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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento del suolo Numero: 126 | Data di udienza: 22 Maggio 2018

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati – Disciplina – Attività di tutela ambientale – Compressione delle attribuzioni regionali – Diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale – Forme di coinvolgimento degli enti locali.


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Giugno 2018
Numero: 126
Data di udienza: 22 Maggio 2018
Presidente: Lattanzi
Estensore: Amato


Premassima

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati – Disciplina – Attività di tutela ambientale – Compressione delle attribuzioni regionali – Diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale – Forme di coinvolgimento degli enti locali.



Massima

 

CORTE COSTITUZIONALE – 13 giugno 2018, n. 126


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati – Disciplina – Attività di tutela ambientale – Compressione delle attribuzioni regionali – Diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale – Forme di coinvolgimento degli enti locali.

Spetta allo Stato disciplinare, pure con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati. È evidente che le relative attività e i conseguenti interventi sono strettamente condizionati alla definizione di un adeguato e puntuale programma di rigenerazione urbana, che postula l’esercizio di funzioni propriamente programmatorie a livello urbanistico. Tuttavia, l’attività di tutela dell’ambiente può implicare anche il coinvolgimento delle funzioni appartenenti ad altre materie, limitando in tal modo le competenze regionali. D’altronde, la disciplina in tema di bonifica dei siti contaminati (artt. da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del 2006) tiene conto della necessaria incidenza sul «governo del territorio», poiché gli interventi ivi previsti sono strettamente connessi alla destinazione urbanistica delle singole aree da bonificare. In particolare, per i siti d’interesse nazionale si stabilisce la competenza dell’amministrazione statale alla bonifica, qualora a ciò non provvedano il responsabile dell’inquinamento (o lo stesso non sia individuabile), il proprietario o altro soggetto interessato. Ed in base a tale disciplina l’autorizzazione del progetto e dei relativi interventi costituisce esplicitamente variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (art. 252, comma 6). Dunque, per tutti gli aspetti concernenti la bonifica dell’area interessata, la compressione delle attribuzioni regionali in materia urbanistica è diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale, di competenza esclusiva statale, senza che possa profilarsi una violazione delle disposizioni costituzionali sul riparto di competenze. Nell’allocare in capo allo Stato le varie funzioni, il legislatore statale ha tuttavia previsto varie forme di coinvolgimento della Regione e del Comune. Tali enti, infatti, partecipano alla cabina di regia, alla quale è demandata la definizione degli indirizzi strategici per l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana. Il Soggetto attuatore, inoltre, deve acquisire ed esaminare le proposte del Comune ai fini della predisposizione del programma e le stesse, ove non accolte, devono essere necessariamente rivalutate nella Conferenza di servizi. È in tale sede, a cui partecipano Comune e Regione, che le amministrazioni coinvolte devono raggiungere un accordo sul programma e solo nel caso in cui ciò non avvenga la decisione può essere rimessa ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata però con la necessaria partecipazione alla relativa seduta del Presidente della Regione interessata. Il superamento del dissenso delle amministrazioni coinvolte, dunque, non può avvenire in via unilaterale da parte dello Stato, ma è frutto di una complessa attività istruttoria, articolata secondo numerosi meccanismi di raccordo, i quali, pur disegnando un procedimento diverso dall’intesa, assicurano una costante e adeguata cooperazione istituzionale. Anzi, in caso di mancato accordo, il procedimento si conclude proprio con le stesse modalità previste per il superamento del dissenso in assenza d’intesa, ossia con una deliberazione del Consiglio dei ministri adottata in una seduta a cui deve necessariamente partecipare il Presidente della Regione interessata.

Pres. Lattanzi, Est. Amato – Giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra il Comune di Napoli e la Presidenza del Consiglio dei Ministri
 


Allegato


Titolo Completo

CORTE COSTITUZIONALE – 13 giugno 2018, n. 126

SENTENZA

 

CORTE COSTITUZIONALE – 13 giugno 2018, n. 126

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

–      Giorgio                       LATTANZI                                        Presidente
–      Aldo                           CAROSI                                             Giudice
–      Marta                          CARTABIA                                               ”
–      Mario Rosario            MORELLI                                                  ”
–      Giancarlo                   CORAGGIO                                              ”
–      Giuliano                     AMATO                                                     ”
–      Silvana                       SCIARRA                                                  ”
–      Daria                          de PRETIS                                                 ”
–      Nicolò                        ZANON                                                     ”
–      Franco                        MODUGNO                                               ”
–      Augusto Antonio        BARBERA                                                ”
–      Giulio                         PROSPERETTI                                         ”
–      Giovanni                    AMOROSO                                               ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 3, 9, 10, 12 e 13, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, promosso dal Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra il Comune di Napoli e la Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con sentenza non definitiva del 23 maggio 2017, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di Fallimento Bagnolifutura spa, di Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa, nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Fabio Cintioli per Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa e l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.– Il Consiglio di Stato, con sentenza non definitiva del 23 maggio 2017 (reg. ord. n. 121 del 2017), ha sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164.

1.1.– In primo luogo, è censurato – in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, nonché 118, primo comma, della Costituzione – l’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, nella parte in cui non è previsto che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana, quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio, sia preceduta dall’intesa tra lo Stato e la Regione Campania e da una specifica valorizzazione del ruolo del Comune.

In secondo luogo, il giudice rimettente censura – in riferimento agli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – l’art. 33, comma 12, nel «testo vigente». In particolare, viene censurato l’inciso relativo all’importo da riconoscere al Fallimento Bagnolifutura spa, importo che «è versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8».

2.– Riferisce il giudice rimettente che il giudizio a quo trae origine dall’appello promosso nei confronti di due sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Campania: la sentenza della seconda sezione – Napoli, 22 marzo 2016, n. 1471 e la sentenza della prima sezione – Napoli, 20 luglio 2016, n. 3754.

2.1.– La prima pronuncia ha respinto il ricorso del Comune di Napoli per l’annullamento dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 2015 e 15 ottobre 2015, intervenuti in attuazione dell’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, nel testo introdotto dall’art. 11, comma 16-quater, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125.

Il TAR Campania ha rilevato che le citate disposizioni legislative hanno disciplinato la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale, con particolare riferimento al comprensorio di Bagnoli-Coroglio, prevedendo uno specifico programma alla cui formazione, approvazione e attuazione sono preposti un Commissario straordinario del Governo e un «Soggetto attuatore». Successivamente, i decreti impugnati hanno provveduto all’adozione di numerosi adempimenti previsti dal citato art. 33, con la costituzione di una «cabina di regia» e la nomina del Commissario straordinario e del Soggetto attuatore. Riguardo a quest’ultimo – già individuato per legge in Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa (da ora: Invitalia spa) – ne sono stati definiti i compiti, i primi interventi con i relativi finanziamenti e i rapporti con il Commissario straordinario, con il trasferimento alla stessa Agenzia della proprietà delle aree e degli immobili interessati dagli interventi, precedentemente in proprietà di Bagnolifutura spa, in fallimento. Ai sensi dell’originaria formulazione dell’art. 33, comma 12, inoltre, è stata stabilita la costituzione di una società per azioni allo scopo della salvaguardia e riqualificazione delle aree e degli immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio, riconoscendo alla procedura fallimentare di Bagnolifutura spa un indennizzo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, da versare mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla stessa società. Il successivo art. 11-bis del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2016, n. 21, nondimeno, ha eliminato la società di scopo e ridefinito il meccanismo d’indennizzo della curatela fallimentare. Tale indennizzo, infatti, veniva riconosciuto per un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non superiore a quindici anni.

Il TAR Campania ha altresì respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente, sia in virtù della riscrittura del comma 12 da parte del d.l. n. 210 del 2015, come convertito, sia perché il Comune di Napoli non sarebbe stato legittimato a lamentare la violazione di prerogative regionali.

Con la seconda pronuncia, invece, è stato respinto il ricorso proposto dal Fallimento Bagnolifutura spa per l’annullamento del d.P.C.m. 15 ottobre 2015. In particolare, riguardo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente in relazione all’indennizzo, il TAR Campania ha ritenuto che la novella di cui all’art. 11-bis del d.l. n. 210 del 2015, come convertito, faceva sì che i futuri sub-procedimenti, ancora non avviati, avrebbero dovuto necessariamente conformarsi al nuovo contesto giuridico, venendo così meno l’attualità dell’interesse a ricorrere.

2.2.– Ciò premesso, secondo il giudice rimettente, l’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sarebbe lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, nonché dell’art. 118, primo comma, Cost.

2.2.1.– La questione dovrebbe ritenersi senz’altro rilevante, poiché nei confronti degli atti amministrativi impugnati sono state sollevate in assoluta prevalenza doglianze di illegittimità derivata dall’asserita incostituzionalità della legislazione presupposta. L’accoglimento della questione, quindi, produrrebbe l’illegittimità degli atti impugnati.

Riguardo alla violazione delle competenze regionali, dovrebbero estendersi al caso di specie le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza costituzionale in materia di conflitti di attribuzione. In particolare, questa Corte ha affermato che «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’atro soggetto (sentenza n. 110 del 1970; si vedano anche le sentenze n. 99 del 1991 e n. 285 del 1990)» (sentenza n. 195 del 2007). Dunque, sebbene la Regione Campania abbia chiesto il rigetto delle impugnazioni promosse dal Comune di Napoli, quest’ultimo non incontrerebbe alcun limite nel sollevare la detta questione in un giudizio pendente, la quale, in ogni caso, potrebbe comunque essere sollevata d’ufficio dal giudice.

2.2.2.– Nel merito, le disposizioni censurate sarebbero lesive degli indicati parametri costituzionali, in virtù della mancata previsione dell’intesa tra Stato e Regione, nonché dell’assenza di un più adeguato coinvolgimento procedimentale del Comune nell’approvazione del programma di rigenerazione urbana.

Secondo la ormai costante giurisprudenza costituzionale, l’urbanistica e l’edilizia devono essere ricondotte alla materia del «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., di competenza concorrente (vengono richiamate l’ordinanza n. 314 del 2012; le sentenze n. 309 del 2011, n. 362 e n. 303 del 2003). In tale ambito, con specifico riferimento ai poteri urbanistici dei Comuni, la legge potrebbe sì modificarne le caratteristiche o l’estensione, ovvero subordinarli a preminenti interessi pubblici, a condizione però di non annullarli o comprimerli radicalmente e di garantire adeguate forme di partecipazione dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, sono richiamate le sentenze n. 46 del 2014, n. 478 del 2002, n. 378 del 2000, n. 357 del 1998, n. 286 e n. 83 del 1997 e n. 61 del 1994). Nondimeno, il rispetto delle autonomie comunali dovrebbe armonizzarsi con la verifica e la protezione di «concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio» (sentenza n. 378 del 2000). Il che giustificherebbe l’eventuale emanazione di disposizioni legislative che incidano su funzioni già assegnate agli enti locali (è richiamata in particolare la sentenza n. 286 del 1997).

Ciò premesso, questa Corte avrebbe individuato nell’art. 118, primo comma, Cost. un peculiare elemento di flessibilità, diretto a superare la corrispondenza tra titolarità delle funzioni legislative e delle funzioni amministrative (sono richiamate le sentenze n. 232 del 2011, n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). La questione, dunque, sarebbe incentrata intorno ai concetti di necessità e adeguatezza dell’intervento statale (è richiamata la sentenza n. 189 del 2015). Il meccanismo della chiamata in sussidiarietà, infatti, richiederebbe, da un lato, che la valutazione dell’interesse unitario alla base dell’allocazione in capo allo Stato delle funzioni amministrative sia proporzionata e ragionevole; dall’altro lato, che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse. La legislazione statale, quindi, «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 261 del 2015).

Nella fattispecie in esame, in via teorica, ricorrerebbero i presupposti per l’accentramento in capo allo Stato. Senonché, tali presupposti non avrebbero trovato piena e corretta attuazione, attraverso il coinvolgimento della Regione e la valorizzazione del ruolo del Comune. Mancherebbe, in particolare, la necessaria intesa tra lo Stato e la Regione Campania, e il Comune di Napoli verrebbe nei fatti parificato agli altri enti che intervengono a vario titolo nel procedimento.

Dovrebbe tenersi presente, altresì, che nei casi d’intreccio di competenze s’imporrebbe comunque la previsione di procedure concertative e di coordinamento orizzontale, la cui omissione violerebbe il principio di leale collaborazione, da realizzarsi attraverso lo strumento dell’intesa (sono richiamate le sentenze n. 21 e n. 1 del 2016, n. 261 del 2015, n. 44 del 2014, n. 334 del 2010, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008 e n. 50 del 2005).

Nel caso di specie vi sarebbe appunto un intreccio tra la materia ambientale, di competenza esclusiva dello Stato, a cui dovrebbe essere ricondotta la materia dei rifiuti (ex multis, vengono richiamate le sentenze n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009) e quella del «governo del territorio». Tuttavia, la disciplina prevista dall’art. 33 del d.lgs. n. 133 del 2014 non garantirebbe l’adeguato coinvolgimento regionale richiesto dall’indicata giurisprudenza costituzionale.

2.3.– Altresì illegittimo sarebbe l’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, perché lesivo degli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 1 Protocollo addizionale alla CEDU.

2.3.1.– In particolare, il testo normativo non darebbe certezza del ristoro, che sarebbe destinato ad essere erogato mediante non meglio precisati «strumenti finanziari», per loro natura aleatori.

L’indefettibile requisito della «serietà e certezza» dell’indennizzo, infatti, non concernerebbe soltanto la formale previsione legislativa ed il parametro di quantificazione, ma l’effettività di quest’ultima. Sotto il primo profilo, la disposizione sarebbe immune da censure, prevedendo anzi un indennizzo corrispondente al valore di mercato, addirittura più favorevole rispetto alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui il valore di mercato è un dato tendenziale (tra le tante, è richiamata la sentenza n. 181 del 2011). Tuttavia, riguardo al secondo aspetto, il soggetto espropriato si troverebbe nella delicata condizione di potere ricevere quale controvalore dell’area sottrattagli strumenti finanziari di natura aleatoria, che rischierebbero di subire oscillazioni tali da ridurne il valore reale.

Tali strumenti non potrebbero essere utilizzati, almeno senza il consenso del destinatario, quale mezzo di pagamento.

Ciò si ricaverebbe dal diritto dei contratti e soprattutto dal comma 4 dell’art. l del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), secondo cui i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari. Non a caso, la giurisprudenza civile avrebbe affermato più volte che può essere qualificata moneta soltanto il mezzo di pagamento, universalmente accettato, espressione delle potestà pubblicistiche di emissione e di gestione del valore economico, in conformità agli obiettivi stabiliti dall’ordinamento nazionale e sovranazionale (in particolare viene richiamata Cassazione civile, sezione seconda, sentenza 2 dicembre 2011, n. 25837; in argomento sono citate anche Cassazione civile, sezione terza, sentenza 12 gennaio 2012, n. 312, e Cassazione civile, sezioni unite, sentenza 18 dicembre 2007, n. 26617).

D’altronde, non si sarebbe mai dubitato che l’indennizzo debba essere erogato in denaro, o comunque con altro mezzo di pagamento. Né potrebbe diversamente argomentarsi sulla base di quella giurisprudenza amministrativa che ha riconosciuto la praticabilità nel sistema di prescrizioni di legge recanti forme di acquisizione di aree alternative alla espropriazione, in quanto sarebbe evidente che la disposizione censurata si ponga al di fuori di detto schema, poiché inserita in un vero e proprio procedimento espropriativo, seppure speciale e semplificato.

Ad avviso del giudice rimettente non vi sarebbe la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, poiché qualsivoglia approccio esegetico sarebbe inibito dal carattere perentorio della disposizione, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di norme e principi in grado di consentire di colmare le lacune o emendare le norme con l’ausilio dell’analogia, specie in virtù dell’estesa definizione di strumento finanziario data dall’art. l del d.lgs. n. 58 del 1998.

3.– Con atto depositato il 10 ottobre 2017 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

3.1.– Ai fini di una compiuta disamina delle questioni di legittimità costituzionale, la difesa dell’interveniente premette un’ampia ricostruzione dei fatti, tesa ad illustrare il contesto nel quale s’inserisce l’intervento del legislatore.

Il comprensorio di Bagnoli-Coroglio, infatti, sarebbe caratterizzato da condizioni di rilevante inquinamento ambientale, protratto da oltre venti anni e aggravatosi anche a causa delle condizioni di abbandono.

Già dal 2007 lo Stato e la Regione Campania avrebbero provveduto a stanziare risorse per gli interventi, nel 2010 attribuite al Comune di Napoli. A seguito del sequestro preventivo delle aree ex Italsider ed ex Ilva, disposto dal Tribunale di Napoli in data 8 aprile 2013, veniva nominata custode giudiziario la società Bagnolifutura spa, poi fallita. In data 14 agosto 2014 era disposto il dissequestro dell’area e si provvedeva alla stipula di un protocollo d’intesa per il risanamento e la bonifica del sito di Bagnoli-Coroglio. Interveniva, quindi, il d.l. n. 133 del 2014, come convertito, con la previsione di specifiche disposizioni per il comprensorio Bagnoli-Coroglio, quali, in particolare, la nomina di un Commissario straordinario e di un Soggetto attuatore, preposti alla realizzazione di un programma di risanamento.

Successivamente al ripristino del sequestro preventivo delle aree sopra ricordate, il Tribunale di Napoli nominava quale custode giudiziario il direttore generale della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche (ora direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque) del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che stipulava il 16 aprile 2015 con il Comune di Napoli un accordo di programma, riguardo al quale però il Comune non provvedeva a sottoscrivere le relative convenzioni attuative.

In tale contesto entrava in vigore il d.l. n. 78 del 2015, come convertito, di modifica dell’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, che delimitava l’ambito di intervento commissariale solo ed esclusivamente alle aree ricomprese nel sito di interesse nazionale già perimetrato e individuava direttamente in una società in house dell’amministrazione centrale il Soggetto attuatore degli interventi. Al contempo, fermo restando che l’adozione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana era comunque subordinato all’espletamento di una Conferenza di servizi, il Governo definiva un procedimento decisorio incentrato sulla costituzione di un’apposita cabina di regia, partecipata, tra gli altri, dalla Regione Campania e dal Comune di Napoli. Intervenivano così i vari provvedimenti attuativi (quali la nomina del Commissario straordinario e del Soggetto attuatore), dando impulso al Commissario per l’adozione di tutti gli atti necessari, ivi compresa la sottoscrizione delle predette convenzioni attuative direttamente da parte del Soggetto attuatore. Il 4 dicembre 2015, nondimeno, il Sindaco di Napoli comunicava di aver sottoscritto le convenzioni originarie e, dunque, veniva dato immediato avvio, da parte del Soggetto attuatore, agli interventi necessari.

In data 14 aprile 2016 la Conferenza di servizi esprimeva parere favorevole all’approvazione dell’intervento avente a oggetto l’esecuzione e la realizzazione del piano di caratterizzazione delle aree già di proprietà di Bagnolifutura spa, ivi comprese quelle sotto sequestro giudiziario. Con i decreti commissariali del 10 e del 16 giugno 2016 erano adottati i contenuti stralcio del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana e approvati i tre progetti propedeutici e strumentali relativi all’attuazione del piano. Si dava così avvio alle procedure per l’affidamento delle attività, fortemente condizionate dalle decisioni del Tribunale di Napoli in merito all’autorizzazione all’accesso alle aree sottoposte a sequestro. Le attività di caratterizzazione, tuttavia, venivano effettuate, essendo già stata individuata e contrattualizzata l’impresa che materialmente avrebbe eseguito le stesse. Sulla base degli esiti delle analisi di caratterizzazione potevano, quindi, essere definite le operazioni di bonifica necessarie.

Infine, mediante l’Accordo interistituzionale sottoscritto in data 19 luglio 2017, il Governo, la Regione Campania ed il Comune di Napoli concordavano gli indirizzi e i contenuti, ai fini dell’aggiornamento del programma, da adottare secondo le modalità previste dall’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito. Le parti s’impegnavano, ciascuna per le proprie competenze, all’individuazione ed alla destinazione delle necessarie risorse finanziarie, anche con il coinvolgimento di soggetti istituzionali diversi, nonché ad istituire un tavolo per definire le priorità e l’individuazione delle relative risorse per l’attuazione degli interventi in ambito di infrastrutture trasportistiche, unitamente ad un tavolo tecnico per la definizione dei tempi e delle modalità tecniche ed economiche.

3.2.– Riguardo alla questione relativa all’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, secondo l’Avvocatura generale dello Stato la stessa dovrebbe ritenersi inammissibile e comunque infondata.

3.2.1.– In via preliminare, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, sarebbe evidente la carenza di legittimazione del Comune di Napoli a dedurre la violazione delle competenze regionali, con conseguente difetto di rilevanza della questione ai fini dell’incidente di costituzionalità. Riconoscere al Comune il potere di dolersi di una violazione delle competenze regionali significherebbe ledere la sfera di autonomia della Regione, che non riterrebbe affatto violate le sue prerogative.

Il richiamo ai limiti ampi del giudizio in materia di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato non sarebbe pertinente, in quanto non si potrebbe prescindere dalla titolarità della competenza del potere e dalla necessaria verifica della legittimazione processuale del Comune a dedurre vizi concernenti una presunta lesione delle competenze regionali.

La possibilità per il giudice di sollevare la questione anche d’ufficio, infine, non aggiungerebbe nulla, poiché la questione non sarebbe stata in concreto sollevata d’ufficio e, comunque, anche in questa ipotesi, il giudice a quo non avrebbe potuto sottrarsi alla previa verifica della legittimazione processuale del Comune di Napoli, con i medesimi esiti negativi.

3.2.2.– Nel merito, la disciplina censurata atterrebbe alla «tutela dell’ambiente», di potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Risulterebbe evidente che, per le aree di rilevante interesse nazionale e, in particolare, per il comprensorio di Bagnoli-Coroglio, il livello adeguato al quale allocare le relative competenze amministrative sarebbe quello statale. Ciò si evincerebbe anche dal riferimento ai principi di sussidiarietà e adeguatezza contenuto all’art. 33, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, – sia per l’impegno programmatorio, sia per l’impegno finanziario e tecnico-operativo – nel conseguimento degli obiettivi di bonifica e di quelli di rigenerazione urbana, anche in ragione della complessità e della dimensione degli interventi da realizzare, nonché della necessità di recuperare il tempo perso e di superare la frammentazione delle competenze.

Al contempo, gli obiettivi essenziali e prioritari, quali quelli del risanamento ambientale e della rigenerazione urbana, già alla stregua della disciplina vigente in tema di bonifica dei siti contaminati (artt. da 239 a 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»), risulterebbero tra loro strettamente connessi. Infatti, i contenuti ed i tempi della bonifica discenderebbero dalle utilizzazioni previste per le aree dopo l’intervento, cosicché non sarebbe possibile bonificare senza predeterminare la destinazione urbanistica delle singole aree, poiché proprio in funzione della destinazione urbanistica di queste dovrebbero essere definite le condizioni, le modalità ed i parametri di riferimento della bonifica da effettuare. Come previsto dagli artt. 252 e 252-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, nei casi in cui il responsabile dell’inquinamento non sia individuabile o non provveda, e non provveda neanche il proprietario o altro soggetto interessato, la bonifica è di competenza dell’amministrazione statale. Ed in base a tale disciplina, l’autorizzazione del progetto e dei relativi interventi costituisce variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (art. 252, comma 6).

Quindi, l’attrazione delle funzioni urbanistiche nell’ambito del programma complessivo, nella misura in cui una variante della pianificazione preesistente dovesse risultare necessaria al perseguimento degli scopi della bonifica, costituirebbe momento qualificante già della disciplina legislativa ordinaria vigente. In ogni caso, la programmazione e, quindi, l’attuazione di un qualsiasi piano di risanamento ambientale delle aree interessate da condizioni di degrado non potrebbe prescindere dalla preventiva identificazione del programma di rigenerazione urbana da realizzare sulle aree medesime e, pertanto, della relativa destinazione urbanistica, essenziale per la stessa definizione di condizioni, modalità e parametri di riferimento della bonifica da effettuare.

Lo stesso giudice a quo, d’altronde, avrebbe riconosciuto l’improcrastinabilità degli interventi nel comprensorio di Bagnoli-Coroglio e della legittimità dell’intervento statale. Pertanto, sarebbe evidente che il presupposto idoneo a giustificare la compressione delle competenze ordinarie della Regione non potrebbe consistere nell’intesa “forte”, in quanto ciò rischierebbe di creare una situazione di stallo tale da vanificare la ratio della norma e comportare la sostanziale rinuncia a conseguire gli obiettivi di pubblico interesse di riqualificazione dell’area.

3.2.3.– Il censurato art. 33, nondimeno, assicurerebbe comunque alla Regione Campania e al Comune di Napoli una partecipazione procedimentale rafforzata, equivalente a quella che, in applicazione dell’art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), avrebbe l’autorità preposta alla tutela di interessi pubblici sensibili o costituzionalmente prioritari (salute, ambiente, beni paesaggistici e culturali), nella dialettica con le altre amministrazioni pubbliche.

La Regione, infatti, partecipa alla cabina di regia – alla quale è demandata la definizione degli indirizzi strategici per l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana – nonché alla Conferenza di servizi, che si esprime sulla proposta di programma predisposta da Invitalia spa e condivisa dal Commissario del Governo. Inoltre, il Presidente della Regione prende parte alla seduta del Consiglio dei ministri in cui, in caso di mancato accordo in conferenza, il programma è oggetto di approvazione. In tal modo, un’eventuale decisione non condivisa dalla Regione potrebbe essere adottata solo attraverso un’articolata istruttoria ed in tempi sufficienti ad assicurare una valutazione approfondita.

Ancor più evidente sarebbe la mancanza di una compressione delle competenze del Comune, che partecipa anch’esso alla cabina di regia ed è obbligatoriamente consultato dal Soggetto attuatore nell’elaborazione del progetto di programma. Inoltre, il Comune può chiedere, nell’ambito della Conferenza di servizi, la rivalutazione delle proposte non accolte, ferma la necessità, in caso di non recepimento delle stesse, dell’approvazione del Consiglio dei ministri. Tra l’altro, la prima versione del programma adottata con i decreti commissariali del 10 e 16 giugno 2016 sarebbe stata condivisa, oltre che dalla Regione Campania, anche dal Comune di Napoli, che avrebbe sempre preso parte alle riunioni della cabina di regia e della Conferenza di servizi.

Dunque, non si sarebbe verificato (né sarebbe configurabile) alcun vulnus delle potestà regionali e comunali. Nel caso di specie, infatti, come riconosciuto dallo stesso giudice rimettente, sarebbe ravvisabile quell’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative che giustifica, secondo lo schema della chiamata in sussidiarietà, la deroga all’ordinario criterio di riparto (sono richiamate le sentenze n. 261 del 2015, n. 179 e n. 163 del 2012 e n. 303 del 2003). Risulterebbero previsti, inoltre, una pluralità di momenti e strumenti di raccordo e concertazione, atti a consentire un adeguato coinvolgimento della Regione e del Comune interessati (sono richiamate, proprio per i poteri comunali in materia urbanistica, le sentenze n. 478 del 2002, n. 378 del 2000 e n. 286 del 1997), sicché non si potrebbe dubitare che le disposizioni censurate rispettino pienamente l’assetto costituzionale delle competenze ed il principio di leale collaborazione.

Dovrebbe tenersi presente, da ultimo, che mediante l’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, il Governo, la Regione Campania, il Comune di Napoli e le istituzioni interessate all’intervento nel comprensorio di Bagnoli­Coroglio avrebbero condiviso, in forma vincolante, non soltanto i contenuti dell’aggiornamento del primo stralcio del programma, ma anche le modalità di ulteriori integrazioni o modifiche.

3.3.– Venendo alle questioni relative all’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, l’Avvocatura generale dello Stato asserisce che le stesse sarebbero da considerarsi inammissibili per sopravvenuto difetto di rilevanza.

L’art. 13-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2017, n. 123, infatti, ha modificato la disposizione censurata. In particolare, è ora previsto che l’importo dovuto alla curatela fallimentare è versato dal Soggetto attuatore «entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, facendo comunque salvi gli effetti di eventuali opposizioni del Commissario straordinario del Governo, del Soggetto Attuatore, della curatela fallimentare o di terzi interessati, da proporre, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, entro centoventi giorni dalla data di pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, ovvero, se successiva, dalla data della conoscenza della predetta rilevazione; per l’acquisizione della provvista finanziaria necessaria al suddetto versamento e anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8, il Soggetto Attuatore è autorizzato a emettere su mercati regolamentati strumenti finanziari di durata non superiore a quindici anni».

L’importo da versare entro un anno alla curatela fallimentare dovrebbe ritenersi certamente una somma di denaro, superandosi così tutte le censure sollevate in questa sede. Dunque, poiché come emergerebbe dalla stessa ordinanza di rimessione la disposizione censurata non avrebbe avuto ancora attuazione, andrebbe ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo per un rinnovato esame dei termini della questione (sono richiamate a tal proposito le ordinanze n. 200 del 2017 e n. 378 del 2008).

4.– Con memoria depositata il 6 luglio 2017 (procura speciale depositata in data 11 luglio 2017), si è costituita la curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, parte appellante nel giudizio a quo, la quale ha chiesto che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, in quanto individuerebbe una forma d’indennizzo priva dei requisiti di certezza e serietà del ristoro, così come delineati dalla giurisprudenza, costituzionale e di legittimità, anche alla luce dei principi della CEDU.

5.– Con memoria depositata il 10 luglio 2017, si è costituita Invitalia spa, parte nel giudizio a quo, chiedendo il rigetto delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato, perché inammissibili e infondate.

5.1.– Premessa anche in tal caso una ricostruzione delle vicende normative e giurisdizionali alla base del giudizio innanzi a questa Corte, la difesa di Invitalia spa si sofferma sulla questione relativa all’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito.

5.1.1.– In via preliminare, la parte costituita evidenza come l’attuazione del programma di bonifica e risanamento del sito Bagnoli-Coroglio starebbe proseguendo nel pieno rispetto del principio della leale collaborazione fra amministrazioni. L’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, in particolare, sembrerebbe smentire l’impossibilità di dare una lettura costituzionalmente orientata alle disposizioni dell’art. 33 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito. Inoltre, pur in assenza dell’intesa fra Stato e Regione a monte dell’approvazione del programma di bonifica e risanamento, quell’esigenza di collaborazione fra le amministrazioni interessate risulterebbe comunque pienamente assicurata in concreto a valle, in sede di attuazione del programma medesimo. Proprio la sottoscrizione dell’accordo testimonierebbe il difetto d’interesse ad agire del Comune stesso e, sotto questo profilo, l’inammissibilità della questione di costituzionalità per difetto di motivazione sul profilo specifico.

5.1.2.– Ciò chiarito, le disposizioni censurate sarebbero rispettose dei parametri costituzionali richiamati dall’ordinanza di rimessione.

L’esigenza straordinaria d’intervenire con immediatezza e di garantire una gestione unitaria del programma di bonifica e risanamento del sito di Bagnoli­Coroglio sarebbe evidente e connessa allo stato di degrado in cui verserebbe l’area, nonché allo stallo delle iniziative volte a porvi rimedio. Nel caso di specie, l’attività e gli interventi di bonifica ambientale sarebbero strettamente condizionati dalla (e conseguenti alla) preventiva definizione di un adeguato e puntuale programma di rigenerazione urbana, il quale, a sua volta, postulerebbe l’esercizio di funzioni propriamente programmatorie a livello urbanistico.

Se, dunque, l’attività di tutela dell’ambiente potrebbe implicare anche il coinvolgimento delle funzioni appartenenti ad altre materie, allora sarebbe evidente come debba comunque ritenersi prevalente ed assorbente la prima, con la conseguenza che non sarebbe nemmeno necessario ottenere la previa intesa con la Regione, ma solo garantirne il coinvolgimento in fase di attuazione.

Inoltre, si tratterebbe di materie amministrative e perciò il criterio di loro allocazione starebbe nell’art. 118 Cost., che in questo caso non potrebbe che radicare la competenza in capo allo Stato. D’altronde, funzioni analoghe sarebbero ordinariamente esercitate a livello statale, senza che si sia mai dubitato della conformità di un tale modello di allocazione delle funzioni con l’art. 118 Cost. (come per il d.lgs. n. 152 del 2006, ove si disciplinano le attività di bonifica dei siti di interesse nazionale).

In realtà, la logica del riparto delle competenze non subirebbe alcuna rilevante alterazione, poiché le disposizioni in esame riconoscerebbero espressamente al Comune un ruolo di primario rilievo nelle fasi di programmazione ed attuazione degli interventi di bonifica ambientale. Tenuto presente che in questa materia le competenze comunali, di per sé, non riceverebbero alcuna diretta garanzia costituzionale, il Comune ben potrebbe esercitare le sue funzioni attraverso gli specifici meccanismi previsti dalla disciplina di riferimento. Ed invero, il legislatore avrebbe previsto, tanto in favore della Regione Campania, quanto del Comune di Napoli, proprio quella doverosa garanzia partecipativa cui fa riferimento la giurisprudenza costituzionale (è richiamata, in particolare, la sentenza n. 7 del 2016).

5.3.– Per quanto concerne la questione relativa all’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, anche secondo la difesa di Invitalia spa la stessa non sarebbe più attuale, in virtù della modifica alla disposizione censurata ad opera del comma 13-bis del d.l. n. 91 del 2017, come convertito. Tenuto conto che la vecchia formulazione non avrebbe ancora trovato attuazione, la questione sollevata dal Consiglio di Stato non potrebbe essere decisa da questa Corte, spettando al giudice rimettente, in caso di ius superveniens, la valutazione circa la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate (è richiamata l’ordinanza n. 200 del 2017).

In ogni caso, anche la precedente formulazione dell’art. 33, comma 12, sarebbe rispettosa dei presupposti di cui all’art. 42, terzo comma, Cost. Il ristoro, infatti, troverebbe espressa previsione legislativa, così come le modalità per la sua quantificazione, basata sul valore di mercato e affidata all’Agenzia del demanio, ovvero ad un organo terzo ed imparziale, dotato di specifiche competenze tecniche in materia.

D’altronde, quando un’area è contaminata in maniera tale da superare le soglie cautelative previste dall’ordinamento, scatterebbe in capo all’autore dell’inquinamento l’obbligo di bonificarla, oltre che di predisporre misure di sicurezza di emergenza (viene richiamata, per tutte, l’ordinanza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 25 settembre 2013, n. 21). Il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, avrebbe davanti a sé una scelta: o spontaneamente bonificare e mantenere così la proprietà del fondo, acquisendo il diritto a rivalersi per il tantundem dei relativi costi verso il responsabile dell’inquinamento; oppure non bonificare, lasciando allo Stato il compito di farlo, ma in tal caso rassegnandosi allo spossessamento e, immediatamente dopo, all’esproprio del fondo, potendo solo agire per eventuali danni contro il suo dante causa e sempre che ne sussistano i presupposti.

Dunque, utilizzando quale tertium comparationis la disciplina di cui agli artt. 242 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006, la scelta effettuata nel caso di specie non sarebbe affatto irragionevole e non provocherebbe alcuna discriminazione a carico del Fallimento Bagnolifutura spa. Anzi, si garantirebbe alla sua sfera patrimoniale una ben maggiore tutela, poiché l’entità degli interventi sull’area di Bagnoli lascerebbe programmare una sua futura riutilizzazione, la quale potrebbe generare profitti.

6.– Con memoria depositata il 30 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le conclusioni rassegnate nell’atto d’intervento, soffermandosi, in particolare, sulle vicende successive alla rimessione degli atti a questa Corte.

6.1.– Infatti, in attuazione dell’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, la cooperazione sarebbe proseguita con ulteriori incontri, tavoli tecnici e riunioni della cabina di regia, con la partecipazione del Comune di Napoli e della Regione Campania, che hanno condotto alla stesura di un aggiornamento del programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, successivamente approvato dalla Conferenza di servizi. Il nuovo piano, in particolare, avrebbe recepito tutte le istanze del Comune di Napoli, che proprio attraverso il Sindaco avrebbe manifestato piena soddisfazione per la cooperazione istituzionale realizzatasi.

Ciò confermerebbe che alla Regione sarebbe stato garantito un ruolo paritetico a quello del Governo e del Commissario straordinario e, soprattutto, una posizione analoga a quella che sarebbe derivata dal previo raggiungimento di un’intesa. Inoltre, al Comune di Napoli sarebbe stato riservato un coinvolgimento nei relativi procedimenti istruttori e decisionali pienamente in linea con quanto richiesto dalla giurisprudenza costituzionale ai sensi dell’art. 118 Cost.

Dunque, pur nell’indubbia autonomia del giudizio di legittimità costituzionale rispetto al giudizio a quo (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n. 242 e n. 162 del 2014, n. 120 del 2013, n. 274 e n. 42 del 2011), i fatti di concertazione istituzionale in questione sarebbero «fatti tipizzati», che atterrebbero al significato e alla portata della norma sottoposta a giudizio e non potrebbero non essere presi in considerazione ai fini dell’individuazione formale degli interessi in gioco considerati dal legislatore.

7.– Con memoria depositata il 30 aprile 2018, Invitalia spa ha confermato quanto argomentato nell’atto di costituzione in giudizio, fornendo ulteriori elementi di valutazione.

7.1.– In particolare, con riferimento all’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, la parte sottolinea che, qualora in fase di esecuzione della legge censurata sorgano problemi a carico della curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, la stessa avrebbe tutti gli strumenti di difesa della propria posizione soggettiva, proprio in base a tale legge. Inoltre, la tutela dei creditori evocata dalla curatela fallimentare potrebbe avvenire solo attraverso la sollecita soddisfazione dell’interesse pubblico alla riqualificazione di un’area abbandonata e in degrado. Soltanto in tal modo, infatti, i beni facenti capo al fallimento acquisterebbero un certo valore.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, con sentenza non definitiva del 23 maggio 2017, ha sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164.

1.1.– In primo luogo, viene censurato l’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, nella parte in cui non è previsto che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana, quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio, sia preceduta dall’intesa tra lo Stato e la Regione Campania e da una specifica valorizzazione del ruolo del Comune.

Le disposizioni lederebbero gli artt. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, nonché 118, primo comma, della Costituzione, perché, da un lato non sarebbero previste adeguate forme di coinvolgimento della Regione interessata nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali; dall’altro lato verrebbe nei fatti parificato il ruolo del Comune a quello degli altri enti che intervengono a vario titolo nel procedimento.

1.2.– In secondo luogo, è oggetto di censura l’art. 33, comma 12, nel «testo vigente», nella parte in cui prevede che l’importo da riconoscere al Fallimento Bagnolifutura spa «è versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8».

La disposizione sarebbe lesiva degli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, poiché il ristoro verrebbe ad essere erogato mediante non meglio precisati «strumenti finanziari», per loro natura aleatori, in pregiudizio dell’indefettibile requisito della serietà e certezza dell’indennizzo.

2.– Prima dell’esame del merito delle questioni deve ritenersi non rilevante che le stesse siano state promosse con la forma di sentenza non definitiva anziché di ordinanza, dal momento che «il giudice a quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenze n. 275 del 2013 e n. 256 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 151 e n. 94 del 2009 e n. 452 del 1997).

3.– Sempre in via preliminare deve rilevarsi che la curatela del Fallimento Bagnolifutura spa, sebbene costituitasi il 6 ottobre 2017, ha depositato la procura speciale successivamente, in data 11 ottobre 2017.

Ai sensi dell’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la costituzione delle parti deve avvenire entro il termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza nella Gazzetta Ufficiale, mediante il deposito in cancelleria della procura speciale (sentenza n. 364 del 2010, ordinanze n. 11 del 2010, n. 100 del 2009 e n. 124 del 2008).

Poiché il provvedimento di rimessione è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 settembre 2017 e dunque il termine per la costituzione delle parti scadeva il 10 ottobre 2017, la costituzione del Fallimento Bagnolifutura spa è inammissibile.

4.– Con specifico riferimento alle questioni relative all’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, va precisato che il giudice a quo, sebbene richiami, quale parametro costituzionale violato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», svolge le proprie argomentazioni in riferimento alla «tutela dell’ambiente». L’indicazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. appare un mero errore materiale, tenuto conto che entrambe le potestà esclusive statali sono indicate dall’art. 33, comma 1, quale fondamento dell’intervento legislativo. Non appare precluso, pertanto, l’esame della questione in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., risultando i termini della stessa sufficientemente chiari (ordinanza n. 211 del 2004).

5.– In relazione alle censure sull’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, deve essere altresì rigettata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato e da Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa (da ora: Invitalia spa), per carenza di legittimazione del Comune di Napoli a dedurre la violazione delle competenze regionali.

Com’è noto, il riscontro dell’interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti sono rimessi alla valutazione del giudice rimettente, non rientrando tra i poteri di questa Corte quello di sindacare la validità dei presupposti del giudizio a quo, a meno che questi non risultino del tutto carenti, ovvero la motivazione della loro esistenza sia manifestamente implausibile (sentenze n. 200 del 2014, n. 61 del 2012 e n. 270 del 2010).

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, a differenza del giudice di primo grado, ha ritenuto che il ricorrente potesse censurare gli atti impugnati anche per quanto concerne i profili di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative di cui gli stessi sono attuazione. Trattandosi di atti esecutivi di una legge-provvedimento, infatti, l’invocata lesione di competenze regionali non osterebbe all’impugnazione da parte del Comune, poiché la declaratoria d’illegittimità costituzionale avrebbe comunque l’effetto d’inficiare la validità degli atti impugnati, con conseguente interesse della parte attrice al ricorso.

Il Consiglio di Stato, dunque, ha vagliato e motivato in modo sufficiente riguardo all’interesse a ricorrere nel giudizio a quo, sottolineando altresì che la questione, pur sollevata dalla parte, può comunque essere rilevata d’ufficio dal giudice, che è sempre il soggetto che la rimette all’esame della Corte.

6.– Da ultimo, deve dichiararsi inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sollevata in riferimento all’art. 101 Cost., in quanto priva di motivazione (sentenze n. 240 del 2017, n. 219 del 2016, n. 120 del 2015 e n. 241 del 2014).

7.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, non è fondata.

7.1.– L’art. 33 ha introdotto disposizioni generali tese a disciplinare la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana di aree di rilevante interesse nazionale, richiamando esplicitamente la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché quella relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Pertanto, sono state attribuite in capo allo Stato, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, le funzioni amministrative relative al procedimento previsto dal medesimo art. 33, in attuazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, disciplinando vari meccanismi di partecipazione degli enti territoriali interessati.

Per tali scopi, dunque, si è prevista la nomina di un Commissario straordinario del Governo e di un Soggetto attuatore (commi 4, 5 e 6), entrambi da designarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. A tali soggetti è stato attribuito il compito di procedere alla formazione, approvazione e attuazione di un programma di risanamento ambientale e di un documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana, anche in deroga agli artt. 252 e 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Tali atti sono finalizzati, in particolare, alla realizzazione della messa in sicurezza, bonifica e riqualificazione urbana dell’area, prevedendo altresì misure tese alla localizzazione di opere infrastrutturali connesse a tale obiettivo.

Ai sensi dei commi 8, 9 e 10, la proposta di programma, elaborata dal Soggetto attuatore e trasmessa al Commissario straordinario, è sottoposta ad un’apposita Conferenza di servizi, al fine di ottenere tutti gli atti di assenso e di intesa da parte delle amministrazioni competenti. Se la Conferenza non raggiunge un accordo entro trenta giorni dall’indizione, provvede il Consiglio dei ministri, anche in deroga alle vigenti previsioni di legge. Alla relativa seduta partecipa in ogni caso il Presidente della Regione interessata. Il programma è poi adottato dal Commissario straordinario e approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. L’approvazione sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, costituendo altresì variante urbanistica automatica, e comporta dichiarazione di pubblica utilità delle opere e di urgenza e indifferibilità dei lavori.

Con specifico riguardo al sito di Bagnoli-Coroglio, le relative aree sono state esplicitamente dichiarate per legge di rilevante interesse nazionale (comma 11). Inoltre, ai fini della redazione del programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, si è prevista l’acquisizione in fase consultiva delle proposte del Comune di Napoli da parte del Soggetto attuatore. Proposte che il Comune di Napoli può chiedere di rivalutare, ove non accolte, in sede di Conferenza di servizi (comma 13-ter). Con la novella di cui al d.l. n. 78 del 2015, come convertito, al fine di definire gli indirizzi strategici per l’elaborazione del programma, è stata anche prevista l’istituzione di una «cabina di regia», composta da rappresentati dello Stato, del Comune di Napoli e della Regione Campania (comma 13).

Ai sensi del comma 12, al Soggetto attuatore – individuato, in seguito al d.l. n. 78 del 2015, come convertito, in Invitalia spa (società in house dello Stato) – sono stati trasferiti gli immobili e le aree già di proprietà di Bagnolifutura spa, in stato di fallimento, a cui è riconosciuto un indennizzo che, in seguito all’art. 13-bis del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, è corrisposto attraverso un versamento da effettuarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa disposizione di modifica.

7.2.– La disciplina dettata dalle disposizioni in esame intreccia indubbiamente diverse competenze, statali e regionali, in particolare la «tutela dell’ambiente» e il «governo del territorio».

Com’è noto, in casi del genere, occorre individuare l’ambito materiale che possa considerarsi prevalente e, qualora ciò non sia possibile, la concorrenza di competenze comporta l’applicazione del principio di leale collaborazione, che deve permeare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (tra le tante, sentenze n. 251, n. 21 e n. 1 del 2016, n. 44 del 2014, n. 334 del 2010, n. 50 del 2008 e n. 50 del 2005).

Nel caso di specie, l’intervento del legislatore statale, in quanto teso al risanamento e alla bonifica di un sito d’interesse nazionale, può essere certamente ricondotto, in via prevalente, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. A tale titolo di legittimazione, infatti, questa Corte ha più volte ascritto la disciplina dei rifiuti (ex plurimis, sentenze n. 180, n. 149 e n. 58 del 2015, n. 269 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), anche con particolare riferimento alla bonifica dei siti inquinati (sentenze n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008).

Spetta dunque allo Stato disciplinare, pure con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati (sentenza n. 247 del 2009). È evidente che le relative attività e i conseguenti interventi sono strettamente condizionati alla definizione di un adeguato e puntuale programma di rigenerazione urbana, che postula l’esercizio di funzioni propriamente programmatorie a livello urbanistico. Tuttavia, l’attività di tutela dell’ambiente può implicare, come nella specie, anche il coinvolgimento delle funzioni appartenenti ad altre materie, limitando in tal modo le competenze regionali (sentenza n. 225 del 2009).

D’altronde, già l’ordinaria disciplina in tema di bonifica dei siti contaminati (artt. da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del 2006) tiene conto della necessaria incidenza sul «governo del territorio», poiché gli interventi ivi previsti sono strettamente connessi alla destinazione urbanistica delle singole aree da bonificare. In particolare, per i siti d’interesse nazionale si stabilisce la competenza dell’amministrazione statale alla bonifica, qualora a ciò non provvedano il responsabile dell’inquinamento (o lo stesso non sia individuabile), il proprietario o altro soggetto interessato. Ed in base a tale disciplina l’autorizzazione del progetto e dei relativi interventi costituisce esplicitamente variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (art. 252, comma 6).

Dunque, per tutti gli aspetti concernenti la bonifica dell’area interessata, la compressione delle attribuzioni regionali in materia urbanistica è diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale, di competenza esclusiva statale, senza che possa profilarsi una violazione delle disposizioni costituzionali sul riparto di competenze.

7.3.– Ciò precisato, la disciplina censurata appare rispettosa anche dell’art. 118 Cost., in relazione ai contenuti del programma di risanamento più propriamente ascrivibili al «governo del territorio», quali ad esempio la localizzazione delle opere infrastrutturali, sebbene si tratti comunque di aspetti strettamente connessi al risanamento dell’area.

Nell’allocare in capo allo Stato le varie funzioni, il legislatore statale ha previsto varie forme di coinvolgimento della Regione e del Comune. Tali enti, infatti, partecipano alla cabina di regia, alla quale è demandata la definizione degli indirizzi strategici per l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana. Il Soggetto attuatore, inoltre, deve acquisire ed esaminare le proposte del Comune ai fini della predisposizione del programma e le stesse, ove non accolte, devono essere necessariamente rivalutate nella Conferenza di servizi. È in tale sede, a cui partecipano Comune e Regione, che le amministrazioni coinvolte devono raggiungere un accordo sul programma e solo nel caso in cui ciò non avvenga la decisione può essere rimessa ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata però con la necessaria partecipazione alla relativa seduta del Presidente della Regione interessata.

Il superamento del dissenso delle amministrazioni coinvolte, dunque, non può avvenire in via unilaterale da parte dello Stato, ma è frutto di una complessa attività istruttoria, articolata secondo numerosi meccanismi di raccordo, i quali, pur disegnando un procedimento diverso dall’intesa, assicurano una costante e adeguata cooperazione istituzionale. Anzi, in caso di mancato accordo, il procedimento si conclude proprio con le stesse modalità previste per il superamento del dissenso in assenza d’intesa, ossia con una deliberazione del Consiglio dei ministri adottata in una seduta a cui deve necessariamente partecipare il Presidente della Regione interessata.

Neppure per tali profili, dunque, sussiste alcun vulnus alle competenze regionali, né alle esigenze della leale collaborazione in relazione all’allocazione delle funzioni amministrative (da ultimo, sentenze n. 21, n. 7 e n. 1 del 2016 e n. 140 del 2015).

Ciò è ancora più evidente riguardo alle funzioni comunali in materia di programmazione urbanistica, che, tra l’altro, non godono di specifica tutela costituzionale, sebbene i poteri dei Comuni non possano essere annullati e sia necessario garantire agli stessi forme di partecipazione ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, si vedano le sentenze n. 478 del 2002 e n. 378 del 2000). Tali forme di partecipazione sono state appunto predisposte dal legislatore statale, che ha individuato numerose sedi di coinvolgimento del Comune, a monte e a valle del programma di risanamento.

D’altronde, con l’Accordo interistituzionale del 19 luglio 2017, il Governo, la Regione Campania, il Comune di Napoli e le istituzioni interessate all’intervento nel comprensorio di Bagnoli­Coroglio hanno condiviso, sia i contenuti del programma, sia le modalità di ulteriori integrazioni o modifiche, con la successiva redazione di un aggiornamento del programma, approvato dalla Conferenza di servizi, in cui sono state recepite anche le varie istanze comunali. Il che pare testimoniare una corretta cooperazione istituzionale, sottolineata dallo stesso Comune di Napoli.

8.– Venendo alla questione relativa all’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, deve rilevarsi che l’art. 13-bis del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, ha radicalmente modificato il contenuto di tale disposizione.

L’importo dovuto alla curatela fallimentare, infatti, deve essere ora versato dal Soggetto attuatore «entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, facendo comunque salvi gli effetti di eventuali opposizioni del Commissario straordinario del Governo, del Soggetto Attuatore, della curatela fallimentare o di terzi interessati, da proporre, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, entro centoventi giorni dalla data di pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, ovvero, se successiva, dalla data della conoscenza della predetta rilevazione; per l’acquisizione della provvista finanziaria necessaria al suddetto versamento e anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8, il Soggetto Attuatore è autorizzato a emettere su mercati regolamentati strumenti finanziari di durata non superiore a quindici anni».

Scompare, pertanto, il riferimento al versamento dell’importo mediante strumenti finanziari e viene meno, quindi, quell’aleatorietà del pagamento alla base della questione sollevata dal Consiglio di Stato.

Tenuto conto che, come indicato nel provvedimento di rimessione, la disposizione censurata non ha ancora avuto attuazione, s’impone la restituzione degli atti al giudice a quo per un rinnovato esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione (ordinanze n. 25 del 2018, n. 25 del 2017 e n. 378 del 2008).


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la costituzione di Fallimento Bagnolifutura spa;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, sollevata, in riferimento all’art. 101 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con il provvedimento indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 3, 9, 10 e 13, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, nonché 118, primo comma, Cost., dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con il provvedimento indicato in epigrafe;

4) ordina la restituzione degli atti al Consiglio di Stato, sezione quarta, relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, sollevata in riferimento agli artt. 42, 101 e 117, primo comma, Cost. – in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con il provvedimento indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018.
 

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