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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Associazioni e comitati, Danno ambientale, Diritto venatorio e della pesca, Fauna e Flora, Legittimazione processuale, Pubblica amministrazione Numero: 248 | Data di udienza: 22 Maggio 2018

FAUNA E FLORA – Tutela della fauna selvatica – Patrimonio indisponibile dello Stato e non res nulliusDIRITTO VENATORIO – Caccia – Illecita appropriazione e/o soppressione – Applicazione dei reati contro il patrimonio, quali furto e danneggiamento – Prelievi in deroga – Presupposti – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno erariale diretto – Criteri di valutazione – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Caccia in deroga al divieto – Reiterazione di decreti di abbattimento – Illegittimità del provvedimento amministrativo – Conseguente risarcimento – Funzione "ambientale" dell’animale – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – Valutazione del danno ambientale e erariale – Ente danneggiato – Stato (patrimonio indisponibile) – Altri Enti gestione – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Legittimazione ad intervenire nei giudizi in materia ambientale – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Qualificazione delle associazioni ambientaliste – Ambito territoriale rilevante – Giurisprudenza- Fattispecie: territorio regionale del Trentino Alto Adige.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 18 Giugno 2018
Numero: 248
Data di udienza: 22 Maggio 2018
Presidente: ROTOLO
Estensore: MIGNEMI


Premassima

FAUNA E FLORA – Tutela della fauna selvatica – Patrimonio indisponibile dello Stato e non res nulliusDIRITTO VENATORIO – Caccia – Illecita appropriazione e/o soppressione – Applicazione dei reati contro il patrimonio, quali furto e danneggiamento – Prelievi in deroga – Presupposti – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno erariale diretto – Criteri di valutazione – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Caccia in deroga al divieto – Reiterazione di decreti di abbattimento – Illegittimità del provvedimento amministrativo – Conseguente risarcimento – Funzione "ambientale" dell’animale – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – Valutazione del danno ambientale e erariale – Ente danneggiato – Stato (patrimonio indisponibile) – Altri Enti gestione – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Legittimazione ad intervenire nei giudizi in materia ambientale – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Qualificazione delle associazioni ambientaliste – Ambito territoriale rilevante – Giurisprudenza- Fattispecie: territorio regionale del Trentino Alto Adige.



Massima

 

 CORTE DEI CONTI Giurisd. Centrale d’Appello, Sez.I, 18/06/2018 Sentenza n.248 

 
 
FAUNA E FLORA – Tutela della fauna selvatica – Patrimonio indisponibile dello Stato e non res nullius – DIRITTO VENATORIO – Caccia – Illecita appropriazione e/o soppressione – Applicazione dei reati contro il patrimonio, quali furto e danneggiamento – Costituzione di parte civile dello Stato – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno erariale – Giurisprudenza.
 
A norma dell’art. 1 della L. 157 del 1992, "La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale". Sicché, la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e non res nullius (Corte Costituzionale n. 97 del 3/4/1987; Cassazione penale, sez. III,  Sent. n. 8877 dell’8/5/1997; Cassazione civile 04/03/2010 n. 5202; Consiglio di Stato, sez. III, n. 3707 del 26.8.2016). Conseguentemente, sono applicabili ai casi di illecita appropriazione e/o soppressione della predetta fauna, oltre alle sanzioni amministrative connesse alle violazioni della normativa che regola la caccia, anche la disciplina penalistica, con specifico riguardo ai reati contro il patrimonio, quali furto e danneggiamento, con la possibilità, per lo Stato, di costituirsi parte civile nel processo per ottenere il risarcimento del danno (Tribunale di Cuneo del 12/1/1979; Cassazione penale, Sez. II del 3/07/1990).
 
 
DIRITTO VENATORIO – Caccia – Prelievi in deroga – Presupposti – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – DANNO AMBIENTALE – Risarcimento del danno erariale diretto – Criteri di valutazione.
 
La disciplina sulla caccia prevede che, i prelievi in deroga sono subordinati alla indispensabile ricorrenza di specifici, rigorosi presupposti, in assenza dei quali l’abbattimento di ogni singolo animale va configurato come ingiustificata violazione del divieto normativamente imposto e, come tale, foriero di danno erariale, di misura pari al valore dell’animale. Ciò in quanto, indubbiamente, ciascun singolo animale appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, oltre ad avere un valore in quanto parte di un eco-sistema, ha un valore economico come singolo esemplare ed in quanto è fuor di dubbio che la normativa di settore, oltre a tutelare l’ambiente e l’eco-sistema, mira a tutelare anche il singolo animale. Nella fattispecie, la Procura Regionale, lungi dal contestare ai convenuti il danno all’ambiente e/o all’ecosistema, ha contestato loro meramente il danno diretto al patrimonio indisponibile dello Stato, derivato da ciascun singolo abbattimento ingiustificato e connesso all’indiscutibile valore intrinseco dell’animale soppresso in violazione del divieto.
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Caccia in deroga al divieto – Reiterazione di decreti di abbattimento – Illegittimità del provvedimento amministrativo – Risarcimento del danno erariale.
 
In tema di caccia, è onere dell’accusa dimostrare l’abbattimento degli animali in violazione dei presupposti che, ex lege, consentono la deroga al divieto. Risultando assolutamente inconferente, la prova del danno all’ambiente e/o all’ecosistema derivato dall’abbattimento. Per cui, dall’illegittimità di un atto non deriva necessariamente un danno erariale, nel caso di specie, la assoluta e reiterata insufficienza della motivazione dei decreti di abbattimento non viene in rilievo quale mera illegittimità formale del provvedimento amministrativo, ma assurge a pregnante prova della inesistenza dei presupposti legittimanti il superamento del divieto della soppressione dell’animale. 
 

DANNO AMBIENTALE – Funzione "ambientale" dell’animale – Tutela dell’ambiente e dell’eco-sistema – Valutazione del danno ambientale e erariale – Ente danneggiato – Stato (patrimonio indisponibile) – Altri Enti solo la gestione.
 
La funzione "ambientale" dell’animale non viene affatto in rilievo al fine di contestare il danno che, dalla sua soppressione, sia derivato all’ambiente e/o all’eco-sistema, ma, al contrario, viene valutato per quantificare il valore dell’animale vivo, che è, ovviamente, superiore al valore dell’animale morto, proprio in ragione della sua collocazione e funzione nell’habitat naturale. L’ente danneggiato è lo Stato, appartenendo gli animali al patrimonio indisponibile dello stesso ed avendo gli altri Enti solo la gestione degli stessi.
 
 
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Legittimazione ad intervenire nei giudizi in materia ambientale – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Qualificazione delle associazioni ambientaliste – Ambito territoriale rilevante – Fattispecie: territorio regionale del Trentino Alto Adige.
 
La legittimazione ad intervenire nei giudizi in materia ambientale è riconosciuta alle associazioni ambientaliste a carattere nazionale e ultra-regionale, a prescindere dalla maggiore o minore rappresentatività e stabilità a livello locale, che costituisce, al contrario, criterio descrittivo della legittimazione solo nel caso di associazioni di carattere locale, che si costituiscono allo scopo di tutelare l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti sul circoscritto territorio di riferimento. A prescindere dalla circostanza fattuale che l’ambito territoriale rilevante ai fini della qualificazione delle associazioni ambientaliste è la Regione e non certo la Provincia (nella specie Trento-Bolzano), ed è pacifico che entrambe le associazioni in causa (LAV e LAC) sono presenti nel territorio regionale del Trentino Alto Adige. 
 
(riforma sentenza della CORTE DEI CONTI- Sez. Giurisd. Reg. Trentino Adige – sede Bolzano – n.42/2016) Pres. ROTOLO, Rel. MIGNEMI, Ric. Procura Regionale c. DURNWALDER e altro

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DEI CONTI Giurisd. Centrale d'Appello, Sez.I, 18/06/2018 Sentenza n.248

SENTENZA

 

 

CORTE DEI CONTI Giurisd. Centrale d’Appello, Sez.I, 18/06/2018 Sentenza n.248 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
 
composta dai magistrati:
 
Dott. Enzo ROTOLO Presidente
 
Dott.ssa Pina Maria Adriana LA CAVA Consigliere
 
Dott.ssa Fernanda FRAIOLI Consigliere
 
Dott.ssa Elena TOMASSINI Consigliere
 
Dott.ssa Giuseppina MIGNEMI Consigliere relatore 
 
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 
sugli appelli in materia di responsabilità iscritti ai numeri 53045 e 53193 del registro di segreteria; 
 
avverso
 
la sentenza della Corte dei Conti- Sezione Giurisdizionale Regionale per il Trentino Adige – sede di Bolzano n.42, depositata in data 22 dicembre 2016;
 
il n. 53045, promosso dalla 
 
Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei Conti per la Regione Trentino Alto Adige – Sede di Bolzano;
 
contro
 
DURNWALDER ALOIS, c.f.: DRNLSA41P23D4840, nato il 23.9.1041 a Falzes (BZ) ed ivi residente in Lupwaldweg 17, rappresentato e difeso dagli Avvocati Gerhard Brandstatter, Karl Pfeifer e Leonardo Di Brina, e presso lo studio di quest’ultimo, elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza S. Andrea della Valle n. 6;
 
ERHARD Heinrich, c.f.: RHRHRC49D15E862J, nato a Malles Venosa (BZ), il 15.4.1949, residente in Marlengo (BZ), alla Via Tiefacker n. 5/I, rappresentato e difeso dall’Avvocato Domenico Laratta, con domicilio eletto presso lo studio del!’ Avvocato Ulderico Capocasale, in Roma, al Viale di Villa Massimo n. 21; 
 
e nei confronti di
 
Lega Anti-Vivisezione L.A.V. ONLUS Ente Morale, 80426840585, in persona del Presidente, legale rappresentante pro-tempore, Gianluca Felicetti, rappresentata e difesa dall’Avvocato Mauro De Pascalis, con domicilio eletto nel suo studio in Bolzano, alla Piazza Mazzini n. 49;
 
Lega per l’Abolizione della Caccia ONLUS, 80177010156, in persona del Presidente, legale rappresentante pro-tempore, Graziella Zavalloni, rappresentata e difesa dall’Avvocato Monica Bonomini, con domicilio
eletto nel suo studio in Bolzano, al Corso della Libertà n. 50;
 
il n. 53193, promosso da
 
ERHARD Heinrich, c.f.: RHRHRC49D15E862J, nato a Malles Venosa (BZ), il 15.4.1949, residente in Marlengo (BZ), alla Via Tiefacker n. 5/1, rappresentato e difeso dal l’Avvocato Domenico Laratta, con domicilio eletto presso lo studio dell’ Avvocato Ulderico Capocasale, in Roma al Viale di Villa Massimo n.21;
 
contro
 
Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei Conti per la Regione Trentino Alto Adige – Sede di Bolzano;
 
DURNWALDER ALOIS, c.f.: DRNLSA 41P23D4840, nato il 23.9.1041 a Falzes (BZ) ed ivi residente in Lupwaldweg 17, rappresentato e difeso dagli Avvocati Gerhard Brandstatter, Karl Pfeifer ed Leonardo Di Brina, e 
presso lo studio di quest’ultimo, elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza S. Andrea del la Valle n. 6;
 
e nei confronti di
 
Lega Anti-Vivisezione L.A.V. ONLUS Ente Morale, 80426840585, in persona Felicetti, del Presidente, legale rappresentante pro-tempore, Gianluca rappresentata e difesa dall’Avvocato Mauro De Pascalis, con 
domicilio eletto nel suo studio in Bolzano, alla Piazza Mazzini n. 49;
 
Lega per l’Abolizione della Caccia ONLUS, 80177010156, in persona del Presidente legale rappresentante pro-tempore, Graziella Zavalloni, rappresentata e difesa dall’Avvocato Monica Bonomini, con domicilio eletto nel 
suo studio in Bolzano, al Corso della Libertà n. 50; 
 
VISTI gli atti di appello; 
 
VISTI  tutti gli altri atti e documenti di causa;
 
UDITI, nell’udienza pubblica del 22 maggio 2018, il relatore, dott.ssa Giuseppina Mignemi; il dott. Antongiulio Martina per la Procura Generale; l’Avvocato Domenico Laratta per Erhard Heinrich; l’Avvocato Karl Pfeifer per Durnwalder Alois; l’Avvocato Caterina Mele, per delega degli Avvocati Mauro De Pascalis e Monica Bonomini per la Lega per l’Abolizione della Caccia ONLUS;
 
FATTO 
 
Con la sentenza n. 42, depositata il 22 dicembre 2016, la Corte dei Conti- Sezione Giurisdizionale Regionale per la Regione Trentino Alto Adige – Sede di Bolzano respingeva la domanda della Procura Regionale intesa a veder condannare Durnwalder Alois, Assessore alle Foreste della Provincia Autonoma di Bolzano, e Erhard Heinrich, Direttore dell’Ufficio Caccia e Pesca, Direttore sostituto della Ripartizione Foreste, nonché Presidente dell’Osservatorio Faunistico, al risarcimento del danno erariale, quantificato in € 1.136.250,00 o, in alternativa, in € 243.450,00, asseritamente derivato dall’avere adottato, nel periodo dal 29 luglio 2010 al giugno 2014, circa cento decreti di autorizzazione alla caccia di specie faunistiche protette, consentendone il prelievo al di fuori del periodo consentito (per la volpe, il merlo, la cornacchia e la ghiandaia) o autorizzandone espressamente l’abbattimento (per il cormorano, il tasso, la marmotta, la faina e lo stambecco), in mancanza dei presupposti normativamente previsti e senza dare conto delle ragioni a sostegno dei provvedimenti adottati, in contrasto con le normative comunitaria (Direttiva 92/43/ CEE del Consiglio; Direttiva 2009/147/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio), statale (L. n. 157 del 10.2.1992) e provinciale (L.P. n. 14 del 17. 7 .1987), che richiedono, per derogare al generale divieto di abbattimento, la sussistenza di un concreto pericolo di grave nocumento e impongono di illustrarne compiutamente risarcimento di € 6.192,23, in favore della Provincia di Bolzano, oltre alla rivalutazione monetaria a decorrere dal 29.6.2015 e fino alla pubblicazione della sentenza e agli interessi legali dalla pubblicazione al soddisfo, per il danno indiretto consistente nelle spese legali e di giudizio sopportate dalla Provincia nel presente giudizio innanzi al TRGA di Bolzano, intentati per far valere l’illegittimità di alcuni dei predetti decreti. 
 
Avverso la citata sentenza, proponeva appello la Procura Regionale, che, riassunti i fatti di causa e ripercorsa dettagliatamente la disciplina normativa vigente, con un unico motivo, lamentava la "Erroneità e contraddittorietà della motivazione e omessa considerazione di elementi decisivi".
 
Rappresentava la Procura di non avere fondato azione erariale sulla mera illegittimità dei decreti, che pure sarebbe indice significativo della antigiuridicità della condotta dei convenuti, ma di avere richiesto una consulenza tecnica, proprio la fine di accertare e quantificare la sussistenza del danno al patrimonio indisponibile dello Stato, derivato dall’adozione di detti decreti.
 
Il danno consisterebbe, quindi, nell’abbattimento di 2.655 esemplari di specie protette, in assenza delle condizioni richieste dalla legge o, almeno, con riferimento ai casi per i quali vi era stato giudizio innanzi al TRGA, nell’abbattimento di 96 esemplari, in forza di provvedimenti di prelievo in deroga, in assenza di istruttoria e motivazione e, quindi, da configurarsi come illegittima distruzione di beni pubblici.
 
Precisava la Procura, quanto all’an, di essersi limitata a chiedere la rifusione del danno da illecita distruzione del patrimonio indisponibile dello Stato, sub specie di illecito prelievo di beni appartenenti alla fauna selvatica e di non avere azionato poste di danno ambientale, poiché, per la sua giuridica ed autonoma configurabilità, il pregiudizio ambientale e/o all’ecosistema deve superare una soglia di significatività in misura di una certa consistenza.
 
Diversamente da quanto sostenuto in sentenza, pertanto, la prova del danno consisterebbe esclusivamente nel comprovato abbattimento degli animali, in assenza dei presupposti e non nella prova di un intervenuto pregiudizio al complessivo eco-sistema provinciale, inconferente in considerazione della tipologia di danno contestato.
 
La fruibilità della fauna da parte della collettività umana costituirebbe solo uno dei fattori di valutazione del valore di ogni animale e non il danno contestato.
 
Con riguardo all’elemento soggettivo, la Procura riprendeva le considerazioni della Sezione regionale relative alla seconda posta di danno, in base alle quali la reiterata adozione di decreti di prelievo affetti dalle medesime carenze istruttorie e motivazionali integrerebbe chiaramente, in capo ai convenuti, gli estremi della colpa grave, sub specie di macroscopica, imperdonabile imprudenza. Concludeva, l’appellante, chiedendo la riforma della sentenza di prime cure, con riferimento alla domanda risarcitoria relativa al danno diretto al patrimonio indisponibile.
 
Si costituiva in giudizio, proponendo, altresì, appello incidentale, Erhard Heinrich, deducendo "1) Sull’erronea ritenuta ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum delle associazioni LAV e LAC.".
 
Secondo l’appellante incidentale, la LAV non avrebbe un collegamento effettivo, organizzato, duraturo e stabile con il territorio e, comunque, non avrebbe una struttura organizzativa stabile e continuativa, sicché mancherebbe la legittimazione ad intervenire per carenza di interesse qualificato concreto.
 
Inoltre, non sarebbe indicata, tra le sedi competenti per la tutela dei diritti degli animali, la Corte dei Conti.
 
Con riguardo alla LAC, l’appellante evidenziava che la materia del contendere non riguardava l’abbattimento di animali per intenti ludici e/o sportivi da parte di cacciatori, bensì interventi di polizia faunistica, eseguiti anche dalle guardie venatorie, pertanto, la Lega non avrebbe alcun interesse a presenziare, atteso il diverso scopo dell’ente. 
 
Oltretutto avendo l’unica sede a Trento non avrebbe un interesse qualificato e concreto, ex art. 100 c.p.c., a Bolzano.
 
Infine, citando due sentenze non prese in considerazione dal PM, la LAC avrebbe illegittimamente ampliato il thema decidendum del giudizio, traducendosi, il predetto richiamo, in una domanda che estenderebbe i limiti oggettivi della controversia, rendendo gli interventi inammissibili.
 
Con il secondo motivo, l’appellante incidentale deduceva "2) Sull’asserita responsabilità per danno indiretto per le spese legali e di giudizio sopportate dalla PAB e sull’esistenza della colpa grave".
 
Secondo l’appellante incidentale, poiché la Sezione territoriale aveva riconosciuto che l’operato del convenuto non aveva causato alcun danno erariale con riguardo all’abbattimento di specie protette, non poteva attribuire allo stesso la responsabilità del danno erariale indiretto per le spese di lite affrontate dalla PAB a seguito dell’impugnazione dei decreti di caccia in deroga avanti al TRGA, considerato, peraltro, che l’attuale appellante incidentale non avrebbe mai preso parte a quei giudizi, né coadiuvato le difese svolte dalla Provincia.
 
Ribadiva, l’appellante incidentale, riguardo quantum, che la richiesta risarcitoria andava limitata a quanto richiesto dalla Procura nell’invito a dedurre (€ 16.210,04), dovendo ritenersi inammissibile la richiesta della diversa somma di € 21.919,64, contenuta nell’atto di citazione. Quindi, applicando la riduzione del 20% per il concorso causale di soggetti non chiamati in giudizio, come da ragionamento della Sezione, la cifra dovuta avrebbe dovuto essere di € 9.255,56 e, cioè, di € 4.627,78 per ciascuno dei due convenuti, dalla quale avrebbe dovuto poi sottrarsi anche l’utilitas derivata dall’operazione di polizia faunistica compiuta.
 
Sotto il profilo soggettivo, rileverebbe che, solo dal 2015, con l’art. 36 della Legge Provinciale n. 18 del 2015, sarebbe divenuto obbligatorio il parere dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) e, pertanto, all’appellante incidentale non poteva imputarsi di non avere chiesto detto parere. Inoltre, ribadiva l’insindacabilità della discrezionalità tecnica del funzionario e, quindi, l’insindacabilità delle valutazioni di convenienza ed opportunità.
 
Evidenziava come non fosse affermata una censura del concreto operato della Pubblica Amministrazione sotteso all’atto, ma meri vizi di forma, laddove la correttezza dell’operato dell’appellante era dimostrata dai pareri tecnici difensivi depositati.
 
Con riguardo all’appello principale proposto dalla Procura, Erhard ne asseriva l’erroneità nella ricostruzione in fatto e in diritto, rappresentando che il bene pubblico in questione non sarebbe il singolo animale, ma l’eco-sistema e l’ambiente e, pertanto, gli animali andrebbero considerati non nella loro singolarità, ma nella loro unitarietà.
 
Pertanto, risulterebbe doverosa una pianificazione lungimirante del territorio per il mantenimento dei fragili e complessi equilibri, comprensiva anche di piani di regolarizzazione degli esemplari, per evitare il contagio di malattie o danni da carenza di risorse sufficienti.
 
L’abbattimento di un animale, pertanto, non equivarrebbe a distruzione di un bene pubblico e mancherebbe, quindi, il danno erariale e la conseguente responsabilità amministrativa.
 
Sarebbe contraddittoria la quantificazione degli animali abbattuti, che, comunque, non terrebbe conto dello stato di salute degli stessi, del numero complessivo di specie presenti nel territorio, della percentuale abbattuta di volta in volta, delle ragioni dell’abbattimento.
 
Non sarebbero state confutate le risultanze dei tre elaborati tecnici offerti dalla difesa, che avrebbero comprovato la correttezza dell’operato dell’appellante anche in punto di impossibilità di adottare misure alternative.
 
Non sarebbe, in ogni caso condivisibile la quantificazione del danno erariale, basata sul valore tassidermico dell’animale (valore dell’animale imbalsamato, comprensivo dell’acconciatura della pelle e della manodopera), maggiorato con una percentuale oscillante dal 20 al 30%, a seconda della funzione biologica svolta dalla specie animale di volta in volta considerato nell’eco-sistema, considerato che la stessa Procura aveva riconosciuto di non avere azionato poste di danno ambientale o all’eco-sistema.
 
Non sarebbe stato, in ogni caso, considerato l’impatto oggettivo positivo che la selezione avrebbe avuto sull’eco-sistema.
 
Concludeva, quindi, l’appellante incidentale, chiedendo " che venga respinto l’appello principale propugnato dalla Procura Regionale del T.A.A. – sede di Bolzano, e che invece, anche in accoglimento del proposto appello incidentale, vengano accolte integralmente le conclusioni già formulate in primo grado.
 
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio, e rimborso spese forfettarie al 15% ex art. 2 DM 55/2014.".
 
Si costituiva in giudizio Dumwalder Alois chiedendo l’integrale rigetto dell’atto d’appello.
 
Secondo l’appellato, il bene pubblico in questione non sarebbe il singolo animale, ma l’ambiente, considerato nel suo complesso ed unitarietà ed in difetto della prova di un danno all’eco-sistema e/o all’ambiente, non potrebbe attribuirsi alcuna responsabilità erariale.
 
La prova del danno erariale non sarebbe data dall’abbattimento dei singoli capi, sicché risulterebbe anche errata la quantificazione del preteso danno erariale basata sul valore tassidermico del singolo animale.
 
Riproponeva, quindi, l’appellato, le questioni non esaminate dal Giudice di primo grado, ritenendo, a tal fine, sufficiente la memoria di costituzione, senza la proposizione di appello incidentale.
 
In particolare, deduceva "1) Sull’efficacia ex nunc della sentenza della Corte Costituzionale n. 151 del 21.04.2011 e sulla discrezionalità decisionale della provincia Autonoma di Bolzano ante censura dell’art. 4 Legge Provinciale n. 6 del 12.5.2010"; "La totale autonomia del giudizio amministrativo rispetto a quello contabile, concernente il danno erariale"; "I provvedimenti del TRGA non giustificano il giudizio di illegittimità ipotizzato dalla Procura"; "Mancata contestazione nel merito dei singoli provvedimenti, di cui si ipotizza l’idoneità a produrre danno erariale"; "Sul carattere discrezionale dei provvedimenti contestati"; "Sulla mancanza dell’elemento soggettivo della colpa grave contestato alla Procura"; "Sulla CTP offerta in comunicazione dalla Procura Regionale e sull’inefficacia delle misure alternative ivi prospettate"; "Sulla insussistenza del nesso causale sulla erronea determinazione del quantum".
 
Rassegnava, quindi, l’appellato, le seguenti conclusioni: "Voglia l’Ecc. ma Corte dei Conti, Sezione I giurisdizionale di appello, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione reietta, riformulate tutte le deduzioni ed eccezioni difensive già svolte in prime cure e come riproposte nel presente atto, respingere l’appello principale proposto dalla Procura regionale presso la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale di Bolzano, in quanto infondato, con accoglimento delle conclusioni già formulate nel giudizio di primo grado e/o quantomeno con conferma dell’impugnata sentenza di primo grado laddove perviene alla statuizione di rigetto della domanda risarcitoria relativa all’asserito danno diretto al patrimonio indisponibile. Con vittoria di spese e onorari del presente grado di giudizio. ".
 
Con memoria depositata l’11.5.2018, si costituiva in giudizio la Lega per l’Abolizione della Caccia ONLUS, che, riassunti i fatti di causa e processuali, chiedeva l’accoglimento dell’appello principale e il rigetto dell’appello incidentale proposto dall’Erhand, con particolare riferimento alla parte in cui contestava la legittimazione della LAC ad intervenire nel presente giudizio.
 
Evidenziava, la Lega, riconosciuta a norma dell’articolo 13 della L. 8 luglio 1986 n. 349, che, in base all’art. 2 dello Statuto, l’associazione ha per scopo di promuovere l’abolizione della caccia, la difesa della fauna, il riconoscimento dei diritti soggettivi di tutti gli animali e la conservazione ed il ripristino dell’ambiente, attuando e favorendo tutte le iniziative giuridiche, politiche, culturali, educative, formative ed editoriali idonee.
 
Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante incidentale, lo scopo sociale andrebbe ben oltre il perseguimento del divieto di caccia ludica/sportiva.
 
Del tutto irrilevante sarebbe, poi, la circostanza che la sede regionale sia situata a Trento e non a Bolzano, essendo la Lega un’associazione di carattere nazionale, i çui scopi di tutela si estendono all’intero territorio nazionale, di cui la Provincia di Bolzano è parte.
 
Il riferimento a sentenze ulteriori rispetto a quelle citate dalla Procura Regionale non avrebbe ampliato affatto il thema decidendum, avendo mero scopo illustrativo  della illegittima prassi adottata dai convenuti. 
 
In ogni caso, per come si evincerebbe dalle pagine 10 e  11 della sentenza appellata, i rappresentanti delle intervenute associazioni avevano dichiarato di rinunciare alla richiesta di condanna per un ammontare maggiore rispetto a quello quantificato dal Requirente.
 
Con riguardo all’appello principale, la difesa dell’associazione faceva proprie tutte le osservazioni, doglianze e conclusioni della Procura erariale evidenziando, altresì, che, con l’emanazione della L. n. 968 del 27 dicembre 1977, veniva costituito ope legis, il diritto di proprietà sulla fauna selvatica esistente sul territorio nazionale, che, fino a quel momento, era considerata res nullius.
 
La materia era stata poi riordinata dalla L. n. 157 del 1992, attualmente vigente, che dettava una disciplina più rigorosa in termini di tutela della fauna selvatica e dalla quale emergerebbe che il danno alla fauna debba ritenersi verificato ogniqualvolta sia stato ferito, ucciso o catturato un singolo animale o un gruppo di animali, anche se tale evento non determini pericolo di estinzione per la specie di appartenenza ed anche qualora non vi sia compromissione dell’eco-sistema e/o danno ambientale. La norma, infatti, sarebbe improntata a proteggere il complesso della fauna selvatica nazionale, mediante la specifica protezione di ogni singolo componente della stessa da condotte vietate, atteso che la salvaguardia dell’insieme tutelato è garantito dalla protezione di ogni singolo animale.
 
Con riguardo alla quantificazione del danno, la difesa dell’associazione evidenziava; come la giurisprudenza, sul punto, avesse individuato quale criterio applicabile quello posto dall’articolo 1226 del codice civile e cioè la liquidazione del danno in via equitativa.
 
Con memoria depositata in data 14.5.2018, si costituiva la Lega Anti-Vivisezione ONLUS, prospettando argomenti coincidenti con quelli già esposti con riguardo alla LAC e rassegnando medesime conclusioni.
 
In data 14.5.2018, la Procura Generale depositava le proprie conclusioni, alle considerazioni e conclusioni della Procura Regionale, quanto all’appello principale; eccependo l’inammissibilità dell’appello incidentale in
ragione dell’omessa formulazione delle conclusioni, ex art. 191 e 90 c.g.c. e, comunque, sostenendone l’infondatezza, sia in ordine alla prospettata inammissibilità dell’intervento di LAV e LAC, sia in ordine alla asserita carenza di responsabilità erariale per la seconda voce di danno. 
 
Rassegnava, quindi, le seguenti conclusioni: "che, previa riunione dei gravami, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla Procura Regionale ed in riforma dell’appellata sentenza n. 4212016 della Sezione giurisdizionale per la Regione Trentino Alto Adige – Sede di Bolzano, vengano accolte le conclusioni tutte rassegnate dal P.M contabile con il suddetto atto di appello, con condanna degli appellati EHRARD e DURNWALTER al pagamento dei maggiori importi dovuti nonché delle spese del presente giudizio e con rigetto, di converso, dell’appello incidentale proposto dall’ERHARD. ".
 
All’udienza del 22 maggio 2018, le patti ripercorrevano le argomentazione già rappresentate in atti, ribadivano le conclusioni ivi rassegnate e la causa veniva posta in decisione.
 
DIRITTO
 
1. Preliminarmente, ai sensi dell’art. 184, n. 1, del D.Lgs. n. 174 del 26.8.2016, secondo cui "-Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo", vanno riuniti i giudizi iscritti ai numeri 53045 e 53193 del Registro di Segreteria, tutti proposti avverso la sentenza n. del della Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale Regionale per il Trentino Alto Adige- sede di Bolzano n. 42 depositata il 22.12.2016.
 
2. L’appello proposto dalla Procura Regionale deve essere accolto.
 
La L. n. 968 del 27 dicembre 1977, ribadita, sul punto, dalla L. n. 157 del 1992, ha affermato che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e non res nullius (Corte Costituzionale n. 97 del 3 aprile 1987; Cassazione penale, sez. III,  Sent. n. 8877 dell’8.5. l997; Cassazione civile 04 marzo 2010 n. 5202; Consiglio di Stato, sez. III, n. 3707 del 26.8.2016).
 
A norma dell’art. 1 della L. 157 del 1992, infatti, "La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale. ".
 
Anche la Legge Provinciale di Bolzano n. 14 del 17 luglio 1987, all’art 2, comma 2, prevede che "La fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile gestito dalla Provincia. ". 
 
Conseguentemente, la giurisprudenza della Corte Costituzionale innanzi citata e la ormai costante giurisprudenza della Corte della Cassazione ritengono applicabili ai casi di illecita appropriazione e/o soppressione della predetta fauna, oltre alle sanzioni amministrative connesse alle violazioni della normativa che regola la caccia, anche la disciplina penalistica, con specifico riguardo ai reati contro il patrimonio, quali furto e danneggiamento, con la possibilità, per lo Stato, di costituirsi parte civile nel processo per ottenere il risarcimento del danno (Tribunale di Cuneo del 12. 1 .1979; Cassazione penale, Sez. II del 3 luglio 1990).
 
Ogni animale appartenente alla fauna selvatica è, quindi, patrimonio indisponibile dello Stato e, come tale, ha un valore, anche a prescindere dalla sua collocazione nel contesto ambientalistico e dell’eco-sistema.
 
La regola generale è, quindi, il divieto di abbattimento dei singoli animali.
 
Chiarisce, in proposito, la Corte costituzionale che "la legge n. 968 del 1977 ha segnato il superamento dei principi in tema di caccia posti dal TU 5 giugno 1939, n. 1016, poiché ha qualificato la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato ed ha elevato il divieto di caccia al rango di regola generale, ammettendo solo delimitate e specifiche eccezioni a tale divieto" (Corte cost. n. 577 del 28.12.1990).
 
La normativa di settore certamente consente deroghe al generalizzato divieto innanzi detto.
 
Peraltro, i prelievi in deroga sono subordinati alla indispensabile ricorrenza di specifici, rigorosi presupposti (puntualmente illustrati nell’atto di citazione), in assenza dei quali l’abbattimento di ogni singolo animale va configurato come ingiustificata violazione del divieto normativamente imposto e, come tale, foriero di danno erariale, di misura pari al valore dell’animale.
 
Ciò in quanto, indubbiamente, ciascun singolo animale appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, oltre ad avere un valore in quanto parte di un eco-sistema, ha un valore economico come singolo esemplare ed in quanto è fuor di dubbio che la normativa di settore, oltre a tutelare l’ambiente e l’eco-sistema, mira a tutelare anche il singolo animale.
 
E’, infatti, proprio la tutela del singolo animale la ratio di tutte le previsioni che ne condizionano l’abbattimento alla ricorrenza di rigorosi e comprovati presupposti: solo laddove sussistano comprovate esigenze superiori, specificamente individuate di settore per ciascuna specie, è consentita la soppressione del singolo animale.
 
Ebbene, nel caso di specie la Procura Regionale, lungi dal contestare ai convenuti il danno all’ambiente e/o all’ecosistema, ha contestato loro meramente il danno diretto al patrimonio indisponibile dello Stato, derivato da ciascun singolo abbattimento ingiustificato e connesso all’indiscutibile valore intrinseco dell’animale soppresso in violazione del divieto.
 
Sicché, era onere della Procura Regionale dimostrare l’abbattimento degli animali in violazione dei presupposti che, ex lege, consentono la deroga al divieto.
 
Risultando al contrario, assolutamente inconferente, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza di prime cure, la prova del danno all’ambiente e/o all’ecosistema derivata dall’abbattimento. 
 
E la prova del danno è stata compiutamente prodotta in giudizio dalla Procura Regionale.
 
In proposito, vanno effettuate alcune precisazioni.
 
Se pure, in linea generale, può concordarsi con l’assunto secondo il quale dall’illegittimità di un atto non deriva necessariamente un danno erariale, nel caso di specie, la assoluta e reiterata insufficienza della motivazione dei decreti di abbattimento non viene in rilievo quale mera illegittimità formale del provvedimento amministrativo, ma assurge a pregnante prova della inesistenza dei presupposti legittimanti il superamento del divieto della soppressione dell’animale. 
 
Infatti, nel caso che ci occupa, la motivazione del provvedimento è finalizzata a dar conto del corretto esercizio della discrezionalità tecnica, certamente sindacabile da questo Giudice, che ha indotto l’Amministrazione a ritenere la sussistenza di quelle condizioni che la legge reputa indispensabili perché possa legittimamente essere realizzata una attività – la soppressione dell’animale – che altrimenti è assolutamente vietata.
 
La totale assenza o anche l’inadeguatezza dell’istruttoria e della motivazione del provvedimento, non consentendo la verifica della ricorrenza dei presupposti dell’abbattimento, necessariamente non consentono la verifica della ricorrenza dei presupposti dell’abbattimento, necessariamente non consentono di ritenerlo giustificato, anzi impongono di ritenerlo abnorme e arbitrario. 
 
La soppressione dell’animale, infatti, rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano e conseguentemente esternati, nella motivazione del pertinente provvedimento, i presupposti previsti dalla vigente normativa.
 
La dimostrazione della sussistenza dei predetti presupposti atti a fondare la deroga al divieto, infatti, sarebbe dovuta emergere, come risultato esplicito di una indagine effettivamente compiuta, prima dell’abbattimento.
 
Pertanto, non grava sulla Procura l’onere di dimostrare che non sussistevano presupposti dello stesso.
 
ln altri termini, l’inottemperanza all’obbligo di legge di verificare la sussistenza di una condizione legittimante l’impiego di uno strumento operativo, non rovescia sul soggetto che quell’inottemperanza contesta, l’onere di dimostrarne la ricorrenza.
 
Quell’obbligo era e continua ad essere riferibile, esclusivamente, al soggetto che quella verifica era chiamato a compiere, prima di autorizzare la soppressione degli animali.
 
Sulla Procura agente, quindi, incombeva esclusivamente l’onere di constatare l’insussistenza di quell’approfondimento di carattere preliminare. E tale onere probatorio risulta compiutamente assolto.
 
Peraltro, nel caso in questione, la Procura Regionale è andata ben oltre l’adempimento delle proprie incombenze probatorie, non solo avendo dimostrato, mediante la produzione dei decreti contestati la omessa giustificazione, da parte della Amministrazione provinciale, della violazione del divieto di abbattimento, ma avendo anche dimostrato, per mezzo della perizia prodotta in atti, le cui risultanze il Collegio condivide pienamente, la assoluta insussistenza dei presupposti che avrebbero consentito la deroga al divieto di abbattimento.
 
Diversamente da quanto affermato dalle difese delle parti, non è in contestazione il potere dell’Amministrazione di operare per la tutela più generale delle popolazioni delle specie protette, nonché dell’ambiente e delle colture agroforestali altoatesine, ma è in discussione il modo in cui tale potere è stato nel concreto esercitato.
 
La disciplina di settore – comunitaria, nazionale, provinciale – opera direttamente il bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti e, proprio in considerazione del bilanciamento ritenuto ottimale, prevede espressamente i casi in cui l’interesse alla tutela del singolo animale debba ritenersi prevalente rispetto agli altri interessi e viceversa, elencando le rigorose condizioni al ricorrere delle quali la tutela del singolo animale diventa recessiva rispetto ai predetti interessi coesistenti.
 
Viene quanto contestato all’Amministrazione, in buona sostanza, di non avere rispettato quanto imposto dalla predetta normativa e, quindi, di avere stravolto, per finalità non riconosciute meritevoli di tutela, il bilanciamento di interessi operato dalla disciplina vigente, disponendo la soppressione di animali in assenza di quei presupposti, che la legge stessa ritiene indispensabili per giustificarla.
 
Così impostata la questione, è evidente che risulta del tutto indifferente, sia con riguardo alla sussistenza del danno erariale che con riguardo alla sua quantificazione, che i decreti siano stati scrutinati o meno dal Giudice amministrativo, ben potendo, questa Corte, conoscerli autonomamente, al fine di verificarne l’attitudine a fondare la responsabilità erariale dei convenuti e sostituendo danno tutti gli abbattimenti contestati, e effettuati in assenza dei presupposti di legge.
  
Come già anticipato, dall’esame dei predetti provvedimenti – ciascuno singolarmente e nel loro complesso – emerge con chiarezza, che, lungi dal rispondere alle rigorose esigenze normativamente individuate e della cui valutazione non vi è traccia nei provvedimenti in discussione -, l’abbattimento degli animali veniva sistematicamente disposto senza che ne ricorressero i presupposti, trasformando uno strumento eccezionale in ordinario mezzo di prelievo di specie altrimenti non cacciabili o cacciabili solo in determinati periodi, secondo logiche, che l’Erhard ha ben illustrato nella dichiarazione confessoria, resa a verbale dell’audizione dell’8 settembre 2015, laddove ha dichiarato che "la gestione attiva dell’animale (stambecco) ha trovato la sua giustificazione in riferimento all’interesse culturale e venatorio e in relazione al valore del trofeo (. . .) tenendo conto delle esigenze dell’economia montana, dell’interesse venatorio e politico, delle richieste da parte delle riserve e degli agricoltori, cercando sempre di difendere l’autonomia della Provincia. ".
 
Le anzidette, significative, dichiarazioni evidenziano il palese abuso dello strumento straordinario dei prelievi in deroga, posto in atto da Dumwalder ed Erhard, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, surrettiziamente adoperato in sprezzante violazione dei limiti di legge, per perseguire finalità ultronee rispetto a quelle individuate dalla normativa di settore, quali uniche riconosciute come legittimanti la deroga al divieto di abbattimento.
 
La pervicace reiterazione dei decreti, nonostante le innumerevoli pronunce Tribunale Amministrativo, che ne evidenziavano l’illegittimità non sono formale, connota di estrema gravità la colpa dei convenuti.
 
Del tutto fuori luogo appare, poi, il richiamo al "principio dell’affidamenta" effettuato dalla difesa del Durnwalder a pagina 31 della memoria di costituzione, considerato che le innumerevoli pronunce del Tribunale Amministrativo innanzi dette escludono che lo stesso possa avere ragionevolmente creduto di agire con la necessaria diligenza e nel rispetto della legge.
 
Per completezza, con riguardo alla ulteriore argomentazione difensiva rappresentata nella memoria di costituzione del Durnwalder, va evidenziato che la sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 21.4.2011, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge provinciale n. 6 del 12.5.2010, non ha alcun rilievo nella fattispecie di cui è causa, poiché la norma in questione non dettava alcuna disposizione in ordine ai presupposti legittimanti i prelievi in deroga, la cui insussistenza fonda la responsabilità erariale dei convenuti, ma ne disciplinava solo le modalità di attuazione, irrilevanti ai fini del presente giudizio, nel quale è in discussione l’autorizzazione di prelievi in assenza dei presupposti.
 
Con riguardo alla quantificazione del danno, va precisato che la Procura ha espunto dal computo i decreti che recavano congrue motivazioni, relative, ad esempio, allo stato di salute degli animali. 
 
Quindi, non esistendo un valore di mercato degli animali vivi, cui fare riferimento, ha ritenuto di fare ricorso al criterio equitativo, di cui all’art. 1226 c.c. , che risulta correttamente e motivatamente individuato nel valore tassidermico degli animali abbattuti, diminuito del 40% imputabile al costo della manodopera ed aumentato di una percentuale (come puntualmente specificata nell’atto di citazione), variabile per le singole specie animali, che adegua il valore dell’animale morto a quello dell’animale vivo, tenendo conto della funzione dell’animale vivo nell’habitat naturale.
 
In proposito, non può essere trascurato che l’Organo requirente, consapevole delle difficoltà di pervenire alla determinazione del danno erariale attraverso la valorizzazione della fauna selvatica abbattuta mediante l’impiego di ordinari parametri di quantificazione (tanto al chilo, tanto al pezzo, et similia), si è fatta financo carico di approfondire le tecniche dell’analisi economica del diritto, allo scopo di pervenire alla individuazione della consistenza del nocumento generato dalla irredimibile distruzione di beni pubblici (uccisione di animali anche particolarmente protetti). Ebbene solo all’esito di questo approfondimento, l’unico parametro ragionevole utilizzabile è risultato quello del valore tassidermico, ovviamente depurato (con l’applicazione di una percentuale di abbattimento estremamente significativa: 40%) della componente riferibile alla manodopera necessaria per la realizzazione dell’imbalsamazione. 
 
Quel valore, infatti, ragionevolmente, esprime, inglobandolo, in numerario, il valore del bene sottoposto alla procedura di conservazione.
 
Di qui la ragione dell’impostazione ai fini della determinazione del danno. 
 
Nessuna contraddizione è ravvisabile in tale criterio, considerato che la funzione "ambientale" dell’animale non viene affatto in rilievo al fine di contestare il danno che, dalla sua soppressione, sia derivato all’ambiente e/o all’eco-sistema, ma, al contrario, viene valutato per quantificare il valore dell’animale vivo, che è, ovviamente, superiore al valore dell’animale morto, proprio in ragione della sua collocazione e funzione nell’habitat naturale.
 
Deve, quindi, ritenersi corretta la quantificazione di questa voce di danno operata dalla Procura regionale in € 1.136.250,00, che deve essere posta a carico dei convenuti Dumwalder Alois Assessore provinciale alle Foreste, che, a norma dell’art. 29 della legge provinciale di Bolzano n. 14 del 1987, ha adottato i decreti, e Erhard Heinrich, Direttore dell’Ufficio caccia e pesca, Direttore sostituto della Ripartizione Foreste, nonché Presidente dell’Osservatorio faunistico, che rilasciava i pareri presupposti dai decreti in questione, a titolo di colpa grave e quindi, nella misura di € 568.125,00 ciascuno.
 
Non risulta, infine, comprovato nessuno degli asseriti vantaggi, "anche sotto il profilo della conservazione della specie e sotto quello dei mancati indennizzi per i danni potenzialmente prodotti (in caso di omissione di controllo) dagli esemplari controllati" (pag. 32 della memoria di costituzione di Durnwalder).
 
E’, infine, da precisare che l’ente danneggiato è lo Stato, appartenendo gli animali al patrimonio indisponibile dello stesso ed avendo la Provincia di Bolzano solo la gestione degli stessi.
 
3. In applicazione del principio della ragione più liquida, desumibile agli articoli 24 e 111 della Costituzione, affermato dalla giurisprudenza di legittimità (S.U. Cass., sent. n. 9936 dell’8.5.2014, di recente ribadito in cass., sent. n. 17850 del 12.1.2017 e Cass. sent. n. 13588 del 28.6.2017) ed applicabile anche al processo innanzi a questa Corte (si veda, da ultimo, corte dei Conti, Sez. II d’ App., sent. n. 635 del 21.9.2017 e Sez. I d’ App., sent. n. 410 del 17.10.2017), deve ritenersi consentito al Giudice di esaminare un motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di questioni antecedenti secondo l’ordine logico-giuridico (S.U. cass. n. 9936 dell’8.5.2014; id n. 23542 del 18.11.2015).
 
Non verrà, pertanto, esaminata l’eccezione – sollevata dalla Procura Generale – di inammissibilità dell’appello, asseritarnente causata dalla mancata esplicitazione delle conclusioni, risultando, comunque, l’appello incidentale, palesemente infondato.
 
In primo luogo, va ritenuta l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di LAC e LAV.
 
A norma dell’art. 85 c.g.c., chiunque intenda sostenere le ragioni del Pubblico Ministero può intervenire in causa, quando vi ha un interesse meritevole di tutela.
 
A norma dell’articolo 13 della legge 349 del 1986, "le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’Ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro 90 giorni dalla richiesta.".
 
Come risulta dai comunicati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, rispettivamente in data 18/12/1996 numero 296 e in data 24/3/2007 numero 70, con Decreti Ministeriali del 15 ottobre 1996 e del 15 febbraio 2007, LAC e LAV sono state individuate tra le associazioni di protezione ambientale ai sensi della predetta norma.
 
Per quanto risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26/7/2012 numero 173, relativo al decreto ministeriale 9 luglio 2012, le predette associazioni permangono annoverate tra quelle di protezione ambientale di cui al citato articolo 13.
 
A norma dell’articolo 18, quinto comma, della stessa legge, poi, "le associazioni individuate in base all’articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi".
 
Trattandosi di associazioni ambientaliste a carattere nazionale, è evidentemente inconferente la circostanza secondo cui la LAV avrebbe a Bolzano solo un punto di riferimento e la LAC avrebbe la propria unica sede, nel territorio regionale, in Trento.
 
A prescindere dalla circostanza che l’ambito territoriale rilevante ai fini della qualificazione delle associazioni ambientaliste è la Regione e non certo la Provincia ed è pacifico che entrambe le suddette associazioni sono presenti nel territorio regionale del Trentino Alto Adige, risulta assorbente la circostanza, bene evidenziata dalla Procura Generale, che la legittimazione ad intervenire nei giudizi in materia ambientale è riconosciuta alle associazioni ambientaliste a carattere nazionale e ultra-regionale, a prescindere dalla maggiore o minore rappresentatività e stabilità a livello locale, che costituisce, al contrario, criterio descrittivo della legittimazione solo nel caso di associazioni di carattere locale, che si costituiscono allo scopo di tutelare l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti sul circoscritto territorio di riferimento.
 
Parimenti infondate sono le deduzioni relative alla asserita mancanza di interesse della LAC a presenziare, in ragione del diverso scopo dell’ente, considerato che, l’articolo 2 dello Statuto dell’associazione annovera tra gli scopi associativi la protezione ambientale e animale prevedendo che: "La Lega persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale, e più precisamente allo scopo di promuovere l’abolizione della caccia, la difesa della fauna, il riconoscimento dei diritti soggettivi di tutti gli animali e la conservazione ed il ripristino dell’ambiente.
 
A tale scopo attua o favorisce tutte le iniziative giuridiche, politiche, culturali, educative, informative dette editoriali idonee. ".
 
Risulta evidente, pertanto, la legittimazione ad intervenire della LAC in un giudizio nel quale il danno erariale è derivato dall’ingiustificato abbattimento di animali.
 
Priva di fondamento risulta anche la tesi secondo la quale la citazione di sentenze non prese in considerazione dalla Procura territoriale, avendo esteso l’ambito oggettivo della domanda, determinerebbe l’inammissibilità dell’intervento, considerato che il Giudice di primo grado ha espressamete dato atto alla rinuncia delle predette associazioni a conclusioni diverse rispetto a quelle rassegnate dal Procuratore Regionale.
 
Con riguardo al secondo motivo del gravame incidentale, va rilevato che la deduzione secondo la quale, avendo il Giudice di prime cure ritenuto corretto l’operato di Erhard con riferimento alla prima posta di danno, non avendo lo stesso cagionato alcun nocumento al patrimonio dello Stato, non avrebbe potuto riconoscerlo responsabile del danno erariale indiretto per le spese legali derivate dai giudizi innanzi al Tribunale Amministrativo relativi ai prelievi in deroga, è superata dal diverso giudizio espresso da questa Corte in ordine alla responsabilità erariale dell’appellante incidentale sulla prima posta di danno.
 
Le reiterate condotte illecite di Durnwalder ed Erhard – consistite nell’avere pervicacemente autorizzato, l’uno, con i pareri favorevoli dell’altro, prelievi in deroga di animali al di fuori dei casi previsti dalle vigente normativa – hanno dato luogo alle prevedibili, innumerevoli, pronunce negative del Tribunale Amministrativo, le cui spese ha dovuto sostenere la Provincia d Bolzano.
 
Dette spese costituiscono danno erariale, di cui sono responsabili i suddetti.
 
Con riguardo alle censure relative alla quantificazione del danno erariale indiretto, che l’appellante incidentale ritiene dovesse essere limitata a quanto contestato con l’invito a dedurre e non alla maggiore somma richiesta nell’atto di citazione, sono da condividersi pienamente le considerazione espresse dal Giudice di prime cure, che ha motivatamente ritenuto le modifiche dell’atto di citazione nei limiti di variabilità consentiti e ormai codificati all’art. 87 c.g.c., secondo il quale la citazione è nulla solo laddove non sussista corrispondenza tra i fatti di cui all’art. 86, n. 2, lett. e) c.g.c. e gli elementi essenziali del fatto esplicitati nell’invito a dedurre, tenuto conto degli ulteriori elementi di conoscenza acquisiti a seguito delle controdeduzioni.
 
Va, pertanto, respinto l’Appello incidentale.
 
4. In conclusione, quindi, deve essere accolto l’appello della Procura Regionale e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, Durnwalder Alois e Erhard Heinric vanno condannati al pagamento, in favore dello Stato, della somma  di € 568.125,00 ciascuno, senza gli accessori, poiché richiesti dalla Procura Regionale per la prima volta solo in appello.
 
Va respinto l’appello incidentale e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza impugnata con riguardo alla seconda voce di danno, condannando ciascuno dei convenuti al pagamento, in favore della Provincia di Bolzano, di € 6.192,23, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dal 29 giugno 2015 (data dell’ultimo esborso di oneri legali, alla luce del principio di continuità che caratterizza le condotte in questione) fino alla pubblicazione della sentenza e interessi legali, sulla somma rivalutata, dalla sentenza fino all’effettivo soddisfo. 
 
Le spese di giudizio, da ripartire in egual misura, seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
 
Le spese legali di LAC e LAV sono liquidate in € 2.000,00 ciascuno e sono poste a carico dei soccombenti, in parti uguali.
 
P.Q.M.
 
la Corte dei Conti – sezione prima giurisdizionale Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando:
 
– riunisce i giudizi iscritti ai numeri 53045 e 53193 del Registro di Segreteria, tutti proposti avverso la sentenza n. del della Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale Regionale per il Trentino Alto Adige – sede di Bolzano n. 42 depositata il 22.12.2016.
 
– accoglie l’appello della Procura Regionale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna Durnwalder Alois e Erhard Heinric al pagamento, in favore dello Stato, della somma di€ 568.125,00 ciascuno;
 
– respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata con riguardo alla seconda voce di danno, condannando Dumwalder Alois e Erhard Heinric al pagamento, in favore della Provincia di Bolzano, di € 6.192,23 ciascuno oltre rivalutazione monetaria a decorrere dal 29 giugno 2015 fino alla pubblicazione della sentenza e interessi legali, sulla somma rivalutata, dalla sentenza fino all’effettivo soddisfo.
 
Le spese di giudizio, da ripartire in egual misura, seguono la soccombenza e sono liquidate in € 288,00 (duecentoottantotto/00).
 
Le spese legali della Lega Anti Vivisezione ONLUS e della Lega per per l’Abolizione della Caccia ONLUS sono liquidate in € 2.000,00 ciascuno e sono poste, in parti uguali, a carico dei soccombenti.
 
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 maggio 2018.
 
L’ESTENSORE                                                  IL PRESIDENTE
 
Dott.ssa Giuseppina                                        Dott. Enzo Rotolo
 
Depositata il 18/06/2018
 
Il Dirigente
Dott.ssa Daniela D’Amaro 
 

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