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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Aree protette Numero: 276 | Data di udienza: 1 Dicembre 2020

AREE PROTETTE – Istituzione o ampliamento di un parco – Preclusione alla realizzazione di un progetto edificatorio già approvato – L.R. Lazio n. 7/2018 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza – Mancata previsione di un indennizzo – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza. (Massime a cura di Agatino Lanzafame)


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Dicembre 2020
Numero: 276
Data di udienza: 1 Dicembre 2020
Presidente: Coraggio
Estensore: De Pretis


Premassima

AREE PROTETTE – Istituzione o ampliamento di un parco – Preclusione alla realizzazione di un progetto edificatorio già approvato – L.R. Lazio n. 7/2018 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza – Mancata previsione di un indennizzo – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza. (Massime a cura di Agatino Lanzafame)



Massima

CORTE COSTITUZIONALE – 21 dicembre 2020, n. 276

AREE PROTETTE – Istituzione o ampliamento di un parco – Preclusione alla realizzazione di un progetto edificatorio già approvato – L.R. Lazio n. 7/2018 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.

Non è fondata la questione di costituzionalità dell’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 – per violazione dell’art. 3 Cost. – nella parte in cui include nel parco regionale dell’Appia Antica un’area in cui ricade un progetto edificatorio già approvato dalla Regione, la cui realizzazione è preclusa dall’inserimento dell’area nel perimetro del parco. La sottoposizione a vincolo ambientale – quale è quello derivante dall’istituzione o ampliamento di un parco, in quanto diretto a conservare e proteggere il valore ambientale riconosciuto all’area interessata – mira a realizzare interessi di rango costituzionale, quali quelli protetti dall’art. 9, secondo comma, e dall’art. 32 Cost., che sono stati qualificati dalla giurisprudenza costituzionale come «valori costituzionali primari». Alla realizzazione di questo obiettivo non può opporsi l’eventuale approvazione di un progetto di trasformazione edilizia, che, ove realizzata, metterebbe a repentaglio il pregio ambientale dell’area e si porrebbe quindi in contraddizione con l’avvenuto riconoscimento del suo valore. L’aspettativa edificatoria dei privati non può dunque essere considerata un elemento idoneo a impedire il pieno esplicarsi della tutela del bene riconosciuto di valore ambientale.

AREE PROTETTE – Istituzione o ampliamento di un parco – Preclusione alla realizzazione di un progetto edificatorio già approvato – Mancata previsione di un indennizzo – L.R. Lazio n. 7/2018 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.

Non è fondata la questione di costituzionalità dell’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 – per violazione dell’art. 42 Cost. – nella parte in cui non prevede un indennizzo per i proprietari di un’area inclusa nel parco regionale dell’Appia Antica in cui ricade un progetto edificatorio già approvato dalla Regione, la cui realizzazione è preclusa dall’inserimento nel perimetro del parco. È escluso, infatti, in coerenza con la costante giurisprudenza della Corte, che i limiti alla proprietà aventi finalità di tutela paesaggistica e, in senso lato, ambientale ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., abbiano cioè carattere espropriativo e richiedano per questo un indennizzo. A differenza dei vincoli di carattere urbanistico che derivano da scelte della pubblica amministrazione idonee a condizionare discrezionalmente le facoltà di godimento del bene, i vincoli di tipo ambientale sono espressivi di caratteristiche intrinseche del bene, di cui l’amministrazione si limita a registrare l’esistenza, e costituiscono attuazione di quanto previsto dall’art. 42, secondo comma, Cost., ossia della determinazione per legge del regime del diritto di proprietà. La legge che limita le facoltà edificatorie dei beni connotati da particolare pregio (culturale, artistico, paesaggistico, ambientale) non comporta infatti un’illegittima compressione del relativo diritto di proprietà, giacché «questo diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive» (sentenza n. 56 del 1968), e ciò tanto più assume rilievo quando si tratti della tutela degli interessi protetti dall’art. 9, secondo comma, e dall’art. 32 Cost., qualificati come «valori costituzionali primari» dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 126 del 2016).

Pres. Coraggio, Est. De Pretis – Giudizio di legittimità costituzionale promosso dal TAR Lazio nel procedimento pendente tra il Consorzio E. e altri e il Comune di Marino e altro


Allegato


Titolo Completo

CORTE COSTITUZIONALE - 21 dicembre 2020, n. 276

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento pendente tra il Consorzio Ecovillage e altri e il Comune di Marino e altro, con ordinanza del 19 novembre 2019, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di costituzione della DeA Capital Real Estate società di gestione del risparmio (SGR) spa, del Consorzio Ecovillage, della società Futuro Immobil Italia srl e della società Arcadia 2007 srl, del Comune di Marino e della Regione Lazio;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2020 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Stefano Gattamelata per la DeA Capital Real Estate SGR spa e il Consorzio Ecovillage, Raffaele Izzo per il Consorzio Ecovillage e per le società Futuro Immobil Italia srl e Arcadia 2007 srl, Raffaele Bifulco per il Comune di Marino e Elisa Caprio per la Regione Lazio;

deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), per asserita violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione.

La disposizione censurata, intitolata «Modifica della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica», stabilisce quanto segue: «1. La perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica, istituito con la legge regionale 10 novembre 1988, n. 66 (Istituzione del parco regionale dell’Appia Antica), e successive modifiche, come da ultimo modificata dalla legge regionale 30 marzo 2009, n. 6 (Modifica del perimetro del parco regionale dell’Appia Antica), è ampliata secondo la planimetria in scala 1:10.000 e la relativa relazione descrittiva contenute, rispettivamente, negli allegati A2 e B2 che costituiscono parte integrante della presente legge. 2. Nelle more dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, comma 5-bis, della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e successive modifiche, del piano del parco regionale dell’Appia Antica, approvato con deliberazione del Consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9, alle disposizioni di cui al comma 1 continua ad applicarsi la disciplina prevista dal medesimo piano. Limitatamente al territorio oggetto di ampliamento non ricompreso nella perimetrazione prevista nel piano, si applicano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 8 della l.r. 29/1997 per le zone A, di cui all’articolo 7, comma 4, lettera a), n. 1 della medesima legge regionale. 3. Relativamente al territorio interessato dall’ampliamento di cui al comma 1, l’adeguamento del piano del parco regionale dell’Appia Antica ai sensi del comma 2 favorisce: a) l’esercizio e lo sviluppo delle attività agricole aziendali e il ricorso allo strumento del piano di utilizzazione aziendale (PUA) in conformità a quanto previsto dall’articolo 31 della l.r. 29/1997; b) lo svolgimento delle attività compatibili con le finalità del parco quali le attività sportive relative ad impianti legittimamente esistenti in considerazione del ruolo svolto dalle stesse rispetto all’innalzamento della qualità della vita della popolazione».

Il giudizio a quo è stato promosso dal Consorzio Ecovillage e da alcune società contro il Comune di Marino e la Regione Lazio, per l’annullamento degli atti comunali e regionali riguardanti, fra l’altro: la sospensione del protocollo d’intesa del 14 giugno 2011 tra Regione Lazio e Comune di Marino, la sospensione del Programma integrato di intervento (PRINT) Ecovillage da realizzarsi in località “Divino Amore”, l’archiviazione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) su di esso e il diniego del relativo permesso di costruire. Più precisamente, le questioni di legittimità costituzionale della citata disposizione di legge regionale sono state sollevate nel contesto dell’esame dei secondi motivi aggiunti proposti dai ricorrenti, aventi ad oggetto la determinazione 8 novembre 2018, n. 14241, con la quale la Direzione regionale politiche ambientali ha disposto l’archiviazione del procedimento di VIA avviato dal Consorzio Ecovillage, e il diniego del permesso di costruire reso dal Comune di Marino il 19 dicembre 2018.

1.1.– Il rimettente argomenta, in primo luogo, sulla rilevanza delle questioni sollevate, osservando che gli atti impugnati con i secondi motivi aggiunti «sono di diretta derivazione e applicazione dell’art. 7 della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7, la cui chiarezza non consente alcuna interpretazione adeguatrice». In particolare, il TAR Lazio si sofferma sull’interpretazione conforme prospettata dalla ricorrente (secondo cui l’art. 17, comma 2, del piano del parco regionale dell’Appia Antica – che fa salvi gli strumenti urbanistici attuativi già approvati – sarebbe stato applicabile anche alle aree oggetto dell’ampliamento disposto con la norma censurata), rilevando che essa «non risulta praticabile in presenza di una chiara disposizione della fonte primaria regionale che ha ampliato, intervenendo in medias res, il perimetro del Parco, rendendolo in tal modo sottoposto alle misure di salvaguardia di cui alla legge regionale n. 29/1997, così come espressamente sancito dal comma 2 dell’art. 7». Il rimettente ricorda che l’art. 8, comma 3, della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), vieta qualsiasi attività edilizia nelle zone C, D e F di cui al decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), e che tale sarebbe stata l’interpretazione seguita dalla Regione con gli atti impugnati con i secondi motivi aggiunti. La norma censurata avrebbe dunque avuto «un impatto immediato e ineludibile sui progetti già approvati e sugli impegni già assunti reciprocamente tra le parti costituite, per cui gli stessi atti […] impugnati […] hanno dato mera attuazione a quanto disposto dalla legge regionale». L’eventuale accoglimento delle questioni determinerebbe l’illegittimità degli atti impugnati con i secondi motivi aggiunti.

1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, secondo il TAR Lazio l’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è ascrivibile alla categoria delle leggi-provvedimento. Pur consapevole che, secondo la giurisprudenza costituzionale, tali leggi non sono di per sé incompatibili con la Costituzione, il rimettente ritiene nondimeno che, nel caso di specie, sarebbero «stati superati i limiti tracciati» da questa Corte «per ritenere compatibile con le norme costituzionali e con il principio di ragionevolezza la norma sub iudice».

La norma censurata avrebbe carattere provvedimentale perché «si rivolge esclusivamente ai sottoscrittori del Programma Integrato “Divino Amore”, che sono quelli incisi in modo diretto dall’ampliamento del Parco regionale dell’Appia Antica e dalle misure di salvaguardia»; inoltre, l’applicazione di tali misure sarebbe disposta limitatamente alle zone oggetto di ampliamento.

Il TAR rimettente si sofferma poi sul rapporto tra «l’approvazione della legge provvedimento e la pendenza del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’atto amministrativo connesso a quello normativo», osservando che «l’eventuale, comprovata ed esclusiva finalizzazione dell’approvazione della legge alla sottrazione dell’oggetto del sindacato giurisdizionale con la conseguente privazione per il cittadino della stessa possibilità di tutela giurisdizionale costituisce un evidente indice sintomatico dell’irragionevolezza della legge-provvedimento». La necessità di un sindacato sulla legge si imporrebbe anche per evitare violazioni degli artt. 111 e 113 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in materia di giusto processo.

Nel caso di specie, la legge regionale di ampliamento del parco e di applicazione delle misure di salvaguardia sarebbe entrata in vigore esattamente nella descritta situazione, ossia pendendo un giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Sarebbe dunque necessario «procedere con il sindacato di ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 Cost., da utilizzare anche come criterio per valutare la conformità della disposizione rispetto agli artt. 41, 42, 117, comma 1 [recte: 2], lettera s), Costituzione».

1.3.– La norma censurata sarebbe innanzitutto affetta da «irragionevolezza per disparità di trattamento». Il TAR sottolinea il diverso trattamento riservato ai sottoscrittori del PRINT Ecovillage rispetto, da un lato, ai «proprietari dei terreni che sono stati inclusi nel perimetro del Parco con provvedimenti anteriori all’entrata in vigore della legge regionale n. 7/2018, poiché per costoro è stata fatta salva la disciplina attuativa già approvata», dall’altro ai sottoscrittori degli altri PRINT limitrofi e oggetto anch’essi del citato protocollo d’intesa del 2011 (PRINT Mugilla e PRINT Mazzamagna, esclusi dall’ampliamento disposto dalla norma censurata). Secondo il rimettente, «prevedere l’applicazione delle misure di salvaguardia […] soltanto per una parte dell’intera area risulta essere misura vieppiù sperequata e ciò anche in considerazione del ragionevole affidamento che a seguito della sottoscrizione del Print e della Convenzione urbanistica le parti ricorrenti hanno prestato con riguardo alla realizzazione del Progetto e al rispetto delle pattuizioni da parte di tutti i soggetti coinvolti».

Inoltre, la scelta di operare l’ampliamento con la fonte legislativa avrebbe consentito all’amministrazione di non rispettare l’onere di motivazione e di istruttoria.

Né, sempre secondo il rimettente, sarebbe sufficiente a superare il difetto di ragionevolezza della scelta legislativa l’affermazione, da parte della difesa comunale, del fatto che «il Print di Ecovillage non ha oggi “messo una pietra” mentre il programma delle altre due società è in fase esecutiva», poiché la valutazione regionale circa il pregio dell’area sarebbe da intendersi a tutela del paesaggio ritenuto quale valore assoluto, sicché il legislatore regionale avrebbe dovuto procedere anche nei riguardi degli altri PRINT, sottoponendoli tutti alle misure di salvaguardia.

1.4.– La norma censurata violerebbe inoltre l’art. 42 Cost., in quanto avrebbe vanificato i programmi edificatori dei soggetti imprenditoriali privati, già sanciti dal PRINT approvato dalla Giunta regionale nel 2013 e dalla convenzione urbanistica sottoscritta con il Comune di Marino, e la cui realizzazione sarebbe stata almeno in parte già avviata. A tale proposito il TAR nota che sulla base della convenzione taluni terreni sarebbero già stati ceduti al Comune, che sarebbero state progettate opere di monitoraggio ambientale, bellico e archeologico e che sarebbero stati richiesti titoli abilitativi. L’ampliamento del perimetro del parco, avvenuto nel corso dei contenziosi giurisdizionali già instaurati, avrebbe privato delle possibilità edificatorie le proprietà dei soggetti consorziati per la realizzazione del PRINT “Divino Amore”, senza che la scelta dell’ampliamento fosse sorretta da un’adeguata istruttoria o da motivazione alcuna, motivazione invece necessaria per una legge-provvedimento. Il rimettente afferma di non ignorare la giurisprudenza costituzionale che esclude la riconducibilità dei beni immobili aventi valore paesistico-ambientale agli schemi dell’espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata, «in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge», ma ritiene «che, nel caso all’esame, il legislatore regionale abbia travalicato i limiti della non irragionevolezza e della non arbitrarietà […] poiché l’applicazione delle misure di salvaguardia ha di fatto posto nel nulla le possibilità edificatorie assentite con il Print e con la correlativa Convenzione Urbanistica e quindi ha dequotato ex abrupto, in modo immotivato rispetto a quanto assunto con le precedenti determinazioni, il valore economico delle proprietà delle ricorrenti, senza che sia stato previsto un ristoro di carattere economico». Analogamente, sotto il profilo temporale si registrerebbe una irragionevole compressione della proprietà privata, poiché non sarebbe indicato un termine entro il quale il piano di assetto del parco dovrebbe essere approvato.

Il rimettente osserva anche che la Regione in un primo momento non ha approvato il piano del parco, facendo dunque decadere le misure di salvaguardia relative all’area oggetto della proposta di ampliamento, e poi ha imposto nuovamente tali misure nel 2018.

1.5.– Ancora, la norma censurata violerebbe l’art. 41 Cost. per il fatto che le attività di realizzazione del PRINT avrebbero dovuto essere compiute nell’esercizio dell’attività di impresa e che l’applicazione delle misure di salvaguardia, inibendo qualsiasi attività edilizia per un tempo non prevedibile e comportando quindi un depauperamento e uno svuotamento rilevante sotto il profilo economico del diritto di proprietà dei proprietari delle aree, determinerebbe anche una lesione del principio di libertà dell’iniziativa economica privata.

1.6.– L’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 violerebbe poi l’art. 117, primo comma, Cost., «sotto il profilo del mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (per quanto sopra rilevato con riferimento al diritto a un equo processo e al diritto di proprietà)». In punti precedenti dell’ordinanza, il TAR riferisce che il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, che garantisce la protezione della proprietà, e richiama l’art. 6 CEDU, in materia di giusto processo, a proposito dell’interferenza tra la legge censurata e il giudizio pendente.

1.7.– Ancora, la norma censurata violerebbe l’art. 117, primo (recte: secondo) comma, lettera s), Cost., in quanto avrebbe modificato il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica «in assenza di avvio della valutazione ambientale strategica prescritta ai sensi della legislazione statale». In proposito, il TAR richiama in particolare gli artt. 6 e 11 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

1.8.– Infine, la norma censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia «governo del territorio», in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), «differendo sotto il profilo temporale lo ius aedificandi, per un numero di anni superiore a quello fissato dalla legislazione statale».

2.– Con atto depositato il 5 giugno 2020 si è costituito il Comune di Marino.

La parte rileva che, nella zona interessata, con un «mero Protocollo d’Intesa» sarebbero state «assentite – spezzettando un intervento palesemente unitario al fine di evitare i procedimenti di valutazione ambientale strategica – le seguenti varianti urbanistiche»: il Programma integrato di intervento (PRINT) relativo alla località Mazzamagna, il PRINT relativo alla località Mugilla e il PRINT relativo alla località “Divino Amore”, approvato con delibera della Giunta della Regione Lazio 15 febbraio 2013, n. 16. Tali provvedimenti avrebbero portato ad insediamenti per una cubatura complessiva di oltre un milione di metri cubi, con una capacità insediativa di circa 15 mila abitanti. Il Comune riferisce anche che tale variante al PRG sarebbe stata oggetto di una pluralità di ricorsi, ancora tutti da definire, proposti anche dalla Città Metropolitana, che avrebbe lamentato la violazione, ad opera delle varianti approvate dalla Regione Lazio, delle proprie competenze urbanistiche e dei vigenti piano territoriale provinciale generale e piano territoriale paesistico regionale.

Il Comune ricorda che l’area interessata dal PRINT “Divino Amore” fu in passato oggetto di una proposta di ampliamento del parco regionale dell’Appia Antica, ad opera del Consiglio direttivo dell’Ente parco (deliberazione 29 luglio 2002, n. 17), ma che tale proposta non fu mai approvata dalla Regione Lazio. La norma censurata avrebbe ribadito il «forte valore ambientale dell’area», determinando il divieto di edificazioni (sino alla approvazione della variante al piano di assetto che dovrà “conformare” l’area in questione) e la sua sottoposizione alla disciplina del parco (nazionale) archeologico dell’Appia Antica. La stessa area è soggetta infatti a due strumenti di protezione, quello del parco regionale dell’Appia Antica e quello del parco (nazionale) archeologico dell’Appia Antica.

Con riferimento alle questioni sollevate, il Comune osserva che nella Regione Lazio la modifica del perimetro dei parchi regionali va disposta con legge ai sensi dell’art. 9, comma 3, lettera b) della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, come sarebbe del resto accaduto più volte nel corso dell’ultimo ventennio. La legge regionale censurata non sarebbe perciò qualificabile come legge-provvedimento, giacché con essa il legislatore regionale non si sarebbe appropriato di funzioni tipicamente amministrative, ma avrebbe esercitato la funzione politica di tutela del paesaggio. La sottoposizione dell’area alle misure di salvaguardia discenderebbe dalla sua qualificazione come zona A.

La parte rileva anche che la norma censurata non ha carattere retroattivo, né mira a risolvere in forma di legge la controversia relativa agli atti di approvazione del PRINT; nota inoltre che la Regione Lazio non è parte resistente nel giudizio in questione e che essa ed il Comune di Marino «rispondono a maggioranze politiche diverse sicché è difficile immaginare anche che all’origine della legge possa esservi un accordo […] tra Comune e Regione, che avrebbe potuto essere considerato come un indice di eccesso di potere legislativo».

Quanto alla censura di disparità di trattamento fra i proprietari dei diversi terreni, il Comune ne eccepisce l’inammissibilità per genericità e indeterminatezza, osservando fra l’altro che il TAR non illustra i profili che renderebbero le situazioni assimilabili. Esse sarebbero in realtà differenti: il PRINT Mugilla sarebbe stato escluso dal parco perché comprendente terreni sui quali l’edificazione è già avvenuta e il PRINT Mazzamagna sarebbe stato escluso «per evidenti ragioni diverse di ordine tecnico». Il Comune sottolinea che l’area di ampliamento di cui alla norma censurata corrisponde perfettamente alla proposta avanzata dallo stesso Ente parco nel 2002 e che le particelle incluse nel perimetro del parco non sarebbero affatto edificate.

Secondo il Comune la censura ex art. 42 Cost. è infondata, in quanto sarebbe l’art. 6 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), che vieta nuove costruzioni sulle aree protette. La tesi del TAR porterebbe ad affermare che «l’attivazione di processi conformativi del territorio da parte delle amministrazioni comunali avrebbe il potere di bloccare […] il più ampio e costituzionalmente rilevante potere funzionalizzato alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, intestato al legislatore». Al contrario, la funzione di tutela paesaggistica potrebbe «rivedere completamente le previsioni della tutela urbanistica, giungendo fino al punto di negare del tutto il potere edificatorio». La tutela paesaggistica prevarrebbe su quella urbanistica perché solo la prima gode di espressa copertura costituzionale attraverso l’art. 9 Cost.

La parte rileva ancora che, quando si tratta di tutela ambientale e del paesaggio, la questione dell’indennizzabilità dei vincoli imposti ai beni privati non si pone poiché, in questo caso, il potere conformativo del legislatore non si traduce in una imposizione di vincoli a un bene che antecedentemente ne era privo. Le misure di salvaguardia sarebbero comunque provvisorie in quanto destinate a essere superate con l’approvazione del piano del parco, nei tempi previsti all’art. 26, comma 2, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997.

Il Comune si sofferma poi sull’infondatezza della questione relativa all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, e sottolinea il carattere prevalente dell’interesse ambientale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Quanto alla censura ex art. 41 Cost., il Comune richiama i limiti previsti al suo secondo comma, che giustificherebbero la possibilità per la Regione di conferire alle aree una destinazione che limita la libertà d’iniziativa economica. In ogni caso la norma censurata non escluderebbe attività economiche compatibili con la destinazione paesaggistica.

La censura ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., secondo il Comune, sarebbe formulata in maniera generica e perplessa, e nel merito sarebbe «stravagante» in quanto la valutazione ambientale strategica (VAS) è prevista per i piani che possono avere impatti significativi sull’ambiente, mentre la norma censurata produrrebbe l’effetto opposto, salvaguardando l’ambiente.

Anche a proposito della censura ex art. 117, terzo comma, Cost., il Comune ribadisce che la funzione paesaggistica «prevale su quella urbanistica (ed edilizia), potendo differire o anche eradicare lo ius aedificandi».

3.– Con atto depositato il 5 giugno 2020 si è costituito il Consorzio Ecovillage.

La parte privata ricostruisce le vicende relative al PRINT Ecovillage, ricordando di aver già ceduto aree al Comune in attuazione del programma e rilevando che, dopo la stipulazione della convenzione urbanistica il 30 luglio 2013, «si constatava […] la inaspettata ed aperta ostilità al progetto da parte della (nuova) Amministrazione comunale di Marino», che, con atti successivi adottati nel 2018 (impugnati nel giudizio a quo), avrebbe prima sospeso unilateralmente il protocollo d’intesa stipulato nel 2011 con la Regione, poi chiesto a quest’ultima di non proseguire nel procedimento di VIA e infine sospeso il PRINT.

Nel merito, il Consorzio considera «palese la natura sostanzialmente provvedimentale della norma». L’art. 26 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997 regolerebbe dettagliatamente il procedimento di perimetrazione definitiva del parco, mettendo così in evidenza «la natura provvedimentale dell’attività», e lo stesso regime varrebbe anche per le successive modifiche di perimetro. Il Consorzio osserva che le leggi-provvedimento non possono «vanificare rapporti giuridici cristallizzati in atti negoziali o convenzionali, perché così facendo si comprimerebbe illegittimamente l’affidamento del privato». Nelle leggi-provvedimento, inoltre, dovrebbero risultare i criteri che hanno ispirato la scelta del legislatore (viene citata la sentenza n. 137 del 2009 di questa Corte). Nel caso di specie sarebbero evidenti l’arbitrarietà ed il difetto di istruttoria perché la norma censurata «amplia il perimetro del Parco senza chiarire la ratio della decisione» e «introduce le misure di salvaguardia relative alla zona A di cui alla L.R. n. 29/1997, senza palesare in alcun modo l’istruttoria su cui una tale disposizione si sarebbe dovuta fondare».

La parte sottolinea che la norma stessa non era compresa nel progetto di legge della Giunta regionale ma è frutto di un emendamento consiliare, e ciò avrebbe «impedito agli uffici competenti di verificare la correttezza procedimentale, sostanziale e giuridica dell’iniziativa» e alle competenti Commissioni consiliari di approfondire la scelta operata.

L’art. 7 censurato avrebbe lo scopo di paralizzare una iniziativa urbanistica – convenzionata – che le stesse amministrazioni stavano già cercando di contrastare con atti oggetto di sindacato giurisdizionale. La parte richiama la sentenza n. 28 del 2019 di questa Corte, da cui risulterebbe che la tutela ambientale deve essere perseguita rispettando il procedimento previsto dalla legge statale e motivando la scelta compiuta, in modo da garantirne la sindacabilità. Nel caso di specie, sarebbe stata «la Regione stessa ad autovincolarsi alla forma dell’atto amministrativo ed a una precisa scansione procedimentale».

Quanto alla disparità di trattamento, secondo il Consorzio la condizione della sua area sarebbe simile a quella dell’area Mugilla, esclusa invece dall’ampliamento del parco, dato che anche la convenzione Ecovillage sarebbe stata in corso di attuazione con la cessione dei terreni al Comune. Il principio di uguaglianza sarebbe violato anche per la mancata estensione – all’area oggetto di ampliamento – del piano del parco approvato solo poche settimane prima da parte dello stesso Consiglio regionale, con la conseguenza dell’impossibilità per lo stesso Consorzio di beneficiare dell’art. 17 del piano e della sua soggezione a una salvaguardia «sostanzialmente sine die».

Quanto all’art. 42 Cost., la parte privata osserva che il «rischio fisiologico» dell’ampliamento del parco doveva «ritenersi superato dalla avvenuta sottoscrizione della Convenzione Urbanistica con il Comune di Marino, sulla base del Print approvato dalla Regione Lazio con D.G.R. 16/2013». Non sarebbe invece fisiologico che la Regione abbia preso in considerazione l’area in questione nel 2005 ma l’abbia inserita nel perimetro del parco solo nel 2018, senza tener conto della convenzione urbanistica «in fase esecutiva». L’area stessa sarebbe già stata assoggettata alle misure di salvaguardia previste dalla legge reg. Lazio n. 29 del 1997, proprio in ragione della proposta di ampliamento del parco dell’Appia Antica, poi non approvata, e dopo la loro decadenza vi era stato addirittura un protocollo d’intesa fra gli enti territoriali per un equilibrato sviluppo dell’area. L’art. 42 Cost. sarebbe dunque violato a causa della reiterazione del vincolo decaduto, senza scadenza e senza indennizzo, nonostante gli atti nel frattempo intervenuti.

La parte ricorda che l’area del PRINT Ecovillage aveva destinazione industriale secondo il PRG all’epoca vigente, e ha assunto destinazione residenziale grazie al PRINT. L’esclusione dal nuovo perimetro della sola area del PRINT Mugilla sarebbe dunque discriminatoria.

Quanto all’art. 41 Cost., la parte privata ribadisce che le amministrazioni locali avevano «per anni […] affinato la disciplina urbanistica dell’area», cosicché la convenzione stipulata appariva consolidata.

Sulla lamentata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., secondo il Consorzio l’obbligo della VAS sarebbe «cristallino» per la dimensione dell’ampliamento, di oltre 1000 ettari, e dunque per il suo evidente impatto su un vasto territorio. La parte osserva peraltro che nemmeno il piano del parco approvato nel luglio 2018 è stato sottoposto a VAS.

Infine, il Consorzio aderisce alla censura ex art. 117, terzo comma, Cost., prospettata dal TAR con riferimento all’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001.

4.– Con atto depositato il 5 giugno 2020 si è costituita in giudizio DeA Capital Real Estate Società di gestione del risparmio spa.

La società riferisce di aver acquistato nel febbraio 2015 la parte maggioritaria dell’area oggetto del PRINT in questione, «ovviamente confortata dall’esistenza della Convenzione urbanistica», e di aver poi costituito il consorzio di urbanizzazione con gli altri proprietari.

Quanto alle questioni sollevate, la parte propone argomenti coincidenti con quelli esposti nell’atto di costituzione del Consorzio Ecovillage.

5.– Con atto depositato l’8 giugno 2020 si è costituita in giudizio la Regione Lazio.

La Regione rammenta di aver dato attuazione alla legge n. 394 del 1991 con la legge reg. Lazio n. 29 del 1997, che disciplina il procedimento di istituzione dell’area naturale regionale protetta, prevedendo tra l’altro una conferenza con gli enti locali, finalizzata alla redazione di un documento di indirizzo, in coerenza con quanto previsto all’art. 22 della legge n. 394 del 1991. Tale documento sarebbe un «passaggio fondamentale» anche per l’ipotesi in cui il legislatore regionale intenda modificare il perimetro dell’area. La procedura sarebbe stata seguita «anche per le modifiche alla perimetrazione del Parco regionale dell’Appia Antica»; anzi, tutti gli ampliamenti dei parchi istituiti dalla Regione Lazio sarebbero avvenuti con legge, «in base agli adempimenti sopra descritti».

Al momento dell’approvazione della legge “istitutiva” dell’ampliamento, sarebbe stato redatto uno specifico documento di indirizzo, ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, basato su un’analisi territoriale dell’area da sottoporre a tutela, operata individuando i valori delle aree oggetto di ampliamento, come evidenziati anche nel voto 6 ottobre 2016, n. 243, espresso dal Comitato regionale per il territorio.

L’ampliamento del parco rientrerebbe «nei poteri discrezionali e programmatori della Regione Lazio» e si tradurrebbe nell’aggiunta di 1200 ettari circa agli originari 3500 ettari. La Regione avrebbe considerato i valori storico-archeologico e agricolo-paesaggistico, oltre al «livello di compromissione territoriale». Anche il piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR) qualificherebbe gran parte di quel territorio come «area agricola di elevato valore paesaggistico».

Quanto alle singole questioni, la Regione nega che la norma censurata sia una legge-provvedimento: essa riguarda un intero territorio e non la parte di interesse delle società ricorrenti nel giudizio a quo, cioè quella oggetto del PRINT Ecovillage. La situazione delle aree del PRINT Ecovillage sarebbe diversa rispetto a quelle del PRINT Mugilla, perché le prime a differenza delle seconde non sarebbero state ancora compromesse. I ricorrenti sarebbero stati a conoscenza dell’intendimento di estendere il parco, avendo essi impugnato la delibera comunale n. 18 del 2016, che menzionava la volontà di ampliamento del perimetro. Inoltre, non ci sarebbe disparità di trattamento perché sarà il piano del parco a «sostituire le norme di salvaguardia» nell’area oggetto di ampliamento.

Quanto alla lamentata violazione degli artt. 41 e 42 Cost., la Regione osserva che la proprietà può essere limitata per tutelare il patrimonio naturale, in attuazione degli artt. 2 e 9 Cost., e riferisce la giurisprudenza amministrativa secondo cui «l’operazione di “zonizzazione” non può essere considerata in sé e per sé alla stregua di una vera e propria azione ablatoria». Le limitazioni imposte nell’interesse pubblico costituirebbero «un rischio fisiologico ben prevedibile e intrinsecamente connesso al regime costituzionale che connota l’istituto in questione» (viene citata la sentenza del Consiglio di Stato, 10 agosto 2004, n. 5490). La Regione rammenta anche l’art. 5, comma 9-bis, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, secondo il quale «[i] limiti alla proprietà derivanti dall’istituzione delle aree di cui al presente articolo non danno luogo ad indennizzo».

Quanto alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione osserva che la legge di ampliamento non è sottoposta a VAS. La legge avrebbe un valore di salvaguardia, dovendo essere seguita dall’adeguamento del piano del parco, cioè «dell’atto amministrativo sottoposto alle valutazioni ambientali». Non si tratterebbe, comunque, di un’alterazione dell’ambiente, ma di un’attività di tutela dell’ambiente stesso.

6.– Con atto depositato il 9 giugno 2020 si sono costituite Futuro Immobil Italia srl e Arcadia 2007 srl.

Le società riferiscono che il Consiglio regionale ha adottato l’ordine del giorno 18 luglio 2018, n. 47, con il quale, dopo aver ricordato che nell’area “Divino Amore” erano pianificate «attività edili di estrema rilevanza» e aver sottolineato «il pregio archeologico e paesaggistico dei terreni oggetto di pianificazione», impegnava la Giunta regionale «ad approvare nel primo provvedimento legislativo utile l’ampliamento della perimetrazione del Parco dell’Appia Antica così da salvaguardare le aree sopra menzionate». Dunque, secondo le parti, «fin dall’inizio l’attività dell’organo legislativo veniva piegata e finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo politico: bloccare le opere oggetto del PRINT Ecovillage, […] sciogliendo unilateralmente la Regione Lazio ed il Comune di Marino dagli obblighi precedentemente assunti».

Le società richiamano anche la delibera n. 18 del 2016 del Consiglio comunale di Marino, che chiedeva al Sindaco di contattare il Presidente della Regione per procedere all’ampliamento del parco. Ciò spiegherebbe il fatto che l’ampliamento de quo sia stato approvato in assenza di istruttoria e inserito «in tutta fretta, senza alcuna logica e coerenza, in un provvedimento che contiene le più disparate disposizioni di legge». La norma censurata sarebbe arbitraria e sarebbe stata introdotta «ai danni del PRINT Ecovillage per perseguire un chiaro progetto politico, salvando, invece, la realizzazione del confinante PRINT Mugilla», che avrebbe a oggetto aree di identico valore. L’art. 7 non risponderebbe dunque a effettive esigenze di tutela paesaggistica ma avrebbe «scopi emulatori».

Per le parti sarebbero «ignoti» i criteri che hanno ispirato l’ampliamento. Alla base della norma censurata ci sarebbe anche «la volontà di incidere su un ricorso giurisdizionale che mira a tutelare la realizzazione del PRINT» e di «liberare gli uffici regionali e comunali dalla necessità di istruire, motivare ad adottare le proprie determinazioni amministrative nei confronti dell’attività connessa con il PRINT». Emergerebbero così «l’uso sviato della funzione legislativa» e l’illegittimità della legge-provvedimento.

Le società si soffermano poi sull’irragionevole disparità di trattamento tra il PRINT Ecovillage ed il PRINT Mugilla, non toccato dall’ampliamento del parco. Da un lato, l’avanzamento dei lavori del PRINT Mugilla impedirebbe comunque di preservare le caratteristiche ambientali dell’intera area, dall’altro il blocco del PRINT Ecovillage priverebbe il complessivo quadrante Divino Amore – Falcognana – Mugilla delle opere di urbanizzazione, rientranti soprattutto nel PRINT Ecovillage.

Le parti lamentano poi la violazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., in quanto la norma censurata determinerebbe la «sostanziale espropriazione» dei terreni, «in assenza di legittimo procedimento e di indennizzo». Argomentano inoltre sulla violazione dell’art. 41 Cost., per l’arbitraria compressione della libertà di iniziativa economica privata delle imprese consorziate.

Infine, le società ribadiscono quanto esposto nell’ordinanza di rimessione sulla violazione dell’art. 117, primo comma, secondo comma lettera s), e terzo comma, Cost.

7.– Il 4 novembre 2020 la Regione Lazio ha depositato una memoria integrativa in cui rileva che gli ampliamenti dei parchi sono sempre stati introdotti con legge sia nella Regione Lazio che in altre regioni, e che il TAR Lazio non spiega perché la legge regionale censurata avrebbe superato i limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale alle leggi-provvedimento. In realtà, la norma in questione sarebbe generale e astratta, «riguardando una porzione ampia di territorio con oggettive caratteristiche di pregio».

La Regione riferisce poi che, con decreto dell’11 marzo 2020 della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MIBACT), è stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area sita nei Comuni di Marino, Castel Gandolfo ed Albano Laziale, comprendente la zona oggetto della norma regionale censurata.

8.– Il 9 novembre 2020 anche il Consorzio Ecovillage e DeA Capital Real Estate Società di gestione del risparmio spa hanno depositato memorie integrative (di uguale contenuto), dirette a replicare agli atti di costituzione della Regione e del Comune di Marino. In esse lamentano il difetto di istruttoria a monte della scelta legislativa di ampliamento del parco e ribadiscono che la norma censurata concreta una legge-provvedimento. L’illegittimità costituzionale della norma sarebbe confermata dall’avvenuta adozione del citato decreto del MIBACT, che, apponendo un vincolo paesaggistico sull’area in questione (che la società ha impugnato davanti al TAR Lazio), dimostrerebbe la necessità che vincoli di questo tipo maturino all’esito di un procedimento amministrativo. Le parti si soffermano poi sull’interferenza della norma censurata su giudizi pendenti e ne ribadiscono l’illegittimità costituzionale in quanto essa avrebbe dovuto essere preceduta dalla VAS. Ancora, le parti private argomentano sulla violazione dell’art. 3 Cost., osservando che sarebbe inspiegabile la deroga al piano del parco approvato nel luglio 2018, che aveva fatto salvi gli strumenti urbanistici attuativi già approvati, e rammentando l’avvenuta cessione al Comune delle aree destinate a spazi pubblici e l’intervenuta redazione dei progetti relativi alle opere di urbanizzazione. Infine, si soffermano sugli argomenti a sostegno delle questioni riguardanti gli artt. 41 e 42 Cost.

9.– Il 10 novembre 2020 Futuro Immobil Italia srl e Arcadia 2007 srl hanno depositato a loro volta una memoria integrativa, diretta a replicare agli atti di costituzione della Regione Lazio e del Comune di Marino. In essa, in primo luogo, osservano che la norma censurata avrebbe lo scopo di vanificare il ricorso da esse proposto contro gli atti comunali che avevano ostacolato l’iniziativa edificatoria. Ribadiscono inoltre la natura di legge-provvedimento della norma censurata e la sua irragionevolezza, osservando che l’ampliamento del parco avrebbe dovuto essere disposto modificandone il piano, in modo da coinvolgere tutti i soggetti interessati, e che nessuna istruttoria sorregge la norma censurata. Infine, le parti si soffermano sulla violazione dell’art. 3 Cost. e sulle questioni riguardanti gli artt. 41, 42 e 117 Cost., ribadendo le conclusioni degli atti di costituzione.

10.– Il 10 novembre 2020 il Comune di Marino ha depositato una memoria integrativa, al fine di replicare agli argomenti delle parti private. Secondo il Comune il perimetro del parco può essere modificato solo con legge regionale, ciò che priva di consistenza le censure facenti leva sul carattere provvedimentale della norma censurata e sull’interferenza con il giudizio pendente. Ribadisce poi l’infondatezza della censura di violazione dell’art. 3 Cost., ricordando, tra l’altro, che l’area oggetto di ampliamento comprende 1205 ettari di terreno, mentre l’area oggetto del PRINT Ecovillage solo 45 ettari, e che la zona del “Divino Amore” è stata sottoposta a vincolo ministeriale con decreto del MIBACT dell’11 marzo 2020. Quanto all’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il Comune osserva che, secondo un orientamento del giudice amministrativo, il piano paesaggistico non sarebbe soggetto a VAS.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione.

La disposizione censurata, intitolata «Modifica della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica», stabilisce, al comma 1, che «[l]a perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica, istituito con la legge regionale 10 novembre 1988, n. 66 (Istituzione del parco regionale dell’Appia Antica) […], è ampliata secondo la planimetria in scala 1:10.000 e la relativa relazione descrittiva, contenute, rispettivamente, negli allegati A2 e B2 che costituiscono parte integrante della presente legge». Il comma 2 dispone che, «[n]elle more dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, comma 5-bis, della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e successive modifiche, del piano del parco regionale dell’Appia Antica, approvato con deliberazione del Consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9, alle disposizioni di cui al comma 1 continua ad applicarsi la disciplina prevista dal medesimo piano. Limitatamente al territorio oggetto di ampliamento non ricompreso nella perimetrazione prevista nel piano, si applicano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 8 della l.r. 29/1997 per le zone A, di cui all’articolo 7, comma 4, lettera a), n. 1 della medesima legge regionale». Infine, il comma 3 stabilisce che, «[r]elativamente al territorio interessato dall’ampliamento di cui al comma 1, l’adeguamento del piano del parco regionale dell’Appia Antica ai sensi del comma 2 favorisce: a) l’esercizio e lo sviluppo delle attività agricole aziendali e il ricorso allo strumento del piano di utilizzazione aziendale (PUA) in conformità a quanto previsto dall’articolo 31 della l.r. 29/1997; b) lo svolgimento delle attività compatibili con le finalità del parco quali le attività sportive relative ad impianti legittimamente esistenti in considerazione del ruolo svolto dalle stesse rispetto all’innalzamento della qualità della vita della popolazione».

Il TAR ritiene che l’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, là dove amplia il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica, stabilendo che, nelle more dell’adeguamento del piano del parco, nella zona oggetto di ampliamento «si applicano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 8 della l.r. 29/1997», violi: a) l’art. 3 Cost., per disparità del trattamento riservato ai sottoscrittori del programma integrato di intervento (PRINT) Ecovillage rispetto, da un lato, ai «proprietari dei terreni che sono stati inclusi nel perimetro del Parco con provvedimenti anteriori all’entrata in vigore della legge regionale n. 7/2018, poiché per costoro è stata fatta salva la disciplina attuativa già approvata», dall’altro ai «sottoscrittori degli altri Print limitrofi e oggetto di Protocollo d’Intesa del 2011 (Print Mugilla, Print Mezzamagna)» (esclusi dall’ampliamento), «anche in considerazione del ragionevole affidamento che a seguito della sottoscrizione del Print e della Convenzione urbanistica le parti ricorrenti hanno prestato con riguardo alla realizzazione del Progetto e al rispetto delle pattuizioni da parte di tutti i soggetti coinvolti»; b) l’art. 42 Cost., perché l’applicazione delle misure di salvaguardia avrebbe «di fatto posto nel nulla le possibilità edificatorie assentite con il Print e con la correlativa Convenzione Urbanistica […] senza che sia stato previsto un ristoro di carattere economico» e «senza che la previsione di ampliamento sia stata corroborata da un’adeguata istruttoria né da […] alcuna motivazione»; c) l’art. 41 Cost., perché «le attività connesse alla realizzazione del Print e concordate nella Convenzione urbanistica avrebbero dovuto essere compiute nell’esercizio dell’attività di impresa»; d) l’art. 117 Cost., «sotto il profilo del mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (per quanto sopra rilevato con riferimento al diritto a un equo processo e al diritto di proprietà)»; e) l’art. 117, primo (recte: secondo) comma, lettera s), Cost., in quanto la norma censurata avrebbe modificato il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica «in assenza di avvio della valutazione ambientale strategica prescritta ai sensi della legislazione statale» (artt. 6 e 11 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»); f) l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia «governo del territorio», in quanto la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», «differendo sotto il profilo temporale lo ius aedificandi, per un numero di anni superiore a quello fissato dalla legislazione statale».

2.– In via preliminare, è opportuno precisare la portata della disposizione censurata e delle questioni sollevate.

L’art. 7, comma 1, della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 ha ampliato il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica, inglobando in esso varie aree, la maggiore delle quali è quella denominata “Divino Amore – Falcognana – Mugilla”, avente un’estensione di 989 ettari (si veda l’allegato B2 della disposizione censurata). Una frazione di tale area (pari a 45 ettari, secondo quanto affermato dal Comune nella memoria integrativa), situata nel Comune di Marino (e confinante ad est con la ferrovia Roma-Velletri e a sud con la strada del Divino Amore, SP 91b), è oggetto del programma integrato di intervento proposto dalla Ecovillage srl, adottato dal Comune di Marino con delibera del Consiglio comunale 3 agosto 2011, n. 37, in variante al piano regolatore vigente, e approvato con delibera della Giunta regionale 15 febbraio 2013, n. 16.

Il TAR Lazio censura la disposizione regionale sia nella parte in cui ricomprende nell’ampliamento l’area oggetto del PRINT Ecovillage, sia nella parte in cui, applicando le misure di salvaguardia, vieta l’attività edificatoria, nelle more dell’adeguamento del piano del parco. Tale divieto risulta dal comma 2 dell’art. 7, che applica nel territorio oggetto di ampliamento «le misure di salvaguardia di cui all’articolo 8 della l.r. 29/1997 per le zone A, di cui all’articolo 7, comma 4, lettera a), n. 1 della medesima legge regionale». Quest’ultima disposizione classifica come zone A quelle «di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con inesistente o limitato grado di antropizzazione». L’art. 8, comma 3, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997 stabilisce a sua volta che «[a]ll’interno delle zone A […] sono vietati: […] r) qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D), ed F) di cui all’articolo 2 del D.M. 2 aprile 1968 del Ministro per i lavori pubblici, ad eccezione degli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del D.P.R. n. 380/2001, purché non siano in contrasto con le finalità di cui all’articolo 2 e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, della L. 394/1991». Il divieto previsto alla lettera r) è quello pertinente al caso in esame perché l’area oggetto del PRINT Ecovillage rientra nelle zone territoriali omogenee C e D di cui all’art. 2 del decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), come risulta dagli atti depositati in giudizio (per tutti, la nota dell’Ente parco regionale dell’Appia Antica del 5 novembre 2018).

Va poi precisato che le questioni sollevate riguardano solo i primi due commi dell’art. 7, cioè l’ampliamento del parco e l’applicazione delle misure di salvaguardia, mentre nessuna censura è rivolta al comma 3, che detta prescrizioni di cui tener conto in sede di adeguamento del piano del parco.

3.– Prima di articolare le specifiche questioni di costituzionalità, il TAR Lazio svolge due premesse, relative all’affermato carattere di legge-provvedimento della norma censurata e al condizionamento che questa produrrebbe su un non meglio identificato giudizio pendente. Tali caratteri dell’art. 7 non si traducono in autonome questioni di legittimità costituzionale ma costituiscono, nella prospettazione del TAR, sintomi della necessità di sottoporre la norma censurata a un rigoroso scrutinio di ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 Cost., nei termini sviluppati a partire dal punto 15 dell’ordinanza di rimessione.

Ai fini di una corretta valutazione della norma censurata, è necessario soffermarsi sulle premesse in questione.

Quanto all’affermata natura di legge-provvedimento del censurato art. 7, le difese del Comune di Marino e del Consorzio Ecovillage sostengono tesi opposte: per la prima, la scelta di ampliare il perimetro del parco con legge regionale sarebbe imposta dall’art. 9, comma 3, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, in base al quale «[l]a legge regionale istitutiva dell’area naturale protetta definisce tra l’altro: […] b) la perimetrazione provvisoria […]»; per la seconda, la Regione si sarebbe invece autovincolata a usare l’atto amministrativo con l’art. 26, comma 1, della stessa legge regionale, secondo cui «[i]l piano dell’area naturale protetta […] prevede: a) la perimetrazione definitiva dell’area naturale protetta […]».

Nessuna delle due tesi può essere condivisa. Questa Corte ha chiarito di recente, con la sentenza n. 134 del 2020, che la modifica del perimetro dei parchi regionali può avvenire sia con legge regionale, nel rispetto del procedimento regolato dall’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), sia in sede di adozione o modifica del piano del parco. Più precisamente, «[d]all’art. 23 della legge quadro si evince che il legislatore può limitarsi alla perimetrazione provvisoria dei confini con la legge istitutiva del parco regionale», essendo «perciò implicito nel sistema legislativo statale che la perimetrazione definitiva possa essere affidata dalla legge regionale ad una fase procedimentale successiva, ed in particolare al piano del parco».

I citati artt. 9 e 26 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997 sono dunque da intendere in senso conforme alla citata legge quadro, come interpretata dalla sentenza n. 134 del 2020, e in base ad essi l’ampliamento del parco può essere disposto con legge, che fissa anche le misure di salvaguardia, spettando poi al piano del parco di precisare la disciplina della nuova area tutelata.

In applicazione di questo regime, il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica è stato modificato, oltre che con la norma censurata, in altre quattro occasioni, sempre con legge regionale: dapprima con l’art. 42 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, poi con l’art. 1 della legge della Regione Lazio 31 maggio 2002, n. 14 (Ampliamento della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica), indi con l’art. 1 della legge della Regione Lazio 30 marzo 2009, n. 6 (Modifica del perimetro del parco regionale dell’Appia Antica), e infine, successivamente alla modifica qui in esame, con l’art. 9, comma 17, della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione).

In definitiva, alla stregua della disciplina dei parchi regionali e della stessa precedente prassi della Regione Lazio, non è esatto affermare che la norma censurata ha regolato in forma legislativa un oggetto normalmente affidato alla funzione amministrativa, anzi è vero il contrario.

Quanto all’asserita interferenza sui giudizi pendenti, il giudice a quo non precisa di quali giudizi si tratti e, anche su questo punto, le parti intendono in senso diverso l’affermazione del rimettente: il Comune di Marino e il Consorzio Ecovillage la riferiscono ai ricorsi proposti al TAR contro gli atti di adozione e approvazione del PRINT (del 2011 e 2013, come visto), mentre la Futuro Immobil Italia srl la riferisce ai ricorsi proposti contro gli atti comunali di sospensione dell’iniziativa edificatoria, adottati nel 2018, prima dell’entrata in vigore della norma censurata (si tratta della delibera del Consiglio comunale di Marino 28 febbraio 2018, con cui è stato sospeso il Protocollo d’intesa concluso il 14 giugno 2011 tra Regione Lazio e Comune di Marino, e della delibera del Consiglio comunale di Marino 10 agosto 2018, con cui è stato sospeso il PRINT Ecovillage).

Come si vedrà meglio esaminando la questione relativa alla presunta violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, la norma censurata, non essendo retroattiva, è in realtà inidonea ad influire in alcun modo sulla validità degli atti amministrativi oggetto dei giudizi indicati (gli unici pendenti al momento dell’entrata in vigore della norma stessa), atti la cui legittimità dovrà essere valutata alla stregua della normativa operante nel momento in cui sono venuti in essere. Poiché dunque la loro sorte nel giudizio amministrativo che li riguarda non è interessata dalla normativa sopravvenuta, è da escludere che la norma qui in esame interferisca con un giudizio in corso. Quanto agli atti successivi, essi sono stati emanati in applicazione della stessa norma – come sottolinea il giudice a quo nella motivazione sulla rilevanza – con il che è escluso che quest’ultima incida su un giudizio in atto al momento della sua emanazione.

4.– Si può ora passare all’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale, prendendo in esame innanzitutto la ritenuta violazione dell’art. 3 Cost., che il TAR Lazio denuncia sotto due differenti profili.

4.1.– In primo luogo, il rimettente lamenta la disparità del trattamento riservato ai sottoscrittori del PRINT Ecovillage rispetto ai proprietari dei terreni inclusi nel perimetro del parco con provvedimenti anteriori all’entrata in vigore della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, per i quali è stata fatta salva la disciplina attuativa già approvata.

Il TAR solleva la questione ritenendo impraticabile l’interpretazione adeguatrice prospettata dalle ricorrenti e, dunque, giudicando inapplicabile l’art. 17, comma 2, delle norme del piano del parco regionale dell’Appia Antica (approvato con delibera del Consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9), secondo cui «sono comunque fatte salve, nei limiti del PTP 15/12 e del PTP 9/PTPR e nel rispetto delle norme di tutela dei beni di cui al Capo II della l.r. 24/1998, le previsioni degli strumenti urbanistici attuativi approvati alla data di entrata in vigore del Piano del Parco nonché le previsioni di interventi pubblici e di interesse pubblico contenute negli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di approvazione del Piano, ivi comprese quelle relative al soddisfacimento degli standard urbanistici, ricadenti in tutto o in parte all’interno del Parco».

Il presupposto interpretativo del rimettente è corretto. L’art. 7, comma 2, della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 prevede espressamente: a) l’adeguamento del piano del parco regionale dell’Appia Antica, approvato pochi mesi prima; b) la permanente applicazione dello stesso piano alle sole zone incluse nel parco dalle leggi precedenti; c) l’applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 8 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, «[l]imitatamente al territorio oggetto di ampliamento non ricompreso nella perimetrazione prevista nel piano». Tali previsioni chiaramente non consentono l’applicazione del citato art. 17, comma 2, delle norme del piano del parco nella zona oggetto di ampliamento.

4.1.1.– Sotto questo primo profilo, la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata.

A prescindere dalla concreta portata del citato art. 17, comma 2 (che dipende dal contenuto degli strumenti attuativi fatti salvi e dai limiti, richiamati dallo stesso art. 17, che condizionano la salvaguardia dei piani attuativi), la norma censurata non riserva ai sottoscrittori del PRINT Ecovillage un trattamento deteriore rispetto ai proprietari dei terreni inclusi nel perimetro del parco prima della legge reg. Lazio n. 7 del 2018. Per questi ultimi, infatti, i preesistenti strumenti urbanistici attuativi non sono stati fatti salvi dalle leggi regionali che istituiscono il parco o ne modificano l’estensione, ma, appunto, dal piano del parco. Questa conclusione, già evidente dalla lettura delle disposizioni citate, è confermata dall’esame della legge reg. Lazio n. 66 del 1988, istitutiva del parco regionale dell’Appia Antica, e delle altre ricordate disposizioni legislative regionali che, come quella in esame, hanno modificato il perimetro del parco. Nessuna di esse ha regolato il rapporto con i precedenti strumenti urbanistici e le prime due (art. 16 della legge reg. Lazio n. 66 del 1988 e art. 42, comma 2, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997) hanno stabilito specifiche misure di salvaguardia, in attesa dell’approvazione del piano del parco. Solo con quest’ultimo, approvato nel luglio 2018, è stata introdotta la clausola di salvaguardia che il rimettente impropriamente indica come tertium comparationis.

Anche la disposizione censurata, al comma 2, si limita a disporre misure di salvaguardia «[n]elle more dell’adeguamento […] del piano del parco regionale dell’Appia Antica», mentre la concreta disciplina dell’uso delle varie zone alle quali è stato esteso il parco, ivi compresa la sorte di eventuali strumenti attuativi esistenti, è rimessa all’adeguamento del piano del parco, che, del resto, «ha valore di piano urbanistico e sostituisce i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello» (art. 26, comma 6, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, sulla scia dell’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991).

Se quanto esposto conduce a escludere la disparità di trattamento denunciata dal rimettente, si può aggiungere che la descritta sequenza di previsioni (misure di salvaguardia introdotte dalla legge istitutiva o ampliativa del parco e successiva regolazione dell’uso delle diverse zone di esso da parte del piano del parco stesso), seguita dalla Regione Lazio, è del tutto coerente con la disciplina generale della materia, sia statale che regionale. Per un verso, infatti, l’art. 23 della legge n. 394 del 1991, riguardante specificamente i «Parchi naturali regionali», stabilisce che «[l]a legge regionale istitutiva del parco naturale regionale […] definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia […]»; e l’art. 8, comma 5, della stessa legge dispone che «[c]on il provvedimento che istituisce il parco o la riserva naturale possono essere integrate, sino alla entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta, le misure di salvaguardia introdotte ai sensi dell’articolo 6». Per altro verso, secondo l’art. 9, comma 3, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, «[l]a legge regionale istitutiva dell’area naturale protetta definisce tra l’altro: […] b) la perimetrazione provvisoria […] e le misure di salvaguardia specifiche, eventualmente differenziate per zone, da applicarsi fino alla data di operatività della disciplina dell’area naturale protetta contenuta nel piano e nel regolamento […]». Similmente, l’art. 9, comma 5, della legge della Regione Lazio 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico), dispone che, «[n]ei territori di cui al comma 2 [aree naturali protette], nelle more dell’approvazione dei piani delle aree naturali protette si applicano sia le misure di salvaguardia previste negli specifici provvedimenti istitutivi o legislativi generali, sia la normativa relativa alle classificazioni per zone delle aree ove prevista dai P.T.P. o dal P.T.P.R.; in caso di contrasto prevale la più restrittiva».

È opportuno ricordare che questa Corte ha assimilato le misure di salvaguardia previste dalla legge n. 394 del 1991 al regolamento e al piano del parco, nel senso della qualificazione di tali strumenti come necessari standard uniformi di tutela ambientale, in quanto diretti ad assicurare la rispondenza delle attività svolte nel parco alle esigenze ambientali (sentenze n. 180 del 2019, n. 245 e n. 121 del 2018). Del resto, «la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio [art. 9 Cost.] è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007).

4.2.– Sotto un secondo profilo, il TAR censura la disparità del trattamento riservato ai sottoscrittori del PRINT Ecovillage rispetto ai «sottoscrittori degli altri Print limitrofi e oggetto di Protocollo d’Intesa del 2011» (PRINT Mugilla e PRINT Mazzamagna), esclusi dall’ampliamento del parco.

4.2.1.– Va respinta preliminarmente l’eccezione di inammissibilità per genericità e indeterminatezza della censura, formulata dal Comune di Marino, secondo cui il TAR non avrebbe illustrato le ragioni che renderebbero assimilabili le situazioni messe a confronto. Benché il rimettente si limiti ad affermare sinteticamente che «vi è una stretta interconnessione» tra i tre PRINT, «che fanno parte di un complesso programma urbanistico dell’intero quadrante», e che il diverso stadio esecutivo dei PRINT non avrebbe rilievo, tale motivazione, sia pur stringata, è sufficiente ad assolvere l’onere di argomentare la non manifesta infondatezza della questione. Il TAR rimettente mette infatti in evidenza gli elementi comuni e le differenze tra i diversi PRINT.

4.2.2. – Nel merito, la questione non è fondata nemmeno sotto questo profilo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il principio di eguaglianza esprime un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni eguali deve corrispondere l’identica disciplina e, all’inverso, discipline differenziate andranno coniugate a situazioni differenti», ciò che « equivale a postulare che la disamina della conformità di una norma a quel principio deve svilupparsi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul “perché” una determinata disciplina operi, all’interno del tessuto egualitario dell’ordinamento, quella specifica distinzione, e quindi trarne le debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo» (sentenza n. 89 del 1996; nello stesso senso sentenze n. 241 del 2014 e n. 5 del 2000).

Il rimettente motiva la censura negando rilievo alla circostanza, addotta dalla difesa del Comune di Marino, che il PRINT Ecovillage non avrebbe ad oggi «messo una pietra» mentre i programmi delle altre due società sarebbero in fase esecutiva per quanto riguarda sia le opere pubbliche che quelle private. Poiché, secondo il giudice a quo, la norma censurata si fonda su un presunto «valore assoluto» della tutela del paesaggio, che dovrebbe dunque valere anche per gli altri PRINT, l’applicazione delle misure di salvaguardia ai soli terreni del PRINT Ecovillage violerebbe l’art. 3 Cost.

In realtà, il perimetro dell’ampliamento operato con la previsione contestata corrisponde alla proposta di ampliamento avanzata nel 2002 dall’Ente parco regionale dell’Appia Antica, in sede di adozione del piano del parco (delibera del Consiglio direttivo dell’Ente parco 29 luglio 2002, n. 17): il dato, affermato dal Comune di Marino e non contestato dalle altre parti, risulta anche da diversi documenti prodotti nel presente giudizio (fra gli altri, dalla cartografia depositata dal Comune di Marino). Il procedimento, allora iniziato, di approvazione del piano del parco si è concluso molti anni dopo (con la delibera del Consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9) senza l’ampliamento proposto nel 2002, perché la Regione ha ritenuto di fissare il nuovo perimetro seguendo la via legislativa, come consentito dalla legge e secondo la prassi già sperimentata (ciò risulta dal parere 6 ottobre 2016, n. 243/1, del Comitato regionale per il territorio). Al contempo, lo stesso Consiglio regionale, con l’ordine del giorno del 18 luglio 2018, invitava la Giunta a promuovere l’ampliamento del parco in via legislativa secondo l’originaria proposta, dando atto che nella zona “Divino Amore” era stata effettivamente progettata una rilevante iniziativa edificatoria ma che ancora non era stato rilasciato alcun permesso.

L’approvazione della norma di legge in esame si collega espressamente al procedimento di formazione del piano del parco e al citato parere del Comitato regionale, come risulta dal documento di indirizzo del 10 settembre 2018, redatto dalla conferenza degli enti territoriali interessati ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, in base al quale «[l]a partecipazione delle province, della città metropolitana, delle comunità montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell’area naturale protetta è acquisita, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991, mediante una conferenza finalizzata alla redazione di un documento di indirizzo fondato sull’analisi territoriale dell’area da sottoporre a tutela». Il citato documento di indirizzo illustra in particolare le qualità paesaggistiche e storico-archeologiche dell’area denominata “Divino Amore”.

Oltre a ciò, la cartografia depositata in giudizio dal Comune di Marino mette in evidenza, da un lato, l’avvenuta urbanizzazione dell’area Mugilla esclusa dall’ampliamento, dall’altro, il fatto che l’esclusione dell’area Mazzamagna deriva dall’aver considerato come confini dell’ampliamento la strada del Divino Amore e la ferrovia Roma-Velletri, per completare la zona di parco già tutelata.

Il TAR Lazio avrebbe dovuto contestare il pregio ambientale dei terreni oggetto del PRINT Ecovillage o illustrare un simile pregio ambientale dei terreni esclusi, mentre l’ordinanza di rimessione non dà conto del primo aspetto, né offre alcun elemento idoneo a dimostrare che l’ampliamento avrebbe dovuto comprendere, in difformità dalla proposta originaria, anche le zone oggetto dei PRINT Mugilla e Mazzamagna. Al contrario, dà atto della diversa oggettiva condizione dei terreni dei diversi PRINT, riconoscendo che nell’area “Divino Amore” l’edificazione non è iniziata mentre nelle altre due aree le opere sia pubbliche che private sono in fase di costruzione.

Ciò conferma l’insussistenza della seconda disparità di trattamento denunciata dal TAR, essendo evidente che l’avvenuta edificazione o meno di un’area può incidere sul suo pregio ambientale e, dunque, sulla sua inclusione in un’area naturale protetta.

4.3.– Sempre facendo leva sull’art. 3 Cost., il TAR Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 per il fatto che la norma, imponendo misure di salvaguardia comportanti l’inedificabilità assoluta dei terreni, avrebbe leso il «ragionevole affidamento» ingenerato nelle società ricorrenti dall’avvenuta approvazione del PRINT e dalla sottoscrizione della successiva convenzione urbanistica.

Il rimettente fa riferimento al citato PRINT Ecovillage, approvato dalla Giunta regionale nel 2013, e alla convenzione conclusa il 30 luglio 2013 tra il Comune di Marino e la società Ecovillage (convenzione avente ad oggetto, in particolare, l’obbligo della società di cedere gratuitamente al Comune le aree destinate a spazi, strutture e servizi pubblici e di eseguire le opere di urbanizzazione).

La tesi del TAR, secondo cui un’area avente pregio ambientale non potrebbe essere tutelata qualora sia interessata da un progetto edificatorio oggetto di uno strumento urbanistico attuativo già approvato, non può essere condivisa perché attribuisce alla pianificazione urbanistica un valore preclusivo del pieno dispiegarsi della tutela ambientale e ciò contraddice la funzione stessa dei vincoli aventi tale ultima finalità.

Premesso che le due prospettive di regolazione dell’uso del territorio hanno reciproca autonomia, è indubbio che la sottoposizione a vincolo ambientale – quale è quello derivante dall’istituzione o ampliamento di un parco, in quanto diretto a conservare e proteggere il valore ambientale riconosciuto all’area interessata – mira a realizzare interessi di rango costituzionale, quali quelli protetti dall’art. 9, secondo comma, e dall’art. 32 Cost. (norme richiamate dall’art. 1, comma 1, della legge n. 394 del 1991), che questa Corte ha qualificato come «valori costituzionali primari» (sentenza n. 126 del 2016). Alla realizzazione di questo obiettivo non può, all’evidenza, opporsi l’eventuale approvazione di un progetto di trasformazione edilizia, che, ove realizzata, metterebbe a repentaglio il pregio ambientale dell’area e si porrebbe quindi in contraddizione con l’avvenuto riconoscimento del suo valore. L’aspettativa edificatoria dei privati non può dunque essere considerata un elemento idoneo a impedire il pieno esplicarsi della tutela del bene riconosciuto di valore ambientale.

Né, del resto, si può ritenere che la disciplina dettata dalla legge n. 394 del 1991 (non considerata dal rimettente) consenta di ipotizzare una qualche forma di efficacia “inibitoria” (della tutela ambientale) derivante dalla preesistenza di uno strumento urbanistico attuativo. L’art. 6 della legge quadro indicata stabilisce che, prima ancora dell’istituzione dell’area protetta (cioè, a decorrere dalla pubblicazione del Programma triennale per le aree naturali protette, previsto dall’art. 4 della medesima legge n. 394 del 1991 e poi soppresso dall’art. 76 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»), siano applicate misure di salvaguardia consistenti, fra l’altro, nel divieto di nuove costruzioni «fuori dei centri edificati» (comma 3). A loro volta, i successivi artt. 6, comma 4, e 8, comma 5, prevedono ulteriori divieti ed eventuali misure di salvaguardia integrative dopo l’istituzione dell’area protetta e «sino alla entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta». La concreta regolamentazione dell’uso delle varie zone del parco è poi rimessa dall’art. 12 della legge quadro al relativo piano, che potrà consentire attività compatibili con le finalità istitutive del parco. È in questo contesto che, in coerenza con le inderogabili esigenze di tutela ambientale, possono trovare considerazione le aspettative, in ipotesi anche derivanti dalla precedente attitudine edificatoria delle aree, dei privati proprietari dei beni inclusi nel parco, i quali possono darne conto partecipando con le loro osservazioni al procedimento di formazione del piano.

È decisivo, infine, che l’art. 25, comma 2, della legge quadro stabilisca che il piano del parco regionale «ha valore anche […] di piano urbanistico e sostituisce i piani […] urbanistici di qualsiasi livello», statuendo così espressamente che gli strumenti urbanistici «di qualsiasi livello» cedono il passo al piano del parco, con una norma che, come questa Corte ha recentemente chiarito, rappresenta «uno standard uniforme di tutela ambientale» (sentenza n. 134 del 2020).

Può essere utile ricordare che un’analoga regola di prevalenza dei valori paesaggistici sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici è stabilita dagli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), con una previsione che può essere riferita anche ai parchi regionali, in quanto aree di interesse paesaggistico, tutelate per legge, in base all’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali. Questa Corte, dichiarando costituzionalmente illegittima una disposizione legislativa regionale che aveva invertito il rapporto tra piano paesaggistico regionale e piano urbanistico comunale, facendo prevalere il secondo sul primo (sentenza n. 86 del 2019; nello stesso senso la sentenza n. 172 del 2018), ha affermato che «[i]l codice dei beni culturali e del paesaggio definisce dunque, con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio – sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire – secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale» (sentenza n. 11 del 2016).

Conviene sottolineare al riguardo che l’applicazione di misure di salvaguardia al momento dell’istituzione o dell’ampliamento del parco, la regolazione dell’uso delle varie zone del parco da parte del relativo piano e la portata sostitutiva degli strumenti urbanistici del piano stesso costituiscono capisaldi della legge n. 394 del 1991, vincolanti per le regioni in base alla giurisprudenza costituzionale. La legislazione regionale, infatti, «qualora incida sulle aree protette (siano esse nazionali o regionali) deve conformarsi ai principi fondamentali contenuti nella legge quadro, la quale – costantemente ricondotta dalla giurisprudenza di questa Corte alla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (da ultimo, sentenze n. 121 del 2018 e n. 74 del 2017) – detta gli standard minimi uniformi di tutela, “che le Regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non derogare in peius” (sentenza n. 121 del 2018)» (sentenza n. 180 del 2019; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 134 e n. 43 del 2020, n. 290 del 2019, n. 14 del 2012). È poi da precisare che ai parchi regionali si applicano – oltre che le norme relative alle «Aree naturali protette regionali» (Titolo III della legge n. 394 del 1991) – anche le norme della stessa legge riguardanti le «Aree naturali protette nazionali» (artt. 8 e seguenti), qualora «vi si rifletta una generale scelta di politica ambientale non surrogabile dalla fonte regionale» (sentenza n. 134 del 2020).

4.4.– La prevalenza dei vincoli paesaggistici sulle previsioni dei piani urbanistici è stata sottolineata anche dal Consiglio di Stato. Nelle pronunce relative al vincolo apposto con decreto ministeriale del 25 gennaio 2010 all’Agro Romano, il Consiglio di Stato si è soffermato sul rapporto «tra la tutela dei valori paesaggistici e la pianificazione urbanistica, e i relativi strumenti attuativi», affermando che «[l]’iniziativa economica privata, altresì costituzionalmente tutelata, non può dunque essere immotivatamente compressa ma, in quanto attuata nel contesto e per mezzo della strumentazione urbanistica, deve essere correlata al rapporto di questa con i sovraordinati valori della tutela del paesaggio» (sezione sesta, sentenza 11 gennaio 2013, n. 119). Anche in quella vicenda veniva in rilievo un accordo di programma stipulato tra le ricorrenti e il Comune di Roma nel 2009 per la realizzazione di un programma urbanistico e, a fronte della censura con cui veniva fatto valere l’affidamento dei privati, il Consiglio di Stato aveva affermato che «in ogni tempo e pur quando vi sia stata una pianificazione urbanistica (generale o attuativa) che consenta la modifica dello stato dei luoghi, e anche pur dopo che siano stati emanati i relativi titoli abilitativi, l’autorità statale può disporre il vincolo sull’area meritevole della dichiarazione di notevole interesse pubblico» (sezione sesta, sentenza 11 gennaio 2013, n. 118; si veda anche Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 29 gennaio 2013, n. 533). Ciò che, a maggior ragione, non può non essere affermato per il potere legislativo regionale di includere in un parco un’area di pregio ambientale.

In caso di vincoli apposti con atto amministrativo, il momento in cui l’interesse del privato a costruire condiziona la possibilità di piena tutela dell’interesse paesaggistico è individuato dalla giurisprudenza amministrativa nel concreto inizio dell’edificazione (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 17 giugno 2010, n. 3851, secondo cui: «il sopravvenuto vincolo paesaggistico non è opponibile, e dunque non impone la richiesta di autorizzazione paesaggistica: a) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e di cui sia già iniziata l’esecuzione»; nello stesso senso Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 17 luglio 2018, n. 4362). Criterio che trova riscontro altresì a livello normativo nelle previsioni dell’art. 142, comma 2, cod. beni culturali, e dell’art. 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 (secondo cui «Il permesso [di costruire] decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio»).

Alla luce di quanto esposto si deve escludere che l’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 violi l’art. 3 Cost. per non aver fatto salvo il PRINT Ecovillage. Resta l’anomalia insita nel fatto che il progetto edificatorio è stato approvato dallo stesso ente (la Regione Lazio) che poi ha incluso l’area in questione nel parco regionale dell’Appia Antica – su ciò si ritornerà di seguito (punto 7.2.) – e restano impregiudicati gli strumenti con cui le società potranno far valere, se del caso in sede giurisdizionale, le proprie aspettative e l’avvenuta cessione delle aree al Comune.

5.– Nemmeno la questione relativa all’art. 42 Cost. è fondata.

Con essa il TAR contesta l’art. 7 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 – non per non aver fatto salvo il PRINT preesistente, come lamentato con la censura di violazione dell’art. 3 Cost., ma – per l’assenza di una previsione di indennizzo a favore dei sottoscrittori del PRINT Ecovillage. Vi sarebbe inoltre un difetto di istruttoria e di motivazione della norma.

In sostanza, secondo il rimettente una legge regionale non potrebbe vietare, senza indennizzo, l’edificabilità di un’area avente sicuro pregio ambientale (circostanza, questa, mai contestata dal rimettente), e per questo inclusa in un parco, qualora essa sia interessata da un progetto edificatorio oggetto di uno strumento urbanistico attuativo già approvato e di una convenzione (in base all’art. 1, comma 2, della legge della Regione Lazio 26 giugno 1997, n. 22, recante «Norme in materia di programmi integrati di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della Regione», «[i]l programma integrato, disciplinato dalla presente legge, costituisce piano attuativo dello strumento urbanistico generale»), pena la violazione dell’art. 42 Cost.

5.1.– A partire dalla sentenza n. 56 del 1968, la giurisprudenza di questa Corte esclude che i limiti alla proprietà aventi finalità di tutela paesaggistica e, in senso lato, ambientale ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., abbiano cioè carattere espropriativo e richiedano per questo un indennizzo. A differenza dei vincoli di carattere urbanistico che derivano da scelte della pubblica amministrazione idonee a condizionare discrezionalmente le facoltà di godimento del bene, i vincoli di tipo ambientale sono espressivi di caratteristiche intrinseche del bene, di cui l’amministrazione si limita a registrare l’esistenza, e costituiscono attuazione di quanto previsto dall’art. 42, secondo comma, Cost., ossia della determinazione per legge del regime del diritto di proprietà. La legge che limita le facoltà edificatorie dei beni connotati da particolare pregio (culturale, artistico, paesaggistico, ambientale) non comporta infatti un’illegittima compressione del relativo diritto di proprietà, giacché «questo diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive» (sentenza n. 56 del 1968), e ciò tanto più assume rilievo quando si tratti della tutela degli interessi protetti dall’art. 9, secondo comma, e dall’art. 32 Cost. (norme richiamate dall’art. 1, comma 1, della legge n. 394 del 1991) e qualificati come «valori costituzionali primari» da questa Corte (sentenza n. 126 del 2016).

Il TAR dà atto di questa giurisprudenza ma ritiene che la preesistenza del PRINT e della convenzione faccia assumere al divieto di edificazione natura espropriativa, attraendolo dunque nell’orbita dell’art. 42, terzo comma, Cost.

L’assunto è infondato.

Si è già visto sopra (al punto 4) che la legge statale stabilisce, in modo vincolante per le regioni, che il piano del parco si sostituisce ai piani urbanistici di qualsiasi livello e che, in generale, i vincoli paesaggistici prevalgono sugli strumenti urbanistici, senza eccezioni di sorta. A ciò si può aggiungere quanto previsto, in linea con la citata giurisprudenza costituzionale, dall’art. 145, comma 4, cod. beni culturali, secondo cui «[i] limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni [dei piani paesaggistici] non sono oggetto di indennizzo». Con riferimento specifico ai parchi, inoltre, la legge n. 394 del 1991 prende in considerazione il tema degli indennizzi relativi ai limiti derivanti dall’istituzione del parco (art. 15, comma 2: «I vincoli derivanti dal piano alle attività agro-silvo-pastorali possono essere indennizzati sulla base di princìpi equitativi. I vincoli, temporanei o parziali, relativi ad attività già ritenute compatibili, possono dar luogo a compensi ed indennizzi, che tengano conto dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall’attività del parco») ma non contempla alcun indennizzo per le limitazioni, per finalità di tutela ambientale, delle aspettative edificatorie suscitate da uno strumento urbanistico attuativo. Similmente, la legge reg. Lazio n. 29 del 1997 dispone che «[i] limiti alla proprietà derivanti dall’istituzione delle aree di cui al presente articolo non danno luogo ad indennizzo» (art. 5, comma 9-bis).

Nemmeno la legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), che all’art. 1, comma 21 e seguenti, detta un’articolata disciplina per il caso in cui, «per effetto di vincoli sopravvenuti, diversi da quelli di natura urbanistica, non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia stato già assentito a norma delle vigenti disposizioni», contempla il diritto a un indennizzo per queste ipotesi (stabilendo, in sintesi, che il privato può solo chiedere «la traslazione del diritto di edificare su area diversa»).

Già il dato positivo della legislazione statale smentisce dunque la tesi secondo cui il vincolo avente finalità ambientale, qualora vanifichi uno strumento urbanistico attuativo, cesserebbe di restare sotto il regime del secondo comma dell’art. 42 Cost., per passare a quello del terzo comma. Ma, a parte questo, è la stessa struttura degli argomenti sviluppati nella giurisprudenza costituzionale sui vincoli non aventi natura espropriativa a ostare alla prospettabilità del carattere espropriativo di tali limitazioni, perché, una volta che si riconosca che esse sono espressive del modo di essere in sé dei beni di cui si tratta, non vi può essere spazio, sul piano logico prima ancora che giuridico, per costruire ipotesi derogatorie legate a diverse condizioni – in questo contesto non più rilevanti – dei beni stessi.

La norma censurata, dunque, non viola l’art. 42 Cost. per non aver previsto un indennizzo.

È appena il caso di precisare, infine, che risulta infondata anche l’affermazione del rimettente secondo cui la norma censurata sarebbe stata approvata senza istruttoria e motivazione: si è già detto che essa si è basata sul documento di indirizzo del 10 settembre 2018, redatto dalla conferenza degli enti territoriali interessati ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge reg. Lazio n. 29 del 1997. Dal documento, che dà conto delle qualità paesaggistiche e storico-archeologiche dell’area “Divino Amore”, risulta anche che l’approvazione della norma censurata si collega al procedimento di formazione del piano del parco e al parere del Comitato regionale per il territorio n. 243/1 del 2016.

6.– Come visto, secondo il TAR la norma censurata violerebbe l’art. 41 Cost. perché le attività connesse alla realizzazione del PRINT avrebbero dovuto essere compiute nell’esercizio dell’attività di impresa. Il divieto di attività edilizia per un tempo non prevedibile implicherebbe uno «svuotamento del diritto di proprietà» e una conseguente violazione del principio di libera iniziativa economica privata.

La questione ha carattere sostanzialmente ancillare rispetto alla precedente e nemmeno essa è fondata, per le stesse ragioni esposte trattando delle censure sollevate con riferimento all’art. 42 Cost. Le considerazioni appena svolte, sulla riconducibilità della norma regionale censurata al secondo comma del citato art. 42 Cost., che ammette limitazioni della proprietà «allo scopo di assicurarne la funzione sociale», valgono a escludere anche la violazione del diritto di iniziativa economica privata, la quale, in base all’art. 41, secondo comma, Cost., «[n]on può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale».

7.– Il TAR Lazio lamenta poi la violazione dell’art. 117 Cost., «sotto il profilo del mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario», richiamando «quanto sopra rilevato con riferimento al diritto a un equo processo e al diritto di proprietà», e dunque – come si può ricostruire sulla base del testo dell’ordinanza di rimessione – a quanto in precedenza dedotto sulla violazione dei «principi eurounitari e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 6) in materia di giusto processo» e dell’«art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU», firmato a Parigi il 20 marzo 1952, in materia di diritto di proprietà.

Superando l’erroneità del riferimento all’«ordinamento comunitario», invocato a proposito della CEDU, occorre rilevare, quanto al rinvio interno ad altra parte della stessa ordinanza, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «“[l]a motivazione tramite rinvio ‘interno’ è ammissibile (sentenze n. 68 del 2011 e n. 438 del 2008), purché sia chiara la portata della questione” (sentenza n. 83 del 2016)» (sentenza n. 231 del 2020).

7.1.– Quanto all’art. 6 CEDU, l’ordinanza di rimessione afferma che la norma censurata è intervenuta in pendenza di un giudizio «avente ad oggetto l’atto amministrativo connesso» alla norma stessa e richiama la disposizione convenzionale in materia di giusto processo.

Senza arrestarsi alla vaghezza della censura (che non specifica quale sarebbe il giudizio pendente oggetto di interferenza, né, tantomeno, quale sarebbe il condizionamento prodotto dalla norma, e non cita alcuna decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo a sostegno della questione), occorre nondimeno constatare che quanto già anticipato sopra (punto 3) sull’inidoneità della disposizione censurata a incidere su giudizi pendenti conferma la sua infondatezza. Quelli che vengono genericamente indicati come giudizi pendenti sono in effetti, come risulta dagli atti depositati, una molteplicità di procedimenti, poiché, per un verso, gli atti di approvazione del PRINT Ecovillage sono stati impugnati con diversi ricorsi, di cui alcuni tuttora pendenti, e, per l’altro verso, le società interessate allo stesso PRINT hanno impugnato, con ricorso e motivi aggiunti in successione, dapprima gli atti con cui il Comune di Marino ha sospeso nel 2018 (prima dell’entrata in vigore della legge reg. Lazio n. 7 del 2018) il protocollo d’intesa del 2011 ed il PRINT Ecovillage del 2013, e solo di seguito gli atti assunti in attuazione della legge regionale contestata.

Non essendo retroattiva, la norma censurata è in realtà inidonea a influire sulla validità degli atti amministrativi oggetto dei giudizi che erano pendenti al momento della sua entrata in vigore, in quanto, in applicazione del principio tempus regit actum, il vaglio della legittimità di quegli atti (risalenti, i primi, addirittura al 2011-2013) prescinde necessariamente dalla norma censurata, che potrà al più incidere sulla loro esecuzione, non sulla loro validità. Con particolare riferimento agli atti di sospensione del 2018, la norma stessa non è in alcun modo idonea a sanarne un’eventuale illegittimità, e ciò non solo per la ragione che le sono antecedenti, ma anche perché essi hanno fondamento diverso dalla stessa sopravvenuta norma censurata.

Quanto poi al giudizio sugli atti emanati in applicazione della disposizione in esame (archiviazione del procedimento di valutazione di impatto ambientale, VIA, parere dell’Ente parco e diniego di permesso di costruire), è evidente che non può essere considerato come pendente al momento della sua entrata in vigore.

In definitiva, anche a prescindere dalla questione dell’attitudine della finalità di tutela ambientale a concretare un motivo imperativo di interesse generale, idoneo a giustificare l’eventuale interferenza sul giudizio in corso in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in tal senso sentenza 2 aprile 2019, Dimopulos contro Turchia, paragrafo 39), la censura relativa all’art. 6 CEDU non è fondata perché la norma censurata non condiziona il giudizio sul merito dei ricorsi pendenti davanti al giudice amministrativo.

7.2.– Quanto all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, che garantisce la protezione della proprietà, dall’ordinanza risulta che la norma censurata avrebbe determinato un «sostanziale esproprio senza indennizzo delle […] aree» delle società ricorrenti, diminuendo il loro valore come determinato dal PRINT approvato.

Nemmeno tale questione è fondata.

L’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come detto, riconosce il «diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale». La Corte europea ha sottolineato il margine d’apprezzamento delle autorità nazionali nella valutazione dell’interesse generale (sentenza 24 giugno 2014, Azienda Agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 103), anche con riferimento specifico alla materia ambientale (decisione sulla ricevibilità 2 marzo 2006, Ansay e altri contro Turchia), e ha definito il divieto di edificazione imposto per finalità di tutela ambientale come un limite volto a «disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale» (si veda la citata Ansay e la decisione sulla ricevibilità 24 gennaio 2006, Galtieri contro Italia; sulla finalità di tutela ambientale e l’art. 1 Prot. addiz. CEDU si veda anche la sentenza della grande camera 29 marzo 2010, Depalle contro Francia, paragrafo 81), a differenza dei vincoli urbanistici espropriativi (sentenza 7 luglio 2015, Odescalchi e Lante della Rovere contro Italia, paragrafo 55). Da questo punto di vista, dunque, la norma censurata può essere ricondotta alla tipologia degli interventi legittimati dalla Convenzione.

Quanto alla verifica di proporzionalità che, sulla base di una lettura combinata delle due disposizioni contenute nell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, deve essere operata per stabilire se sia stato raggiunto il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli interessi individuali sacrificati (sentenza Depalle, paragrafo 83; sentenza 28 luglio 1999, Immobiliare Saffi contro Italia, paragrafo 49), la ricostruzione dei fatti e il raffronto degli interessi contrapposti consentono di affermare che il bilanciamento operato dalla norma censurata supera anche tale test.

Se è vero infatti che il PRINT Ecovillage è stato approvato nel 2013 dalla Regione Lazio, è anche vero che la “stabilità” dello stesso PRINT poteva considerarsi incerta e ciò per una pluralità di ragioni.

Innanzitutto i terreni in questione erano stati oggetto fin dal 2002 di una proposta di ampliamento del parco dell’Appia Antica, presentata nel procedimento di approvazione del piano del parco e motivata con le caratteristiche di particolare pregio ambientale dell’area. Il procedimento non si è mai definitivamente interrotto, tanto è vero che esso, ripreso nel 2016, si è infine concluso nel 2018 con l’approvazione del Consiglio regionale, che ha successivamente introdotto anche l’ampliamento già proposto, con la legge regionale in esame.

In secondo luogo, il piano territoriale paesistico n. 9 “Castelli romani” (approvato ai sensi dell’art. 19 della legge reg. Lazio n. 24 del 1998; sulla pianificazione paesaggistica nella Regione Lazio si veda la sentenza di questa Corte n. 240 del 2020) già classificava la zona “Divino Amore” come «agricola con rilevante valore paesistico ambientale» (come risulta dal citato parere del Comitato regionale per il territorio n. 243/1 del 2016); anche per tale ragione il PRINT Ecovillage è stato impugnato davanti al TAR da diversi soggetti, tra cui la Città Metropolitana di Roma.

Ancora, negli anni immediatamente successivi al 2013 si sono registrate (a livello sia regionale che comunale) iniziative finalizzate all’ampliamento del parco, come risulta dalla delibera del Consiglio comunale di Marino 27 settembre 2016, n. 18, che ha espresso la volontà di fermare l’edificazione dell’area in questione e di chiedere al Presidente della Regione di procedere all’ampliamento del parco regionale dell’Appia Antica.

Nel descritto contesto, l’ampliamento del parco avvenuto nel 2018 non può considerarsi un fatto imprevedibile da parte dei proprietari delle aree, i quali, se potevano aspirare a realizzare quanto indicato nelle previsioni urbanistiche nel frattempo definite, nondimeno erano a conoscenza sia del valore ambientale delle aree sia delle molteplici iniziative pubbliche dirette al suo riconoscimento.

Tale consapevolezza risulta confermata dalla condotta delle società interessate – che costituisce un elemento rilevante ai fini del test di proporzionalità (si veda, ad esempio, la citata decisione della Corte EDU Galtieri) – che hanno costituito il Consorzio di urbanizzazione nel 2016 (cioè ben tre anni dopo l’approvazione del PRINT) e presentato l’istanza di valutazione di impatto ambientale per le opere di urbanizzazione e l’istanza di permesso di costruire rispettivamente il 14 novembre 2017 e il 1° ottobre 2018 (come risulta dai documenti allegati all’atto di costituzione delle società Futuro Immobil Italia e Arcadia 2007), tanto che il progetto di urbanizzazione non era stato ancora concretamente avviato al momento dell’approvazione della norma censurata.

In conclusione, pur dovendosi dare atto del fatto che la Regione Lazio è rimasta per molti anni inerte (ritardando l’approvazione del piano del parco) e che la sua condotta non è stata sempre coerente (giacché l’approvazione del PRINT si poneva in contraddizione con quanto emerso circa il valore ambientale delle aree), occorre constatare che la prospettiva di edificazione dell’area è sempre stata incerta e che le stesse società non sono state sollecite nell’attuare il PRINT. Occorre inoltre sottolineare che le ragioni di vincolo dell’area derivano dai suoi caratteri di riconosciuto pregio ambientale, e che l’ambiente è, ad un tempo, valore di rango costituzionale preminente e condizione, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, per il godimento di vari diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione (ad esempio, sentenza 24 gennaio 2019, Cordella e altri contro Italia, paragrafo 157 e seguenti; sentenza 9 dicembre 1994, Lopez Ostra contro Spagna, paragrafo 51 e seguenti).

Ciò considerato, si deve ritenere che, in applicazione dei criteri risultanti dalla giurisprudenza della Corte europea, il sacrificio imposto dalla norma censurata all’interesse dei proprietari non risulti sproporzionato rispetto all’interesse perseguito di tutela del valore ambientale dell’area che sarebbe irreversibilmente pregiudicato dalla sua edificazione.

È opportuno sottolineare che queste conclusioni per un verso, come detto, non incidono sui giudizi pendenti prima dell’entrata in vigore della norma in esame, per altro verso non precludono possibili forme di diversa protezione degli eventuali affidamenti ingenerati dal comportamento dell’amministrazione.

8.– Il TAR Lazio lamenta poi la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la norma censurata avrebbe modificato il perimetro del parco regionale dell’Appia Antica «in assenza di avvio della valutazione ambientale strategica (VAS) prescritta ai sensi della legislazione statale» (artt. 6 e 11 del d.lgs. n. 152 del 2006).

La questione è inammissibile.

Il rimettente non motiva, né sulla riconducibilità della norma censurata alla nozione di «piani o programmi» (quale è delineata dagli artt. 4, 5 e 6 cod. ambiente), né sulla possibilità che essa abbia «impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale» (art. 6, comma 1, cod. ambiente). L’art. 7 in questione, oltre ad ampliare il perimetro del parco, applica alla zona interessata dall’ampliamento una misura di salvaguardia che consiste nel divieto di attività edilizie nelle more dell’adeguamento del piano del parco. Trattandosi dunque di una norma che estende l’area tutelata e vieta trasformazioni edilizie significative, il giudice a quo avrebbe dovuto fornire quantomeno qualche chiarimento sul preteso rischio di impatti negativi sull’ambiente. Se a tale carenza si aggiunge che il rimettente omette anche di considerare l’art. 12, comma 4, della legge n. 394 del 1991, che prevede la VAS per il piano del parco, si deve concludere che la motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione risulta del tutto insufficiente.

9.– Infine, il TAR lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia «governo del territorio», in quanto la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, «differendo sotto il profilo temporale lo ius aedificandi, per un numero di anni superiore a quello fissato dalla legislazione statale».

La questione non è fondata.

Il citato art. 12, comma 3, stabilisce che, «[i]n caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda», e che «[l]a misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione». A tale norma va «riconosciuto il valore di norma statale di principio in materia di governo del territorio» (sentenza n. 102 del 2013).

La disposizione regionale contestata violerebbe il citato principio poiché (come risulta dagli atti depositati in giudizio) la Regione Lazio, nell’approvare nel 2004 la variante generale del PRG del Comune di Marino (delibera di Giunta regionale 29 ottobre 2004, n. 994), aveva sospeso le previsioni urbanistiche riguardanti la zona in questione, in quanto rientrante nella proposta di ampliamento del parco contenuta nel piano del parco adottato dall’Ente parco nel 2002. Tale sospensione fu poi eliminata dal Comune di Marino nel 2007, per decorso del periodo quinquennale di salvaguardia. Il divieto di edificazione introdotto dalla norma censurata si sommerebbe alla precedente misura di salvaguardia, determinando la violazione dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il parametro interposto invocato non è pertinente. Esso riguarda la salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati (e i vincoli da essi derivanti, ossia i vincoli urbanistici a contenuto espropriativo), mentre nel caso di specie le misure di salvaguardia sono state introdotte in applicazione dell’art. 8 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, riguardante le aree naturali protette, dalle quali misure derivano vincoli di natura conformativa, come detto sottoposti a un regime diverso, caratterizzato in particolare dalla mancanza di un termine di scadenza.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117, commi primo e terzo, Cost., dal TAR Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2020.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020.

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