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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali Numero: 8502 | Data di udienza: 10 Ottobre 2024

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo paesaggistico – Parere della soprintendenza – Trasmissione tardiva – Effetti (Massima a cura di Giovanni Zaccaria)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Ottobre 2024
Numero: 8502
Data di udienza: 10 Ottobre 2024
Presidente: Simonetti
Estensore: Agostini


Premassima

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo paesaggistico – Parere della soprintendenza – Trasmissione tardiva – Effetti (Massima a cura di Giovanni Zaccaria)



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 23 ottobre 2024, n. 8502

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo paesaggistico – Parere della soprintendenza – Trasmissione tardiva – Effetti.

L’effetto della trasmissione tardiva del parere della Soprintendenza non è la consumazione del potere ma la trasformazione del valore del parere da vincolante in non vincolante, con la conseguente possibilità per l’Autorità procedente di poterlo confermare o di poterne prescindere purché motivatamente.

(Conferma TAR Lazio, Roma, n. 5314/2020) – Pres. Simonetti, Est. Agostini – A.M.T. (avv. Petrillo) c. Ministero della Cultura (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 23 ottobre 2024, n. 8502

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9288 del 2020, proposto da
Anna Maria Trovalusci, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Petrillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio, 18;

contro

Ministero della Cultura (già dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) – Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio e Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma-Viterbo-Etruria Meridionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di Marino, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 5314/2020, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2024 il Cons. Gudrun Agostini e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Petrillo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. E’ impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez, II quater, n. 5324/2020 che ha respinto il ricorso proposto dalla Sig.ra Anna Maria Trovalusci per l’annullamento del parere negativo di compatibilità paesaggistica (prot. 11795 del 5.12.2016) co. 5 d.lgs. n. 42/2004 della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo.

2. L’appellante espone le seguenti circostanze in punto di fatto:

– di essere proprietaria dell’immobile sito nel Comune di Marino, Via Torre di Messer Paoli n. 72, contraddistinto in Catasto al Foglio n. 19-31, Particella n. 41-1064 sul quale è intenzionata di eseguire interventi di ampliamento ai sensi dell’art. 6 della legge regionale n. 21 del 2009 in quanto la citata legge all’art. 3 ammetterebbe questo tipo di intervento in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi;

– di aver quindi richiesto in data 4.6.2015 al Comune di Marino l’autorizzazione a procedere ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 trattandosi di immobile sito in area di interesse paesaggistico, in particolare nella zona agricola E in area vincolata;

– che in data 7.8.2015 il Comune di Marino, avendo effettuato il preliminare esame istruttorio e avendolo ritenuto prima facie conforme alla normativa paesaggistica, ha trasmesso l’istanza munita dei relativi documenti alla Soprintendenza ai fini dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42/2004;

– che la Soprintendenza ha comunicato in data 18.09.2015 un preavviso di rigetto, sul presupposto che la legge regionale n. 21 del 2009 non permetterebbe ampliamenti in deroga ai vincoli relativi a beni culturali, paesaggistici ed ambientali;

– di aver presentato in data 30.09.2015 osservazioni ex art. 10 bis della L. 241/1990 che per oltre un anno non hanno avuto alcun seguito da parte della Soprintendenza;

– in data 23.05.2016, a distanza di otto mesi dalla presentazione delle osservazioni al preavviso di rigetto della Soprintendenza, non avendo ricevuto notizie, rivolgeva istanza al Comune di Marino per evidenziare che le osservazioni mosse potessero ritenersi accolte, ed il parere considerarsi positivo, con la formazione del silenzio assenso (così come disposto dalla normativa in materia, anche in funzione di quanto disposto all’art. 17 bis, co. 3 dalla legge n. 241 del 1990);

– il Comune di Marino più volte (con le note prot. 30313, in data 17.06.2016, n. protocollo 18733 in data 12.10.2016 e n. protocollo 11468 data 1.12.2016) inoltrava alla Soprintendenza le osservazioni al preavviso sollecitando la stessa di esprimersi definitivamente nel merito della procedura di cui all’art. 146 del d.lgs. n.42 del 2004, anche in funzione del novello 17 bis della legge 241/1990;

– solo con nota 05.12.2016 la Soprintendenza rendeva parere negativo definitivo;

3. E’ stato quindi proposto ricorso innanzi al T.A.R. del Lazio per avversare il suddetto parere negativo affidato a tre motivi di censura per dolersi di: i) illegittimità del parere reso oltre il termine di legge di cui all’art. l’art. 146 cit. e per far valere la conseguente situazione di affidamento maturata; ii) violazione di legge ed eccesso di potere in relazione all’assunto della Soprintendenza secondo cui la legge regionale n. 21 del 2009 non si applicherebbe nella suddetta zona agricola vincolata; iii) per censurare violazione dell’art. 10 bis della legge 241/1990 in relazione all’ulteriore e nuova ragione giustificativa introdotta nel parere.

4. Con la sentenza n. 5314/2020 il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso con le seguenti motivazioni qui riassunte: i) il parere della Soprintendenza anche alla luce di quanto previsto dall’art. 146, comma 9 del d.lgs. n. 42/2004 può legittimamente sopraggiungere fino a quando non sia stato adottato l’atto conclusivo; in presenza di un preavviso di diniego non vi può essere spazio per un affidamento sull’esito positivo; ii) è conforme a normativa il parere negativo della Soprintendenza in quanto il comma 49 dell’art. 1 della L.R. 10/2014 non ha efficacia abrogativa e neppure di disciplina speciale rispetto alla fattispecie normata dal comma 8 dello stesso che non ammette questi interventi nelle zone definite dagli strumenti urbanistici vigenti come zone agricole E in area governata dal PTP in coerenza con il PTPR; iii) il parere negativo resta comunque fondato sulla iniziale causa ostativa e gli argomenti aggiuntivi mirano a dare risposta specifica alle osservazioni.

5. Di qui il ricorso in appello affidato ai seguenti motivi di censura:

I. “Omessa pronuncia sul primo motivo di ricorso; Erronea e falsa applicazione di legge”, con richiesta di riesame del primo motivo del ricorso originario.

II. “Error in iudicando; violazione di legge e falsa interpretazione della legge regionale n. 21 del 2009; eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, travisamento dei fatti, omessa ed erronea e insufficiente motivazione, nella parte in cui la sentenza afferma che “La sola lettura percorribile è, dunque, nel senso che il comma 49, per imprecisione del legislatore, ometta di riprodurre il riferimento alle zone agricole contenuto nel comma 8, poiché il suo obiettivo non è quello di normare nuovamente quanto già regolato dal comma 8, ma di aggiungere, relativamente ai soli interventi di cui al comma 3, che per essi “la sussistenza delle opere di urbanizzazione secondaria di cui all’articolo 3, comma 6 della L.R. n. 21/2009 e successive modifiche viene verificata in relazione agli standard urbanistici per la realizzazione delle opere medesime previsti dallo strumento urbanistico generale vigente o adottato e, ove necessario, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 7 della L.R. n. 21/2009 e successive modifiche”, per censurare in relazione al secondo motivo di ricorso un’opera di creazione normativa riservata al potere legislativo.

III “Error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per carenza di motivazione; carena di istruttoria nella parte in cui la sentenza afferma che “Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, perché l’atto impugnato si sarebbe arricchito di ragioni giustificative ulteriori rispetto a quelle segnalate nel preavviso di rigetto. La censura è infondata: il contenuto negativo del parere resta fondato sulla iniziale causa ostativa, costituita dall’insistenza dell’immobile in zona agricola tutelata”, per riproporre in riesame il terzo motivo originario.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero, allora denominato dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, chiedendo il rigetto dell’appello.

5. In data 4.9.2024 l’appellante ha depositato articolata memora ex art. 73 c.p.a..

6. All’udienza pubblica del 10 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Può quindi passarsi allo scrutinio del primo motivo di ricorso in appello con cui l’appellante si duole dell’omissione di pronuncia e di violazione di legge in relazione alla prima censura del ricorso introduttivo con cui aveva dedotto l’illegittimità del parere della Soprintendenza tardivamente espresso in spregio al termine massimo di 45 gg. concesso dal comma 5 dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004. Sosteneva e sostiene anche in questa sede che sussisterebbe un legittimo affidamento al positivo esito della pratica proprio in considerazione del fatto che la norma stabilisce che, in questi casi, l’autorizzazione paesaggistica viene data dall’amministrazione competente, ossia dal Comune, il quale in sede di preistruttoria, nel caso che ci occupa, si sarebbe già espresso sulla conformità urbanistica e paesaggistica dell’intervento da eseguirsi su in sito in cui la Soprintendenza con nota del 3 agosto 2015 aveva confermato la compatibilità con le presenze archeologiche del sito e il relativo vincolo.

La censura non merita di essere accolta.

Non si ravvisa la lamentata omissione di pronuncia da parte del primo giudice.

Il Tar ha giudicato la censura infondata adducendo i seguenti motivi: “… il potere pubblico non è in linea di principio soggetto a “consumazione”, benché la legge possa certamente circoscriverne l’esercizio entro una cornice temporale. Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che l’autorità competente, ovvero il Comune delegato, trascorso il termine di 60 giorni da quando la soprintendenza ha ricevuto gli atti, provveda sulla domanda di autorizzazione. Con ciò la legge permette che vi sia una pronuncia pur senza il prescritto parere, ma non esclude affatto che quest’ultimo possa sopraggiungere, prima dell’adozione dell’atto conclusivo (giurisprudenza costante: ad esempio, Tar Milano, n. 2738 del 2018). …” . Sulla pretesa situazione di affidamento il primo giudice ha così motivato: “Il rilievo non ha pregio: a tacer d’altro, non si vede come possa sorgere affidamento sull’esito positivo di una procedura già segnata da un preavviso di rigetto della domanda”.

Con riguardo al tema dell’efficacia del parere della Soprintendenza trasmesso o emanato oltre il termine di 45 giorni si registra in giurisprudenza un orientamento sufficientemente consolidato nel senso che il parere trasmesso o formulato oltre il termine “deve essere considerato privo dell’efficacia attribuitagli dalla legge, dunque privo di valenza obbligatoria e vincolante” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 novembre 2020 n. 388 e 29 marzo 2021, n. 2640), ma pur sempre efficace alla stregua di un parere non vincolante. Non vi è, infatti, nell’invocato art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio alcuna espressa comminatoria di decadenza della Soprintendenza dall’esercizio del relativo potere, una volta decorso il termine ivi previsto (cfr. anche Cons. Stato 2487/2023, 7293/2022).

In sostanza, l’effetto della trasmissione tardiva del parere della Soprintendenza non è la consumazione del potere, come sostenuto dall’appellante, ma la trasformazione del valore del parere da vincolante in non vincolante, con la conseguente possibilità per l’Autorità procedente, nella specie il Comune, di poterlo confermare o di poterne prescindere purché motivatamente. Nel caso in questione il Comune ha ritenuto di adeguarsi al parere della Soprintendenza con la particolarità che, nel caso che ci occupa, non si tratta di una valutazione paesaggistica caratterizzata da meri profili tecnico/discrezionali posto che l’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico nel suo parere negativo, seppur tardivo, ha opposto un ostacolo di natura giuridica all’esecuzione di quel tipo di intervento edilizio di ampliamento nella zona agricola in questione. Il parere è stato quindi espresso su un aspetto vincolato della fattispecie, su un divieto derivante direttamente dalle norme del PTPR, a fronte del quale l’autorità procedente non avrebbe potuto liberamente discostarsi adottando una motivazione autonoma.

In questo caso, di impossibilità giuridica, stante anche il preavviso di diniego puntualmente comunicato, si ritiene che non vi sia affidamento tutelabile.

2. Si può quindi passare all’esame del secondo e centrale motivo di appello con cui parte appellante deduce che il primo giudice nel ricostruire l’architettura normativa applicabile al caso di specie si sarebbe sostituito al Legislatore nell’aver attribuito alla L.R. 21/2009, per come modificata dalla L.R. 10/2014, un precetto ultroneo rispetto alla chiara lettera dello stesso. Sempre con il secondo motivo di censura la ricorrente rimette in discussione il parere della Soprintendenza nella parte in cui nel negare il parere di compatibilità paesaggistica afferma ulteriormente che non sarebbe chiara la definizione degli ambienti pertinenziali previsti nell’intervento. A tale riguardo specifica che l’intervento “di ampliamento” oggetto del parere è stato da lei richiesta per il lotto in questione ai sensi della L.R. n. 21/2009 (nota come “Piano casa”) per il quale l’art. 1, comma 49 della L.R. 10/2014 (intitolata: “Modifiche alle leggi regionali relative al governo del territorio, alle aree naturali protette regionali ed alle funzioni amministrative in materia di paesaggio”) prevede la seguente disciplina permissiva: “Gli interventi di cui all’articolo 3 della l.r. 21/2009 e successive modifiche, sono consentiti anche nei casi in cui le norme dei piani territoriali paesistici (PTP) rimandino alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, fatte salve le ulteriori limitazioni o prescrizioni contenute nelle norme dei PTP in coerenza con il piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR)”. Sottolinea quindi che, seppur, l’art. 1 comma 8 della stessa legge regionale introduce nella L.R. n. 21 del 2009 il comma 5 bis dell’art. 2 che esclude per tutti gli interventi di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4 e 5, le zone agricole, l’art. 1, comma 49 della L.R. n. 10 del 2014, ne consentirebbe invece la realizzazione limitatamente agli interventi di cui all’art. 3 della suddetta l.r. n. 21 del 2009 di ampliamento degli edifici, anche nei casi in cui le norme dei piani territoriali paesistici (P.T.P.) rimandino alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, fatte salve le ulteriori limitazioni o prescrizioni contenute nelle norme dei P.T.P. in coerenza con il piano territoriale paesaggistico regionale (P.T.P.R.), includendo, dunque, anche le zone agricole E. Questa disciplina sarebbe oltretutto in linea con l’art. 27bis (comma 1 bis) della L.R. n. 24 del 1998 (“Varianti agli strumenti urbanistici richiamati dai P.T.P.”) che consente le varianti degli strumenti urbanistici vigenti anche nelle zone definite “E” ai sensi del d.m. n. 1444 del 68 “nei casi in cui le stesse ricadano in aree di scarso pregio paesistico classificate dai P.T.P. vigenti con il livello minimo di tutela, di limitata estensione ed adiacenti a zone legittimamente edificate” che ricorrerebbe per il lotto di terreno oggetto di causa che risulta all’uopo catalogato dalla delibera G.R. n. 601/2006 tra le aree di scarso pregio classificate al livello minimo di tutela.

Il motivo di appello non è meritevole di accoglimento per le ragioni che seguono.

Ritiene il Collegio di non poter ravvisare alcun eccesso di potere giurisdizionale da parte del primo giudice il quale invero si è limitato, nel rispetto dei criteri ermeneutici, a fornire una interpretazione coerente con i principi generali in materia, con lo spirito della legge regionale e non in contrasto con la lettera della stessa.

L’art. 1 della L.r. 21/2009 nel circoscrivere l’oggetto e la finalità della legge (c.d. “Piano casa”) sancisce che la presente legge disciplina interventi straordinari nel settore edilizio “nel rispetto dei vincoli relativi ai beni culturali, paesaggistici e ambientali”.

Il lotto oggetto di intervento è sito in ambito decretato ai sensi dell’art. 136 del D.lgs 42/2004 sancito con DM del 29/08/1959, successivamente riaccorpato nel DM del 22/05/1985 e ambito tutelato ope legis ai sensi dell’art. 142 lett. m), oltre che in zona agricola E di PRG priva di edificabilità e in Paesaggio Agrario di valore di PTPR. L’art. 2, comma 3, della stessa legge regionale dispone che “per gli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico gli interventi di cui al presente capo sono consentiti previa autorizzazione dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, secondo quanto previsto dall’art. 146 del d.lgs. 42/2004”. Alla luce del principio generale secondo cui le previsioni paesaggistiche non sono derogabili da parte di disposizioni urbanistiche, principio che viene qui espressamente fatto salvo dall’art. 1 della L.r. 21/2009, non vi sono dubbi sul fatto che la apparente incongruenza tra il comma 8 e il comma 49 dello stesso debba essere risolto dando prevalenza, come fatto dal Tribunale, alla previsione del primo (comma 8 dell’art. 49) che rappresenta la disciplina base e che così recita “Dopo il comma 5 dell’articolo 2 della l.r. 21/2009 è aggiunto il seguente: “5 bis. Sono consentiti gli interventi previsti dagli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4 e 5, nei casi in cui le norme dei piani territoriali paesistici (PTP) rimandino alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, purché non attengano alle zone definite dagli strumenti stessi come zone E ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, fatte salve le ulteriori limitazioni o prescrizioni contenute nelle norme dei PTP in coerenza con il PTPR.”. Questo anche per il fatto che con il comma 8 il legislatore ha dettato una nuova disciplina derogatoria, che sempre richiede una interpretazione restrittiva e che categoricamente esclude le zone E, per il fatto che in queste zone sono ammessi solo interventi di tipo conservativo e di ristrutturazione senza ampliamenti se non funzionali alle attività agricole. Nel caso che ci occupa, dove è prevista la realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica in posizione diversa dall’esistente, il diniego è motivato dal fatto che l’art. 1, comma 49 della L.r. 10/2014 dedicato agli interventi di cui all’art. 3 L.r. 21/2009 richiama le norme del PTPR che individua l’ambito in questione come “paesaggio agrario di valore” e le cui norme non consentono in tali ambiti la realizzazione di nuovi manufatti. Come detto sopra, queste previsioni paesaggistiche non sono derogabili dalle previsioni urbanistiche citate dall’appellante. La Soprintendenza ha altresì evidenziato che anche l’art. 3, comma 3 lett. a) della L.r. 21/2009 per come riformata nel 2014 prevede unicamente la possibilità di ampliamento in aderenza rispetto al corpo di fabbrica esistente e che la realizzazione di un corpo autonomo è possibile esclusivamente nei dimostrati casi, qui non ricorrente, in cui la prima non sia possibile e/o comprometta l’estetica di quello principale e solo per un corpo di carattere accessorio.

Ritiene inoltre il Collegio che a nulla rileva il richiamo all’art. 27bis (comma 1 bis) della L.R. n. 24 del 1998 in quanto non si discute di varianti urbanistiche ma di interventi edilizi previsti da norma di legge regionale derogatoria direttamente attuabili attraverso il rilascio dei relativi titoli edilizi.

3. Anche il terzo motivo di ricorso in appello, con cui si ripropone il supposto vizio di illegittimità del parere conclusivo avendo esso introdotto ulteriori argomenti ostativi non presenti nel preavviso denegando quindi su questi aspetti il giusto contradditorio, è da ritenersi infondato. Sul punto, il Collegio non ravvisa alcuna ragione di discostarsi dal pronunciamento di cui alla sentenza, per il fatto che – come giustamente sottolineato dal primo giudice- l’argomento centrale su cui poggia il parere negativo -e che costituisce una causa ostativa assoluta all’intervento- è di tipo normativo e non fa tanto leva sulle valutazioni prettamente paesaggistiche espresse dalla Soprintendenza.

Per le ragioni tutte sopra esposte l’appello va respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte appellante alla rifusione delle spese di giudizio in favore del Ministero della cultura che si liquidano in e € 4.000,00 (quattromila/00) più accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Gudrun Agostini, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE I
Gudrun Agostini 

L PRESIDENTE
Hadrian Simonetti

IL SEGRETARIO

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