DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive – Ordine demolizione – Natura – Motivazione (Massima a cura di Giovanni Zaccaria)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 7^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Novembre 2023
Numero: 9719
Data di udienza: 10 Novembre 2023
Presidente: Confalonieri
Estensore: Addesso
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive – Ordine demolizione – Natura – Motivazione (Massima a cura di Giovanni Zaccaria)
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 7^ – 13 novembre 2023, n. 9719
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive – Ordine demolizione – Natura – Motivazione.
L’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e vincolato che deve ritenersi sufficientemente motivato con la compiuta descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro esecuzione in mancanza del necessario titolo abusivo.
(Conferma Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 251) – Pres. Confalonieri, Est. Addesso – G.C.E. e altro (avv. Sarro) c. Comune di Piano di Sorrento (avv. Furno
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 7^ – 13 novembre 2023, n. 9719SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9679 del 2019, proposto da
Carlo Enrico Guazzoni e Piera Guazzoni, rappresentati e difesi dall’avvocato Carlo Sarro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale Gramsci 19;
contro
Comune di Piano di Sorrento, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli 11;
Regione Campania, in persona del presidente di giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Vittoria De Gennaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – sede di Napoli (sezione settima) n. 1924/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Piano di Sorrento e della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 10 novembre 2023 il Cons. Carmelina Addesso e udito per la Regione Campania l’avv. Maria Vittoria De Gennaro;
Viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione degli appellanti e del comune appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli odierni appellanti chiedono la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione settima, n. 1924 del 8 aprile 2019 che ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti per l’annullamento dei provvedimenti di sospensione dei lavori, di demolizione delle opere abusive, di divieto di ripresa dei lavori e del diniego di condono, relativi a quattro manufatti realizzati sul fondo di loro proprietà sito nel Comune di Piano di Sorrento alla via II traversa Bagnulo n. 23 (ex via Mastellone n. 9).
2. Le opere oggetto dei provvedimenti impugnati consistono in:
I) manufatto 1, al piano terra del fabbricato, fg. 3 p.lla 122, sub 5 (già sub 3), indicato nel contratto di compravendita in data 6 luglio 1987 come un «comodo al piano terra composto da un unico locale ad “elle” attualmente adibito a deposito», oggetto della comunicazione di opere interne di recupero igienico-sanitario e di conservazione con rifacimento degli impianti senza variazione di superfici, volumi, sagoma e prospetti, ex art. 26 della legge n. 47/1985 prot. n. 12758 del 6 luglio 1998 (dove è descritto come «appartamento» al piano terra «di un fabbricato adibito a civile abitazione»), e della CIL prot. n. 21756 del 21 settembre 2015 (pratica n. 541/2015);
II) manufatto 2, fg. 3 p.lla 222, consistente in una baracca con struttura metallica appoggiata al suolo, realizzata senza titolo edilizio; per tale «locale adibito a deposito attrezzi» risulta presentata l’istanza di condono prot. n. 7149 del 25 febbraio 1995 (pratica n. 244), nella quale si precisa che «è in corso la relativa pratica catastale per la denuncia all’UTE di Napoli»;
III) manufatto 3, fg. 3 p.lle 119-122-222, oggetto della domanda di condono edilizio prot. n. 18406 del 30 dicembre 1986 (pratica n. 574) perché realizzato «in assenza della licenza edilizia o concessione», con destinazione d’uso «attività industriale o artigianale» (lucidatura di infissi e mobili in legno); su tale porzione, sono state rilasciate diverse autorizzazioni per l’esecuzione di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione, «fatta salva la determinazione sull’esito della stessa istanza di condono edilizio ed a condizione che non vengano apportate modifiche ai volumi ed alle superfici ed alla destinazione d’uso (deposito)», tutte indicate come «pratica n. 147/99» e datate 28 aprile 1999 e 3 settembre 1999 (variante), 31 gennaio 2000 e 22 agosto 2000 (proroga); risulta altresì l’istanza prot. n. 21099 del 20 ottobre 2000 per i medesimi interventi (dichiaratamente mai eseguiti), sospesa per integrazioni mai pervenute e dunque mai definita;
IV) manufatto 4, fg. 3 p.lla 119, consistente in una tettoia in pannelli di lamiere grecate, supportate da una struttura in pali di legno; per tale manufatto risulta rilasciata l’autorizzazione n. 426 del 10 novembre 1997, per «l’installazione … di una pensilina da utilizzarsi come copertura di passaggio pedonale tra il giardino e l’atrio del fabbricato … da realizzarsi con l’impiego di una struttura in tubolari leggeri con copertura in tegole in coppi».
3. In relazione ai sopra indicati interventi venivano adottati i seguenti provvedimenti, impugnati dagli interessati con ricorso introduttivo e motivi aggiunti:
a) ordinanza comunale n. 18 del 16 febbraio 2016 di sospensione dei lavori relativi alla pratica edilizia n. 541/2015;
b) provvedimento regionale n. 199292 del 22 marzo 2016 di immediata sospensione dei lavori sanzionati con l’ordinanza n. 18 del 16 febbraio 2016;
c) ordinanza n. 34 del 26 aprile 2016 di demolizione delle opere abusive realizzate successivamente alle istanze di condono;
d) provvedimento n. 19156 del 17 agosto 2016 di divieto di ripresa dei lavori;
e) ordinanza n. 82 del 30 settembre 2016 di diniego di condono e contestuale ordine di demolizione delle opere;
4. Il TAR adito respingeva il ricorso e i motivi aggiunti rilevando che:
i) i lavori effettuati nel manufatto n. 1 non possono essere qualificati come “attività edilizia libera” ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 (nel testo applicabile ratione temporis); si tratta, infatti, di un mutamento di destinazione d’uso con opere, in quanto anche la semplice realizzazione degli impianti tecnologici e delle tramezzature è sufficiente;
ii) non può condividersi quanto asserito dai ricorrenti in ordine alla destinazione d’uso dei manufatti (in particolare, il n. 1 e il n. 3), atteso che sia le planimetrie sia l’atto di compravendita dell’immobile attestano la sussistenza di destinazioni diverse da quella abitativa per le porzioni del complesso immobiliare oggetto del presente giudizio;
iii) il Comune dimostra di avere adeguatamente motivato in ordine alle osservazioni presentate dai ricorrenti in conseguenza dell’accertamento del 30 settembre 2015;
iv) i ricorrenti sostengono che l’art. 6, co. 2, D.P.R. n. 380/2001 (nel testo applicabile ratione temporis) consentiva di eseguire senza autorizzazione sismica di cui alla L.R. n. 9/1983 (in tal caso sostituita dalla dichiarazione di un tecnico abilitato) una serie di interventi di manutenzione anche straordinaria; tuttavia, nel caso, come quello in esame, in cui tali interventi riguardino immobili abusivi essi ripetono l’abusività dell’immobile cui accedono;
v) vero che l’ordinanza n. 34/2016 ha disposto la demolizione di alcune opere, pendenti le domande di condono, tuttavia con tale ordinanza, è stata ingiunta ai ricorrenti la demolizione degli interventi eseguiti successivamente alla data di presentazione delle istanze di condono;
vi) quanto al manufatto n. 3 ciò che più rileva, al fine di qualificare legittimi i provvedimenti adottati dall’Amministrazione, è il cambio di destinazione d’uso da laboratorio artigianale ad abitazione;
vii) quanto al manufatto n. 4 (tettoia in legno e lamiera) con la nota prot. n. 2508 del 17 marzo 1997 il Comune di Piano di Sorrento si è limitato a comunicare al sig. Guazzoni che la C.E.I. ha espresso parere favorevole sull’autorizzazione all’esecuzione dei lavori: ciò non comporta, di per sé, alcun assenso definitivo, neanche implicito, rispetto all’istanza presentata (che deve essere definita con apposito provvedimento abilitativo);
viii) è irrilevante il tempo trascorso per la natura vincolata del provvedimento di demolizione delle opere abusive;
ix) non si pone alcuna questione in ordine al mancato annullamento in autotutela dei provvedimenti del 31 gennaio 2000 e prot. n. 2508/1997 perché con il primo sono stati autorizzati lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione del manufatto 3, ferme volumetria, superficie e destinazione d’uso dell’immobile e il secondo ha natura di atto endoprocedimentale.
5. I ricorrenti chiedono la riforma della sentenza di primo grado perché affetta da “errores in procedendo et in judicando” per non aver fornito riscontro ai plurimi motivi di doglianza proposti in primo grado, nonché da “error in judicando e procedendo” per aver respinto i motivi di ricorso sulla base di argomentazioni infondate. Ripropongono, infine, in via devolutiva, le censure formulate con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.
6. Si sono costituiti il Comune di Piano di Sorrento e la Regione Campania, chiedendo la reiezione del gravame.
7. Le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese.
8. All’udienza del 10 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
9. L’appello è infondato e deve essere respinto.
10. Con il primo motivo di appello gli appellanti lamentano che il giudice di primo grado sarebbe incorso in “errores in procedendo et in judicando” perché, stravolgendo le censure formulate con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, non ha fornito adeguato riscontro ai plurimi motivi di doglianza sollevati in successione dai ricorrenti rispetto ai provvedimenti susseguitisi nel corso dell’articolato procedimento, e ha, in tal modo, reso evanescente il collegamento tra vizi lamentati, abuso, singolo provvedimento impugnato, e ciascun capo della decisione.
10.1 Il motivo è infondato.
10.2 Conformemente al principio dispositivo, la parte può graduare, esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, comma 2, c.p.a., il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente (Consiglio di Stato sez. II, 09/01/2023, n.249). Tuttavia, in assenza di un’esplicita graduazione dei motivi, la sentenza può autonomamente stabilire in vista della completa tutela dell’interesse legittimo e al contempo della legalità e dell’interesse pubblico, le censure da cui principiare secondo l’ordine dettato dalla maggior pregnanza del vizio di legittimità e dallo sviluppo logico e diacronico del procedimento (Ad. Plen. 19/04/2023, n.13), ben potendo anche procedere all’esame congiunto di motivi connessi o omogenei in ossequio al principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, la cui osservanza si impone al giudice così come alle parti del giudizio (art. 3 c.p.a).
10.3 Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio di motivazione o di violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato poiché, in assenza di una esplicita graduazione dei motivi di ricorso, ha trattato congiuntamente, ma esaustivamente, le censure tra loro connesse e omogenee in conformità con il principio di sinteticità e chiarezza degli atti processuali.
10.4 Si osserva che con il secondo motivo di appello i ricorrenti hanno impugnato i singoli capi della sentenza, richiamando per ogni capo le corrispondenti censure già dedotte in primo grado per ciascuno degli abusi contestati, circostanza che conferma come il collegamento tra i vizi, da un lato, gli abusi e i provvedimenti, dall’altro, lungi dall’essere “evanescente” (così a pag. 5 dell’appello), risulti chiaramente evincibile dalla motivazione della sentenza.
10.5 Per le ragioni sopra indicate il motivo è infondato e deve essere respinto.
11. Con il secondo motivo di appello, a sua volta articolato in plurimi sub motivi, l’appellante lamenta l’erroneità dei singoli capi della sentenza di primo grado che hanno respinto i singoli motivi del ricorso introduttivo e del ricorso per motivi aggiunti.
11.1 I sub motivi a), b) c) e d) possono essere esaminati congiuntamente, in quanto relativi al medesimo manufatto 1, in ossequio al già richiamato principio di sinteticità degli atti.
11.2 In particolare, con i sub motivi contrassegnati con le lettere a) e b) gli appellanti deducono che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR (capi da 1 a 2 della sentenza), per gli immobili privi di titolo edilizio perché risalenti a data ampiamente anteriore alla legge urbanistica del 1942, come quello per cui è causa, ai fini dell’individuazione delle destinazioni d’uso rileverebbero le categorie catastali. Sarebbe inoltre del tutto assente – sia in sede amministrativa, sia in sede giudiziale – l’individuazione della normativa urbanistica, anche di livello pianificatorio, che avrebbe attribuito rilevanza al cambio di destinazione d’uso tra ambienti ubicati all’interno di una medesima unità immobiliare. Erroneamente la sentenza avrebbe richiamato, al capo n. 3, il principio per cui l’amministrazione non sarebbe tenuta a confutare analiticamente le osservazioni del privato, avendo del tutto pretermesso che, come evidenziato nel motivo III del ricorso introduttivo, non si sarebbe attribuito il necessario rilievo al dato – puntualmente evidenziato dal consulente di parte e mai smentito – per cui l’intera unità immobiliare risulta da sempre accatastata nella categoria A2 – abitativa.
11.3 Con il sub motivo di cui alla lettera c) gli appellanti lamentano l’erroneità del capo n. 4 della sentenza in quanto fondato sull’assunto per cui gli interventi di manutenzione anche straordinaria non sarebbero eseguibili con C.I.L. e senza l’autorizzazione sismica di cui alla L.R. 9/1981, riguardando immobili abusivi. Deducono che, quanto al manufatto 1, il richiamo all’autorizzazione sismica sarebbe fuor di luogo, in quanto si tratta pacificamente di lavori di manutenzione in relazione ai quali l’art. 6, comma 4, del DPR 380/2001 esclude la necessità di siffatto tale titolo autorizzativo; non esisterebbe, inoltre, alcun abuso “a monte” che “trasmetterebbe” alle opere manutentive de quibus la propria abusività.
11.4 I medesimi vizi sopra richiamati inficerebbero anche il capo n. 5 con il quale il TAR ha respinto la doglianza contenuta nel primo atto di motivi aggiunti avverso il provvedimento n. 19156/2016 di inibizione dei lavori sul manufatto 1 (sub motivo d).
11.5 Le censure sono infondate.
11.6 La destinazione abitativa del manufatto in questione è smentita sia dal titolo di proprietà (atto del notaio Spagnuolo del 6 luglio 1987 ove il locale al piano terra viene indicato come comodo adibito a deposito) sia, soprattutto, dalle planimetrie catastali, trasmesse al comune dagli stessi appellanti, dalle quali emerge una destinazione non residenziale del locale che viene indicato come deposito, dispensa e lavanderia (cfr. planimetria del 1939 trasmessa dal geom. Michele Cinque in sede di controdeduzioni del 1 ottobre 2015 e planimetria del 1992 acclusa all’integrazione della domanda di condono ex l. 47/1985: cfr. documentazione allegata al ricorso di primo grado e allegata alla memoria di costituzione del comune del 25 maggio 2016).
11.7 L’ordinanza di demolizione, attraverso un’analitica disamina della documentazione agli atti dell’ufficio, tra cui le già ricordate planimetrie catastali, ha concluso per l’avvenuto mutamento di destinazione d’uso in ragione della pregressa destinazione non residenziale.
11.8 La correttezza di siffatta conclusione è confermata dalla documentazione allegata alla relazione di verificazione e, in particolare, dai grafici relativi alla Comunicazione di opere interne, ex art. 26 della Legge 47/85 del 6 luglio 1998 (all. 2 della relazione di verificazione). Al riguardo, il verificatore evidenzia che nell’elaborato grafico il primo piano è rappresentato con destinazione d’uso appartamento (ingresso, soggiorno, pranzo, letto, stanza, cucina e wc), mentre «il piano terra è rappresentato come un unico ambiente avente destinazione deposito- dispensa, comprendente un piccolo vano destinato a lavanderia-wc» (pag. 10 della relazione).
11.9 La documentazione versata in atti conferma, pertanto, quanto osservato dal comune in ordine al carattere non decisivo sul piano probatorio della classificazione catastale in categoria A2 del fabbricato, poiché dalla stessa è escluso il locale a piano terra a forma di elle, costantemente rappresentato come deposito-lavanderia.
11.10 La giurisprudenza ha chiarito che l’avvenuto accatastamento di un immobile ha valenza a fini fiscali e non vale certo a legittimare sotto il profilo edilizio gli interventi eseguiti. Alle risultanze catastali, infatti, non può essere riconosciuto un autonomo valore probatorio anche ai fini dell’individuazione dell’effettiva destinazione d’uso (Cons. Stato sez. VI, 09/10/2020 n. 5992), tanto più ove smentite dagli elaborati grafici aventi ad oggetto specificatamente la porzione di immobile interessato dal mutamento di destinazione, come nel caso di specie.
11.11 A diverse conclusioni non conduce la sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. IV n. 1712 del 26/03/2013, richiamata da parte appellante, poiché relativa ad una fattispecie in cui era stato il legislatore regionale (segnatamente l’art. 13 L.R. Liguria 6.6.2008, n. 16) ad attribuire espressamente rilevanza probatoria ai fini della destinazione d’uso (peraltro, in via meramente subordinata rispetto ad altri elementi di prova) al primo accatastamento.
11.12 Ne discende che, in assenza di un’espressa disposizione di legge, la categoria catastale relativa all’intero compendio immobiliare non può assumere valore probante di una destinazione d’uso del singolo manufatto diversa da quella costantemente emergente dalle planimetrie catastali.
11.13 Per tali ragioni, correttamente sia l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 18/2016 che la successiva ordinanza di demolizione n. 34/2016 hanno respinto le osservazioni degli interessati e concluso per la natura abusiva del manufatto 1.
11.14 Per giurisprudenza costante il cambio di destinazione d’uso di un preesistente manufatto non richiede alcun titolo abilitativo nel solo caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; viceversa, il cambio di destinazione che interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire (Cons. Stato, Sez. II, 12/11/ 2020, n. 6948; Cons. Stato Sez. VII, 17/07/2023, n. 6965 relativamente al passaggio da deposito a locale abitabile; Cons. Stato Sez. VI, 22/03/2023 n. 2913 relativamente al mutamento di destinazione da laboratorio artigianale a uso residenziale).
11.15 Ne discende che qualsiasi modifica edilizia tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene determina un cambio di destinazione d’uso (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 714).
11.16 Nel caso di specie il passaggio da deposito a residenza per il manufatto 1 e da baracca adibita ad attività artigianale ad appartamento per civile abitazione per il manufatto 3 ha determinato un aggravio del carico urbanistico con conseguente necessità di titolo edilizio. Risulta, pertanto, smentito anche l’assunto dell’irrilevanza del cambio di destinazione d’uso tra ambienti (funzionalmente autonomi ma) ubicati all’interno di una medesima unità immobiliare (pag. 9 del ricorso).
11.17 L’avvenuto cambio di destinazione del manufatto 1 in assenza di titolo edilizio conduce anche alla reiezione della censura sub c) del secondo motivo di ricorso con cui i ricorrenti censurano il capo della sentenza che ha escluso l’eseguibilità con C.I.L. e senza l’autorizzazione sismica di cui alla L.R. 9/1981 delle opere di manutenzione straordinaria poiché, come osservato dal TAR, la natura abusiva del manufatto si trasmette necessariamente anche alle opere su di esso eseguite.
12. Per le medesime ragioni deve essere respinto anche il sub motivo d) relativo al capo della sentenza che ha respinto la doglianza contenuta nel primo atto di motivi aggiunti avverso il provvedimento n. 19156/2016 di inibizione dei lavori, il quale, secondo l’appellante, risentirebbe dei medesimi vizi ed errori evidenziati nei sub motivi di cu alle lettere a), b) e c) del ricorso, della cui infondatezza si è già trattato.
13. Con il sub motivo e), a sua volta comprensivo delle sub censure e.bis ed e.ter, gli appellanti lamentano l’erroneità dei capi 6 e 7 relativi all’ordinanza di demolizione n. 34/2016 per le seguenti ragioni: i) dalla piana lettura dell’ordinanza si evincerebbe che con essa l’amministrazione ha ingiunto la demolizione dei manufatti 2 e 3 e non solo dei lavori eseguiti successivamente alla presentazione delle domande di condono; ii) non sarebbe pertinente il richiamo al principio per cui fino all’accoglimento dell’istanza di condono gli interventi ulteriori sui medesimi beni ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale. In relazione al manufatto 2, inoltre, non risulterebbero compiuti interventi di nessun tipo, salva la rimozione di alcuni pannelli laterali.
13.1 I motivi sono infondati.
13.2 L’assunto difensivo secondo cui l’ordinanza impugnata avrebbe ingiunto indistintamente la demolizione dei manufatti 2 e 3 e sarebbe, per tale ragione, illegittima, è smentito dal testo del provvedimento che nelle premesse chiarisce: i) quanto al manufatto 2, rispetto allo stato dei luoghi rappresentato nella pratica di condono edilizio, la superficie è oggi inferiore poiché sono state rimosse le lamiere che configurano le chiusure laterali; ii) quanto al manufatto 3, in luogo dell’immobile oggetto dell’istanza di condono (baracca adibita a laboratorio) si rileva un manufatto ad uso abitativo, suddiviso in due livelli intercomunicanti e adeguato, in virtù dei lavori di ristrutturazione edilizia che hanno comportato un organismo diverso dal precedente per materiali, finitura, utilizzo e sagoma.
13.3 Una volta descritti nelle premesse gli interventi che hanno interessato i manufatti successivamente al condono, l’ordinanza dispone, in via logicamente conseguenziale, la demolizione delle (sole) ulteriori opere eseguite.
13.4 La lettura congiunta della premessa e della parte dispositiva del provvedimento impugnato conduce alla conferma del capo 6-7 della sentenza ove si osserva che «con tale ordinanza, è stata ingiunta ai ricorrenti la demolizione degli interventi eseguiti successivamente alla data di presentazione delle istanze di condono e che (come sopra rilevato) hanno condotto a un risultato diverso da quello rappresentato nelle istanze medesime».
13.5 Quanto al manufatto 2, priva di rilievo è la circostanza che le nuove opere, rispetto a quelle oggetto del condono, siano consistite nella mera rimozione dei pannelli laterali atteso che l’intervento ha determinato, in ogni caso, una modifica non autorizzata del bene da condonare, trasformandolo da locale chiuso a locale aperto su uno dei lati maggiori. La modifica dello stato dei luoghi è stata confermata dal verificatore che ha rilevato come il manufatto sia stato modificato mediante la rimozione di gran parte della chiusura perimetrale costituita da lamiera grecata.
14. I sub motivi f) e g) censurano i capi 8 e 11 della sentenza che hanno respinto le doglianze relative al manufatto n. 3.
14.1 In particolare, con il sub motivo f) gli appellanti lamentano la lacunosità del capo n. 8 della sentenza in quanto sarebbe del tutto omessa l’analisi della doglianza relativa all’effettiva autorizzazione da parte del Comune di Piano di Sorrento delle modificazioni subite dal manufatto in questione (autorizzazione n. 147/99 del 28.4.1999; autorizzazione n. 147/99 del 3.9.1999; autorizzazione 147 del 31.1.2000 e del 22.8.2000).
14.2 Il giudice, inoltre, ha attribuito rilievo dirimente al cambio di destinazione d’uso del bene da laboratorio artigianale ad abitazione, reputando legittimo l’operato dell’amministrazione per tale assorbente motivo. La sentenza, tuttavia, è erronea anche sotto tale profilo poiché, una volta accertato (anche da parte del verificatore) che il manufatto 3, nella propria consistenza strutturale e planovolumetrica, ha subito modificazioni in linea con le citate autorizzazioni comunali, il provvedimento sanzionatorio avrebbe potuto, a tutto concedere, vietare la nuova destinazione d’uso dell’immobile, nonché l’eliminazione delle sole opere (per lo più interne) non autorizzate.
14.3 Con il sub motivo g) gli appellanti lamentano che il TAR avrebbe erroneamente respinto al capo 11 anche il motivo 4 (p. 19 e ss.) del secondo atto di motivi aggiunti relativo al mancato annullamento in autotutela delle autorizzazioni rilasciate per il manufatto 3 prima di ingiungerne la demolizione. In tal modo il giudice di primo grado, da un lato, si sarebbe posto in aperta ed immotivata contraddizione con le risultanze della verificazione, e, dall’altro lato, sarebbe incorso in un macroscopico errore logico in quanto, negando la realizzazione dei lavori di cui alle citate autorizzazioni, avrebbe di fatto privato, concettualmente, l’ordine di demolizione del proprio stesso oggetto, ossia delle sopravvenute trasformazioni del bene in esame.
14.4 Le censure sono infondate.
14.5 Quanto alla censura sub f), l’infondatezza della medesima discende da quanto sopra osservato in ordine all’illegittimità del cambio di destinazione d’uso in assenza di permesso di costruire.
14.6 Nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione funzionale da laboratorio artigianale ad abitazione per il quale era necessario il permesso di costruire e che non poteva ritenersi assentito sulla base delle richiamate autorizzazioni, riguardanti mere opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e rilasciate con l’esplicita prescrizione «fatta salva la determinazione sull’esito della stessa istanza di condono edilizio ed a condizione che non vengano apportate modifiche ai volumi ed alle superfici ed alla destinazione d’uso (deposito)».
14.7 Come risulta dal verbale di sopralluogo del personale dell’ufficio tecnico e come confermato dal verificatore (pag. 25 della relazione di verificazione) il manufatto ha subito una trasformazione consistente al suo interno e un cambio di destinazione d’uso anche attraverso l’esecuzione di opere ulteriori rispetto a quelle autorizzate (modifica della sagoma, sostituzione delle lamiere esterne con murature in tufo e pennellature, divisioni interne per la creazione degli ambienti dell’abitazione, creazione di un soppalco).
14.8 Per le ragioni sopra indicate, non è revocabile in dubbio che il cambio di destinazione d’uso del manufatto in questione imponeva il rilascio del permesso di costruire, con conseguente abusività dell’intervento.
14.9 La natura vincolata dell’ordine di demolizione per la natura radicalmente abusiva delle opere realizzate esclude, inoltre, la possibilità per l’ente di adottare una sanzione diversa, come invocato dagli appellanti, quale il divieto di un determinato uso o una demolizione meramente parziale.
14.10 Quanto sopra osservato conduce alla reiezione anche della censura sub g) poiché le autorizzazioni in precedenza rilasciate riguardavano opere diverse da quelle abusivamente realizzate e oggetto dell’ordine di demolizione che, in quanto espressione del potere repressivo degli abusi edilizi, non è soggetto ai presupposti previsti per l’esercizio del potere di autotutela.
15. Del pari infondati sono i sub motivi h) e i) relativi al manufatto n. 4.
15.1 Con i motivi sopra indicati gli appellanti lamentano l’erroneità del capo n. 9 della sentenza impugnata con cui si è negato che la nota prot. n. 2508 del 17 marzo 1997 a firma del sindaco rappresentasse un atto di assenso (sia pur implicito) alla costruzione del manufatto n. 4. Non condivisibile sarebbe anche la parte della sentenza che ha escluso il legittimo affidamento in capo agli istanti in ragione del tempo trascorso e dell’inerzia dell’amministrazione, poiché non avrebbe considerato l’ulteriore profilo della conoscenza dell’intervento da parte dell’amministrazione, come comprovato dalla nota prot. 2508 del 17 marzo 1997, a firma del sindaco.
15.2 Le censure non possono essere accolte.
15.3 La natura provvedimentale della nota n. 2508 del 17 marzo 1997 è smentita dal suo tenore letterale poiché essa si limita a comunicare “che la Commissione Edilizia Comunale Integrata nella seduta del 13/3/1997, esaminata la Vs domanda intesa ad ottenere autorizzazione per l’esecuzione dei lavori indicati in oggetto, ha espresso il seguente parere: La Commissione esprime parere favorevole”. Si tratta all’evidenza di una mera nota di comunicazione a cui non può essere attribuita la natura di provvedimento di autorizzazione, nemmeno implicito, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti.
15.4 Come chiarito dalla giurisprudenza, la comunicazione del parere della commissione edilizia è atto tipicamente endoprocedimentale del tutto privo di una propria autonomia funzionale e strutturale e non può avere, anche implicitamente, un rilievo autorizzatorio, in quanto solo il perfezionamento dell’iter normativo può consentire la legittima edificazione (Cons. Stato sez. IV 12/05/2016, n. 1913). Il procedimento amministrativo preordinato al rilascio di una concessione edilizia, infatti, può ritenersi concluso solo quando il sindaco non si limiti a comunicare all’interessato il parere favorevole della commissione edilizia comunale, ma ne faccia proprie le determinazioni, formulando la nota come comunicazione di accoglimento dell’istanza e del rilascio della concessione secondo specifiche condizioni e prescrizioni (Cons. Stato sez. IV, 17/05/2006, n. 2862).
15.5 Nel caso di specie, non è revocabile in dubbio che la nota si limiti alla mera comunicazione del parere, senza il contestuale rilascio del titolo edilizio.
15.6 La nota in questione, di contenuto meramente dichiarativo e ricognitivo, non poteva, quindi, fondare alcun legittimo affidamento in capo agli istanti in ordine alla regolarità dell’opera per intervenuto rilascio del titolo edilizio.
15.7 Si richiama, sul punto, il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa che, ponendosi nel solco dell’Adunanza Plenaria n. 9/2017 (i cui principi sono stati, di recente, ribaditi da Ad. Plen. 16/2023), ha affermato la natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato dell’ordinanza di demolizione che deve ritenersi sufficientemente motivata con la compiuta descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro esecuzione in mancanza del necessario titolo abilitativo (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 251).
16. Infondato è anche il sub motivo l) con cui gli appellanti impugnano i capi da 12 a 15 della sentenza che hanno respinto le censure avverso il diniego di condono dei manufatti 2 e 3. Deducono che le istanze di condono sarebbero state respinte ex abrupto, senza che il Comune abbia mai richiesto qualsivoglia integrazione documentale relativa agli aspetti strutturali dei beni in argomento ed in assenza del parere dell’Autorità preposta al vincolo, richiesto ex L. 47/85. Del tutto improprio, inoltre, sarebbe il richiamo operato dal giudice all’art. 167 del D.lgs. 42/2004 in ragione del regime “speciale” del condono che rende tale istituto diverso dalla sanatoria semplice a cui si applica l’articolo in questione. Il rilievo secondo il quale i manufatti 2 e 3 avrebbero subito radicali trasformazioni, infine, si pone in netta distonia con le risultanze della verificazione nonché con il fatto che il manufatto 2 non ha subito alcun intervento di rilievo.
16.1 Le censure sono infondate.
16.2 L’ordinanza n. 82 del 30.09.2016 ha respinto le istanze di condono, ordinando contestualmente la demolizione dei manufatti, per le seguenti, plurime, ragioni: i) assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art. 146 d.lgs 42/2004 tenuto conto del vincolo paesaggistico a cui è sottoposto l’intero territorio comunale; ii) assenza di permesso di costruire; iii) assenza del progetto strutturale ex l.r. 9/1983; iv) difformità delle opere da quanto rappresentato nelle istanze di condono per la realizzazione di interventi ulteriori.
16.3 Le opere realizzate successivamente all’istanza di condono, hanno determinato, a prescindere dall’asserita esiguità, un’inammissibile e non autorizzata trasformazione dei due manufatti oggetto di sanatoria. A tale circostanza si aggiungono, inoltre, il mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs 42/2004 per essere l’area sottoposta a vincolo e l’impossibilità di conseguirla in via postuma ai sensi del comma 4 dell’art. 167, in ragione dell’incremento di volume e superficie.
16.4 Si tratta di circostanze di fatto oggettivamente ostative alla sanatoria, insuscettibili di essere superate mediante il soccorso istruttorio invocato dagli appellati.
17. Dall’infondatezza dei sub motivi sopra esaminati discende la reiezione anche del secondo motivo di appello.
18. In ultimo, deve rilevarsi l’inammissibilità delle censure già formulate con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti e pedissequamente riproposte in grado di appello (pag. 21 ss dell’appello) per contrasto con l’onere di specifica formulazione dei motivi di impugnazione sancito dall’art. 101c.p.a.
18.1 L’infondatezza delle stesse emerge, in ogni caso, da quanto più sopra osservato in sede di esame del primo e del secondo motivo di appello.
19. In conclusione l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
20. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento a favore delle amministrazioni appellate delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del Comune di Piano di Sorrento ed euro 3.000,00 (tremila/00) a favore della Regione Campania, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Carmelina Addesso, Consigliere, Estensore
Antonio Massimo Marra, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere
Laura Marzano, Consigliere
L’ESTENSORE
Carmelina Addesso
IL PRESIDENTE
Fabio Franconiero
IL SEGRETARIO