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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Diritto dell'energia Numero: 148 | Data di udienza: 22 Maggio 2019

DIRITTO DELL’ENERGIA – ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Art. 18, c. 3 l.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2015 – Divieto assoluto di realizzazione, negli argini fluviali, di manufatti per la produzione di energia idroelettrica  – Illegittimità costituzionale.


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Giugno 2019
Numero: 148
Data di udienza: 22 Maggio 2019
Presidente: Lattanzi
Estensore: Amoroso


Premassima

DIRITTO DELL’ENERGIA – ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Art. 18, c. 3 l.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2015 – Divieto assoluto di realizzazione, negli argini fluviali, di manufatti per la produzione di energia idroelettrica  – Illegittimità costituzionale.



Massima

 

CORTE COSTITUZIONALE – 19 giugno 2019, n. 148


DIRITTO DELL’ENERGIA – ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Art. 18, c. 3 l.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2015 – Divieto assoluto di realizzazione, negli argini fluviali, di manufatti per la produzione di energia idroelettrica  – Illegittimità costituzionale.

Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), nella parte in cui non consente la costruzione, all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua, di manufatti per la realizzazione di impianti di produzione di energia idroelettrica compatibili con le esigenze di prevenzione dei rischi idrogeologici.  I principi fondamentali nella materia di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili,  richiedono, all’opposto, che la produzione di energia idroelettrica sia favorita e quindi con essi è incompatibile una norma regionale che ne faccia divieto in alcuni siti ponendo una prescrizione assoluta di immodificabilità, nella specie, degli argini fluviali. La competenza regionale in materia di utilizzazione delle acque non legittima tale divieto assoluto, ma comporta solo che il favore che assiste la produzione dell’energia idroelettrica debba essere bilanciato, nell’apposito procedimento, con le esigenze sottese alla competenza regionale in materia di acque.


Pres. Lattanzi, Est. Amoroso – Giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento vertente tra il Comune di Castions di Strada e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia


Allegato


Titolo Completo

CORTE COSTITUZIONALE – 19 giugno 2019, n. 148

SENTENZA

 

CORTE COSTITUZIONALE – 19 giugno 2019, n. 148

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), promosso dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento vertente tra il Comune di Castions di Strada e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e altri, con ordinanza del 15 febbraio 2017, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Castions di Strada e della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Luca De Pauli per il Comune di Castions di Strada e Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 15 febbraio 2017, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), nella parte in cui non prevede che siano esclusi dal divieto di costruzione i manufatti e i lavori funzionali all’esercizio di concessioni di derivazione idroelettrica.

Tale norma dispone che «all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua non è consentita la costruzione di opere di qualunque tipologia, a eccezione della realizzazione di manufatti e di lavori funzionali al mantenimento in efficienza degli argini stessi, alla difesa idraulica, al contenimento delle piene, al soccorso pubblico, alla tutela della pubblica incolumità e dell’ambiente o di manufatti di presa funzionali all’alimentazione di reti e impianti consortili aventi finalità irrigue o di bonifica».

In punto di fatto il giudice rimettente premette che con ricorso notificato in data 9, 10 e 11 febbraio 2016, il Comune di Castions di Strada ha impugnato le note n. prot. 0031680/P e n. prot. 0031681/P del 9 dicembre 2015, emesse dalla Direzione centrale ambiente ed energia – Area tutela geologico-idrico-ambientale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, aventi ad oggetto le domande di concessione di derivazione d’acque dal torrente Cormor in Comune di Castions di Strada, ad uso idroelettrico.

Il rimettente precisa che con tali note sono state archiviate le domande originariamente presentate al fine del rilascio di concessioni idroelettriche sul citato Cormor, con riferimento alle quali era stata successivamente richiesta la revisione dei progetti in collaborazione con un costituendo Consorzio di bonifica, al fine di utilizzare le opere di presa come funzionali all’alimentazione di rete di impianti consortili, con finalità irrigue e di bonifica; ciò al fine di rendere compatibili tali domande con la sopravvenuta disciplina di cui alla legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015.

Il rimettente dà atto che il Comune, con il ricorso in esame, sostiene l’illegittimità delle archiviazioni delle domande riferite anche ai nuovi progetti e deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, perché in contrasto con la disciplina nazionale in materia di energia, e segnatamente con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), il cui art. 12 disciplina le procedure autorizzative, integrate dalle linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali, del 10 settembre 2010.

La Regione ha sostenuto, invece, che la norma in questione, facendo parte della materia «governo del territorio», con particolare riferimento al rischio idrogeologico e idraulico, sarebbe estranea alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Ritiene il Tribunale superiore che la censurata norma regionale, precludendo, in via generale, il rilascio di concessioni per finalità idroelettriche, stante il divieto di costruzione, di opere e di manufatti di qualunque tipologia all’interno della struttura degli argini, si porrebbe in contrasto con i sopra richiamati parametri costituzionali, rafforzati dagli obblighi di matrice europea in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Secondo il rimettente, le questioni prospettate sono rilevanti al fine della procedibilità delle domande di concessione di derivazione proposte dal Comune ricorrente e, pertanto, l’esito del giudizio dipende dalla risoluzione di tali questioni: infatti, l’applicazione della normativa regionale, oltretutto sopravvenuta rispetto alle domande di concessione di derivazione d’acqua ad uso idroelettrico dal fiume Cormor, costituisce la ragione determinante della reiezione delle domande del Comune ricorrente; si tratta di una normativa preclusiva in modo assoluto di qualunque opera anche se destinata alla realizzazione di impianti per la produzione di energie da fonti rinnovabili.

Al riguardo, il rimettente osserva che il legislatore statale, attraverso la disciplina delle procedure di autorizzazione delle fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza costituzionale, non tollerano eccezioni sul territorio nazionale in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. La normativa comunitaria e nazionale manifesta, inoltre, un favor per le fonti energetiche rinnovabili (come si evince dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, che ha modificato e abrogato precedenti direttive) e tale orientamento è stato recepito dal d.lgs. n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia i principi fondamentali della materia. La normativa statale di cornice ora indicata, nel suo comma 10, rinvia alle linee guida attuate con il d.m. 10 settembre 2010, che hanno il compito di assicurare il corretto inserimento degli impianti, prevedendo che eventuali limitazioni possono essere poste non in via generale, ma in ragione di specifiche tipologie progettuali e costruttive. Invece, il divieto assoluto non consentirebbe l’espletamento dei procedimenti autorizzativi all’interno dei quali devono essere valutati i requisiti degli impianti e la loro rispondenza agli interessi pubblici primari della tutela dell’ambiente e del sistema energetico.

Pertanto, una norma, come quella impugnata, che impedisca in modo aprioristico la costruzione di opere, ovvero di manufatti e lavori, negli argini dei corsi d’acqua, pure quando destinate o funzionali all’esercizio delle concessioni di derivazione idroelettrica, senza farsi carico di una valutazione delle caratteristiche dei singoli progetti rapportati alle concrete condizioni dei luoghi e alla comparazione degli interessi in gioco nel caso specifico, alle quali è specificamente deputato il procedimento disciplinato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, viola appunto quest’ultima disposizione, che, proprio dal suo comma 10 è stata integrata dalle linee guida del d.m. 10 settembre 2010.

Il rimettente osserva, ancora, che in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti.

Inoltre, la censurata disciplina regionale si pone in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, Cost. perché, limitando aprioristicamente il libero accesso al mercato dell’energia, creerebbe uno squilibrio nella concorrenza, con violazione altresì degli artt. 3 e 41 Cost.; inoltre, privando la pubblica amministrazione della possibilità di contemperare gli interessi in gioco per rendere compatibili le esigenze della produzione di energia da fonti rinnovabili con gli altri molteplici pubblici e privati interessi coinvolti, violerebbe pure l’art. 97 Cost.

2. – Con atto depositato in data 3 settembre 2018, si è costituito in giudizio il Comune di Castions di Strada, chiedendo alla Corte di dichiarare le questioni ammissibili e fondate, per le ragioni illustrate con successiva memoria e sostanzialmente sovrapponibili alle argomentazioni dell’ordinanza di rimessione.

3. – Con atto depositato in data 5 settembre 2018, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia chiedendo alla Corte di dichiarare le questioni inammissibili o non fondate per le ragioni poi illustrate nella memoria depositata in data 30 aprile 2019.

In particolare, dopo avere premesso l’irrilevanza dello ius superveniens di cui all’art. 4, comma 1, lettera i), numero 2) della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità), la difesa della Regione osserva, in via preliminare, che la norma contestata è ispirata alla tutela degli argini e soprattutto della loro funzione di tutela del territorio e del sistema fluviale. Peraltro, gli argini si trovano essenzialmente in pianura ove la mancanza di dislivello risulta preclusiva della derivazione d’acqua a scopo idroelettrico.

La Regione sottolinea soprattutto che il divieto in esame risponde alla finalità di difesa dal rischio idrogeologico, cui il territorio è fortemente esposto.

In riferimento alla dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la difesa regionale afferma che la disposizione censurata non dispone affatto in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», avendo come scopo la regolamentazione del deflusso delle acque in condizioni di piena sicurezza.

Al riguardo precisa che la domanda di derivazione d’acqua, oggetto del giudizio a quo, è stata respinta in quanto comportava la manomissione degli argini mediante la costruzione al loro interno di una centralina per la produzione di energia idroelettrica. La norma censurata, pertanto, è espressione dell’esercizio delle potestà legislative regionali di cui alla materia (di competenza primaria) dell’urbanistica, ai sensi dell’art. 4, numero 12) della legge costituzionale 31 gennaio1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), comprendente tutte le funzioni di governo del territorio, e alla materia (di competenza concorrente) «opere per le derivazioni di acqua», di cui all’art. 5, numero 14) dello Statuto.

La difesa della Regione non manca di sottolineare la titolarità demaniale dei beni del demanio idrico, tra cui gli argini, atteso che il decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo) ha trasferito alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, l’intero demanio idrico.

La disposizione impugnata, dunque, sia dal punto di vista oggettivo sia da quello teleologico, riguarda l’assetto del territorio.

Quanto alle censure riferite agli art. 3 e 41 Cost., la difesa della Regione ne evidenzia l’inammissibilità in quanto non adeguatamente motivate, e nel merito la non fondatezza.

Anche in riferimento alla violazione dell’art. 97 Cost. la Regione pone in rilievo l’inammissibilità della censura per essere la stessa non adeguatamente motivata, ed in ogni caso ritiene che il parametro evocato non sarebbe pertinente.

Considerato in diritto

1. – Con ordinanza del 15 febbraio 2017, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), nella parte in cui non prevede che siano esclusi dal divieto di costruzione all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua, i manufatti e i lavori funzionali all’esercizio di concessioni di derivazione d’acqua per uso idroelettrico.

Secondo il Tribunale rimettente sarebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), quale principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», integrato dalle Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, adottate il 10 settembre 2010 con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali. La disposizione regionale censurata impedirebbe, in modo aprioristico e generalizzato, la costruzione, negli argini dei corsi d’acqua della Regione, di opere e manufatti pure quando destinati o funzionali all’esercizio di concessioni di derivazione di acque per la produzione di energia idroelettrica, senza che sia invece richiesta una valutazione delle caratteristiche dei singoli progetti in relazione alle concrete condizioni dei luoghi e alla comparazione degli interessi coinvolti nel caso specifico.

Il Tribunale, poi, evoca anche altri parametri: l’art. 117, secondo comma, Cost., perché la disposizione censurata, limitando aprioristicamente il libero accesso al mercato dell’energia, creerebbe uno squilibrio nella concorrenza; gli artt. 3 e 41 Cost., perché la stessa limiterebbe il diritto di iniziativa economica; l’art. 97 Cost., in quanto, per effetto dell’aprioristica preclusione di valutazioni comparative, priverebbe la pubblica amministrazione della possibilità di contemperare gli interessi in gioco per rendere compatibili le esigenze della produzione di energia da fonti rinnovabili con gli altri molteplici interessi, pubblici e privati, coinvolti.

2. – Va premesso che la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 reca la disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque e in particolare, all’art. 18, prevede una speciale tutela dei corpi idrici superficiali e delle aree fluviali, ponendo una serie di divieti e prescrizioni concernenti l’alveo dei corsi d’acqua naturali, le sponde, la loro fascia adiacente e gli argini.

In particolare, il comma 3 – disposizione censurata – prevede che all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua non è consentita la costruzione di opere di qualunque tipologia, a eccezione della realizzazione di manufatti e di lavori funzionali al mantenimento in efficienza degli argini stessi, alla difesa idraulica, al contenimento delle piene, al soccorso pubblico, alla tutela della pubblica incolumità e dell’ambiente, o di manufatti di presa funzionali all’alimentazione di reti e impianti consortili aventi finalità irrigue o di bonifica.

Per effetto della successiva legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità), la disposizione censurata è stata modificata e in particolare è stata eliminata la possibilità di realizzare manufatti di presa funzionali all’alimentazione di reti e impianti consortili aventi finalità irrigue.

La stessa legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018 ha anche modificato il comma 1 dell’art. 18, introducendo il riferimento alle «finalità di cui all’art. 115 del decreto legislativo 152/2006»; disposizione questa che reca la disciplina di tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici e specificamente prevede che le Regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno dieci metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune.

Questo jus superveniens, peraltro – può subito rilevarsi –, non modifica i termini delle questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale superiore rimettente.

3. – L’art. 18 – come ha giustamente rilevato la difesa della Regione – può iscriversi alla materia della «utilizzazione delle acque pubbliche» che l’art. 5, numero 14), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), riserva alla competenza concorrente del legislatore regionale nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; competenza arricchita dal trasferimento alla Regione delle acque pubbliche, degli alvei e delle opere idrauliche, situati nel territorio regionale (decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo»).

Al contempo, tale disposizione non manca di regolare anche qualche aspetto che incrocia altra materia.

Ciò avviene, ad esempio, nella prescrizione contenuta espressamente nel comma 1 dell’art. 18, che vuole che gli impianti di smaltimento di rifiuti e di discariche non possono essere collocati nella fascia di 150 metri dal piede dell’argine esterno o dal ciglio della sponda; prescrizione che attiene anche alla materia dell’ambiente.

Ma una parallela prescrizione può desumersi – come correttamente ritiene il Tribunale superiore rimettente – dal comma 3 della stessa disposizione: non è possibile, in modo assoluto, la realizzazione, negli argini di tutti i corsi d’acqua della Regione, qualsivoglia manufatto funzionale alla produzione di energia idroelettrica. Questo frammento normativo – che, così interpretato, è posto a fondamento dei provvedimenti della Regione di diniego di concessione di derivazione, impugnati dal Comune richiedente – incrocia la materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che l’art. 117, terzo comma, Cost. indica come competenza concorrente per le Regioni a statuto ordinario.

Invece, lo statuto speciale di autonomia non prevede, in favore della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, alcuna competenza legislativa in questa materia (sentenza n. 298 del 2013), ma solo una riserva quanto al gettito dell’accisa sull’energia elettrica consumata nella Regione (art. 49). Opera, pertanto, la clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che stabilisce che le disposizioni di tale revisione costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite; ciò sino all’adeguamento dei rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione, ai sensi dell’art. 11 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Con riferimento alla materia dell’energia, ciò è avvenuto con il decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese), che ha trasferito alla Regione autonoma le funzioni amministrative in materia di energia, concernenti in particolare anche la produzione (art. 1), riservando allo Stato le funzioni elencate nell’art. 3, afferenti in particolare alle linee della politica energetica nazionale e alla definizione degli obiettivi e dei programmi nazionali in materia di fonti rinnovabili, nonché la definizione dei criteri generali tecnico-costruttivi e le norme tecniche essenziali degli impianti di produzione dell’energia.

Si tratta quindi di competenza ripartita, attuativa della competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., estesa alla Regione ad autonomia differenziata per effetto della clausola di estensione automatica di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Il legislatore regionale è, quindi, parimenti tenuto al rispetto delle norme fondamentali della materia, quali poste dalla normativa statale.

4. – Ciò premesso, va innanzi tutto affermata la piena ammissibilità delle questioni incidentali di costituzionalità sollevata dal rimettente.

Infatti, sussiste la rilevanza delle questioni perché i provvedimenti impugnati dal Comune di Castions di Strada, che ha adito il Tribunale superiore deducendo la loro illegittimità, fondano il diniego di concessione di derivazione delle acque del torrente Cormor proprio sul divieto assoluto, contenuto nella disposizione censurata, di realizzare, negli argini, qualsivoglia manufatto per la produzione di energia idroelettrica. Pertanto, la legittimità costituzionale della norma regionale che tale divieto pone è direttamente rilevante per la definizione del giudizio a quo.

L’ordinanza di rimessione ha, poi, adeguatamente motivato i dubbi di legittimità costituzionale in riferimento ai menzionati parametri (artt. 3, 41, 97 e 117, secondo e terzo comma, Cost.). In particolare, è ammissibile la deduzione, come parametro, dell’art. 117, terzo comma, Cost., pur trattandosi di Regione ad autonomia differenziata, perché il Tribunale superiore si è confrontato con disposizioni dello statuto speciale che non prevedono la materia dell’energia e quindi opera la clausola di equiparazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 nei termini sopra descritti (da ultimo, sul tema, sentenza n. 119 del 2019).

5. – Nel merito, la questione è fondata con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

6. – La disciplina delle fonti rinnovabili, essenzialmente di matrice europea, tende a favorire la produzione di energia “pulita”, sì da meglio salvaguardare l’ambiente. È la strategia nazionale di green economy per uno sviluppo sostenibile dal punto di vista energetico (art. 72 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali»).

Come questa Corte (sentenza n. 85 del 2012) ha già rilevato, la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con legge 1° giugno 2002, n. 120; Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA, fatto a Bonn il 26 gennaio 2009, ratificato e reso esecutivo con legge 5 aprile 2012, n.48) e quella comunitaria (direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, e direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) manifestano un deciso favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili.

In particolare, in ambito europeo una disciplina così orientata è rinvenibile nelle citate direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE e in quella più recente (di rifusione) 2018/2001/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

In ambito nazionale, la normativa europea è stata recepita dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che attua la direttiva 2001/77/CE, e dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che attua la direttiva 2009/28/CE. Con decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, è poi stata data attuazione alla direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, sull’efficienza energetica, recante varie disposizioni per favorire l’energia derivante da fonti rinnovabili.

In questo contesto normativo, in particolare, l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 enuncia, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, i princìpi fondamentali in materia disciplinando il procedimento autorizzatorio e la localizzazione dei siti per la realizzazione degli impianti in questione (ex plurimis, sentenza n. 364 del 2006). Ulteriori princìpi fondamentali sono stati fissati, anche in questo ambito, dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), che costituisce «legislazione di cornice» per la materia dell’energia (sentenza n. 383 del 2005).

Il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, derivante dalla normativa europea e recepito dal legislatore nazionale, «trova attuazione nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti, con le eccezioni, stabilite dalle Regioni, ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti nell’ambito delle materie di competenza delle Regioni stesse» (sentenza n. 224 del 2012). Le quali sono anche coinvolte nella ripartizione della quota minima di incremento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili che il Governo è stato chiamato a fissare d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea (decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente», convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2009, n. 13).

È, dunque, alla stregua di tali princìpi che va scrutinata la disposizione censurata, considerando che il legislatore statale, proprio «attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione» (sentenza n. 99 del 2012).

Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette invece che le Regioni prescrivano limiti generali, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea. Pertanto questa Corte (sentenza n. 69 del 2018) ha ritenuto illegittima la fissazione, da parte del legislatore regionale, di distanze minime per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Né appartiene alla competenza legislativa della stessa Regione la modifica, anzi il rovesciamento, del principio generale contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, con l’introduzione di divieti generalizzati (sentenza n. 224 del 2012). Parimenti, in precedenza, nella sentenza n. 308 del 2011, si è affermata l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di tali impianti.

Anche con riguardo a una Regione ad autonomia speciale questa Corte (sentenza n. 199 del 2014) ha ritenuto che la disposizione censurata – nell’individuare i siti idonei alla realizzazione degli impianti – si poneva in contrasto con le linee guida statali in quanto circoscriveva, limitandole, le aree disponibili alla realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile (nella specie, eolica), senza alcuna ragione giustificatrice rispetto alla specifica competenza primaria in materia paesaggistica della Regione. Si invertiva così il rapporto regola-eccezione, imposto dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che prescrive la generale disponibilità, anche degli ambiti di paesaggio costieri, alla installazione degli impianti.

7. – Occorre, quindi, far riferimento all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 che disciplina il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. I commi 3 e 4 prevedono che la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o dalle Province delegate dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.

Il comma 10, in particolare, dispone che le linee guida sono approvate in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (oggi Ministro per lo sviluppo economico), di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali. Esse perseguono l’obiettivo, espressamente indicato, di assicurare un corretto inserimento degli impianti nel territorio.

In questo contesto le Regioni possono individuare aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti e porre limitazioni e divieti in atti programmatori o pianificatori per l’installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili, ma con le prescritte modalità procedimentali.

Le linee guida indicano appunto i criteri e i principi che le Regioni sono tenute a rispettare al fine di individuare le aree nelle quali non è possibile realizzare impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Pertanto – ha affermato questa Corte (sentenza n. 13 del 2014) – alle Regioni è consentito individuare, caso per caso, aree e siti non idonei, avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti.

Conseguentemente, in continuità con il richiamato costante orientamento giurisprudenziale, va ribadito che l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, con le relative linee guida, appartiene ai princìpi fondamentali della materia, di competenza legislativa concorrente, «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»; sicché il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare «le aree e i siti non idonei» alla installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile non permette che le Regioni prescrivano limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale (nello stesso senso, le sentenze n. 69 del 2018, n. 199 del 2014 e n. 308 del 2011).

Né a ciò è di ostacolo la “clausola di salvezza” contenuta nell’art. 19 dello stesso d.lgs. n. 387 del 2003. Questa Corte ha infatti affermato che la competenza legislativa delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome «deve tuttavia coesistere con la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e con quella concorrente in materia di energia» (sentenza n. 275 del 2011). E infatti, con specifico riferimento ad alcune disposizioni legislative proprio della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di energia da fonti rinnovabili, questa Corte (sentenza n. 298 del 2013) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione regionale che estendeva lo speciale regime abilitativo oltre i limiti fissati dalla legge statale in ordine all’ubicazione e alla potenza degli impianti.

8. – È però ben possibile che la disciplina relativa alla localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili intersechi anche gli ambiti di diverse competenze legislative, nazionali e regionali. Nel qual caso – come questa Corte ha già precisato – «l’armonizzazione profilata nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, tra competenze statali, regionali e provinciali costituisce una modalità di equilibrio rispettosa delle competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione e nella realizzazione delle fonti energetiche rinnovabili» (sentenza n. 224 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 308 del 2011 e n. 119 del 2010).

Nella fattispecie la disposizione censurata, dettata in materia di utilizzazione delle acque, contiene anche il divieto assoluto di realizzazione, negli argini fluviali, di qualsivoglia manufatto per la produzione di energia idroelettrica, senza neppure prevedere, come eccezione, la possibilità di realizzare opere compatibili con l’esigenza, in particolare, di prevenire rischi idrogeologici.

I richiamati principi fondamentali della materia richiedono all’opposto che la produzione di energia idroelettrica sia favorita e quindi con essi è incompatibile una norma regionale, quale quella censurata, che ne faccia divieto in alcuni siti ponendo una prescrizione assoluta di immodificabilità, nella specie, degli argini fluviali.

La competenza regionale in materia di utilizzazione delle acque non legittima tale divieto assoluto, ma comporta solo che il favore che assiste la produzione dell’energia idroelettrica debba essere bilanciato, nell’apposito procedimento, con le esigenze sottese alla competenza regionale in materia di acque.

Pertanto, la reductio ad legitimitatem della disposizione censurata comporta che la possibilità di realizzazione di manufatti negli argini fluviali sia bilanciata dall’esigenza di prevenire ogni rischio idrogeologico.

9. – In conclusione, assorbiti gli altri parametri evocati dal Tribunale superiore rimettente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2015 nella parte in cui non consente la costruzione, all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua, di manufatti per la realizzazione di impianti di produzione di energia idroelettrica compatibili con le esigenze di prevenzione dei rischi idrogeologici.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), nella parte in cui non consente la costruzione, all’interno della struttura degli argini dei corsi d’acqua, di manufatti per la realizzazione di impianti di produzione di energia idroelettrica compatibili con le esigenze di prevenzione dei rischi idrogeologici.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2019.
 

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