciplina delle modalità di esercizio di tale controllo, attraverso un vero e proprio procedimento amministrativo, affidato al titolare del potere di controllo (appunto il GSE, che – come detto – rinviene detto potere nella legge istitutiva e nello statuto sociale), procedimento che si articola nelle sue fasi salienti della iniziativa, della istruttoria e della determinazione conclusiva. Nessun dubbio, pertanto, che la fonte del potere esercitato dal GSE abbia una salda base normativa, che giova qui richiamare nei tratti essenziali.
5.4 Come si è più volte ricordato, la legge (art. 11, commi 1, 2, e 3, del d. lgs. n. 79 del 1999) obbliga i produttori e gli importatori di energia derivante da fonti non rinnovabili ad immettere nel sistema una quota d’obbligo di energia di fonti rinnovabili o ad acquistare certificati verdi corrispondenti a tale quota.
La stessa legge (art. 11 comma 5) demanda all’autorità governativa l’adozione delle direttive per la sua attuazione. Tali direttive sono state emanate dapprima con il d.m. 11 novembre 1999: ai sensi dell’art. 3 di tale d.m., che disciplina le modalità di quantificazione dell’energia soggetta all’obbligo, i produttori trasmettono un’autocertificazione, riferita all’anno precedente, attestante le importazioni e produzioni di energia non rinnovabile. L’art. 7 delinea la procedura per la “verifica annuale di adempimento all’obbligo”, precisando che:
– entro il 31 marzo di ciascun anno i produttori trasmettono al Gestore “certificati verdi relativi all’anno precedente ed equivalenti, in termini di energia associata, all’obbligo di immissione che compete loro […]” (comma 1);
– il Gestore, “sulla base dell’autocertificazione […] ricevuta l’anno precedente, dei certificati verdi ricevuti, e di ogni altro dato in suo possesso, effettua la verifica, relativamente all’anno precedente, di ottemperanza all’obbligo […] ed annulla i certificati relativi” (comma 2);
– l’esito della verifica deve essere “notificato agli interessati entro il 30 aprile di ciascun anno”;
– la verifica “si intende positiva” se l’energia da fonte rinnovabile associata ai certificati verdi trasmessi “uguaglia o supera il valore della quota in capo al soggetto”;
– nel caso di esito negativo, il produttore è tenuto a compensare entro trenta giorni “la differenza evidenziata dalla verifica” (tramite acquisto e invio al Gestore di eventuali certificati verdi in esubero relativi all’anno precedente o tramite acquisto e conseguente annullamento di certificati verdi emessi dal gestore);
– in caso di mancato adempimento, il Gestore segnala la circostanza all’Aeeg, che diffida l’obbligato all’ottemperanza.
Successivamente, le direttive attuative sono state aggiornate dal d.m. 24 ottobre 2005 (adottato in attuazione dell’art. 20, co. 8, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, e a far tempo dal novembre 2006) ed il d.m. del 1999 è stato abrogato con salvezza degli “effetti dispiegati” e dei “diritti acquisiti”.
Tale ultimo decreto conferma il meccanismo dell’autocertificazione (art. 3) e della verifica annuale (art. 7), prevedendo altresì (art. 7, comma 4) la segnalazione dell’eventuale inottemperanza all’Autorità per l’energia elettrica “ai fini dell’applicazione delle sanzioni” contemplate dall’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 387/03 cit. a partire dal 2004.
Il suddetto art. 4, al comma 3, prevede in particolare che “i soggetti che omettono di presentare l’autocertificazione […] sono considerati inadempienti per la quantità di certificati correlata al totale di elettricità importata e prodotta nell’anno precedente”; inoltre, l’art. 7, comma. 5, del nuovo decreto introduce a carico del Gestore l’obbligo di comunicare ai Ministeri competenti i soggetti inadempienti e l’entità degli inadempimenti ai fini dell’eventuale adozione di “idonee iniziative che tengano conto dell’entità complessiva delle inadempienze, della congruità delle sanzioni comminate e del grado di raggiungimento degli obiettivi connessi agli impegni di riduzione delle emissioni inquinanti assunti in sede comunitaria ed internazionale in applicazione del protocollo di Kyoto”.
Va soggiunto, per completezza, che anche il d.m. 24 ottobre 2005 è stato successivamente abrogato e sostituito dal d.m. 18 dicembre 2008, il cui articolo 13 conferma, peraltro, nei suoi tratti distintivi, la disciplina in materia di verifica annuale di adempimento dell’obbligo già dettata dall’articolo 7 del citato d.m. del 2005.
5.5 Le disposizioni appena richiamate delineano nel loro complesso un quadro regolatorio nel cui alveo si svolge dunque da parte del GSE un’attività implicante l’esercizio procedimentalizzato di eminenti funzioni amministrative di controllo.
Da tale schema procedimentale emerge infatti che rispetto all’adempimento, da parte dei produttori ed importatori di energia, dell’obbligo di che trattasi, le funzioni di controllo sono riservate in via esclusiva al GSE e che l’esito negativo di detto controllo comporta, tra l’altro, l’effetto di attribuire alla società obbligata la qualifica di soggetto inadempiente, con ogni ulteriore conseguenza sul piano della successiva ingiunzione di pagamento nonché dell’applicazione delle sanzioni pecuniarie da parte dell’Autorità di settore, salvi gli effetti delle comunicazioni ai Ministri competenti per ogni altro eventuale ulteriore provvedimento.
Orbene, alla luce di quanto detto, ritiene l’Adunanza plenaria, che il potere del GSE di accertare unilateralmente e definitivamente (in via amministrativa) lo stato (eventuale) di inadempienza degli operatori economici rispetto al ridetto obbligo di legge non possa che manifestarsi attraverso la forma ed i contenuti propri dell’attività provvedimentale.
Il suddetto potere si inscrive in un rapporto di naturale asimmetria fra le parti, ben rappresentato dalla tradizionale endiadi potestà-soggezione, propria dei rapporti di diritto amministrativo qualificati dalla autoritività dell’azione del soggetto agente.
Se è vero infatti che i poteri sanzionatori non mettono capo al GSE ma alla AEEG (oggi ARERA, Autorità di regolazione delle Reti e dell’Ambiente), nondimeno appare evidente la stretta correlazione tra l’atto di autonomo accertamento della inadempienza da parte del Gestore ed i meccanismi di riparazione che da tale accertata inadempienza ne derivano, rappresentati in particolare dalla applicazione delle sanzioni pecuniarie per l’inadempimento di competenza dell’Autorità (che – si ripete – viene investita solo ai fini dell’applicazione delle sanzioni) e dagli altri eventuali provvedimenti dei Ministri competenti, cui va inviata da parte del GSE la comunicazione contenente i nominativi dei soggetti inadempienti.
Nessun soggetto dell’ordinamento potrebbe unilateralmente e con carattere di autonomia rispetto ad altre autorità amministrative suggellare il definitivo accertamento della inadempienza di un operatore economico se la legge non intestasse a quel soggetto poteri amministrativi in senso proprio, che si estrinsecano cioè necessariamente con l’adozione di atti aventi natura provvedimentale; rispetto ai quali, le misure di tutela della parte privata si compendiano in via principale nel provocare l’annullamento degli atti di accertamento della inadempienza, previa impugnazione degli stessi nel termine decadenziale di legge dinanzi al giudice amministrativo.
Ritiene pertanto questa Adunanza plenaria che, più che sulla forma procedimentalizzata, nei modi dianzi divisati, di esercizio dei poteri amministrativi di controllo in capo al GSE (non incompatibile ex se con la individuazione di posizioni di diritto soggettivo dei soggetti privati coinvolti) a far propendere per la connotazione autoritativa degli atti di accertamento negativo adottati dal GSE nell’ambito del procedimento di verifica di che trattasi deponga la natura di quei poteri, estranea al paradigma dell’atto paritetico di mero accertamento ove si risolva nel produrre, con effetto costitutivo, un nuovo status a carico dell’operatore economico (quello appunto, di soggetto inadempiente), suscettibile di rilevare ex se ai fini della applicazione di ulteriori provvedimenti a carattere sanzionatorio.
5.6 Per vero, non sarebbe coerente con il sistema prefigurare una sanzione (o altro provvedimento sospensivo o limitativo del titolo di esercizio da adottarsi da parte degli altri Ministeri cui va indirizzata la comunicazione di inadempienza accertata dal GSE) che abbia a presupposto non un atto autoritativo ma di mero accertamento, suscettibile in tesi di essere contestato in via autonoma, nei limiti della prescrizione del diritto, nell’ambito di un rapporto obbligatorio paritetico inter partes ben difficile da ipotizzare nella fattispecie in esame, avuto riguardo alla asimmetria delle posizioni rispettive ed alla natura dei poteri in concreto esercitati dal GSE.
E’ evidente come anche tale elemento, che riguarda la stretta correlazione tra atto di accertamento dell’inadempimento (con conseguenziale attribuzione all’operatore economico dello stigmadi soggetto inadempiente) ed il sistema delle sanzioni correlate a quell’accertamento, militi nel senso della natura provvedimentale dell’accertamento negativo, avuto riguardo anche alla necessaria esigenza di certezza giuridica e di stabilità del provvedimento del GSE che accerta l’inadempienza dell’operatore economico rispetto all’obbligo di legge, in funzione propedeutica al sistema sanzionatorio affidato alle cure di altre autorità amministrative. Non sarebbe infatti coerente con il sistema suindicato che il provvedimento sanzionatorio, di sicura matrice provvedimentale, avesse a presupposto un atto di autonomo e insuperabile accertamento della inadempienza potenzialmente cedevole, nel quinquennio, sotto la scure giurisdizionale.
Per vero, nella fattispecie in esame ed ai limitati fini dell’azione amministrativa volta all’accertamento della inadempienza ed alla applicazione delle sanzioni correlate, vi sono due soggetti dell’ordinamento che agiscono di conserva nell’esercizio di eminenti funzioni pubbliche complementari: il primo (GSE) accerta ( se e in che misura l’obbligo di legge è stato adempiuto) e suggella, ove occorra, lo stato di inadempimento del produttore che non abbia ripianato, nel termine assegnatogli, la situazione debitoria risultante dalla verifica negativa; il secondo ( ARERA) che sanziona, ponendo a base della misura riparatoria l’accertamento posto in essere dal GSE.
Ora, poiché la sanzione può conseguire soltanto al definitivo accertamento del dovuto, appare evidente come gli atti posti in essere da ciascuno di tali soggetti debbano necessariamente avere analoga natura giuridica, atteso che – come detto – la sanzione consegue al definitivo accertamento del dovuto. Tale costruzione suppone pertanto la qualificazione della fattispecie in termini di attività provvedimentale suscettibile di giudizio impugnatorio, sia in relazione alla sanzione, sia rispetto al presupposto atto accertativo inerente al mancato assolvimento puntuale della quota d’obbligo prevista dalla legge.
Diversamente da quanto previsto nell’ambito del procedimento generale delineato dalla legge di depenalizzazione in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, in cui l’autorità che ingiunge il pagamento della sanzione deve far proprio l’accertamento (“se ritiene fondato l’accertamento” cfr. art. 18, comma 2, l. n. 689/81) , nella fattispecie in esame i compiti di accertamento e di applicazione della sanzione per la mancata osservanza dell’obbligo di legge sono ripartiti secondo una rigida distinzione tra GSE e ARERA; di modo che, salvi i vizi propri del provvedimento sanzionatorio, non potrebbe darsi impugnazione di tale atto da parte di chi contesti l’an debeatur della sanzione senza che non venga contestualmente mossa contestazione all’accertamento del GSE, soggetto quindi che deve essere giocoforza parte del rapporto giuridico processuale.
5.7 In contrario avviso non deve indurre l’asserito carattere vincolato (anche ove, in tesi, conseguente a mero accertamento tecnico) dell’atto con il GSE verifica, in positivo o in negativo, l’assolvimento del ridetto obbligo da parte degli operatori del settore energetico.
Anche a ritenere – ciò che appare tuttavia dubbio – che la verifica del GSE sia scevra da profili valutativi di ordine tecnico, nondimeno, anche seguendo tale costruzione teorica, il carattere vincolato dell’atto non ne eliderebbe la connotazione provvedimentale, una volta acclarato che la norma mira a soddisfare in via diretta l’interesse pubblico alla puntuale osservanza della quota d’obbligo di energia da fonte rinnovabile e che tale interesse pubblico primario viene delegato ad un soggetto privato esercente pubbliche funzioni capace di accertare in via autonoma e definitiva la inadempienza del soggetto obbligato.
Giova infatti rammentare che, in termini generali, la posizione di interesse legittimo si collega all’esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività; il diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione trova, invece, fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dell’amministrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale.
Donde il principio che la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi va fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si collega e alla conseguente posizione di autorità attribuita all’amministrazione (o al soggetto comunque esercente una pubblica funzione), giacché quando risulti, attraverso i consueti processi intepretativi, che l’ordinamento abbia inteso tutelare in via primaria l’interesse pubblico e che conseguentemente l’amministrzione agisca come autorità, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione mediata che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell’amministrazione e, dall’altro, si traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell’atto.
Né, al fine di inferirne la natura paritetica degli atti in esame, potrebbe giovare il richiamo, svolto dalla parte appellante anche in sede di memoria conclusiva, alle argomentazioni rinvenibili nella decisione assunta da questa Adunanza plenaria n. 12 del 2018, in tema di natura paritetica degli atti di accertamento dell’obbligo di corrispondere gli oneri concessori connessi al rilascio dei titoli edilizi.
A parte la assoluta diversità della materia, vale osservare che in quel caso è la stessa autorità comunale ad essere intestataria dei poteri sanzionatori correlati al mancato accertamento degli oneri concessori, di tal che l’accertamento della inadempienza è compiuto dalla stessa autorità in sede di applicazione della sanzione, il che rende coerente la decisione di considerare non autoritativo l’atto presupposto di mera determinazione quantitativa degli oneri concessori da corrispondere ai fini del rilascio del titolo edilizio.
5.8 Ciò detto riguardo alla fattispecie della verifica negativa dell’adempimento dell’obbligo di legge, a conclusioni diverse riguardo alla natura dell’atto conclusivo del procedimento di verifica l’Adunanza plenaria ritiene di dover giungere nel caso in cui il controllo del GSE sull’osservanza della quota d’obbligo abbia dato esito positivo.
In tale ipotesi, appare evidente come non sussista alcun atto provvedimentale a contenuto ed effetto costitutivo che il Gestore adotti in danno dell’operatore economico a suggello della conclusione della fase di verifica e sulla cui base venga esercitato il potere sanzionatorio dell’Autorità di settore
In tale evenienza, infatti, il GSE si limita a riscontrare che l’impresa ha adempiuto, per quell’anno, all’obbligo di legge.
E’ da escludere pertanto che a tal genere di atto possa riconnettersi natura provvedimentale, posto che in tal caso non vi è alcuna incisione sulla posizione giuridica del soggetto obbligato, né sussiste alcuna determinazione sfavorevole correlata, come nel caso dell’esito negativo della verifica, all’accertamento dello stato di inadempienza dell’operatore economico in funzione propedeutica al procedimento sanzionatorio. E, d’altra parte, nel delineato contesto di un atto che si limiti a verificare in senso positivo l’adempimento dell’obbligo da parte del privato, la struttura impugnatoria del giudizio e il conseguente onere di gravame dell’atto di accertamento positivo nel termine decadenziale difficilmente sarebbero coerenti con i presupporti e le condizioni di tale azione processuale, anche in termini di interesse a ricorrere in rapporto alla (immediata) lesività dell’atto.
La natura dell’atto è dunque nella fattispecie appena descritta quella propria dell’atto paritetico, tipologia di antica costruzione giurisprudenziale, delineatasi nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione a quegli atti che, in quanto sforniti di autoritatività, risultano incapaci – secondo la costruzione dogmatica dell’epoca – di degradare i diritti soggettivi incisi, che restano integri ed azionabili pertanto nei tradizionali termini prescrizionali. E che oggi possono essere definiti come quegli atti, posti in essere da un’amministrazione in senso oggettivo nell’ambito di un rapporto amministrativo complesso in cui si intrecciano poteri autoritativi e non, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo proprio per assicurare unità e concentrazione anche sul piano processuale a una vicenda sostanziale pluristrutturata ( in cui situazioni di potere, diritto e interesse risultano inestricabilmente intrecciate). A ben guardare, l’accertamento positivo compiuto dal GSE, che riscontri il corretto adempimento dell’obbligo di corrispondere la quota d’obbligo da parte dell’operatore, si rivolve in una mera presa d’atto dell’assolvimento degli obblighi discendenti direttamente dalla legge in cui ciò che rileva, sul piano del controllo amministrativo, è che quel soggetto per quell’anno non può essere ritenuto inadempiente.
Tuttavia, ben si comprende come a tale atto di accertamento positivo, sfornito di autoritatività, giammai potrebbe riconnettersi un effetto ostativo rispetto ad un’azione restitutoria, da introdurre nel termine prescrizionale del diritto, conseguente alla rideterminazione del dovuto, ove – come nella specie– la parte obbligata dichiari di essere incorsa in errore (ed abbia in tale preteso errore coinvolto lo stesso GSE) nell’indicare i quantitativi di energia sui quali calcolare la quota d’obbligo.
In tale ipotesi , la natura non provvedimentale dell’atto di accertamento positivo del GSE risulta pienamente coerente con la circostanza secondo cui la contestazione non riguarda formalmente un atto dell’amministrazione ma sostanzialmente la determinazione dell’esatta portata dell’adempimento di un debito rispetto al contenuto specifico dell’obbligazione ex lege nonché all’eventuale esistenza di una situazione creditoria riveniente da un adempimento eccedentario rispetto al dovuto.
In tale contesto, quelli che una volta erano definiti atti paritetici, in omaggio alla struttura impugnatoria del processo, oggi sono atti di una vicenda procedimentale, svincolata dalla natura necessariamente impugnatoria del processo, in cui si tratta semplicemente di accertare la consistenza delle situazioni sostanziali e la spettanza del bene dedotto in giudizio.
Consegue da tale ricostruzione giuridica della fattispecie che, in caso di esito positivo del controllo sul rispetto della quota d’obbligo – ipotesi che ricorre nella fattispecie oggetto di causa – se la parte assuma di aver pagato più del dovuto o comunque intenda rimettere in discussione la quantificazione del dovuto, per come accertata dal Gestore ancorché sulla base delle autodichiarazioni rese dal legale rappresentante dell’impresa obbligata, non incontra il limite della decadenza dall’azione impugnatoria, correlata soltanto ai provvedimenti del Gestore accertativi della inadempienza; onde l’impresa sottoposta a verifica positiva potrà sempre far valere, nel rispetto del termine prescrizionale del diritto, la sua pretesa restitutoria dinanzi al giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva ( art. 133, lett. o) c.p.a.).
Se nel caso di accertamento dell’inadempimento il privato può contestare la legittimità di una potestà amministrativa a cui si ricollega una potestà sanzionatoria, a fronte di una verifica positiva dell’adempimento degli obblighi di legge la controversia riguarda esclusivamente il quantum dovuto e l’asserita ripetizione di quanto versato in più. Si tratta quindi di una controversia di natura patrimoniale, in cui non viene in questione il legittimo (o meno) esercizio di una potestà pubblica ma solo il corretto calcolo di quanto sia dovuto sul presupposto di una verifica dell’assolvimento degli obblighi di legge, verifica positiva che nell’immediatezza del suo svolgersi non è contestata da nessuna delle parti del rapporto sostanziale.
Al di là della natura del provvedimento, la soluzione del quesito posto a questa Adunanza plenaria risulterà di più immediata percezione se riguardata dal punto di vista della posizione del soggetto che agisce in giudizio: nel caso di accertamento negativo egli contesta l’esercizio di un potere unilaterale dell’amministrazione di accertare l’inadempimento, cui consegue l’avvio del procedimento sanzionatorio; nel caso di verifica positiva, il privato non si duole (né potrebbe dolersi) degli esiti della verifica, positiva, e tanto basta a escludere che ogni relativa controversia possa avere ad oggetto l’esercizio di un potere autoritativo (il)legittimanete esercitato.
Se quindi è contestata la determinazione del dovuto e si agisce in giudizio – come nel caso in esame- con un’azione di ripetizione di indebito, la controversia non afferisce all’esercizio di un potere autoritativo, ma a mere posizioni patrimoniali delle parti, , giustiziabili nel rispetto del termine prescrizionale del diritto fatto valere.
5.9 Da ultimo, l’Adunanza plenaria non può esimersi dal rilevare come tale soluzione duale riguardo alla natura degli atti del GSE (provvedimentale/ non provvedimentale, a seconda degli esitidel procedimento di verifica) risulti pienamente coerente con la scelta legislativa, non altrimenti giustificabile ove non connessa all’esercizio di poteri amministrativi (cfr. Corte cost. n. 292 del 2000, n. 204 del 2004 e n. 140 del 2007), di affidare alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo la giurisdizione anche di questa materia, sia che vengano in gioco poteri autoritativi in senso tecnico e quindi interessi legittimi, sia che si controverta di meri diritti soggettivi di natura patrimoniale, solo indirettamente collegati all’esercizio di un potere autoritativo nel cui ambito pur si inseriscono, come appunto quelli qui dedotti in termini di condictio indebiti con l’atto introduttivo del giudizio.
5.10 Ciò precisato in ordine alla natura degli atti in esame ed alla diversa declinazione ontologica degli stessi, a seconda degli esiti della verifica, la causa deve esser rinviata alla Sezione remittente per il suo ulteriore corso.
Nell’esercizio della giurisdizione esclusiva affidata nella materia al giudice amministrativo, la Sezione conoscerà della fondatezza o meno della pretesa restitutoria azionata nel merito da Enel s.p.a..
In tale ambito, allo scrutinio giurisdizionale della Sezione non sfuggirà ogni opportuna valutazione, tra gli altri, di alcuni ineludibili profili cognitori che la causa pone in connessione alla risoluzione dei seguenti quesiti:
se il criterio di calcolo della quota d’obbligo ritenuto legittimo dalla sentenza del T.a.r. del Lazio n. 1467 del 2006 sia suscettibile di applicazione anche al di fuori del quadro regolatorio relativo al regime dei rimborsi degli oneri a carico dei produttori, che risultava limitata alla energia immessa in rete e destinata ai clienti del mercato vincolato, avuto riguardo al contesto normativo in cui si inseriva la delibera AEEG (oggi ARERA) n. 101 del 2005 oggetto di impugnazione nel giudizio definito con la predetta sentenza;
in particolare, se una volta cessata l’efficacia temporale della citata delibera n. 101/05 ed esclusa quindi la rilevanza (ai fini del computo della quota d’obbligo) della sola energia immessa in rete e destinata ai clienti del mercato vincolato prevista da quella delibera e validata dal T.a.r. con la richiamata sentenza, non sia più corretto il criterio di calcolo, seguito dalla stessa appellante in sede di allegazione della autodichiarazione sui volumi di produzione di energia da fonte non rinnovabile validato dal GSE per il periodo 2003-2008, che fa riferimento appunto ai quantitativi complessivi di energia da fonte non rinnovabile prodotta dagli impianti Enel s.p.a., ivi compresa quella consumata dagli impianti di pompaggio, avuto riguardo alla primaria finalità della legge ( d.lgs. n. 79/99) di colpire a mezzo della imposizione della quota d’obbligo lo stock complessivo di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili;
se ed in che misura, nel periodo di riferimento 2003-2008, cui si riferisce la pretesa restitutoria, il soggetto produttore Enel s.p.a. si sia remunerato sul mercato, attraverso una voce fissa della tariffa dell’energia elettrica corrisposta dalla clientela, degli oneri connessi all’adempimento della quota d’obbligo, e se quindi la restituzione rivendicata in questo giudizio possa o meno integrare una iniusta locupletatio;
in base a quale criterio di riferimento, in rapporto alla quantificazione degli oneri dovuti dai produttori nel suddetto periodo 2003-2008, sia stata calcolata la voce della tariffa suddetta.
5.11 In definitiva, alla luce di tutte le suesposte ragioni, l’Adunanza plenaria ritiene di poter definire, per quanto di sua competenza, la parentesi cognitoria del giudizio conseguente alla ordinanza di rimessione con l’affermazione del seguente principio di diritto:
<< Hanno natura provvedimentale soltanto gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte degli importatori o produttori di energia da fonte non rinnovabile, dell’obbligo di cui all’art.11 d.lgs. n. 79/99. Salvo il legittimo esercizio, ricorrendone i presupposti, dell’autotutela amministrativa, tali atti diventano pertanto definitivi ove non impugnati nei termini decadenziali di legge.
Deve invece riconnettersi natura non provvedimentale agli atti con cui il GSE accerta in positivo l’avvenuto puntuale adempimento del suddetto obbligo da parte degli operatori economici di settore>>.
Ai fini della risoluzione delle ulteriori questioni controverse (ed in primis per l’esame del secondo motivo d’appello, inerente al preteso effetto conformativo nascente dal giudicato esterno formatosi inter partes a seguito della sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 1437 del 2006), nonché ai fini della definizione dell’intero giudizio alla luce del principio di diritto in questa sede espresso, le parti sono rimesse dinanzi alla quarta Sezione del Consiglio di Stato, cui vanno restituiti gli atti di causa per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese, anche di questa fase di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
a) formula il principio di diritto di cui in motivazione;
b) restituisce gli atti alla Sezione IV del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2019, con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio Santoro, Presidente
Franco Frattini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
IL PRESIDENTE
Filippo Patroni Griffi
L’ESTENSORE
Giulio Castriota Scanderbeg
IL SEGRETARIO