DIRITTO DELL’ENERGIA – Aree non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia geotermica – Art. 2 l.r. Toscana n. 73/2020 – Norma di salvaguardia ambientale – Riferimento ai soli impianti di competenza regionale – Esclusione degli impianti di interesse nazionale – Questioni di legittimità costituzionale – Infondatezza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Gennaio 2022
Numero: 11
Data di udienza: 25 Novembre 2021
Presidente: Coraggio
Estensore: San Giorgio
Premassima
DIRITTO DELL’ENERGIA – Aree non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia geotermica – Art. 2 l.r. Toscana n. 73/2020 – Norma di salvaguardia ambientale – Riferimento ai soli impianti di competenza regionale – Esclusione degli impianti di interesse nazionale – Questioni di legittimità costituzionale – Infondatezza.
Massima
CORTE COSTITUZIONALE – 20 gennaio 2022, n. 11
DIRITTO DELL’ENERGIA – Aree non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia geotermica – Art. 2 l.r. Toscana n. 73/2020 – Norma di salvaguardia ambientale – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2020, n. 73 (Disposizioni in materia di occupazioni del demanio idrico da parte dei gestori del servizio idrico integrato e in materia di geotermia), promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione. La disposizione impugnata costituisce, infatti, una norma di salvaguardia ambientale, volta a regolare il periodo che va dall’adozione della modifica del PAER alla sua approvazione. In tale contesto, la finalità perseguita dal legislatore regionale è quella di evitare che la non ancora intervenuta conclusione del procedimento amministrativo concernente l’individuazione delle aree «non idonee» all’installazione di impianti di produzione di energia geotermoelettrica possa consentire ai proprietari dei luoghi interessati di realizzare nuove installazioni di impianti, in tal modo eludendo, nelle more della conclusione del procedimento di approvazione, la stessa individuazione di quelle aree in via amministrativa. Quella impugnata assume, quindi, i contorni di una norma transitoria con finalità cautelare: essa punta esclusivamente a preservare le aree in questione, impedendo – secondo le finalità proprie delle misure di salvaguardia, come enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte – «quei cambiamenti degli assetti urbanistici ed edilizi, che potrebbero contrastare con le nuove previsioni pianificatorie, in pendenza della loro approvazione». Deve quindi affermarsi che la disposizione impugnata, in quanto misura di salvaguardia ambientale, non produce l’effetto di qualificare, sin da subito, come ambiti potenzialmente atti alla localizzazione degli impianti geotermici – anche aree di pregio e di interesse culturale. Al contrario, quelle aree non formano oggetto della disciplina dettata dal legislatore regionale, rimanendo impregiudicate le valutazioni, anche ambientali, che su di esse dovranno essere compiute dalle amministrazioni competenti.
DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti geotermici – Aree inidonee – Art. 2 l.r. Toscana n. 73/2020 – Riferimento ai soli impianti di competenza regionale – Esclusione degli impianti di interesse nazionale – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.
L’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020, deve essere letto nel quadro normativo di riferimento, quindi nel senso che esso – nel recepire l’atto consiliare che ha adottato la classificazione delle aree «non idonee» per l’installazione degli impianti geotermici, ai fini del rilascio della successiva autorizzazione – si riferisce solo agli impianti che rientrano nella competenza regionale, e non anche a quelli “pilota” che, a norma della legge statale, per effetto del «ridotto impatto ambientale» e delle connesse esigenze di sperimentazione che li caratterizzano, sono considerati, al pari dei fluidi geotermici impiegati, di interesse nazionale. Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Pres. Coraggio, Est. San Giorgio – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Toscana
Allegato
Titolo Completo
CORTE COSTITUZIONALE – 20 gennaio 2022, n. 11SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2020, n. 73 (Disposizioni in materia di occupazioni del demanio idrico da parte dei gestori del servizio idrico integrato e in materia di geotermia), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 28 settembre e il 1° ottobre 2020, depositato in cancelleria il 5 ottobre 2020, iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2021 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Luisa Spina per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;
deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 90 del reg. ric. del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2020, n. 73 (Disposizioni in materia di occupazioni del demanio idrico da parte dei gestori del servizio idrico integrato e in materia di geotermia), in riferimento agli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, commi primo e secondo, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione.
La disposizione impugnata, rubricata «Applicazione della disciplina delle aree non idonee», stabilisce quanto segue: «L’individuazione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana effettuata mediante la delibera del Consiglio regionale 7 luglio 2020, n. 41 (Modifica del Piano ambientale ed energetico regionale (PAER) ai fini della definizione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana, Adozione ai sensi dell’articolo 19 della l.r. 65/2014) è immediatamente efficace e si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge».
L’impugnazione del Governo – come si legge nelle premesse del ricorso – muove dalla tesi che, «con tale disposizione, la Regione Toscana abbia travalicato i limiti fissati dalla Costituzione alla propria competenza legislativa» e viene articolata in cinque motivi.
1.1.– Con il primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 142, comma 1, lettera m), 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
La previsione dell’immediata efficacia della deliberazione del Consiglio regionale 7 luglio 2020, n. 41, recante «Modifica del Piano ambientale ed energetico regionale (PAER) ai fini della definizione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana. Adozione ai sensi dell’articolo 19 della l.r. 65/2014», anche rispetto ai procedimenti in corso, renderebbe sin da subito operativa la modifica del Piano ambientale ed energetico (PAER) ivi disposta. Tale modifica, tuttavia, non potrebbe ancora considerarsi definitiva: essa, come precisa il ricorrente, «risulta ancora in fase istruttoria», in quanto è ancora pendente il termine di sessanta giorni, decorrente dalla pubblicazione dell’avviso di adozione della modifica al PAER, entro il quale qualunque interessato può presentare osservazioni. Inoltre, aggiunge il ricorrente, è in corso di parallelo svolgimento anche la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), «tuttora aperta».
Rispetto alla modifica del PAER così adottata, peraltro, le richieste già formulate in fase preliminare dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi: Ministero della cultura) risulterebbero «in larga parte disattese dalla Regione».
La predetta delibera, nell’individuare le aree «non idonee» all’installazione degli impianti geotermici, avrebbe l’effetto – immediatamente operativo, proprio a causa della previsione in questa sede impugnata – non già di incrementare la tutela ambientale per le aree che vengono escluse dall’installazione di impianti geotermici, quanto piuttosto di far risultare, sin da subito, come idonee («e, quindi, come ambiti potenzialmente atti alla localizzazione di impianti geotermici») anche «aree di pregio e di interesse culturale», senza che sul punto – lamenta il ricorrente – si sia svolto alcun confronto con gli uffici statali preposti. Anzi, per alcuni procedimenti riguardanti singoli impianti, in corso di svolgimento, i competenti uffici ministeriali avrebbero espresso, quanto ai valori paesaggistici, una «valutazione negativa di compatibilità» proprio «con riferimento ad aree che risulterebbero idonee in applicazione della delibera regionale n. 41 del 2020».
Con la menzionata delibera, in particolare, la Regione avrebbe ritenuto «idonee», ai fini dell’installazione di impianti geotermici con potenza superiore a 20 MWe, «le zone all’interno di coni visuali», disattendendo in tal modo una specifica richiesta di esclusione formulata dalle competenti soprintendenze. Ciò, peraltro, sarebbe in contrasto anche con le prescrizioni dettate dal piano di indirizzo territoriale (PIT), avente valenza di piano paesaggistico, che avrebbe dettato disposizioni a tutela delle «visuali panoramiche» e della «percezione visiva degli insiemi di valore storico-testimoniale, ivi compreso il loro intorno territoriale, anche in riferimento alle eventuali installazioni tecnologiche, inclusi gli impianti per la produzione di energie rinnovabili».
Ne conseguirebbe un impedimento di fatto, per i preposti organi statali, alla partecipazione al processo decisionale, posto che il PIT è elaborato congiuntamente con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Ancora, secondo il ricorrente, altre e «svariate» previsioni della delibera consiliare n. 41 del 2020 si troverebbero in contrasto con le norme del codice dei beni culturali e con le richieste avanzate dagli organi competenti del Ministero in fase preliminare di VAS. In particolare, tale contrasto riguarderebbe le previsioni di cui all’Allegato A.1 della deliberazione consiliare, che classifica come idonee sia «le aree sottoposte a tutela», ai sensi dell’art. 136 (immobili ed aree di notevole interesse pubblico) e dell’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali (parchi e riserve naturali nazionali o regionali), consentendovi l’installazione di impianti geotermici di potenza inferiore o pari a 20 MWe, sia le aree sottoposte a tutela ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera m), cod. beni culturali (zone di interesse archeologico), presso le quali si consente l’installazione di impianti di potenza superiore a 20 MWe.
La previsione impugnata, che mira ad anticipare gli effetti della delibera consiliare n. 41 del 2020, rendendola applicabile anche ai procedimenti pendenti, violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto risulterà «assai arduo negare l’autorizzazione alla localizzazione di impianti geotermici nelle aree, pur sottoposte a vincolo paesaggistico, ma non incluse tra le aree non idonee». Peraltro, pur laddove le predette aree dovessero risultare incluse tra quelle non idonee, all’esito dell’approvazione della modifica del PAER, il ricorrente paventa «l’impossibilità di eliminare gli effetti prodotti dalle autorizzazioni già legittimamente rilasciate sulla base della legge regionale censurata». Ne deriverebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici, «in quanto potrebbe verificarsi un trattamento di favore limitato ai soli procedimenti pendenti nell’attuale fase transitoria».
Sarebbe, inoltre, violato l’art. 11 Cost., per contrasto con gli obblighi derivanti all’Italia dall’appartenenza all’Unione europea. Il ricorso considera violate le norme della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Costituirebbero parametri interposti le previsioni degli artt. 4 e 11 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Risulterebbero violati, inoltre, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza statale la materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», e l’art. 9 Cost., che attribuisce allo Stato la «tutela del paesaggio».
1.2.– Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., nuovamente per contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, in relazione agli artt. 4 e 8 della direttiva 2001/42/CE, ed agli artt. 4, comma 1, 11, commi 3 e 5, 13, 14 e 15 cod. ambiente.
Le richiamate disposizioni stabiliscono che il procedimento relativo alla VAS accompagni l’iter del piano paesaggistico e si concluda prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo. La previsione regionale impugnata, invece, anticiperebbe gli effetti della modifica del PAER ad un momento procedimentale, quando ancora non è conclusa la procedura di VAS, e senza che tale anticipata efficacia risulti funzionale ad un livello di maggior tutela ambientale. Verrebbe, anzi, «vanificata la finalità stessa della procedura di VAS, in quanto si attribuisce efficacia a previsioni per le quali la verifica è ancora in corso».
1.3.– Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e dei «parametri interposti» costituiti dagli artt. 135, comma 4, 143, commi 1 e 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali.
Dalle richiamate norme primarie discenderebbe il principio, «coessenziale all’impianto della tutela del paesaggio», dell’obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regione dei beni paesaggistici. Pertanto, gli ambiti riservati al piano paesaggistico non potrebbero «essere surrogati da una disciplina dettata unilateralmente dalla Regione», né, tantomeno, sarebbe «consentito ad alcuno strumento pianificatorio di derogare alle previsioni del piano paesaggistico», posto in «posizione di assoluta preminenza, nel contesto della pianificazione territoriale».
Il ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale in tema di «obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati» (in particolare, sono citate le sentenze n. 86 del 2019, n. 272 del 2009, n. 180 del 2008 e n. 182 del 2006).
Nel caso di specie, la norma regionale censurata, nell’includere tra le aree potenzialmente idonee ad ospitare impianti geotermici anche alcuni ambiti vincolati, inciderebbe sulle prescrizioni d’uso (co-pianificate) dei vincoli paesaggistici, senza alcun coinvolgimento preventivo del Ministero, così violando – oltre alle norme costituzionali già indicate – anche l’art. 9 Cost., alla stregua del quale il paesaggio assurge a valore primario e assoluto (è richiamata la sentenza n. 367 del 2007).
1.4.– Con il quarto motivo viene dedotta la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni e dell’art. 117, terzo comma, Cost.
La norma impugnata costituirebbe «il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’adozione del PIT».
Viene richiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio di leale collaborazione, che è volto ad attenuare i dualismi e ad evitare eccessivi irrigidimenti, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale, in una sede istituzionale, di tener fede all’impegno assunto (sentenza n. 31 del 2006).
1.5.– Infine, con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 (Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell’articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99).
La disposizione regionale impugnata non escluderebbe dal proprio ambito di applicazione gli «impianti geotermici pilota», la cui disciplina risulterebbe riservata alla competenza esclusiva statale ai sensi della norma interposta evocata. Si tratta di quegli impianti che il legislatore statale ha fatto oggetto di apposita sperimentazione, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale.
L’esclusione di simili impianti dall’ambito di applicazione della norma regionale – precisa il ricorrente – non potrebbe peraltro considerarsi implicita, atteso che il PAER espressamente specifica che «Le aree non idonee sopra riportate non si applicano alle “piccole utilizzazioni locali” ex art. 10 del D.Lgs. 22/2010».
Ne deriverebbe il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia (di legislazione concorrente) della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo che il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sia dichiarato inammissibile o non fondato.
Preliminarmente, in fatto, la resistente riferisce della genesi della delibera consiliare n. 41 del 2020, preceduta da «uno studio approfondito sulle risorse geotermiche presenti in Toscana», approvato con delibera della Giunta regionale 15 dicembre 2015, n. 1229 (Deliberazione della Giunta regionale relativa all’approvazione dei documenti di attuazione dell’articolo 1 della “legge regionale 16 febbraio 2015, n. 17 – Disposizioni urgenti in materia di geotermia”). Al fine di attuare quanto prescritto dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), nonché dalla fonte regolamentare di riferimento (paragrafo n. 17 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»), la Regione avrebbe compiuto «un’analisi attenta di conformità a quanto previsto dal PIT, avente valenza di piano paesaggistico regionale», ed avrebbe altresì valutato le «esigenze delle comunità locali».
Ciò premesso in punto di fatto, la Regione resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto diretto «surrettiziamente» a contestare la legittimità della delibera consiliare n. 41 del 2020 («peraltro non impugnat[a] nelle dovute sedi giurisdizionali»), piuttosto che la legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020.
Sotto altro profilo, il ricorso sarebbe altresì inammissibile per la natura ipotetica della questione promossa. Laddove, infatti, il ricorrente lamenta che l’introduzione della norma censurata «renderà particolarmente arduo negare l’autorizzazione nei confronti di impianti ricadenti in aree di pregio che non risultano incluse nel novero di quelle “non idonee”», verrebbe prospettata «una mera eventualità sulla base di considerazioni generiche e probabilistiche».
Le censure, comunque, sarebbero nel merito infondate, alla luce delle seguenti considerazioni.
2.1.– Quanto al primo motivo del ricorso, la resistente osserva che la norma impugnata «costituisce una misura di salvaguardia» del paesaggio e dell’ambiente. La delibera consiliare n. 41 del 2020, infatti, ha ad oggetto la previsione delle aree che non sono idonee all’installazione degli impianti geotermici: l’immediata sua efficacia, pertanto, sarebbe volta a realizzare gli obiettivi di tutela «sin da subito, senza attendere la conclusione del procedimento di approvazione, per assicurare e garantire la futura efficacia della delibera di approvazione del PAER».
Le aree non inserite tra quelle «non idonee» non sarebbero, per ciò solo, atte alla localizzazione degli impianti: la soprintendenza, in sede di autorizzazione, potrebbe infatti pur sempre esprimere il proprio dissenso motivato che è «obbligatorio e vincolante» per la realizzazione di opere ed impianti in aree sottoposte a tutela paesaggistica (art. 146, comma 5, cod. beni culturali).
Inoltre, secondo la Regione, la disposizione impugnata «non incide sulla competenza statale a valutare gli effetti dei piani e programmi per la tutela dei beni culturali»: nel caso di specie, VAS, in linea con quanto stabilisce l’art. 7 cod. ambiente, «è di competenza della Regione» e le osservazioni presentate dalla Soprintendenza verranno considerate e valutate nel procedimento.
2.2.– Per analoghe ragioni, anche il secondo motivo non sarebbe fondato.
Osserva la Regione che la deliberazione consiliare n. 41 del 2020, proprio perché individua le aree non idonee all’installazione di impianti geotermici, «persegue una tutela più elevata di quella che vi sarebbe in assenza di una disciplina».
2.3.– Con riferimento al terzo motivo di ricorso, la resistente sostiene che il PAER non derogherebbe al principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico rispetto agli altri piani di governo del territorio.
La delibera consiliare n. 41 del 2020, del resto, dà espressamente atto, nelle premesse, che i contenuti della modifica al PAER sono conformi alle previsioni del Piano di indirizzo territoriale (PIT) avente valenza di piano paesaggistico.
2.4.– Non fondato, per le stesse ragioni, sarebbe anche il quarto motivo. Ciò, in quanto il PIT non risulterebbe inciso dalla modifica del PAER approvata con la delibera consiliare, e quindi nemmeno dalla norma della legge regionale impugnata.
2.5.– Quanto, infine, al quinto motivo di ricorso, la resistente osserva che, nel caso degli impianti pilota di cui all’art. 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 22 del 2010, «la presenza delle Aree non Idonee non ha mai una incidenza diretta, essendo tenuta in considerazione non nella fase autorizzativa dell’impianto, ma esclusivamente ai fini del rilascio dell’intesa fra Regione interessata e Ministero procedente, ai sensi dell’articolo 3 comma 2 bis, del D.Lgs. 22/2010».
In tal caso, comunque, l’assenso della Regione – precisa la resistente – «non è vincolante per l’autorità statale competente al rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione degli impianti pilota».
3.– Con memoria depositata il 2 novembre 2021 il Presidente del Consiglio dei ministri ha replicato alle deduzioni difensive della Regione Toscana.
Il ricorrente, richiamando il primo motivo di impugnazione di cui all’atto introduttivo del giudizio, sostiene che, mediante la previsione contestata, che ha stabilito l’immediata efficacia della modifica al PAER, verrebbe precluso ai competenti organi statali «di esprimere le proprie valutazioni sul piano, così contravvenendo al principio di cooperazione imposta dalla disciplina di settore». Come prescritto dal paragrafo 17.2 del d.m. 10 settembre 2010, l’individuazione delle aree «non idonee» non potrebbe non tenere conto del contenuto del piano paesaggistico; proprio in ciò – precisa il ricorrente – risiederebbe «il fulcro di tutto il ricorso», con il quale si è rimproverato «alla Regione di aver surrettiziamente […] invaso la competenza statale, esistente in materia ambientale e paesaggistica», per aver individuato le zone non idonee «del tutto autonomamente […], senza attendere l’espressione delle determinazioni delle competenti autorità statali coinvolte, violando il principio di leale collaborazione che vede nella sola cooperazione congiunta tra Regione e Stato la possibilità di incidere sul piano paesaggistico».
Del resto, soggiunge il ricorrente, «l’individuazione delle aree non idonee, a contrario individua anche quelle idonee, ciò avvenendo senza cooperazione effettiva dello Stato». Ed anche se i competenti organi statali potranno «sicuramente esprimere il proprio diniego», pur se solo in un momento successivo, ciò finirebbe comunque per determinare conseguenze pregiudizievoli per l’ambiente, in quanto quel diniego «avrebbe scarse probabilità di essere confermato nella sua legittimità». La ragione della contestata violazione riposerebbe, dunque, «nel non aver coinvolto lo Stato proprio nella fase preliminare, cioè al momento di individuare quali aree fossero o meno idonee, dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ad ospitare gli impianti».
Quanto al secondo motivo, a parere del ricorrente la Regione, nelle sue difese, avrebbe riconosciuto «che la modifica del PAER è stata effettuata prima della conclusione del procedimento di VAS», il che sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare la fondatezza della censura.
Sul terzo motivo, il ricorrente osserva, poi, che l’affermazione della Regione – secondo cui la modifica del PAER sarebbe conforme alle previsioni del PIT – costituirebbe una mera «dichiarazione di conformità», della quale non sarebbe possibile apprezzare la veridicità allo stato, proprio perché mancano ancora gli assensi delle autorità competenti (quelle statali) circa l’idoneità dell’individuazione delle aree.
Infine, sul quinto motivo del ricorso, il ricorrente ribadisce che la Regione Toscana, nell’aver individuato le aree non idonee alla localizzazione degli impianti geotermici, «ha evidentemente ricompreso in esse (senza quindi farle salve) anche quelle relative agli impianti geotermici pilota», peraltro mai nominati nel paragrafo numero 3 dell’Allegato numero 7 della modifica al PAER, con conseguente invasione della competenza esclusiva dello Stato.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2020, n. 73 (Disposizioni in materia di occupazioni del demanio idrico da parte dei gestori del servizio idrico integrato e in materia di geotermia), lamentando, sotto diversi profili, la violazione degli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, commi primo e secondo, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
La disposizione impugnata, sotto la rubrica «Applicazione della disciplina delle aree non idonee», stabilisce quanto segue: «L’individuazione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana effettuata mediante la delibera del Consiglio regionale 7 luglio 2020, n. 41 (Modifica del Piano ambientale ed energetico regionale (PAER) ai fini della definizione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana. Adozione ai sensi dell’articolo 19 della l.r. 65/2014) è immediatamente efficace e si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge».
Le censure sollevate si incentrano, in particolare, sulla prescrizione della immediata efficacia della delibera consiliare richiamata dalla disposizione impugnata. Riferisce il ricorrente che il procedimento relativo alla modifica del Piano ambientale ed energetico regionale (PAER), volta per l’appunto all’individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti geotermici, si trova ancora nella fase istruttoria: risulta pendente, infatti, il termine di sessanta giorni fissato dalla legge per la presentazione delle osservazioni da parte degli interessati, e non sarebbe ancora conclusa la parallela procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Proprio nel corso dell’istruttoria, peraltro, le richieste formulate «in fase preliminare» dagli organi ministeriali sarebbero state «in larga parte disattese» dalla Regione, mentre per alcuni procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso (relativi a singoli impianti geotermici) i competenti uffici ministeriali (VIA) avrebbero già reso una «valutazione negativa di compatibilità» con riferimento ad aree le quali, in applicazione della delibera consiliare de qua, viceversa «risulterebbero idonee». Ne verrebbe «di fatto» impedita la partecipazione dei preposti organi statali al processo decisionale, e ciò nonostante la vigenza del Piano di indirizzo territoriale (PIT), avente valenza di piano paesaggistico, che è stato elaborato dalla Regione congiuntamente con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi: Ministero della cultura), e le cui previsioni finirebbero per essere pregiudicate proprio dall’individuazione, immediatamente efficace, delle aree non idonee.
In tale complessivo quadro, il primo motivo del ricorso censura la violazione degli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 142, comma 1, lettera m), 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). La disposizione impugnata anticiperebbe la conclusione del procedimento volto all’individuazione delle aree non idonee, cristallizzandone un esito non conforme a plurime indicazioni promananti dagli organi statali competenti, ai quali sarebbe pertanto preclusa una fattiva collaborazione procedimentale. La descritta «entrata in vigore anticipata», inoltre, risulterebbe «irragionevole e contraria al principio del buon andamento dell’amministrazione», recando conseguenze anche sui pendenti procedimenti di autorizzazione di singoli impianti geotermici. L’effetto che si produrrebbe, quindi, non sarebbe quello di incrementare la tutela ambientale per le aree non idonee, ma, al contrario, quello «di qualificare, sin da subito, come aree non classificate come “non idonee” – e, quindi, come ambiti potenzialmente atti alla localizzazione di impianti geotermici – anche aree di pregio e di interesse culturale».
Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 4 e 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/42/CE, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, nonché agli artt. 4, comma 1, 11, commi 3 e 5, 13, 14 e 15 cod. ambiente. Nel ribadire che la previsione regionale censurata anticipa gli effetti della modifica del PAER non ancora approvata, viene qui censurata la violazione delle invocate norme interposte che scandiscono il procedimento relativo alla VAS, la cui finalità finirebbe, in sostanza, con l’esser vanificata.
Si lamenta poi, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., insieme ai «parametri interposti» costituiti dagli artt. 135, comma 4, 143, commi 1 e 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali, dai quali discenderebbe il principio, «coessenziale all’impianto della tutela del paesaggio», dell’obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regione. La disposizione impugnata recherebbe una valutazione unilaterale incidente sulle prescrizioni d’uso (co-pianificate) dei vincoli paesaggistici, pur in presenza di uno strumento territoriale, a valenza paesaggistica, frutto di co-pianificazione.
Ancora, con il quarto motivo, è dedotta la violazione del principio di leale collaborazione tra Regione e Stato e dell’art. 117, terzo comma, Cost., proprio in quanto la norma censurata si porrebbe «al di fuori del percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’adozione del PIT».
Infine, con il quinto motivo del ricorso, è ancora censurata – sotto diverso profilo – la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 (Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell’articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99), che si riferisce ai cosiddetti impianti geotermici pilota, oggetto di apposita sperimentazione a livello nazionale. La mancata esclusione di tali impianti dal raggio di applicazione della disposizione censurata determinerebbe un’ulteriore invasione della competenza legislativa dello Stato, da considerarsi «esclusiva» proprio ai sensi della normativa interposta citata. Ne deriverebbe il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
2.– Deve preliminarmente darsi conto di una circostanza sopravvenuta al deposito del ricorso.
Nelle more del giudizio, la delibera del Consiglio regionale della Toscana 7 luglio 2020, n. 41, recante «Modifica del Piano ambientale ed energetico regionale (PAER) ai fini della definizione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana. Adozione ai sensi dell’articolo 19 della l.r. 65/2014», è stata oggetto di una successiva delibera del medesimo organo che la ha espressamente revocata.
Come si legge nella delibera del Consiglio regionale della Toscana 13 aprile 2021, n. 39, recante «Modifica del piano ambientale ed energetico regionale (PAER) ai fini della definizione delle aree non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia geotermica in Toscana. Revoca della deliberazione del Consiglio regionale 7 luglio 2020, n. 41. Nuova adozione ai sensi dell’articolo 19 della l.r. 65/2014» (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana del 12 maggio 2021, parte seconda, n. 19), l’organo consiliare ha stabilito «di revocare, per quanto illustrato in narrativa, la deliberazione 7 luglio 2020, n. 41». Ciò in quanto, «per mero errore materiale», erano stati allegati a quest’ultima due elaborati, relativi alla procedura di VAS (il «Rapporto ambientale» e la relativa «sintesi non tecnica»), redatti «in una versione non definitiva». Al «fine di garantire il corretto svolgimento del procedimento» si rendeva, pertanto, necessaria una nuova delibera di adozione della modifica del PAER.
Tale circostanza non determina, tuttavia, alcuna ricaduta sul presente giudizio avente ad oggetto la disposizione impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri. L’individuazione delle aree non idonee che, secondo la volontà del legislatore regionale, assume efficacia immediata è e rimane quella operata dalla delibera di adozione n. 41 del 2020, il cui contenuto non risulta modificato dalla successiva delibera n. 39 del 2021. Quest’ultima si è limitata a correggere un errore materiale contenuto nella precedente, sostituendo i due elaborati che erano stati allegati in versione non definitiva, ma non ha emendato l’individuazione delle aree non idonee, né sostituito, rispetto alla precedente versione, gli elaborati recanti detta individuazione (in particolare, non è stato sostituito l’elaborato «A1», recante «Obiettivo A.3 Aumentare la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili – A.3 Allegato 7 ‒ Aree non idonee Impianti di produzione di energia elettrica da fonte geotermica»).
Va quindi ribadito che l’effetto della disposizione impugnata – consistente nel rendere immediatamente operativa, anche riguardo ai procedimenti in corso, l’individuazione delle aree non idonee quale effettuata con la prima delibera consiliare di adozione della modifica del PAER – non è in alcun modo venuto meno con la revoca della delibera n. 41 del 2020.
3.– Ancora in via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa regionale.
Esse non sono fondate.
Per un verso, non è esatto che il ricorso sia diretto a contestare la delibera consiliare n. 41 del 2020, piuttosto che la legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020 che la richiama. Ciascuna delle censure sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri investe, nello specifico, proprio la scelta del legislatore regionale di riconnettere immediata efficacia a quella delibera: alla radice vi è, invero, la contestazione afferente al riparto di competenze legislative fra lo Stato e la Regione, revocandosi in dubbio – sotto diversi profili – che una legge regionale, nell’anticipare gli effetti di un atto amministrativo di adozione di piano, possa incidere sulla conclusione del relativo procedimento di formazione e abbassare, in tal modo, il livello di tutela ambientale stabilito dal vigente piano territoriale, avente valenza paesaggistica.
Per altro verso, la riportata affermazione del ricorrente secondo la quale, per effetto dell’anticipata efficacia riconnessa all’individuazione delle aree non idonee, diventerà in futuro «assai arduo negare l’autorizzazione alla localizzazione di impianti geotermici nelle aree, pur sottoposte a vincolo paesaggistico, ma non incluse tra le aree non idonee», non è tale da rendere “ipotetiche” le censure sviluppate nel ricorso, come sostenuto dalla resistente. Quell’affermazione, in realtà, risulta solo diretta a delineare un possibile effetto della disposizione impugnata, a riprova della sussistenza dei lamentati vizi di legittimità costituzionale, venendo pertanto in considerazione un profilo attinente al merito (analogamente, sentenza n. 20 del 2021, punto 3.1.1. del Considerato in diritto).
4.– Nel merito, le questioni promosse con i primi quattro motivi del ricorso – che, stante l’oggettiva comunanza di argomenti, possono essere trattati congiuntamente – non sono fondate.
4.1.– Giova anzitutto precisare il contesto in cui è maturata la disposizione impugnata.
La Regione Toscana, nel procedimento volto all’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione di impianti geotermici, ha applicato la disciplina tracciata, a livello nazionale, dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili».
Tali linee guida, adottate a norma dell’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), hanno disciplinato il procedimento per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, con l’obiettivo di assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio. Per quanto in questa sede interessa, esse, al paragrafo numero 17, hanno delineato un apposito procedimento istruttorio che le Regioni sono chiamate a seguire per addivenire all’individuazione delle aree «non idonee» all’installazione degli impianti, in modo da rendere compatibile la selezione delle aree con la tutela paesaggistica.
Questa Corte, anche di recente, ha avuto occasione di esaminare la disciplina recata dal menzionato paragrafo numero 17, evidenziando che la Regione è chiamata a compiere «un’apposita istruttoria, avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale (paragrafo 17.1)». All’esito di tale istruttoria, la Regione indica, nell’atto di pianificazione, la non idoneità di ciascuna area in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, motivando le riscontrate incompatibilità con riferimento agli obiettivi di protezione perseguiti. Le aree individuate come non idonee sono destinate a confluire nell’atto di pianificazione con cui le Regioni e le Province autonome «conciliano le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili, tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e del necessario rispetto della quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing) (paragrafo 17.2)» (così, da ultimo, sentenza n. 177 del 2021).
Sulla scorta delle conclusioni cui è giunta la giurisprudenza amministrativa, questa Corte ha anche precisato che, dall’iter procedimentale così tratteggiato, derivano «talune rilevanti implicazioni sostanziali», consistenti sia nel legame che deve avvincere la segnalazione di «non idoneità» di un’area rispetto «a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti» (spettando all’atto di pianificazione individuare le incompatibilità legate al tipo, alle dimensioni e alla potenza degli impianti), sia negli effetti che derivano da tale segnalazione. A tal proposito, si è evidenziato che «l’atto di pianificazione della Regione, nell’individuare le aree non idonee, non comporta un divieto assoluto, bensì – come si evince sempre dalle linee guida – vale a segnalare “una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione” e, dunque, ha la funzione di “accelerare” la procedura (paragrafo 17.1)» (sentenza n. 177 del 2021). Di conseguenza, quella di non idoneità costituisce solo una «valutazione di “primo livello”», che impone poi di verificare, in sede di autorizzazione, «se l’impianto così come effettivamente progettato, considerati i vincoli insistenti sull’area, possa essere realizzabile» (così, ancora, sentenza n. 177 del 2021).
4.2.– Nel caso di specie, come emerge dalle premesse della delibera consiliare n. 41 del 2020, la modifica del PAER effettuata con la delibera medesima, recante l’individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia geotermoelettrica, costituisce «una specifica e puntuale integrazione del PAER vigente». Essa si basa su un apposito «studio conoscitivo», approvato dalla Giunta regionale della Toscana con deliberazione 15 dicembre 2015, n. 1229, recante «Deliberazione della Giunta regionale relativa all’approvazione dei documenti di attuazione dell’articolo 1 della “Legge regionale 16 febbraio 2015, n. 17 – Disposizioni urgenti in materia di geotermia”» (pubblicato nel BURT del 30 dicembre 2015, supplemento al n. 52). Alla delibera consiliare di adozione è allegato – ed è stato depositato in giudizio dalla Regione resistente – l’elaborato denominato «A1», recante «Obiettivo A.3 Aumentare la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili – A.3 Allegato 7 ‒ Aree non idonee Impianti di produzione di energia elettrica da fonte geotermica». In tale elaborato sono elencati, al paragrafo numero 2, i siti e le aree che non consentono la localizzazione degli impianti geotermici, in relazione alla tipologia dei singoli impianti considerati (con riguardo alla potenza energetica), con la specificazione che quanto così previsto costituisce «un riferimento vincolistico non assoluto ma riconducibile alle specifiche limitazioni o raccomandazioni»: viene espressamente precisato che «con l’individuazione delle aree non idonee non viene esclusa in maniera assoluta la possibilità di agire, salvo segnalare che in quelle aree sarà relativamente più difficile ottenere le necessarie autorizzazioni» (paragrafo numero 4). Nello specifico, al paragrafo numero 5 sono fornite le motivazioni della «non idoneità delle aree di cui al paragrafo 2», con riferimento alla tipologia delle singole aree considerate (ad esempio, tra quelle ricordate dal ricorso: aree e beni immobili qualificati come «di notevole interesse culturale», con richiamo agli artt. 10 e 11 cod. beni culturali; immobili e aree «dichiarati di notevole interesse pubblico», con richiamo all’art. 136 cod. beni culturali; zone «di interesse archeologico», con richiamo all’art. 142, comma 1, lettera m, cod. beni culturali) e agli «obiettivi di protezione» che le caratterizzano.
Risulta quindi confermato che, in sede procedimentale, la Regione Toscana ha agito secondo le indicazioni provenienti dalle linee guida nazionali. L’individuazione delle aree non idonee è stata preceduta da un’apposita istruttoria che ha condotto alle valutazioni finali, confluite nell’apposito elaborato allegato all’atto di adozione consiliare, rapportate alla tipologia, alle dimensioni e alla potenza degli impianti. Le conseguenti segnalazioni di non idoneità, conformemente alle linee guida nazionali, costituiranno – una volta intervenuta l’approvazione della modifica di piano – una valutazione di “primo livello”, tale da non pregiudicare definitivamente la localizzazione degli impianti geotermici, ma atta solo a orientare i futuri progetti di installazione che dovranno essere assentiti all’esito della procedura di autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.
L’intervento del legislatore regionale, in questa sede censurato, si pone a valle del richiamato procedimento istruttorio e anticipa gli effetti appena descritti ad una fase procedimentale, quella cioè che si colloca temporalmente tra l’adozione e l’approvazione della modifica di piano. Come emerge dai lavori preparatori (e come sostenuto in giudizio dalla Regione resistente), l’obiettivo così perseguito è quello di preservare, nelle more della conclusione del procedimento di modifica del PAER, quegli stessi valori ambientali che sono alla base delle segnalazioni di «non idoneità», non ancora operative, mancando la definitiva approvazione della modifica di piano.
La disposizione impugnata costituisce, dunque, una norma di salvaguardia ambientale, volta a regolare il periodo che va dall’adozione della modifica del PAER alla sua approvazione. In tale contesto, la finalità perseguita dal legislatore regionale è quella di evitare che la non ancora intervenuta conclusione del procedimento amministrativo concernente l’individuazione delle aree «non idonee» possa consentire ai proprietari dei luoghi interessati di realizzare nuove installazioni di impianti, in tal modo eludendo, nelle more della conclusione del procedimento di approvazione, la stessa individuazione di quelle aree in via amministrativa. Quella impugnata assume, quindi, i contorni di una norma transitoria con finalità cautelare: essa punta esclusivamente a preservare le aree in questione, impedendo – secondo le finalità proprie delle misure di salvaguardia, come enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte – «quei cambiamenti degli assetti urbanistici ed edilizi, che potrebbero contrastare con le nuove previsioni pianificatorie, in pendenza della loro approvazione» (sentenza n. 102 del 2013; analogamente, anche sentenze n. 84 del 2017, n. 232 del 2009, n. 379 del 1994, n. 617 del 1987 e n. 83 del 1982).
Conformemente alla sua natura di misura di salvaguardia ambientale, la disposizione di cui si tratta è peraltro destinata ad esaurire la sua efficacia una volta che all’adozione della modifica di piano sarà seguita la sua approvazione, con la definitiva individuazione delle aree «non idonee», a quel punto ex se produttiva di effetti.
In base a quanto precede, risulta smentito l’assunto del ricorrente secondo cui la disposizione impugnata inciderebbe sui procedimenti amministrativi ancora in corso (modifica al PAER e VAS), pregiudicandone l’esito. Al contrario, come appena visto, essa tende a preservarne lo svolgimento e la conclusione, cristallizzando la situazione di fatto esistente ed evitando temporaneamente il rilascio di nuove autorizzazioni con riferimento alle aree che, al momento, sono state selezionate come «non idonee» ad ospitare quegli impianti. Nel frattempo, il procedimento di modifica del piano potrà proseguire con le modalità ordinarie, senza subire alcun condizionamento da parte della disposizione in questione, la quale, come già anticipato, è destinata ad esaurire la propria efficacia al momento dell’approvazione della modifica di piano.
Né, del resto, è riscontrabile alcuna frizione con le prescrizioni paesaggistiche del vigente PIT, frutto di co-pianificazione con le autorità statali. La disposizione impugnata, infatti, si limita a rendere immediatamente efficace la valutazione negativa di “primo livello” per le sole aree «non idonee», mentre nulla prescrive né pregiudica per tutte le altre possibili localizzazioni. Del resto, se è vero – conformemente alle caratteristiche sostanziali dell’iter procedimentale prima descritte – che l’individuazione delle aree di cui si tratta non determina conseguenze definitive per le medesime, a maggior ragione essa non produce alcun effetto immediato per le altre (quelle potenzialmente idonee, come il ricorrente le definisce), rispetto alle quali rimane del tutto impregiudicata la successiva valutazione, anche ambientale, che le autorità competenti saranno chiamate a rendere in sede di procedimento autorizzativo.
In definitiva, solo con la conclusione dei pendenti procedimenti amministrativi (modifica del PAER e parallela VAS), e alla luce dei vari apporti che le autorità coinvolte (eventualmente, anche quelle statali) potranno far confluire nell’iter decisionale, sarà possibile conoscere la sorte delle aree che, al momento, la Regione Toscana non ha incluso tra quelle segnalate come «non idonee» e rispetto alle quali il ricorrente ha avanzato dubbi di conformità con le vigenti prescrizioni paesaggistiche. Non può, pertanto, apprezzarsi, allo stato, alcuna violazione né della leale collaborazione né, tantomeno, del principio di prevalenza del piano paesaggistico, posto che la modifica del PAER adottata – immediatamente efficace, per volontà del legislatore regionale – mira, piuttosto, a preservare i valori ambientali delle aree che sono segnalate come «non idonee», assicurandone una tutela più intensa (e non certo a pregiudicare i valori ambientali delle rimanenti).
Deve conclusivamente affermarsi che, la disposizione impugnata, in quanto misura di salvaguardia ambientale, non produce l’effetto, paventato dal ricorrente, «di qualificare, sin da subito, come […] ambiti potenzialmente atti alla localizzazione degli impianti geotermici – anche aree di pregio e di interesse culturale”». Al contrario, come appena chiarito, quelle aree non formano oggetto della disciplina dettata dal legislatore regionale, rimanendo impregiudicate le valutazioni, anche ambientali, che su di esse dovranno essere compiute dalle amministrazioni competenti.
5.– Del pari non fondata è la questione promossa con il quinto motivo di ricorso.
Essa si riferisce agli impianti geotermici cosiddetti “pilota”, la cui disciplina è dettata, a livello nazionale, dall’art. 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 22 del 2010 (come modificato, da ultimo, dall’art. 41, comma 7-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98). Si tratta delle «centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale» che sfruttano, a fini di sperimentazione, «i fluidi geotermici a media ed alta entalpia […] con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, e comunque con emissioni di processo nulle, con potenza nominale installata non superiore a 5 MW per ciascuna centrale, per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 MW» (così l’art. 1. comma 3-bis, citato). La legge dello Stato ha definito «di interesse nazionale» i fluidi geotermici così utilizzati e ha stabilito la «competenza statale» per gli impianti geotermici pilota. Nello specifico, l’art. 3, comma 2-bis, del d.lgs. n. 22 del 2010 (come inserito dall’art. 9, comma 1, lettera b, numero 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE») ha stabilito che, nel caso di sperimentazione degli impianti geotermici pilota, «l’autorità competente è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l’intesa con la regione interessata; all’atto del rilascio del permesso di ricerca, l’autorità competente stabilisce le condizioni e le modalità con le quali è fatto obbligo al concessionario di procedere alla coltivazione dei fluidi geotermici in caso di esito della ricerca conforme a quanto indicato nella richiesta di permesso di ricerca».
Questa Corte si è già occupata della disciplina dettata per gli impianti geotermici pilota, con riferimento al procedimento preordinato al rilascio dei permessi di ricerca (sentenza n. 156 del 2016). In quella occasione era stato impugnato, in via principale, l’art. 1, comma 2, della legge della Regione Toscana 16 febbraio 2015, n. 17, recante «Disposizioni urgenti in materia di geotermia», che prevede la sospensione temporanea dei procedimenti per il rilascio dei permessi di ricerca e delle relative proroghe, degli atti di assenso per la realizzazione di pozzi esplorativi, nonché degli atti ad essi preordinati relativi all’alta e alla media entalpia. Le censure allora sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri lamentavano che tale disposizione si riferisse anche «al rilascio dell’intesa regionale» di cui all’art. 3, comma 2-bis, del d.lgs. n. 22 del 2010, prevista per i permessi di ricerca per gli impianti pilota, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali dettati nella materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché del principio di leale collaborazione, in quanto si sarebbe determinata l’automatica (seppur temporanea) inibizione dell’intesa medesima.
La questione è stata dichiarata non fondata per erroneo presupposto interpretativo in quanto – ha affermato nell’occasione questa Corte – «il riferimento della disposizione impugnata agli atti di assenso per pozzi esplorativi e agli atti preordinati va letto come richiamo, non già agli atti di assenso necessari per la realizzazione degli impianti pilota di competenza statale, ma a quelli che devono essere richiesti dai titolari dei permessi di ricerca di competenza regionale» (sentenza n. 156 del 2016, punto 4.2. del Considerato in diritto).
Analogo ragionamento va condotto con riguardo alla questione oggi all’esame, pur se riferita non al rilascio dei permessi di ricerca ma agli atti di assenso per l’installazione degli impianti sul territorio. L’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020, deve essere letto nel quadro normativo di riferimento, quindi nel senso che esso – nel recepire l’atto consiliare che ha adottato la classificazione delle aree «non idonee» per l’installazione degli impianti geotermici, ai fini del rilascio della successiva autorizzazione – si riferisce solo agli impianti che rientrano nella competenza regionale, e non anche a quelli “pilota” che, a norma della legge statale, per effetto del «ridotto impatto ambientale» e delle connesse esigenze di sperimentazione che li caratterizzano, sono considerati, al pari dei fluidi geotermici impiegati, di interesse nazionale. Del resto, come riconosce lo stesso ricorrente, la modifica del PAER già adottata non contiene alcun riferimento agli impianti geotermici pilota.
Né giova a modificare tale conclusione l’osservazione del ricorrente, che sottolinea come il PAER della Regione Toscana abbia espressamente specificato (al paragrafo numero 3 dell’Allegato A1) che l’individuazione delle aree non idonee non si applica «alle “piccole utilizzazioni locali” ex art. 10 del D.Lgs. 22/2010». Il riferimento è a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 2010, a norma del quale sono definite piccole utilizzazioni locali «quelle per le quali sono soddisfatte congiuntamente le seguenti condizioni: a) consentono la realizzazione di impianti di potenza inferiore a 2 MW termici, ottenibili dal fluido geotermico alla temperatura convenzionale dei reflui di 15 gradi centigradi; b) ottenute mediante l’esecuzione di pozzi di profondità fino a 400 metri per ricerca, estrazione e utilizzazione di fluidi geotermici o acque calde, comprese quelle sgorganti da sorgenti per potenza termica complessiva non superiore a 2.000 kW termici, anche per eventuale produzione di energia elettrica con impianti a ciclo binario ad emissione nulla». Il comma 2 dell’art. 10, inoltre, fa rientrare in questa nozione anche «quelle effettuate tramite l’installazione di sonde geotermiche che scambiano calore con il sottosuolo senza effettuare il prelievo e la reimmissione nel sottosuolo di acque calde o fluidi geotermici». Tuttavia, non può ritenersi che l’omessa previsione di un’esplicita eccezione (come quella disposta per le piccole utilizzazioni locali, precisazione che peraltro si ritrova nel solo PAER e non anche nella legge regionale impugnata) possa avere il significato di estendere l’operatività della disciplina del PAER anche agli impianti pilota, pur se di interesse nazionale. L’omesso richiamo della normativa statale non consente, infatti, di far presumere la volontà del legislatore regionale di non rispettare le prerogative dello Stato nella materia che viene disciplinata (da ultimo, seppure in altro ambito, sentenza n. 161 del 2021, punto 2.7. del Considerato in diritto).
In definitiva, assumono in questa sede rilievo l’art. 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 22 del 2010 – che definisce di interesse nazionale i fluidi geotermici, a media e alta entalpia, che alimentano gli impianti pilota, e rimette questi impianti alla competenza dello Stato – nonché il successivo art. 3, comma 2-bis, il quale conferma la competenza statale per quanto riguarda il rilascio dei permessi di ricerca.
È alla luce di tali norme che va letta la disposizione regionale impugnata la quale, proprio perché omette qualsivoglia indicazione sulla sorte di simili impianti, va intesa nel senso che essi sono sottratti alla disciplina regionale delle aree «non idonee».
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2020, n. 73 (Disposizioni in materia di occupazioni del demanio idrico da parte dei gestori del servizio idrico integrato e in materia di geotermia), promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 11, 97 e 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 73 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.