RISARCIMENTO DEL DANNO – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Illegittimità del silenzio – Demolizione di opere abusive – Termine di conclusione del procedimento di ingiunzione di demolizione – Risarcimento dei danni causati dall’inerzia dell’amministrazione – Nesso di causalità tra condotta omissiva e pregiudizio subito (Massima a cura di Lucrezia Corradetti)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Novembre 2023
Numero: 9583
Data di udienza: 26 Ottobre 2023
Presidente: Simonetti
Estensore: Mathà
Premassima
RISARCIMENTO DEL DANNO – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Illegittimità del silenzio – Demolizione di opere abusive – Termine di conclusione del procedimento di ingiunzione di demolizione – Risarcimento dei danni causati dall’inerzia dell’amministrazione – Nesso di causalità tra condotta omissiva e pregiudizio subito (Massima a cura di Lucrezia Corradetti)
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 7 novembre 2023, n. 9583
RISARCIMENTO DEL DANNO – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Illegittimità del silenzio – Demolizione di opere abusive – Termine di conclusione del procedimento di ingiunzione di demolizione – Risarcimento dei danni causati dall’inerzia dell’amministrazione – Nesso di causalità tra condotta omissiva e pregiudizio subito.
É illegittima la condotta omissiva dell’amministrazione che, in assenza di giustificati motivi, non dia seguito al procedimento di demolizione di un immobile abusivo, quantunque esecutivo e definitivo. A tale inerzia consegue il diritto per i soggetti controinteressati al risarcimento del danno consistente nell’impossibilità di godere dell’immobile di proprietà e, conseguentemente, nella lesione delle prerogative proprietarie, derivante dalla condotta negligente dell’amministrazione.
Pres. Simonetti, Est. Mathà – F.T. e altro (avv. Potenza) c. Comune di Potenza (avv. Zaccardo)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 7 novembre 2023, n. 9583SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7732 del 2020, proposto da
Filomena Triani e Rocchina Secco, rappresentate e difese dall’avvocato Francesco Potenza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Potenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Rosa Zaccardo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Potenza, via Nazario Sauro;
nei confronti
Francesco Laguardia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. 00474/2020, resa tra le parti, concernente risarcimento del danno da ritardo conseguente a silenzio della P.A. intimata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Potenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2023 il Cons. Thomas Mathà;
Nessuno è presente per le parti costituite:
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso iscritto al n.r.g. 126/2019 le signore Filomena Triani e Rocchina Secco chiedevano al Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Potenza sull’istanza dalle stesse presentata e volta ad ottenere la fissazione del termine temporale entro cui dovevano concludersi i procedimenti di cui: 1) all’ingiunzione comunale di demolizione e messa in pristino prot. n. 036986 del 14.05.2013; 2) al nuovo permesso di costruire in sanatoria presentato dal signor Francesco Laguardia nel maggio del 2017.
2. Dai fatti di causa emerge che le sigg.re Triani e Secco sono comproprietarie di un immobile ad uso abitativo sito in Potenza alla via San Vito n. 103 (in catasto al foglio 49 particella 92).
3. Con provvedimento prot. n. 036986 del 14.05.2013, il Comune di Potenza, in persona del responsabile dell’U.D. Edilizia e Pianificazione, ingiungeva al signor Laguardia, quale committente dei lavori, nonché alla proprietaria, al progettista ed all’impresa esecutrice degli stessi, la demolizione di opere abusive realizzate nel suddetto immobile, consistenti nella ristrutturazione edilizia dell’unità immobiliare sita al primo piano e del sovrastante sottotetto, realizzata tramite demolizione del solaio preesistente e la realizzazione di un nuovo solaio in c.a. con predisposizione di una botola per il collegamento dei due piani, con un incremento di volumetria pari a 64,24 m2.
4. Detto intervento abusivo era già stato oggetto di precedenti ordini di demolizione del Comune, tanto che l’intero immobile fu sottoposto ad un provvedimento sindacale di sgombero – a tutt’oggi non revocato – e risalente al 31.12.2004, n. 79, cui fece seguito, in data 28.04.2005, l’apposizione dei sigilli, rinnovata in data 11.03.2015.
5. A seguito dell’adozione dell’ordine di demolizione del 2013, le odierne appellanti invitavano a più riprese l’Amministrazione Comunale di Potenza a dar corso alla procedura di demolizione, senza ottenere alcun riscontro. In data 16.10.2018 le appellanti chiedevano alla P.A. resistente di determinare il termine temporale entro il quale avrebbero dovuto concludersi i procedimenti di cui all’ingiunzione di demolizione e messa in pristino prot. n. 036986 del 14.05.2013 e di cui al nuovo permesso di costruire in sanatoria presentato dal signor Laguardia nel maggio del 2017, ovvero, nel caso in cui detto termine fosse stato determinato, di esserne messe a conoscenza, segnalando che, in assenza di determinazione, il termine sarebbe stato di 30 giorni.
6. Il Comune non dava seguito all’istanza, sicché le appellanti ricorrevano innanzi al TAR Basilicata per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato e la fissazione di un termine per la conclusione dei suddetti procedimenti, nonché per il risarcimento dei danni subìti a causa dell’inerzia del Comune.
7. Con sentenza non definitiva n. 819/2019 il TAR adito accoglieva in parte il ricorso accertando l’obbligo del Comune di Potenza di stabilire in modo espresso entro trenta giorni il termine di conclusione del procedimento di cui all’ingiunzione di demolizione e messa in pristino prot. n. 36986 del 14 maggio 2013, e disponendo la prosecuzione del giudizio con il rito ordinario per la decisione sull’istanza risarcitoria.
8. Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR Basilicata rigettava la richiesta di risarcimento danni, ritenendo che le odierne appellanti non avessero fornito sufficienti elementi al fine di provare: 1) il nesso causale tra la condotta omissiva del Comune ed il pregiudizio subito e 2) la quantificazione del danno.
9. Appellano la sentenza le ricorrenti di primo grado, deducendo con un unico motivo l’illegittimità della sentenza impugnata per illogicità e contraddittorietà, difetto di motivazione e violazione degli artt. 1226 c.c. e 2697 c.c.
10. Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale, insistendo per l’infondatezza dell’appello.
11. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
12. Preliminarmente occorre osservare che l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune è tardiva in quanto dichiarata assorbita in appello e riproposta solo con memoria del 6 settembre 2023, scaduto il termine decadenziale di cui all’art. 101, comma 2, c.p.a. In ogni caso l’eccezione è infondata, posto che l’inerzia dell’amministrazione costituisce un illecito permanente, il cui termine di prescrizione inizia a decorrere solo al momento di cessazione della permanenza, ossia, nel caso di illecito omissivo, nel momento in cui viene posto in essere il comportamento dovuto. Nel caso di specie tale comportamento non risulta ad oggi ancora posto in essere.
13. Con unico motivo di appello si articolano le diverse censure alla sentenza impugnata che così possono essere sintetizzate.
14. Ad avviso delle appellanti, sarebbe indubbia, in primo luogo, la correlazione causale fra il comportamento omissivo del Comune ed il danno dalle stesse subìto. Ed invero, a seguito dell’adozione della prima ordinanza di demolizione il Comune adottava l’ordinanza di sgombero del 28.12.2004 e, successivamente, in data 28.04.2005, il Nucleo di Polizia Edilizia del Comune di Potenza apponeva in loco misure cautelari costituite da un nastro di colore bianco-rosso dinanzi all’immobile ad uso abitativo delle ricorrenti, apposto nuovamente in data 11.03.2015, in virtù della vetustà del provvedimento precedentemente adottato ed in quanto provvisoriamente divelte dalle intemperie atmosferiche. Non è dunque controverso, né è contestato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 64, comma 2, c.p.a., il fatto che le appellanti non fruiscono del proprio immobile da oltre 19 anni e che le cause di tale mancato godimento sono attribuibili, oltre che all’attività posta in essere dal responsabile dell’abuso edilizio (nei termini ricavabili anche dalla narrazione dei fatti contenuta nella sentenza Tar Basilicata n. 199 del 2012, tra le stesse parti), dalla stessa P.A. appellata che, con la propria illegittima condotta omissiva, protratta ingiustificatamente negli anni, non ha ancora eseguito la propria ordinanza di demolizione e messa in pristino e, dunque, non ha posto le premesse affinché avvenisse il rientro degli odierni ricorrenti nella propria casa. Quanto al pregiudizio patrimoniale subìto, questo deriverebbe, da un lato, dall’impossibilità di godere a scopo abitativo dell’immobile de quo e, dall’altro, “dal disagio relativo alla sfera non patrimoniale e/o di natura esistenziale ed afferente la vita di relazione delle stesse”. Si tratterebbe dunque di un danno liquidabile in via equitativa ai sensi dell’art 1226 c.c.
15. L’appello è fondato.
16. La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che “L’esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l’emanazione di atti illegittimi quanto con un’inerzia colpevole, può essere fonte di responsabilità aquiliana, sulla base del principio generale del neminem laedere (art. 2043 c.c.). Il rapporto amministrativo si caratterizza, infatti, per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale ed in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, ad ingenerare la responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione” (Cons. Stato, sez. VI, 22/11/2022, n. 10269; id., sez. IV, 12/11/2015, n. 5143: “La domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043, può essere accolta dal giudice, solo se l’istante — su cui, ex art. 2697 c.c., incombe l’onere di provare gli elementi costitutivi della fattispecie illecita — dimostri, tra l’altro, che la mancata adozione del provvedimento dovuto, ha provocato nel suo patrimonio pregiudizi che non si sarebbero verificati ove l’atto fosse stato tempestivamente emanato”).
17. La risarcibilità del danno dipende dunque dall’esistenza di tutti gli elementi dell’illecito aquiliano, che possono ritenersi sussistenti nel caso di specie, nei seguenti termini.
18. Data in premessa la titolarità in capo agli appellanti di una situazione soggettiva meritevole di tutela, tale essendo il loro diritto di proprietà la cui lesione è derivata dagli abusi edilizi commessi dal vicino odierno controinteressato e per la cui tutela abbisognava dell’intervento della pubblica amministrazione (da qui una componente anche pretensiva), accertata l’inerzia e con essa l’illegittimità del comportamento omissivo del Comune alla luce della sentenza del Tar Basilicata n. 819 del 2019, sul piano causale, seguendo il canone di giudizio del “più probabile che non”, è verosimile ritenere che, se l’Amministrazione avesse agito legittimamente nei termini della legge le appellanti avrebbero ottenuto il “bene della vita” anche ai fini economici.
19. Il TAR ha tuttavia negato il risarcimento del danno patrimoniale ritenendo che non era stata fornita la prova del nesso causale tra la condotta omissiva del Comune ed il pregiudizio subito e non era stata dettagliata la quantificazione del danno.
20. La prospettiva non può essere condivisa.
21. L’illiceità della condotta dell’amministrazione può ritenersi accertata alla luce della già richiamata sentenza non definitiva del TAR Basilicata n. 819/2019, che ha dichiarato l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza delle odierne appellanti. Più in generale, deve ritenersi illegittima la condotta omissiva dell’amministrazione che, in assenza di giustificati motivi, non dia seguito al procedimento di demolizione di un immobile abusivo, quantunque esecutivo e definitivo.
22. Tale condotta deve inoltre ritenersi colpevole alla luce della costante giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale “l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa” (Cons. Stato, sez. VI, 08/09/2020, n. 5409). Ed invero l’inerzia del Comune di Potenza non appare giustificabile alla luce dei canoni sopra elencati, posto che:
i) la presentazione di un’istanza di permesso di costruire in sanatoria non giustifica un’inerzia protrattasi per oltre cinque anni, posto che sulla suddetta domanda si forma il silenzio rigetto decorso il termine di sessanta giorni;
ii) in ogni caso l’istanza è stata presentata solo nel 2017;
iii) le odierne appellanti hanno depositato documentazione idonea a provare la fattibilità tecnica dell’intervento demolitorio (cfr. perizie tecniche dell’Ing. Dario De Luca, anno 2011 e del Geol. Antonio Ugliano, agosto 2016), sicché anche il paventato rischio per la stabilità dell’edificio non appare fondato;
iv) in ogni caso, il Comune non ha portato a termine, nel periodo successivo all’adozione dell’ordine di demolizione, la procedura di verifica statico-sismica a cura dell’Ing. Pomponio. Non si rinviene, inoltre, alcun errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 909/2020).
23. Il danno evento consiste, nel caso di specie, nell’impossibilità per le appellanti di godere dell’immobile di loro proprietà e, di conseguenza, nella lesione delle loro prerogative proprietarie. È doveroso sottolineare che – giova ribadire – il Comune non hai mai contestato che i proprietari dal 2004 non potevano più disporre del loro bene.
24. Quanto al nesso causale, la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che “Ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’Amministrazione e l’evento dannoso, si deve muovere dall’applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in forza dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della conditio sine qua non). Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41, comma 2, c.p., in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto” (Cons. Stato, sez. VI, 19/01/2023, n. 674).
25. In particolare, trattandosi di causalità omissiva, “In tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio contro fattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa -statistica delle frequenze di classi di eventi (c. d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)” (Cassazione civile, sez. III, 14/03/2022, n. 8114).
26. Nel caso di specie è evidente che la condotta negligente del Comune costituisca una condicio sine qua non dell’evento dannoso, unitamente alla condotta dei responsabili dell’abuso. Ed invero, l’esecuzione dell’ordine di demolizione, con il conseguente ripristino dello stato (e della sicurezza) dei luoghi, avrebbe consentito la rimozione dei sigilli apposti sull’immobile delle ricorrenti e, di conseguenza, la possibilità per le stesse di tornare ad abitare nell’immobile de quo. Di contro, l’inerzia dell’amministrazione, unitamente al comportamento omissivo dei destinatari dell’ordine di demolizione, ha prodotto una situazione di stallo complessivo che ha impedito alle stesse di godere dell’immobile.
27. Passando, infine, al quantum risarcitorio, “il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale” (Cassazione Civile, Sez. Unite, 15/11/2022, n. 33645).
28. Secondo la giurisprudenza civile, in tema di risarcimento del danno da impossibilità di godere di un bene immobile, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza. L’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito. A fronte di tale allegazione, il convenuto ha l’onere di opporre che il proprietario non avrebbe esercitato il diritto di godimento. La contestazione al riguardo non può essere generica, ma deve essere specifica, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115 c.p.c., comma 1. In presenza di una specifica contestazione sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici. Nel caso della presunzione l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa. Sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa (Cassazione civile, Sez. Unite, 15/11/2022, n. 33645).
29. Nel caso di specie le appellanti hanno allegato l’impossibilità di abitare nell’immobile a causa dello sgombero e dell’apposizione dei sigilli (sgombero determinato, si intende, dalla condotta abusiva del vicino), e tale circostanza non è mai stata specificamente contestata dal Comune, il quale, in primo grado, si è limitato a difendere la legittimità del proprio operato e a chiedere il respingimento della domanda risarcitoria in quanto infondata e generica, e in secondo grado ha aderito alle considerazioni del TAR secondo le quali non vi sarebbe prova del nesso causale fra condotta ed evento né del quantum risarcibile. In altre parole, il Comune non ha mai contestato l’affermazione secondo la quale, in assenza della propria condotta antigiuridica, legatasi a quella del controinteressato, le appellanti avrebbero abitato nell’immobile de quo, sicché tale circostanza deve ritenersi sufficientemente provata in quanto oggetto di puntuale allegazione da parte delle odierne appellanti e non contestata da controparte.
30. Sebbene il quantum invocato dalle appellanti (25.000 Euro) non sia circostanziato da elementi di maggiore o specifico dettaglio, corrisponde ad un dato di comune (e ovvia) conoscenza il fatto che dalla fruibilità del bene le parti appellate avrebbero in tutti questi anni ricavato un vantaggio economico sicuramente apprezzabile, ovvero non avrebbero dovuto sostenere delle spese. Ciò detto sull’an della pretesa, in ordine al quantum del danno patrimoniale, sulla base di un equo apprezzamento delle circostanze del caso concreto (art. 2056 c.c.) l’importo di 25.000 Euro è logicamente proporzionato alla durata dell’illecito e all’importanza del bene leso.
31. Il risarcimento dei danni derivanti dall’impossibilità di abitare nell’immobile, derivante dall’ordine di sgombero e dall’apposizione dei sigilli, può dunque essere liquidato in via equitativa, in 25.000 Euro.
32. In definitiva, l’appello va accolto, ed in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, accertando il diritto al risarcimento del danno di 25.000 Euro già liquidati all’attualità, oltre ad interessi al saggio legale a far data dalla pubblicazione della sentenza e sino all’effettivo soddisfo.
33. Alla soccombenza segue la decisione sulle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed in riforma della sentenza gravata, accoglie la domanda di risarcimento avanzata con il ricorso di primo grado condannando il Comune di Potenza al pagamento di 25.000 Euro (venticinquemila), oltre interessi sino al soddisfo, a titolo di risarcimento danni, alle signore Filomena Triani e Rocchina Secco. Condanna il Comune di Potenza altresì al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge, se dovuti, a favore di parte appellante.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Thomas Mathà
IL PRESIDENTE
Hadrian Simonetti
IL SEGRETARIO