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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti, Pubblica amministrazione Numero: 20690 | Data di udienza: 7 Giugno 2016

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Contratti degli enti pubblici – Forma scritta ad substantiam – Modificazioni alla disciplina concordata – Introduzione in via di mero fatto – Esclusione – Interpretazione del contratto – Ricerca della comune intenzione dei contraenti – Comportamento complessivo delle parti successivo alla stipulazione – Limiti – APPALTI – Norme che disciplinano gli appalti pubblici – Artt. 59 e 30 d.lgs. n. 50/2016 – Obiettivo del conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile – Modifiche alle condizioni determinate attraverso l’applicazione delle regole di evidenza pubblica – Preclusione – Modifica del contenuto del programma negoziale successivamente all’aggiudicazione o alla stipulazione del contratto – Violazione dei principi di trasparenza e par condicio – Appalto di opere pubbliche – Fatture commerciali – Effecacia di comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dal contratto – Limiti – Ragioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^ civile
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Ottobre 2016
Numero: 20690
Data di udienza: 7 Giugno 2016
Presidente: Salvago
Estensore: Marcolino


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Contratti degli enti pubblici – Forma scritta ad substantiam – Modificazioni alla disciplina concordata – Introduzione in via di mero fatto – Esclusione – Interpretazione del contratto – Ricerca della comune intenzione dei contraenti – Comportamento complessivo delle parti successivo alla stipulazione – Limiti – APPALTI – Norme che disciplinano gli appalti pubblici – Artt. 59 e 30 d.lgs. n. 50/2016 – Obiettivo del conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile – Modifiche alle condizioni determinate attraverso l’applicazione delle regole di evidenza pubblica – Preclusione – Modifica del contenuto del programma negoziale successivamente all’aggiudicazione o alla stipulazione del contratto – Violazione dei principi di trasparenza e par condicio – Appalto di opere pubbliche – Fatture commerciali – Effecacia di comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dal contratto – Limiti – Ragioni.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1^  civile – 13 ottobre 2016, n. 20690


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Contratti degli enti pubblici – Forma scritta ad substantiam – Modificazioni alla disciplina concordata – Introduzione in via di mero fatto – Esclusione – Interpretazione del contratto – Ricerca della comune intenzione dei contraenti – Comportamento complessivo delle parti successivo alla stipulazione – Limiti.

I contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo d’identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria. Ciò comporta non solo l’esclusione della possibilità di desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l’intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto. Tale principio trova applicazione sia alla conclusione del contratto, sia all’eventuale rinnovazione dello stesso, a meno che la stessa non sia prevista come effetto automatico da un’apposita clausola, nonchè alle modificazioni che le parti intendano in seguito apportare alla disciplina concordata, le quali devono pertanto risultare da un atto posto in essere nella medesima forma del contratto originario, richiesta anche in tal caso ad substantiam, non potendo essere introdotte in via di mero fatto mediante l’adozione di pratiche difformi da quelle precedentemente convenute, ancorchè le stesse si siano protratte nel tempo e rispondano ad un accordo tacitamente intervenuto tra le parti in epoca successiva.  La ricaduta di questo regime formalistico, sul versante dell’interpretazione del contratto, è costituita dal principio secondo cui la ricerca della comune intenzione delle parti, ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve aver luogo, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione.
 

APPALTI – Norme che disciplinano gli appalti pubblici – Artt. 59 e 30 d.lgs. n. 50/2016 – Obiettivo del conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile – Modifiche alle condizioni determinate attraverso l’applicazione delle regole di evidenza pubblica – Preclusione.

Il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, ora, il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oltre a ribadire la facoltà dell’Amministrazione di escludere le offerte anormalmente basse (art. 81 del d.lgs. n. 163, art. 59 , comma quarto, lett. c, del d.lgs. n. 50), nell’enunciare i principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni, stabiliscono che il relativo affidamento, oltre a garantire la qualità delle prestazioni, deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, precisando espressamente che il principio di economicita può essere subordinato, nei limiti consentiti dalle norme vigenti e dal medesimo codice, a criteri, da prevedere nel bando, ispirati a esigenze sociali o alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico (art. 2 del d.lgs. n. 163, art. 30 del d.lgs. n. 50). Il mero risparmio di spesa collegato alla richiesta di un corrispettivo più basso non costituisce pertanto l’unico scopo, e nemmeno quello principale, delle norme che disciplinano la contabilità pubblica e gli appalti pubblici, le quali hanno invece di mira il conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile con tale obiettivo. Il perseguimento di tale finalità non potrebbe non ritenersi compromesso qualora fosse consentito alle parti di modificare successivamente, sia pure in senso più favorevole all’Amministrazione, le condizioni economiche determinate attraverso l’applicazione delle regole di evidenza pubblica, non essendovi alcuna certezza che a tale modificazione corrisponda, nella realizzazione dell’opera o nella prestazione del servizio, il mantenimento delle caratteristiche tecnico-qualitative previste dal bando di gara ed accettate mediante la presentazione dell’offerta.
 


APPALTI – Modifica del contenuto del programma negoziale successivamente all’aggiudicazione o alla stipulazione del contratto – Violazione dei principi di trasparenza e par condicio.

Pur dovendosi escludere che l’applicazione in sede esecutiva di condizioni diverse da quelle previste dal bando e consacrate nel provvedimento di aggiudicazione possa incidere retroattivamente sulla legittimità della fase ad evidenza pubblica, in tal modo determinando ex post la validità del contratto, la quale dev’essere invece valutata con riferimento all’epoca della stipulazione, occorre rilevare che l’operatività dei principi di trasparenza e parità dei concorrenti risulterebbe sostanzialmente vanificata ove le parti potessero, a loro piacere, non solo modificare il contenuto del programma negoziale successivamente all’aggiudicazione o addirittura dopo la stipulazione del contratto, ma addirittura evitare di avvalersi, a tale scopo, della forma prescritta a pena di nullità per l’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione.
 


APPALTI – Appalto di opere pubbliche – Fatture commerciali – Effecacia di comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dal contratto – Limiti – Ragioni.

La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova, ma, al più, un mero indizio. In tema di appalto di opere pubbliche, va tuttavia esclusa anche la possibilità di riconoscere la predetta portata alle fatture trasmesse all’Amministrazione, atteso che l’onere della forma scritta, imposto ad substantiam per i contratti degli enti pubblici, impedisce non solo di ritenerne provata la stipulazione, in assenza dell’atto dotato del predetto requisito, ma anche di attribuire alla produzione delle fatture l’efficacia di comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dal contratto. Tale principio è applicabile anche al contratto di appalto stipulato in economia, con il sistema del cottimo fiduciario e non è quindi possibile invocare, in contrario, la disciplina dettata dall’art. 17 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, che consente la stipulazione a trattativa priva di contratti con le imprese commerciali a mezzo di corrispondenza «secondo l’uso del commercio»: anche in questo caso occorre che il perfezionamento del contratto risulti dallo scambio di proposta ed accettazione, non essendo sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo meramente verbale, come l’esecuzione della prestazione ad opera del privato, documentata dalle fatture trasmesse all’Amministrazione.

Pres. Salvago, Est. Marcolino – Azienda Sanitaria Locale VC di Vercelli (avv.ti Romano e Gallo) c. I.P. Soc. Coop. a r.l. (avv.ti Giovannetti e Weigmann)
 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1^ civile – 13 ottobre 2016, n. 20690

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1^  civile – 13 ottobre 2016, n. 20690

 

Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO
Data pubblicazione: 13/10/2016

OGGETTO:
appalto pubblico

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

AZIENDA SANITARIA LOCALE VC DI VERCELLI, in persona del direttore generale p.t., elettivamente domiciliata in Roma, al Lungotevere Sanzio n. 1 presso l’avv. prof. ALBERTO ROMANO, dal quale, unitamente prof. CARLO  EMANUELE GALLO del foro di Torino, è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del ricorso

RICORRENTE

contro

IL POLIEDRO SOC. COOP. A R.L.. in persona del legale rappresentante p.i. Roberta Fiore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via L. Bissolati n. 76, presso l’avv. ALESSANDRA GIOVANNETTI, dalla quale, unitamente all’avv. MARCO WEIGMANN del foro di Torino, è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al controricorso

CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 599/10, pubblicata il 29 aprile 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2016 dal Consigliere dott. Guido Mereolino;
udito l’avv. Alberto Romano per la ricorrente e Pa.vv. Alberto Pellegrino per delega del difensore della controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Federico SORRENT1NO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. — La Società Cooperativa a r.l. Il Policdro convenne in giudizio l’Azienda sanitaria locale n. 11 di Vercelli, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 2.933.479,41, oltre IVA, interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di conguaglio sul corrispettivo di prestazioni di pulizia relative alle aree esterne, eseguite dal 1° giugno 1998 al 30 marzo 2003 in virtù di un contratto stipulato il 9 settembre 1998 e rinnovato il 28 dicembre 2000. Si  costituì la convenuta, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. — Con sentenza del 5 aprile 2006, il Tribunale di Vercelli rigettò la domanda.

2.  — L’impugnazione proposta dalla Cooperativa è stata accolta dalla Corte d’Appello di Torino, che con sentenza del 29 aprile 2010 ha condannato l’Asl al pagamento della somma richiesta dall’attrice, oltre interessi legali dalle singole scadenze.

Premesso che il contratto stipulato tra le parti scaturiva da una licitazione privata ed era stato concluso sulla base di un capitolato che costituiva parte integrante del bando di gara, la Corte ha ritenuto che i parametri qualitativi dell’opera e quelli economici di determinazione del prezzo, fissati a garanzia della parità di trattamento tra gli offerenti, non fossero derogabili nel corso del rapporto, e non potessero quindi essere superati da patti aggiunti o comportamenti concludenti successivi alla stipulazione, non essendo tali comportamenti idonei a far sorgere in capo alla committente obbligazioni diverse da quelle pattuite sulla base del bando di gara. Precisato inoltre che nei contratti stipulati in forma scritta ad substantiam la volontà negoziale dev’essere dedotta unicamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i criteri di cui agli arti. 1362 e ss. cod, civ., non assumendo alcun valore, a tal fine il comportamento delle parti, ha escluso che l’emissione di fatture da parte dell’attrice e l’effettuazione di pagamenti da parte della convenuta per importi inferiori a quello previsto dal contratto avessero comportato, nella specie, una modificazione del dettato contrattuale, con la determinazione di un prezzo ridotto per le sole aree esterne. Ha infatti ritenuto che al comportamento dell’appaltatrice non potesse attribuirsi ne la portata di una rinuncia parziale al corrispettivo, la quale avrebbe comportato una modificazione del contratto, né l’effetto d’invertire l’onere della prova, incombendo alla committente la dimostrazione dell’intervenuta modifica del contratto, da fornire anch’essa con atto scritto ad substantiam.

Rilevato che dalla lettera d’invito e dal bando di gara non emergeva alcuna differenziazione del prezzo in relazione alla tipologia delle aree o alla frequenza ed alla qualità del servizio, ha ritenuto irrilevante a tal fine l’elencazione della tipologia delle aree contenuta nella tabella di sviluppo allegata ad una deliberazione del 20 dicembre 2000, riconoscendo alla stessa una portata meramente interna ed organizzativa; premesso infatti che l’indicazione unitaria del prezzo contenuta nel bando scaturiva presumibilmente da una valutazione in astratto dell’incidenza media dei costi, preventivamente compiuta dall’ente, ha osservato che il predetto documento si riferiva ad alcune aree aggiuntive non comprese nel contratto originario, per le quali il minor prezzo indicato trovava giustificazione nella natura accessoria del servizio, non implicante particolari costi aggiuntivi per l’appaltatrice. Ha aggiunto che in sede di gara la committente aveva escluso l’offerta di un’altra ditta proprio a causa dell’indicazione di prezzi differenziati per le diverse tipologie di aree, ritenendo altresì inconferente il confronto con i prezzi previsti da contratti successivi, che prevedevano modalità diverse di espletamento del servizio, ed evidenziando, per converso, che un successivo contratto stipulato con la stessa attrice aveva previsto anch’esso la determinazione di un prezzo unitario. Ha escluso la possibilità di attribuire valenza confessoria alle note di eredito ed alle fatture emesse dalla società attrice, reputandole inidonee a modificare i termini del contratto stipulato in forma scritta, in quanto aventi natura meramente fiscale, considerando analogamente ininfluente il giudizio in ordine alla congruità del prezzo ridotto, espresso dal legale rappresentante della Cooperativa in sede d’interrogatorio, e ponendo in risalto la deposizione resa da un testimone, secondo cui l’iniziativa della riduzione era stata adottata unilateralmente dall’As1 ed accettata dall’impresa per evitare la sospensione dei pagamenti. Rilevato inoltre che la lettera d’invito alla gara prevedeva l’aggiudicazione in un lotto unico al prezzo più basso determinato a metro quadro per mese, ha osservato che la facoltà di chiedere precisazioni in ordine agli elementi costatitivi dell’offerta, attribuita all’Amministrazione in caso di presentazione di offerte anormalmente basse, era tale da scoraggiare la formulazione di offerte palesemente fuori mercato, affermando che tale procedimento non avrebbe potuto essere sostituito da un comportamento di segno opposto tenuto nella fase esecutiva del contratto, il quale, oltre ad imporre alla Amministrazione di dare adeguata giustificazione della sua ammissione, avrebbe comportato una sostanziale inefficienza e inadeguatezza del servizio, in contrasto con le finalità della gara. Al riguardo, ha escluso anche la possibilità di ritenere il contratto annullabile esclusivamente ad iniziativa della committente, osservando che l’annullamento avrebbe travolto anche l’aggiudicazione, alterata a posteriori da un comportamento non imparziale della committente, e concludendo pertanto per la nullità dell’accordo raggiunto nella fase esecutiva del rapporto.

3. — Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale VC di Vercelli (già Asl n. 11), per tre motivi, illustrati anche con memoria. La Cooperativa ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1.  Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione cio la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., sostenendo che il requisito della forma scritta ad substantiam, previsto per la stipulazione dei contratti della Pubblica Amministrazione, pur imponendo di fare riferimento innanzitutto alla lettera del contratto per la ricostruzione dei rapporti tra le parti, non esclude la possibilità di tener conto del comportamento complessivo delle stesse, il quale, soprattutto se protratto nel tempo, assume una valenza interpretativa, conformemente alle regole ermeneutiche dettate dalle predette disposizioni, applicabili anche ai contratti della Pubblica Amministrazione, quali atti di diritto privato. Tale principio è stato disatteso dalla sentenza impugnata, la quale ha privilegiato una lettura esclusivamente formale del contratto, a scapito del comportamento tenuto dalle parti per tutta la durata del rapporto, conferendo rilievo all’osservanza delle regole di contabilità pubblica, le quali, tuttavia, sono riferibili esclusivamente alla fase precedente all’aggiudicazione, e non anche alla fase successiva, assoggettata all’ordinaria disciplina privatistica. Nel porre in risalto l’assoggettamento del contratto all’onere della forma scritta ad substantiam, la Corte di merito ha peraltro omesso di considerare che tale requisito è prescritto esclusivamente a garanzia dell’interesse dell’Amministrazione, che dev’essere posta in grado di conoscere l’importo massimo che è tenuta a corrispondere, con la conseguente inapplicabilità agli accordi che eventualmente intervengano in sede di esecuzione del contratto, ove gli stessi risultino favorevoli all’Amministrazione.

1.1. — Il motivo è infondato.

In tema di attività jure privatorum della Pubblica Amministrazione, questa Corte ha affermato costantemente il principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui i contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo d’identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria (cfr. Cass., Sez. 1. 19 settembre 2013, n. 21477; 24 gennaio 2007. n. 1606; Cass., Sez. I, 26 ottobre 2007, n. 22537). Ciò comporta non solo l’esclusione della possibilità di desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l’intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto (cfr. Cass., Sez. Un., 22 marzo 2010, n. 6827; Cass., Sez. I. 20 marzo 2014, n. 6555; 26 marzo 2009, n, 7297). Tale principio trova applicazione non soltanto alla conclusione del contratto, ma anche all’eventuale rinnovazione dello stesso, a meno che la stessa non sia prevista come effetto automatico da un’apposita clausola (cfr. Cass., Sez. III, 11 novembre 2015, n, 22994; 21 agosto 2014, n. 18107; 10 giugno 2005, n. 12323), nonchè alle modificazioni che le parti intendano in seguito apportare alla disciplina concordata, le quali devono pertanto risultare da un atto posto in essere nella medesima forma del contratto originario, richiesta anche in tal caso ad substantiam, non potendo essere introdotte in via di mero fatto mediante l’adozione di pratiche difformi da quelle precedentemente convenute, ancorchè le stesse si siano protratte nel tempo e rispondano ad un accordo tacitamente intervenuto tra le parti in epoca successiva (cfr. Cass., Sez. I, 14 aprile 2011, n. 8539; Cass., Sez. III, 12 aprile 2006, n. 8621; Cass., Sez. II, 4 giugno 1999,n. 5448).

La ricaduta di questo regime formalistico, sul versante dell’interpretazione del contratto, è costituita dal principio, anch’esso costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la ricerca della comune intenzione delle parti, ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve aver luogo, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione, in quanto la formazione del consenso non può spiegare rilevanza ove non sia stata incorporata nel documento scritto (cfr. Cass., Sez. I, 11 maggio 2007, n. 10868; Cass., Sez. II, 22 giugno 2006, n, 14444; 5 febbraio 2004, n. 2216). Anche nei casi, invero piuttosto rari, in cui, evidenziandosi la sottoposizione dell’attività privatistica dell’Amministrazione ai principi del diritto comune, stata ammessa la possibilità di far ricorso al criterio ermeneutico previsto dal secondo comma dell’art. 1362 cod. civ., al fine di chiarire il senso di termini o espressioni impiegati in modo improprio dalle parti, è stata fermamente esclusa la possibilità di ricollegare al comportamento di queste ultime la formazione di un consenso estraneo al contenuto del contratto, o addirittura ad esso contrario, prospettandosi altrimenti la vanificazione del requisito della forma scritta, imposto a garanzia dei canoni d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Cass., Sez. 30 settembre 2011, n, 20057; in generale, riguardo ai contratti da stipularsi in forma scritta ad substantiam, v. anche CaSS., Sez. IL 7 giugno 2011, n. 12297; 4 giugno 2002, n. 8080; 2 giugno 2000, n. 7416).

1.2. — Pur avendo correttamente richiamato i predetti principi, la Corte di merito non si è d’altronde sottratta al riscontro della condotta tenuta dalle parti successivamente alla stipulazione del contratto, prendendo specificamente in considerazione la pratica eccepita dall’Amministrazione, consistente nell’avvenuta esecuzione e fatturazione di pagamenti per importi inferiori a quelli previsti dal contratto, ma escludendo la possibilità di desumerne l’intento dell’attrice di accettare una riduzione del corrispettivo pattuito, anche alla luce dell’avvenuta determinazione dello stesso nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, e della conseguente alterazione che tale condotta avrebbe comportalo nella par condicio dei partecipanti alla gara, oltre che nell’osservanza delle norme che disciplinano la contabilità pubblica.
In proposito, non merita consenso l’assunto della ricorrente, secondo cui, in quanto volte essenzialmente a garantire la certezza del corrispettivo da pagare per il conseguimento della prestazione pattuita, nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione, le predette disposizioni non precludono il raggiungimento di accordi in senso riduttivo. anche in via di mero fatto, traducendosi gli stessi in un risparmio di spesa per la committente: la ratio della previsione di procedure competitive perla scelta del contraente da parte degli enti pubblici non consiste infatti nel consentire all’Amministrazione di procurarsi la fornitura o il servizio richiesto al prezzo più basso, indipendentemente dalla qualità della prestazione ottenuta, ma nel permettere l’individuazione dell’offerta complessivamente più conveniente, sulla base di criteri preventivamente determinati ed applicati in modo trasparente, si da evitare che, anche per effetto del meccanismo concorrenziale adottato, la vantaggiosità delle condizioni economiche prospettate si traduca in un minor valore tecnico-qualitativo della fornitura o del servizio offerto. In tal senso deponeva già la disciplina dettata dal regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, richiamata dal regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 anche per contratti stipulati dagli enti territoriali, la quale prescriveva, in riferimento al pubblico incanto cd alla licitazione privata, che il relativo bando dovesse indicare, rispettivamente, «la qualità, ed ove d’uopo, i prezzi parziali o totali, secondo la natura dell’oggetto» (art. 65) e «l’oggetto dell’appalto e le condizioni generali e speciali» (art. 89), consentendo all’Amministrazione d’indicare, nel primo caso, anche il limite massimo di ribasso che i concorrenti non dovevano in ogni caso oltrepassare. e di escludere dalla gara le imprese che lo avessero oltrepassato. Nella medesima ottica, la legge 11 febbraio 1994, n. 109, i cui principi costituivano norme fondamentali di riforma economico-sociale, dopo aver dichiarato solennemente che «l’attività amministrativa in materia di opere e lavori pubblici deve garantirne la qualità» (art. 1), nel disciplinare i criteri di aggiudicazione aveva previsto, in conformità delle norme comunitarie, l’esclusione delle offerte anomale, cioè di quelle che, presentando un ribasso pari o superiore alla media dei ribassi delle offerte ammesse (art. 21, comma 1-bis), potessero far dubitare della corrispondenza della prestazione ai requisiti qualitativi prescritti; in riferimento all’appalto-concorso, essa aveva poi previsto (conformemente alla natura di tale procedimento, comprendente anche la progettazione dell’opera da realizzare) che l’offerta economicamente più vantaggiosa dovesse essere valutata in base non solo al prezzo, ma anche, tra l’altro, al valore tecnico ed estetico delle opere progettate ed al tempo di esecuzione dei lavori e ad altri elementi individuati in base al tipo di lavoro da realizzare (art. 21, comma secondo). Ancor più chiara è l’impostazione di fondo del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (cd. codice dei contratti pubblici) e del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (cd. codice dei contratti pubblici), i quali, oltre a ribadire la facoltà dell’Amministrazione di escludere le offerte anormalmente basse (art. 81 del d.lgs. n. 163, art. 59 , comma quarto, lett. c, del d.lgs. n. 50), nell’enunciare i principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni stabiliscono che il relativo affidamento, oltre a garantire la qualità delle prestazioni, deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, precisando espressamente che il principio di economicita può essere subordinato, nei limiti consentiti dalle norme vigenti e dal medesimo codice, a criteri, da prevedere nel bando, ispirati a esigenze sociali o alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico (art. 2 del d.lgs. n. 163, art. 30 del d.lgs. n. 50). Il mero risparmio di spesa collegato alla richiesta di un corrispettivo più basso non costituisce pertanto l’unico scopo. e nemmeno quello principale, delle norme che disciplinano la contabilità pubblica e gli appalti pubblici, le quali hanno invece di mira il conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile con tale obiettivo. Il perseguimento di tale finalità non potrebbe non ritenersi compromesso qualora, come sostiene la ricorrente, fosse consentito alle parti di modificare successivamente, sia pure in senso più favorevole all’Amministrazione, le condizioni economiche determinate attraverso l’applicazione delle regole di evidenza pubblica, non essendovi alcuna certezza che a tale modificazione corrisponda, nella realizzazione dell’opera o nella prestazione del servizio, il mantenimento delle caratteristiche tecnico-qualitative previste dal bando di gara ed accettate mediante la presentazione dell’offerta.

Sotto un diverso profilo, come ha opportunamente evidenziato la Corte di merito, il  meccanismo competitivo che presiede alla scelta dell’altro contraente nei contratti stipulati dagli enti pubblici esige il rispetto di regole volte ad assicurare una trasparente individuazione ed applicazione dei criteri di selezione e la par condicio tra i concorrenti: al riguardo, è appena il caso di richiamare, senza neppure soffermarvisi specificamente, le norme che fissano i requisiti soggettivi per la partecipazione alle gare e prevedono l’inclusione dei criteri di valutazione delle offerte nei relativi bandi, da rendersi pubblici nelle forme prescritte, quelle che stabiliscono termini rigorosi per la presentazione delle offerte, quelle che, in caso di adozione del metodo delle offerte segrete, dispongono le cautele necessarie per garantirne la segretezza ed escludono la possibilità di modificarle dopo l’apertura, quelle, infine, che prevedono la pubblicità della fase di valutazione ed impongono la motivazione dei provvedimenti di esclusione ed aggiudicazione. Pur dovendosi escludere che, cosi come ipotizzato dalla sentenza impugnata, l’applicazione in sede esecutiva di condizioni diverse da quelle previste dal bando e consacrate nel provvedimento di aggiudicazione possa incidere retroattivamente sulla legittimità della fase ad evidenza pubblica, in tal modo determinando ex post la validità del contratto, la quale dev’essere invece valutata con riferimento all’epoca della stipulazione, occorre rilevare che l’operatività dei principi di trasparenza e parità dei concorrenti risulterebbe sostanzialmente vanificata ove le parti potessero, a loro piacere, non solo modificare il contenuto del programma negoziale successivamente all’aggiudicazione o addirittura dopo la stipulazione del contratto, ma addirittura evitare di avvalersi, a tale scopo, della forma prescritta a pena di nullità per l’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione.

2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod civ., osservando che, nel negare qualsiasi rilievo alle note di credito ed alle fatture emesse dalla Cooperativa, la sentenza impugnata non ha considerato che tali documenti non hanno un’efficacia meramente fiscale, ma costituiscono scritture private, vincolanti a tutti gli effetti per chi le abbia formate, una volta intervenuta l’accettazione della controparte, e quindi utilizzabili ai fini dell’interpretazione del contratto.

2.1. — Il motivo è infondato.

In linea generale, questa Corte ha avuto infatti modo di affermare che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova, ma, al più, un mero indizio (cfr. Cass., Sez. 11, 12 gennaio 2016, n. 299; 20 maggio 2004, n. 9593; Cass., Sez. III, 28 giugno 2010, n. 15383). In tema di appalto di opere pubbliche, si è tuttavia esclusa anche la possibilità di riconoscere la predetta portata alle fatture trasmesse all’Amministrazione, osservandosi che l’onere della forma scritta, imposto ad substantiam per i contratti degli enti pubblici, impedisce non solo di ritenerne provata la stipulazione, in assenza dell’atto dotato del predetto requisito, ma anche di attribuire alla produzione delle fatture l’efficacia di comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dal contratto (cfr. Cass., Sez, 1, 22 gennaio 2009, n. 1614). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche al contratto di appalto stipulato in economia, con il sistema del cottimo fiduciario, escludendosi la possibilità d’invocare, in contrario, la disciplina dettata dall’art. 17 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, che consente la stipulazione a trattativa priva di contratti con le imprese commerciali a mezzo di corrispondenza «secondo l’uso del commercio»: si è infatti rilevato che anche in questo caso occorre che il perfezionamento del contratto risulti dallo scambio di proposta ed accettazione, non essendo sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo meramente verbale, come l’esecuzione della prestazione ad opera del privato, documentata dalle fatture trasmesse all’Amministrazione (cfr. Cass., Sez. l, 15 giugno 2015, n, 12316; 17 marzo 2015, n. 5263).

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo aver escluso la possibilità di desumere un accordo modificativo del contratto dal comportamento tenuto in sede esecutiva dall’impresa, ed in particolare dall’accettazione di pagamenti in misura ridotta rispetto al corrispettivo determinato attraverso l’aggiudicazione, ha ritenuto insufficienti a giustificare una siffatta ricostruzione della fattispecie anche le fatture emesse dalla società attrice, la cui asserita idoneità a giustificare un’interpretazione del contratto di appalto diversa da quella risultante dal suo tenore letterale si pone d’altronde in contrasto con la già affermata inammissibilità di modifiche successive delle condizioni convenute.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nel ritenere pacifica l’avvenuta determinazione del prezzo anche in riferimento alla pulizia delle aree esterne, la sentenza impugnata ha omesso di rilevare che il contratto si limitava ad imporre l’individuazione di un prezzo unitario in sede di gara. rilevante esclusivamente ai fini della determinazione della base economica dell’offerta, e non anche per determinare i prezzi applicabili alle singole aree nella fase esecutiva. La Corte di merito ha attribuito alla nota di accredito una valenza esclusivamente fiscale, senza considerare che attraverso la stessa la appaltatrice aveva prestato il proprio consenso in ordine all’interpretazione del contratto, a seguito del quale essa committente aveva effettuato il pagamento. La negazione dell’efficacia confessoria delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della Cooperativa in sede d’interrogatorio non tiene poi conto del carattere remunerativo da lui attribuito al prezzo fatturato, dal quale si evinceva la correttezza dell’interpretazione costantemente seguita nel corso del rapporto, soddisfacente per entrambe le parti. Nell’affermare l’irrilevanza della tabella di sviluppo allegata alla delibera del 20 dicembre 2000 e della successiva rinnovazione del contratto, la Corte di merito ha infine trascurato la conformità delle relative indicazioni ai criteri seguiti per le aree esterne nel periodo precedente.

3.1. —Il motivo è inammissibile.

In quanto volta alla ricostruzione della comune intenzione delle parti, l’interpretazione del contratto si traduce in un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per inosservanza delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per incongruenza o illogicità della motivazione. Ai fini della deduzione di quest’ultimo vizio, il ricorrente non può tuttavia limitarsi a ribadire il proprio personale convincimento, contrastante con quello risultante dalla sentenza impugnata, ma ha l’onere d’indicare con precisione le lacune argomentative della motivazione, ovvero gli elementi di giudizio ai quali è stato attribuito un significato estraneo al senso comune, o ancora i punti inficiati da mancanza di coerenza logica, connotati cioè da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano dal ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza (cfr. Cass., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass., Sez. 11, 3 settembre 2010. n. 19044; Cass., Sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4178). Nella specie, la ricorrente si limita invece ad insistere sul diverso significato da attribuire alla clausola recante la determinazione del corrispettivo, facendo valere elementi già presi in considerazione dalla sentenza impugnata, quali la valenza interpretativa delle fatture emesse dalla società attrice e della tabella di sviluppo relativa ad un contratto successivo e la portata confessoria delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società attrice, in tal modo sollecitando, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto dalla sentenza impugnata, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare l’interpretazione del contratto, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica dell’interpretazione fornita dal giudice di merito. Quest’ultima, d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che sia l’unica interpretazione possibile, e neppure la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più letture, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass., Sez. 1, 17 marzo 2014, n. 6125; Cass., Sez. 111.25 settembre 2012, n. 16254; 20 novembre 2009, n. 24539).

4. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna l’Azienda Sanitaria Locale VC di Vercelli al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, ivi compresi Euro 15.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agii accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile
 

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