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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno erariale, Diritto del lavoro, Pubblica amministrazione, Pubblico impiego Numero: 175 | Data di udienza: 23 Ottobre 2024

DIRITTO DEL LAVORO – Responsabilità amministrativa – Prestazioni lavorative rese alla PA – Dipendente assunto in assenza di titolo per l’accesso – Responsabilità amministrativa – Percezione retribuzione – Da parte di dipendente privo dei requisiti per l’assunzione –  Obbligo restitutorio alla PA senza valutazione dell’utilitas resa – Limiti e condizioni – Necessario distinguo tra ipotesi – Qualifiche basiche non complesse – Necessaria valutazione dell’utilitas resa – Qualifiche più elevate e complesse sine titulo – Non valutabilità dell’utilitasPUBBLICO IMPIEGO – Accesso a posti di impiego pubblico – Falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto – Effetti sul rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione e tutela collegata al rapporto di lavoro – Art. 2126, 1°c., cod. civ. – Art.1, co. l-bis, n.20/1994 – Truffa in assunzione a un pubblico impiego. (Massima a cura di Luigi Carbone)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: GIUR.
Regione: Lombardia
Città:
Data di pubblicazione: 29 Ottobre 2024
Numero: 175
Data di udienza: 23 Ottobre 2024
Presidente: TENORE
Estensore: TENORE


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Responsabilità amministrativa – Prestazioni lavorative rese alla PA – Dipendente assunto in assenza di titolo per l’accesso – Responsabilità amministrativa – Percezione retribuzione – Da parte di dipendente privo dei requisiti per l’assunzione –  Obbligo restitutorio alla PA senza valutazione dell’utilitas resa – Limiti e condizioni – Necessario distinguo tra ipotesi – Qualifiche basiche non complesse – Necessaria valutazione dell’utilitas resa – Qualifiche più elevate e complesse sine titulo – Non valutabilità dell’utilitasPUBBLICO IMPIEGO – Accesso a posti di impiego pubblico – Falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto – Effetti sul rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione e tutela collegata al rapporto di lavoro – Art. 2126, 1°c., cod. civ. – Art.1, co. l-bis, n.20/1994 – Truffa in assunzione a un pubblico impiego. (Massima a cura di Luigi Carbone)



Massima

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. LOMBARDIA, 29 ottobre 2024 (Ud. 23/10/2024), Sentenza n.175

 

DIRITTO DEL LAVORO – Prestazioni lavorative rese alla PA – Dipendente assunto in assenza di titolo per l’accesso – Responsabilità amministrativa – Percezione retribuzione – Da parte di dipendente privo dei requisiti per l’assunzione – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Obbligo restitutorio alla PA senza valutazione dell’utilitas resa – Limiti e condizioni – Necessario distinguo tra ipotesi – Qualifiche basiche non complesse – Necessaria valutazione dell’utilitas resa – Qualifiche più elevate e complesse sine titulo – Non valutabilità dell’utilitas – PUBBLICO IMPIEGO – Accesso a posti di impiego pubblico – Falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto – Effetti sul rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione e tutela collegata al rapporto di lavoro.

In caso di prestazioni lavorative rese alla PA da dipendente assunto in assenza di titolo per l’accesso, occorre distinguere tre ipotesi: a) la prima afferente prestazioni non routinarie che richiedono titoli di elevata specializzazione non posseduti (es. prestazioni rese da medico privo di laurea), per la quale è ben giustificabile il tradizionale indirizzo ostativo al riconoscimento di una utilitas fruita dalla PA, con conseguente pieno obbligo di restituzione integrale al datore delle retribuzioni erogate; b) la seconda, relativa a prestazioni routinarie che non richiedono titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello) che sono comunque svolte da soggetto in possesso del titolo prescritto, anche se con votazione inferiore (es. 60/100) a quella indicata nel titolo mendace (es. 100/100) e in cui la PA ha fruito di una prestazione di minimale complessità da parte di soggetto titolato, pienamente comparabile a quella rendibile da un soggetto con voto di diploma più elevato con “vantaggio comunque conseguito” dal datore e assenza di danno erariale; c) la terza ipotesi, attiene allo svolgimento prestazioni routinarie e basiche che non richiedono titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello) che sono svolte da soggetto non in possesso del titolo prescritto e autore di mera produzione di titolo falso in cui, ferma restando la valenza penale, disciplinare e civile (per aver leso il diritto di altro aspirante all’incarico) a fronte di prestazioni materiali e meramente operative comunque rese, la PA (e la comunità amministrata: studenti, insegnanti, genitori, scuola) ha innegabilmente fruito di un vantaggio ex art.1, co.1-bis, l. n.20 del 1994, pari almeno, e in via meramente prudenziale, al 50% della prestazione resa(1).

Pres. Est. Tenore – P.M. Papa – Procura regionale c. Albano (avv. Mirabile)

(1) In terminis su tale innovativo indirizzo C.conti, sez. giur. Lombardia, 27 maggio 2024 n.97 e 5 agosto 2024 n.144.

 
 

 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. LOMBARDIA, 29/10/2024 (Ud. 23/10/2024), Sentenza n.175

SENTENZA

Sentenza 29.10.2024 n.175
n.30684

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

composta dai seguenti magistrati:
Vito Tenore Presidente rel.
Walter Berruti Giudice
Pia Manni Giudice
ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità, ad istanza della Procura Regionale, iscritto al numero 30684 del registro di segreteria, nei confronti di:
ALBANO V., nato a Nocera Inferiore (SA) il ==.==.==== residente in Siano (SA) Vic. ===. n. == – C.F. ======= – rappresentato e difeso dall’Avvocato Fiorinda Mirabile del foro di Salerno con studio in Salerno, via Francesco Conforti, 11 – in forza di procura speciale in atti, con domicilio digitale eletto all’indirizzo PEC: avv.fiorindamirabile@pec.it; ===
VISTO il provvedimento presidenziale con il quale è stata fissata l’udienza del 23.10.2024;
VISTO il D.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di Giustizia Contabile);
UDITI nella pubblica udienza del 23.10.2024 il relatore pres. Vito Tenore, la Procura in persona del Sost.Proc.Reg. dr.ssa Valentina Papa e la difesa del convenuto in persona dell’avv. Fiorinda Mirabile;

FATTO

1. Con atto di citazione del 6.6.2024, regolarmente notificato, la Procura regionale ha citato in giudizio il sig. Albano V.,  collaboratore scolastico all’epoca dei fatti, chiarendo che, a seguito della segnalazione del Ministero dell’Istruzione, Ufficio scolastico della Lombardia-Varese, del 17.6.2022, fondata su accertamenti penali, era emerso che il convenuto aveva ottenuto, mediante falsa dichiarazione presentata presso il Liceo Classico “Virgilio” di Mantova” in data 19.10.2017 in atti, l’inserimento nelle graduatorie di Circolo e di Istituto di III fascia ATA per il triennio 2017/2019 per la Provincia di Mantova.

Il convenuto  aveva in particolare attestato di aver conseguito la qualifica di operatore dei servizi per la ristorazione – settore cucina presso l’Istituto professionale “Passarelli” di San Marco di Castellabate nell’a.s. 2012/2013 con il punteggio di 100/100.

Il sig. ALBANO aveva pertanto stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato prima con l’istituto Tecnico “Mantegna” di Mantova per il periodo dal 23.11.2018 al 30.06.2019, poi con l’Istituto Comprensivo “Gonzaga” di Gonzaga (MN) per il periodo dal 03.10.2019 al 30.06.2020 in qualità di personale A.T.A. supplente, prima per 12 e poi per 36 ore settimanali.

A seguito di controlli sulle autocertificazioni erano scaturite indagini penali che avevano fatto emergere, come ben sunteggiato e comprovato alle pp.3 e 4 e 15-17 della citazione, da intendersi qui trascritte, la falsità del diploma cennato e in data 20.01.2020 era stato assunto il provvedimento di decadenza da tutte le graduatorie d’istituto in cui risultava inserito il sig. ALBANO, rinviato inoltre a giudizio per truffa e falso, ma poi assolto.

In virtù del rapporto di lavoro intrattenuto con i predetti Istituti scolastici mediante le false attestazioni, il sig.Albano aveva percepito indebite retribuzioni pari ad € 10.298,74, come risulta dai cedolini di pagamento trasmessi dalla Ragioneria territoriale di Mantova (doc. 5 e doc. 6 doc Procura). Di tale somma la Procura chiedeva la refusione con conseguente condanna del convenuto.

Tutto ciò premesso, la attrice Procura, non potendosi valutare i vantaggi derivanti dall’espletamento delle mansioni svolte in assenza di idoneo titolo (parte attrice ha anche rimarcato, documentandole, le dichiarazioni del dirigente scolastico di Gonzaga e dei Carabinieri di Gonzaga sulle difficoltà del convenuto nel leggere, nello scrivere e nel comprendere il disvalore della condotta posta in essere) e in presenza di contratti nulli sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, e ritenendo inidonee ad escludere l’ipotizzato danno erariale le deduzioni inviate dalla difesa del convenuto in riscontro al rituale invito, ha chiesto la condanna dell’Albano al pagamento in favore del Ministero dell’Istruzione e del Merito del suddetto importo di euro 10.298,74, oltre accessori, senza riduzione di addebito stante il dolo connotante la condotta falsa e mendace de qua.

2. La difesa del convenuto, costituendosi, nel chiedere il rigetto della domanda, ha osservato quanto segue:
a) che la condotta del convenuto, cagionevole di salute e in gravi difficolta economiche e familiari, era connotata da colpa, imprudenza e da stato di necessità: difatti il convenuto aveva in buona fede acquistato il diploma presso l’Istituto di San Marco di Castellabate, noto per il rilascio di titoli idonei ad inserimento nel mondo del lavoro, solo quale requisito materiale per accedere ad un lavoro pubblico;
b) che gli esiti penali e disciplinari della vicenda comprovavano la non colpevolezza dell’Albano;
c) che la falsa indicazione dei requisiti per l’inserimento nelle graduatorie permanenti del personale collaboratore scolastico non aveva impedito al convenuto di esprimere una prestazione conforme a quanto richiesto, e quindi utile ai fini contrattuali, in quanto lo svolgimento delle mansioni di collaboratore scolastico indicate in comparsa di costituzione non richiedeva, ai fini dell’utilità della prestazione per l’amministrazione, il possesso un titolo di studio di specifico;
d) che il danno, in ogni caso, andava equitativamente ridotto l’importo contestato.

3. Alla pubblica udienza del 23.10.2024, data per letta la relazione sui fatti di causa su consenso delle parti, la Procura contabile e il difensore del convenuto ribadivano e sviluppavano i relativi argomenti.

Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Affermata la non necessità di sospendere il presente giudizio in attesa di esiti penali concernenti il convenuto, come richiesto dalla difesa, stante la notoria autonomia del presente giudizio rispetto a quello penale, considerando altresì la adeguatezza delle risultanze istruttorie già in atti, e ribadita l’irrilevanza degli esiti penali e disciplinari già intervenuti sulla vicenda in esame, non influenti sul danno erariale qui reclamato, può passarsi al merito.

2. La fattispecie sottoposta al Collegio, non nuova nei suoi profili generali, concerne un ipotizzato danno erariale da indebita percezione di trattamento economico connesso allo svolgimento da parte del convenuto delle prestazioni del profilo professionale di collaboratore scolastico, qualifica di ruolo ottenuta però sulla base di false dichiarazioni sul titolo di studio necessario, ovvero sul possesso del diploma di operatore dei servizi per la ristorazione – settore cucina presso l’Istituto professionale “Passarelli” di San Marco di Castellabate nell’a.s. 2012/2013 con il punteggio di 100/100, in realtà mai conseguito.

La difesa non contesta tale assenza di titolo (né le somme stipendiali introitate), ben acclarata dalla Procura come da documentazione in atti, che può dunque considerarsi circostanza pacifica. Su tale ricorrente questione, la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ribadire che, nell’ipotesi di accesso a posti di impiego pubblico conseguito mediante la falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto, si versa in una fattispecie di illiceità della causa che, ai sensi dell’art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro, stante il contrasto con norme fondamentali e generali e con i basilari principi pubblicistici dell’ordinamento (cfr. Corte Cost. n. 296/1990). Pertanto, secondo tale indirizzo giuscontabile, la prestazione lavorativa resa in assenza del titolo prescritto e dichiarato, essendo non espressiva della capacità derivante dalla preparazione professionale conseguita con regolare percorso di studi, non arreca all’ente pubblico alcuna utilità ex art.1, co. l-bis, n.20/1994 e determina il venir meno del rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione, a nulla rilevando la circostanza che agli emolumenti percepiti abbiano corrisposto prestazioni effettivamente svolte (cfr., ex pluribus, C.conti, sez.Lombardia 7.5.2024 n.76; id. n. 263/2022 e n. 138/2023, nonché id., sez. App. Sicilia, n. 243/2012 e n. 469/2014; sez. I App. n. 527/2017; Sez. II App. n. 568/2018; Sez. Toscana n. 463/2021; Sez. Molise, n. 2 e n. 13/2023; Sez. Emilia-Romagna n. 199/2022 e n. 19/2023).

2. Orbene, ad avviso del Collegio, tale approdo giuscontabile, come già affermato da questa Sezione con le sentenze 27 maggio 2024 n.97 e 5.8.2024 n.144, va in via generale rimeditato in talune ipotesi alla luce:
a) dell’ampia formulazione dell’art.1, co. l-bis, n.20/1994 che, quale norma speciale e come tale prevalente rispetto all’art.2126 c.c., con dizione chiara, ampia e soprattutto onnicomprensiva (senza eccezione alcuna), fa riferimento allo scomputo quantificatorio dei vantaggi “comunque conseguiti” dalla P.A. o dalla “comunità amministrata” (ancor più evidenti e percepibili se si tratti di attività semplici e non altamente specialistiche come nella specie; da valutare invece in concreto, ed anche parzialmente, in altre più opinabili ipotesi connotate da titoli e requisiti di elevata complessità); né parte attrice, né la PA datrice di lavoro hanno inoltre dato prova, come loro onere, del mancato o minor vantaggio derivante dalla prestazione innegabilmente resa dal convenuto;
b) dell’art.2126 c.c., che prevede che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non preclude la produzione degli effetti (ivi compresi i riflessi retributivi) per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione “salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”.
La giurisprudenza ritiene che tale nullità non ricorra in ogni caso di contrarietà con norme imperative di legge, ma solo nei casi in cui il contratto sia contrario ai principi generali di ordine pubblico strettamente intesi e cioè a quelli etici fondamentali dell’ordinamento giuridico (Cass., n.15880/2002; id., 2434/1981). Ma in quest’ultima evenienza, ritenuta sussistente dalla Corte dei conti in caso di rapporto di lavoro fondato sulla produzione di documenti falsi, la Cassazione ha inoltre ritenuto che una illiceità della causa si configura solo quando “lo scopo perseguito dalle parti con il contratto tipico sia in contrasto con norme imperative, ordine pubblico e buon costume” (ma la PA non persegue certo tale scopo nel filone in esame): Cass., sez.un., 11.1.1973 n.68 e id., 4.6.1999 n.5561, 3 maggio 1986, n. 2991, oltre a Cass., sez.lav., 27.11.1987 n.8830, qualificano illecita la causa se la volontà “di ambo le parti” sia tesa a costituire un rapporto previdenziale vietato da norme imperative di ordine pubblico o se l’attività lavorativa risulti “intrinsecamente e oggettivamente illecita, avente perciò normalmente, per il suo contenuto, rilevanza penale” (ma l’attività lavorativa resa dall’Albano non è intrinsecamente ed oggettivamente illecita, essendo la “causa”, astratta e concreta, conforme ai canoni codicistici del contratto di lavoro subordinato, ma è semmai illecita l’attività dichiarativa prodromica-selettiva “a monte” della prestazione lavorativa resa); inoltre Cass., 9.4.2018 n.8690 esclude la retribuibilità solo in caso di violazioni di “norme di legge attinenti a profili di ordine pubblico” (quali prestazioni sanitarie svolte da chi non abbia titolo) ed ha inoltre ritenuto che l’illiceità dell’oggetto sussiste “ogni qualvolta la prestazione dedotta in contratto sia illecita” (ma la prestazione resa dall’Albano non è di per sé illecita); del resto, la stessa Corte Costituzionale 27 gennaio 2023, n. 8, nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come la disciplina dell’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da assicurata alla “causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”, giustifica “sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo”, ponendosi, sotto quest’ultimo profilo, come uno dei parametri di equilibrio dell’ordinamento a fronte di pretese recuperatorie sproporzionate rispetto alle situazioni coinvolte, ma inevitabilmente giustificando e corroborando la centralità della norma anche ove vista sotto il profilo della prestazioni retributive che essa impone siano adempiute, pur in assenza di validità, anche solo in parte, del rapporto di lavoro e delle prestazioni rese; in estrema sintesi, la causa astratta e concreta del contratto di lavoro perfezionatosi tra la PA ed il convenuto e la sua esecuzione non è qualificabile illecita (circostanza ostativa al pagamento ex art.2126 c.c.) non essendo stato il negozio preordinato da ambo le parti a finalità vietate dall’ordinamento (si pensi al caso di un fittizio rapporto di lavoro voluto da ambo le parti per fruire di finanziamenti pubblici legati ad nuove assunzioni o per creare vantaggiose posizioni previdenziali al lavoratore simulando un rapporto subordinato, o per riciclare denaro con retribuzioni gonfiate; oppure si pensi, in altri campi, al caso del contratto di meretricio, cui le parti consensualmente addivengono, ma nullo per contrasto con l’ordine pubblico: Cass. n.4927/2022);
c) degli orientamenti possibilisti della magistratura ordinaria e amministrativa sul medesimo tema (Cass., sez.lav., 31.7.2019 n.20722; id., n.6046/2018; Cons.St., sez.V, 14.10.2014 n.5117; id., sez.III, 2.5.2014 n.2285; id., sez.V, n.1374/2009). E anche in tempi recenti, la Cassazione ha rimarcato (Cass., sez. lav., 26.6.2023 n.1863) come gli impegni di spesa possono certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o da altri presupposti necessari per il loro riconoscimento, ma non possono impedire in toto il pagamento, se la prestazione sia resa non insciente o prohibente domino o comunque in modo incoerente con la volontà del datore. Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità verso la Pubblica Amministrazione dei preposti che non avrebbero dovuto consentire le prestazioni effettuando rapidi controlli sui titoli dell’Albano, ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso (art.35 e 36 cost.), sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali.
Ha inoltre soggiunto Cass., sez.II pen., sez. II, 25.2.2021 n. 12791 che quando sia commesso il reato di truffa finalizzata all’assunzione di un pubblico impiego, che si consuma nel momento della costituzione del rapporto impiegatizio, al lavoratore spetta comunque la retribuzione per l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa richiesta, giusta la disciplina dettata dagli artt. 2126 e 2129 c.c., salvo che ricorra un’ipotesi di contrarietà della causa del contratto a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume ex art. 1343 c.c. (ma, si ripete, la prestazione resa dall’Albano non è di per sé causalmente illecita), un utilizzo dello strumento contrattuale per frodare la legge ex art. 1344 c.c. , ovvero un motivo illecito, comune alle parti o determinante, ex art. 1345 c.c. (ipotesi, queste ultime due, qui non ipotizzabili). In tal senso anche Cass., sez. II , 03/06/2009 , n. 26270, secondo cui in tema di truffa in assunzione ad un pubblico impiego (ottenuta, nella fattispecie, mediante esibizione di falso diploma di infermiere), il requisito dell’ingiusto profitto, una volta accertata l’esplicazione della prestazione lavorativa richiesta, non può essere ravvisato nella percezione dei ratei di retribuzione, i quali sono dovuti al dipendente in forza del disposto di cui agli art. 2126 e 2129 c.c.: ne consegue che il reato, di natura istantanea, si consuma all’atto della costituzione del rapporto impiegatizio.

3. Sul piano sistemico, giova inoltre ricordare che da epoca ormai risalente, la giurisprudenza della Cassazione e la dottrina, hanno abbandonato la concezione rigidamente oggettiva della causa del contratto, con l’ammissione che anche un contratto tipico – quale indubbiamente è quello di lavoro subordinato – possa avere causa illecita perché “la funzione del negozio non deve rimanere nel limbo dell’astrattezza, ma deve essere presente nel contratto tipico, il quale cioè deve avere una funzione concreta”. Ma ha distinto, “proprio in considerazione della disciplina differenziata dell’art. 2126 c.c.”, all’interno dell’ampia categoria del contratto illegale, quella del contratto illecito, essendo tale il contratto con oggetto illecito, ovvero se illecita sia (art. 1343 c.c.) o si reputi (art. 1344 c.c.) la causa ovvero il motivo determinante (art. 1345 c.c.), giungendo alla conclusione che nel lavoro prestato in violazione di norme proibitive dell’assunzione non si ha oggetto illecito (in quanto la prestazione non è intrinsecamente illecita), nè illiceità della causa, mancando il contrasto “con i principi etici fondamentali dell’ordinamento”, e si versa, invece, nel campo della mera, ristretta illegalità (Cass., sez. un., 11.1.1973, n. 63; id., sez.lav., 12.11.2002 n.15880); con l’ulteriore precisazione che l’illiceità richiede il contrasto con i principi di ordine pubblico o con norme imperative che di per sè appartengono all’ordine pubblico, nella prospettiva di una lettura dell’art. 1418 c.c. che ne riferisce il primo comma alla fattispecie (autonoma) del contratto meramente illegale per generico contrasto con norme imperative, e il secondo comma al contratto propriamente illecito (Cass., sez. un., 8.5.1976, n. 1609).

Nei successivi sviluppi della giurisprudenza, l’orientamento si è consolidato e, soprattutto, ne è stato sottolineato il fondamento costituzionale, atteso che soltanto il concetto di illiceità della causa (o dell’oggetto) così circoscritto, consente di interpretare la norma in senso conforme ai principi di tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35 cost.) e di garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione (art. 36). Ed infatti, la Corte costituzionale ha dato autorevole avallo a tale interpretazione, osservando che l’art. 2126 c.c. impedisce la tutela del lavoro soltanto in caso di illiceità “in senso forte”, cioè per contrasto con norme generali e fondamentali e con principi basilari dell’ordinamento (cfr. C. cost. 19.6.1990, n. 296; 27.5.1992, n. 236; ord. 100-2002). Nella specie, non appare dunque configurabile nei rapporti tra l’Albano e la PA un contratto connotato da illiceità della causa (ostativa al pagamento delle mansioni svolte), mancando il contrasto “con i principi etici fondamentali dell’ordinamento”, e si versa, invece, nel campo della mera, ristretta illegalità.

4. In conclusione, sia l’ampia dizione dell’art.1, co. l-bis, n.20/1994, lex specialis rispetto all’art.2126 c.c., sia la applicabilità di questa stessa norma che impone il pagamento delle prestazioni di fatto salvo che le parti, congiuntamente e pariteticamente, si siano codeterminate ad un contratto causalmente illecito “in senso forte”, cioè in contrasto con norme generali e fondamentali e con principi basilari dell’ordinamento, portano, sulla scorta della miglior giurisprudenza civile, ad un superamento del tralaticio indirizzo giuscontabile ostativo in materia, quanto meno a fronte di prestazione routinarie che non richiedono titoli di elevata specializzazione.

5. In coerente sviluppo e affinamento degli enunciati delle suddette sentenze n.97/2024 e 5.8.2024 n.144 della Sezione, vanno dunque distinte tre ipotesi: a) la prima afferente prestazioni non routinarie che richiedono titoli di elevata specializzazione non posseduti (es. prestazioni rese da medico privo di laurea), per la quale è ben giustificabile il tradizionale indirizzo di questa Corte ostativo al riconoscimento di una utilitas fruita dalla PA, con conseguente pieno obbligo di restituzione integrale al datore delle retribuzioni erogate; b) la seconda, vagliata da questa Sezione nella sentenza 27 maggio 2024 n.97, relativa a prestazioni routinarie che non richiedono titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello) che sono comunque svolte da soggetto in possesso del titolo prescritto, anche se con votazione inferiore (es. 60/100) a quella indicata nel titolo mendace (es 100/100). Tale evenienza, in cui l’unico soggetto danneggiato è il terzo aspirante all’incarico scavalcato in graduatoria dal convenuto con la falsa attestazione con voto superiore al reale, non vede assolutamente lesa la PA, che ha fruito di una prestazione di minimale complessità da parte di soggetto titolato, pienamente comparabile a quella rendibile da un soggetto con voto di diploma più elevato. Tale evenienza porta al rigetto della pretesa attorea stante la piena fruizione da parte della PA e della comunità amministrata della prestazione quale “vantaggio comunque conseguito”; c) la terza ipotesi, qui configurata e già vagliata dalla Sezione con sentenza 5.8.2024 n.144, attiene allo svolgimento prestazioni routinarie e basiche che non richiedono titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello) che sono svolte da soggetto non in possesso del titolo prescritto e autore di mera produzione di titolo falso. In tale ipotesi, ferma restando la valenza penale, disciplinare e civile (per aver leso il diritto di altro aspirante all’incarico) a fronte di prestazioni materiali e meramente operative comunque rese, la PA (e la comunità amministrata: studenti, insegnanti, genitori, scuola) ha innegabilmente fruito di un vantaggio ex art.1, co.1-bis, l. n.20 del 1994, pari almeno, e in via meramente prudenziale, del 50% della prestazione resa.

Il carattere e la natura minimali delle mansioni effettivamente svolte come collaboratore amministrativo, nell’ambito di quelle previste dal CCNL di Comparto (che si traducono in mera accoglienza e vigilanza generica degli alunni e pulizia dei locali) portano infatti il Collegio a valutare come non del tutto inutili le mansioni che il convenuto risulta aver svolto nelle istituzioni scolastiche ove ha lavorato. Né parte attrice (o la P.A. datrice nelle sedi proprie) ha del resto contestato, né dato prova, come suo onere, che il convenuto fosse stato assunto ed adibito a mansioni diverse ovvero il mancato o minor vantaggio derivante dalla prestazione materiale comunque di fatto resa. L’aver documentato parte attrice, con dichiarazioni del dirigente scolastico di Gonzaga e dei Carabinieri di Gonzaga, le difficoltà del convenuto nel leggere, nello scrivere e nel comprendere il disvalore della condotta posta in essere, evidenzia una situazione neutra in punto di prova della non utilitas, in quanto assolutamente fisiologica, nella comune esperienza di vita vissuta, nelle qualifiche meno elevate della gerarchia scolastica, le quali comunque non hanno nel proprio mansionario compiti concettuali, ma solo esecutivi (pulizia locali, accompagnamento alunni, apertura e chiusura scuola).

Tuttavia, è evidente che l’assenza del titolo realmente conseguito rispetto a quello falso dichiarato porta ad un vantaggio minore per la P.A. rispetto alla erogazione stipendiale riconosciuta per quella qualifica, con conseguente necessità di scomputo della differenza, da qualificare come danno erariale (cfr. sent. n. 97 e n.144 del 2024 cit.). A tale quantificazioni può in conclusione pervenirsi in via equitativa, apparendo a tal fine congruo un abbattimento del cinquanta per cento della pretesa azionata in citazione. In altre parole, ferma restando la già segnalata valenza penale, disciplinare e civile (per evidenti danni arrecati ai soggetti scavalcati e pretermessi dalle supplenze e dagli incarichi sulla base di titolo falso del convenuto) della condotta mendace dell’Albano, sotto il diverso profilo amministrativo-contabile, l’aver reso di fatto le prestazioni di bidello presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, rendono ben considerabili come “vantaggio” reso alla PA ed alla comunità amministrata ex art.1, co. l-bis, n.20/1994 una parte delle mansioni svolte dal convenuto e rendono quindi leciti ex art.2126 c.c. e non totalmente forieri di danno erariale gli esborsi stipendiali a favore dell’Albano.

Del resto, anche in qualche risalente precedente di questa Corte (C.conti, sez.giur.Basilicata, 2.2.2005 n.14) si è correttamente affermato che va ravvisato danno ingiusto risarcibile a titolo di dolo nel comportamento del dipendente di una Asl che abbia conseguito l’impiego producendo falsi documenti, commisurato sia agli stipendi non dovuti che ai compensi per incarichi e missioni, potendosi invocare la “compensatio lucri cum damno” nei soli limiti delle retribuzioni riferibili allo svolgimento di mansioni lavorative generiche e suscettibili di essere svolte a prescindere dal possesso del titolo di studio falsamente presentato.

6. Il convenuto va quindi condannato al risarcimento del danno in favore del competente Ministero, quantificato in 5.150,00 euro, pari al 50% dell’importo di 10.298,74 euro contestati dalla Procura. Su tale somma, da intendersi ad oggi già rivalutata, andranno corrisposti gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate a carico di parte convenuta come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando, CONDANNA ALBANO V. – C.F. ===, al pagamento, in favore Ministero dell’Istruzione e del Merito, della somma già rivalutata di euro 5.150,00 oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza sino al saldo.

Liquida le spese di giudizio in euro e le pone a carico del convenuto.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024.

 
 

 

 

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