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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 7016 | Data di udienza: 5 Giugno 2024

RIFIUTI – Albo dei gestori ambientali – Istanza di iscrizione – Mancanza del requisito di cui all’art. 10, c. 2, lett. e) del D.M. 120/2014 – Diniego – Atto privo di discrezionalità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 7^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Agosto 2024
Numero: 7016
Data di udienza: 5 Giugno 2024
Presidente: Caputo
Estensore: Zeuli


Premassima

RIFIUTI – Albo dei gestori ambientali – Istanza di iscrizione – Mancanza del requisito di cui all’art. 10, c. 2, lett. e) del D.M. 120/2014 – Diniego – Atto privo di discrezionalità.



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 7^ – 7 agosto 2024, n. 7016

RIFIUTI – Albo dei gestori ambientali – Istanza di iscrizione – Mancanza del requisito di cui all’art. 10, c. 2, lett. e) del D.M. 120/2014 – Diniego – Atto privo di discrezionalità.

La Circolare 31/Albo Pres dell’ 8 gennaio del 2018 prevede che, allorquando il sistema, dopo 30 giorni dalla prima richiesta, continui a riportare esiti non positivi, le Sezioni regionali devono negare l’iscrizione o il suo rinnovo, in mancanza del requisito previsto dall’art.10, comma 2, lett. e) del D.M. 120/2014 e, se si tratta di impresa iscritta, devono provvedere altresì all’avvio del procedimento disciplinare di cancellazione, ai sensi dell’art.20, comma 1, lett. b) del medesimo regolamento. Il diniego di rinnovo dell’iscrizione all’albo, dunque, è una scelta pressoché obbligata da parte della Sezione regionale che, in quanto priva di discrezionalità non può essere lesiva, e, in quanto priva di alternative, non può essere illegittima.

(Conferma TAR Calabria n. 1992/2019) – Pres. f.f. Caputo, Est. Zeuli – M. s.n.c. (avv. Granata) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 7^ - 7 agosto 2024, n. 7016

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6749 del 2020, proposto da Ditta Morgante S.n.c. di Morgante Giuseppe Mario & C, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Granata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 1992/2019

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 5 giugno 2024 il Cons. Sergio Zeuli e udito l’avvocato Antonio Granata.

Viste, altresì, le conclusioni dell’amministrazione appellata come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La sentenza impugnata ha dichiarato la cessazione della materia del contendere con riferimento alla parte di ricorso con cui la parte appellante aveva impugnato il Diniego di rinnovo dell’iscrizione alla categoria 4 classe E, dell’Albo nazionale dei gestori ambientali Sezione Regionale della Calabria, opposto alla parte appellante, con provvedimento prot. n. 9919/2018 del 7 novembre 2018, del suddetto Ente Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione Regionale della Calabria; la sentenza gravata ha invece respinto la contestuale richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla parte.

Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi di appello:

I. Erroneità della sentenza n°1992/2019 TAR Calabria, Sezione di Catanzaro per aver pronunciato senza applicare le disposizioni di cui all’art. 34, comma 5 CPA. Omessa valutazione della cessata materia del contendere rispetto alla condanna alle spese e competenze. Omessa pronuncia. Violazione e omessa applicazione dell’art. 92 C.p.c. e dell’art. 26 CPA. Omessa applicazione del principio di soccombenza virtuale. Violazione dell’art. 132, comma 1, punto 4). Errata ed illogica esposizione delle ragioni di diritto in relazione all’illegittimità dei provvedimenti impugnati che avrebbero dato luogo alla soccombenza virtuale ed alla condanna alle spese e competenze del giudizio.

II. Erroneità, illogicità e contraddittorietà della sentenza n°1992/2019 TAR Calabria, Sezione di Catanzaro per aver motivato il rigetto della domanda di risarcimento, proposta con il ricorso per motivi aggiunti, con il difetto di prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, per poi specificare che non sono stati depositati elementi idonei a valutare l’esistenza del danno e la sua entità. Omessa valutazione del danno da illegittimo provvedimento. Errata valutazione degli elementi documentali (contratti stipulati prima del diniego d’iscrizione e ineseguiti per impossibilità di rendere la prestazione stante la mancanza del requisito di iscrizione all’Albo Gestori di cui al provvedimento impugnato).

2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

3. In diritto si osserva che, con provvedimento prot. n. 9919/2018 del 7 novembre 2018, l’Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione Regionale della Calabria, ha rigettato l’istanza di rinnovo dell’iscrizione alla Categoria 4 classe E dell’Albo nazionale dei gestori ambientali, presentata dalla Morgante S.n.c. di Morgante Giuseppe.

Il diniego è stato motivato per difetto dei requisiti di regolarità contributiva.

Con ricorso iscritto al R.G. n. 1613/2018, la Morgante S.n.c. ha impugnato innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria il provvedimento in parola, chiedendone l’annullamento per non averle concesso di regolarizzare la propria posizione.

Nelle more del giudizio di primo grado, l’Amministrazione ha anche avviato un procedimento disciplinare nei confronti della Società, che ha impugnato con motivi aggiunti il relativo provvedimento, chiedendo, altresì, il risarcimento dei danni subìti dall’illegittima decisione amministrativa assunta.

In seguito, l’Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione Regionale della Calabria ha archiviato il procedimento disciplinare e ha disposto il rinnovo dell’iscrizione della Morgante S.n.c. nella categoria dell’Albo richiesta.

Con la sentenza impugnata, il Tar per la Calabria ha, da un lato, dichiarato la cessata materia del contendere, avendo la ricorrente conseguito il bene della vita auspicato, d’altro lato, rigettato la domanda risarcitoria per difetto di prova quanto all’an e al quantum dei danni paventati.

4. Il primo motivo di appello contesta alla sentenza di aver omesso di accertare la fondatezza della pretesa originariamente avanzata, perché, nonostante la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, ciò avrebbe potuto rilevare, in base al principio della soccombenza virtuale, sulla decisione assunta in ordine alle spese del giudizio che il tribunale ha ritenuto di compensare.

4.1. Il motivo è infondato.

4.1.1. In merito la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di perimetrare i confini entro i quali il giudice dell’appello può riformare la statuizione sulle spese, precisando che “la statuizione sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (così, Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2019, n. 2208).

Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, quindi, “il giudice dispone di ampia discrezionalità in ordine al riconoscimento della sussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio, potendo, a tal fine, valutare ogni elemento utile, senza essere tenuto ad indicare specificamente le ragioni della decisione, con il solo limite di non poter condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi, sicché la pronuncia inerente alle spese processuali risulta censurabile solo se le spese sono state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte vittoriosa, mentre la valutazione di merito sulla compensazione delle spese non è sindacabile per difetto di motivazione (Consiglio di Stato, sez. III, 15 novembre 2023, n. 9767)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 gennaio 2024, n. 739; in senso analogo, si vedano, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 15 novembre 2023, n. 9791; Consiglio di Stato, sez. III, 3 aprile 2023, n. 3407; Consiglio di Stato, sez. V, 10 marzo 2023, n. 2543; Consiglio di Stato, sez. V, 6 dicembre 2022, n. 10680; Consiglio di Stato, sez. IV, 15 luglio 2022, n. 6036).

4.1.2. Per quanto specificamente riguarda la pronuncia che dichiara la cessata materia del contendere, va richiamato il condivisibile arresto contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez, IV, 23 gennaio 2024, n. 739, in base al quale: “la dichiarazione di cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.a. non impone al giudice di adottare una statuizione sulle spese processuali che sia favorevole alla parte ricorrente, ma comporta esclusivamente l’obbligo “di provvedere secondo il principio della soccombenza virtuale, salva la facoltà di disporne motivatamente la compensazione, totale o parziale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 26 c.p.a. e 92 c.p.c.” (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 2 luglio 2021, n. 5083)”.

5. Il secondo motivo di appello censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto provato il danno subito né nell’an, né nel quantum.

In punto di fatto, la parte appellante afferma che il danno patito consiste nell’essere stata posta nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali già assunte, stante l’incapacità di circolare con i propri mezzi di raccolta di rifiuti speciali, in assenza di autorizzazione.

In punto di diritto, parte appellante richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ammette la possibilità di provare il danno patito anche attraverso il ricorso a presunzioni.

Infine, con riguardo all’elemento soggettivo, la doglianza in esame richiama le sentenze di questo Consiglio di Stato, secondo cui, nel caso di responsabilità civile per provvedimenti annullati per illegittimità, si assiste ad un’inversione dell’onere della prova, incombendo sulla P.A. di superare, attraverso adeguate dimostrazioni, la presunzione di colpevolezza derivante dall’illegittimità dell’atto. Quest’ultima, nel caso di specie, si sarebbe palesata con la sopravvenuta regolarizzazione della posizione della parte appellante, disposta a seguito di provvedimento cautelare emesso dal TAR della Calabria, in composizione monocratica.

In conclusione, la parte ritiene di poter quantificare il danno, in via forfettaria, in € 20.000,00 (euro ventimila,00).

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. E’ vero, infatti, che ai fini della valutazione della domanda di risarcimento dei danni, che il privato lamenta come rivenienti dalle determinazioni della Pubblica Amministrazione, è indispensabile accertare l’illegittimità del provvedimento, anche qualora, come in questo caso, il suo annullamento non risulti più utile al richiedente, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. .

Ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, non può dirsi che il provvedimento originariamente impugnato fosse illegittimo. Il diniego è infatti stato emesso all’esito di un’interrogazione alla Banca Dati DURC on line, interpellata dall’autorità procedente il 27 settembre del 2018, che aveva rilevato che, al codice fiscale della parte appellante, corrispondeva un DURC non regolare e che, al momento del rigetto dell’istanza, ossia al 5 novembre del 2018, evidenziava l’esistenza di una verifica in corso da parte degli enti previdenziali.

5.1.2. Da ciò consegue che il provvedimento di rigetto, notificato il 7 novembre del 2018, alla luce delle descritte emergenze documentate elettronicamente, rappresentava in quel momento un atto dovuto.

Infatti la Circolare 31/Albo Pres dell’ 8 gennaio del 2018 prevede che, allorquando il sistema, dopo 30 giorni dalla prima richiesta, continui a riportare esiti non positivi, le Sezioni regionali devono negare l’iscrizione o il suo rinnovo, in mancanza, come in questo caso, del requisito previsto dall’art.10, comma 2, lett. e) del D.M. 120/2014 e, se si tratta di impresa iscritta, devono provvedere altresì all’avvio del procedimento disciplinare di cancellazione, ai sensi dell’art.20, comma 1, lett. b) del medesimo regolamento.

Dunque quella adottata era una scelta pressoché obbligata da parte della Sezione regionale che, in quanto priva di discrezionalità non poteva essere lesiva, e, in quanto priva di alternative, non poteva essere illegittima.

Il che significa che mancavano entrambi gli estremi necessari per configurare un fatto illecito a carico dell’autorità procedente.

5.1.3. In ogni caso la richiesta di risarcimento si rivela infondata nell’an anche per un altro motivo.

Infatti l’amministrazione procedente, il 7 dicembre del 2018, ha tempestivamente provveduto alla sospensione del diniego di iscrizione originariamente opposto (e del relativo procedimento disciplinare nel frattempo avviato nei confronti della parte appellante), dopo che le era stato notificato il decreto cautelare monocratico n.506/2018 da parte del TAR Catanzaro, riattivando l’istanza di rinnovo dell’iscrizione.

E infine, in seguito alla regolarizzazione della posizione previdenziale della parte appellante, ha accolto l’istanza di rinnovo, contemporaneamente archiviando il procedimento disciplinare i1 4 gennaio del 2019.

Questa significa che, in tempi contenuti, indicativi di una gestione corretta e diligente del relativo potere amministrativo, la parte appellata – anche a voler trascurare che l’originario diniego non era, temporibus illis, illegittimo – ha adeguatamente protetto la sfera giuridica della sua controparte del rapporto amministrativo, provvedendo a limitare i danni che questa avrebbe potuto subìre dalla situazione in itinere, nelle more dei successivi accertamenti, e dell’eventuale regolarizzazione.

5.1.4. È importante sottolineare quanto precede perché, ai fini della condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, è necessario fornire la prova di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, previsti dall’art. 2043 c.c. ed è evidente da quanto ricostruito che, a tutto concedere, sarebbe comunque carente, nel caso di specie l’elemento soggettivo della colpevolezza a carico dell’amministrazione intimata.

Infatti l’unanime giurisprudenza di questo consesso da un lato, esclude che la responsabilità dell’amministrazione possa configurarsi come conseguenza automatica dell’annullamento del provvedimento illegittimo (ipotesi, ripetesi che comunque nel caso di specie non ricorreva). Occorre, infatti, la prova che dalla colpevole condotta della p.a. sia derivato, secondo un giudizio di causalità immediata e diretta, un danno direttamente ascrivibile alla determinazione contra ius, lesiva del bene della vita cui aspira parte ricorrente (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1709; id., 14 marzo 2018, n. 1615).

Dall’altro lato, la stessa giurisprudenza precisa che l’illegittimità del provvedimento amministrativo sia solo un indice presuntivo della colpevolezza della p.a. (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2020 n. 909; id., 18 ottobre 2019, n. 7082).

Il che dequota ulteriormente il motivo in esame perché, oltre alla mancanza di un provvedimento illegittimo, dimostra anche che, nella fattispecie di cui alla controversia, mancava la colpevolezza della Pubblica Amministrazione, anche sotto la forma minima, cd. della “colpa d’organizzazione.”

5.2. Tanto meno – contrariamente a quanto prospettato dalla doglianza in esame – il danno che la parte appellante avrebbe ingiustamente subìto, risulta sufficientemente dimostrato.

5.2.1. A tal fine va innanzitutto considerato che il periodo nel quale la parte appellante non è stata iscritta all’Albo, è stato estremamente circoscritto, corrispondendo a circa un mese. Arco temporale nel quale sembra effettivamente difficile rinvenire una situazione disagiante tale da incidere sui profitti aziendali.

5.2.2. Né la documentazione contrattuale prodotta dalla parte, a comprova del profitto asseritamente perduto, si rivela particolarmente significativa.

Sono stati infatti prodotti in atti due contratti, stipulati dalla parte appellante con altrettanti committenti, e tuttavia gli stessi risultano essere stati sottoscritti in una data anteriore a quella del mancato rinnovo; questo significa che avevano ad oggetto – in disparte che quest’ultimo, anche nel suo valore, non è immediatamente evincibile dalla documentazione – obbligazioni originariamente eseguibili.

Tanto meno vi è prova che essi siano stati risolti dalla controparte per inadempimento imputabile della parte appellante, risultando al contrario che erano ancora validi al momento in cui l’amministrazione dispose la ricordata sospensione del diniego di rinnovo.

Uno dei due contratti, peraltro, risulta essere stato riattivato solo il 2 gennaio del 2019, data nella quale la parte appellante comunicò al committente di avere superato i problemi di iscrizione. Comunicazione che risulta obiettivamente tardiva, considerato che, sin dal 7 dicembre precedente, grazie alla sospensione ottenuta, la parte avrebbe potuto eseguire, senza problemi, la prestazione contrattuale.

Né è stata fornita la prova dell’esistenza di altre problematiche, connesse o meno al rinnovo dell’iscrizione, che impedivano l’esecuzione del contratto nel periodo di tempo intercorso tra il 7 dicembre del 2018 ed il 2 gennaio del 2019, il che dequota ulteriormente la portata probatoria delle allegazioni di parte appellante.

E’ certo che queste ultime circostanze inducono ad addebitare alla parte appellante la maggior parte dei fattori causali che ella, ciò nonostante, indica quali veicoli del danno, tanto da configurare, a carico della stessa, un significativo concorso causale nella produzione della lesione, ai sensi del comma 1 dell’art.1227 c.c. .

5.2.3. In disparte che i suddetti contratti prevedevano un acconto da corrispondere al prestatore del servizio, pari ad euro mille, che dovrebbero essere stati corrisposti alla parte appellante e che dunque andrebbero detratti dall’importo totale richiesto; dal quale andrebbe altresì detratto il cd. aliud percipiendum – che non dovrebbe essere eccessivamente modesto, considerata la ricordata tempestiva riattivazione dell’iscrizione –.

Il che significa che, a tutto concedere, anche a voler trascurare l’insussistenza di una fattispecie completa sotto il profilo dell’art.2043 c.c., si giungerebbe a determinare una posta economica a titolo di risarcimento del danno quasi del tutto irrisoria.

6. Questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le ragioni della controversia giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Oreste Mario Caputo, Presidente FF

Davide Ponte, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere

L’ESTENSORE
Sergio Zeuli

IL PRESIDENTE
Oreste Mario Caputo

IL SEGRETARIO

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